Ullah.
Sono di nuovo tra voi 8D non ve l’aspettavate,
lo so… ma è ByaSana, dovreste sapere quanto lo
amo. E niente, con questa terza
parte, dopo "When the Snow falls" e "When the Snow falls: After the Snow, just the Silence", mi sa che ho raccolto tutti i “momenti
topici” di questa coppia – anche se
secondo me c’è ancora tanto da scrivere, ma
giustamente, appena c’è
l’ispirazione… Purtroppo, duole ammettere che per certe cose non ci so fare -___- ditemi voi se il rating va bene, ho cercato di non scendere troppo nel dettaglio. Forse sembrerà che in alcune parti "manchi qualcosa" in termini di spiegazioni, specie all'inizio, ma essendo un POV di Hisana, ovviamente non potevo farle dire tutto e subito - motivo per cui, sarà Byakuya a fornire ulteriori dettagli per certe questioni.
Per il resto non vi tedio ulteriormente, bella gente: se avete voglia di lasciare un
commentino, sapete che mi farà molto piacere!
When
the Snow falls – Blossom of Love
雪 が落ちたと-
愛の花
«A
te che mi hai
trovato
All’angolo
con i pugni chiusi
Con le
mie spalle contro il muro
Pronto a
difendermi
Con gli
occhi bassi stavo in fila con i disillusi
Tu mi
hai raccolto come un gatto
E mi hai
portato con te
A te io
canto una canzone perché non ho altro
Niente
di meglio da offrirti di tutto quello che ho.»
Frastornata
– non saprei come meglio definirmi
in questo momento. Dopo un intero giorno passato in mezzo a decine,
forse un
centinaio di persone, questa improvvisa quiete mi scombussola non poco.
Ancora
fatico un po’ a metabolizzare la cosa – non sono
più una stracciona del
Rukongai che si nascondeva da sudici uomini che tentavano di mettermi
le mani
addosso spinti da altrettanto sudici istinti, non sono più
quella donna che
raccattava pochi scarti di cibo che trovava per terra per arrivare a
fine
giornata – no, ora sono la… come mi hanno
definita? La “Lady” del nobile casato
Kuchiki, la sposa del ventottesimo capofamiglia, Byakuya Kuchiki. Non
sono più
solo “Hisana”, no, ora al mio nome segue anche un
cognome – qualcosa che, dopo
la morte, avevo completamente dimenticato. A che mi sarebbe mai servito
un
cognome, nella povertà del Rukongai? Non mi avrebbe
assicurato un posto dove
dormire né qualcosa da mangiare, motivo per cui ne avevo
perso totalmente il
ricordo. Ero diventata una delle tante anime anonime dei quartieri
poveri,
senza particolari abilità che mi aiutassero in quella vita
di stenti – così
simile a quella che, per quanto ricordavo, avevo già vissuto
nella vita
terrena. Non che me ne lamentassi, mi sarei semplicemente dovuta
abituare. E lo
ammetto, lo scorrere delle giornate era diventato sempre uguale, giorno
per
giorno, in mezzo ad altri poveri, tra la polvere delle strade e le
baracche fatiscenti…
non cambiava mai nulla, a parte la quantità di cibo che
riuscivo a trovare. Una
routine da cui non riuscivo né volevo uscire, anzi.
Poi,
come un fulmine a ciel sereno, mi è
apparso davanti quello che ora è ufficialmente mio marito.
Sporco di terra e
sangue di Hollow, con la spada ancora sguainata – e la lama
riluceva alla luce
del sole. Era una fredda giornata d’inverno, lo ricordo bene.
Quel giorno non
disse una singola parola, limitandosi ad osservarmi distaccato,
alternando lo
sguardo dal mio viso alla brocca sbeccata con dell’acqua che
gli stavo offrendo
per pulirsi il viso – e silenzioso com’era apparso,
si era voltato e se n’era
andato. Quella poca acqua contenuta nel vaso rotto aveva riflesso
l’amara
consapevolezza che nella mia condizione, qualsiasi aiuto avessi dato
sarebbe
risultato ridicolo. Probabilmente gli ero sembrata patetica, ad
offrirgli
dell’acqua quando io per prima avrei necessitato di una
doccia al più presto –
una poveraccia che osava offrire
aiuto ad uno shinigami, magari s’era offeso davvero. Insomma,
chi ero io per
pretendere di potergli dare qualcosa che lui non avrebbe avuto problemi
a
procurarsi in uno stato migliore? Lo dimenticai in fretta, convinta che
non lo
avrei più rivisto. Quanto mi sbagliavo!
Lo
incontrai nuovamente qualche settimana
dopo, in un pomeriggio di una primavera che si faceva timidamente
strada tra
gli ultimi stralci d’inverno, sulle prime non m’era
parso nemmeno lui –
indossava un haori differente da quello che gli avevo visto indosso la
volta
precedente, ma la sciarpa che gli ricadeva morbida attorno al collo era
la
stessa, sì. Così come l’avrei notato in
tutti i nostri incontri seguenti – ma
non capivo, non capivo davvero il perché, per quale motivo
cercasse la mia compagnia
anche per pochi minuti. Rimasi letteralmente spiazzata quando,
nell’udire uno
scocciato “Accidenti, lo shinigami
s’è
già preso la pollastra”, fece volare
dall’altra parte della strada l’uomo
che aveva pronunciato quella frase usando il… come
l’aveva chiamato? Ah, sì, kido,
l’arte demoniaca che imparano gli
shinigami. E lì, giustamente, chiese spiegazioni che gli
fornii, seppur un po’
controvoglia. Insomma, non era esattamente bello far sapere a
quell’uomo, di
cui conoscevo solo il nome, che dovevo scappare per non far la fine di
tante
donne soggiogate dalla legge del più forte. Avrei dovuto
sospettare anche di
lui, sì. Ma il modo in cui mi parlava, mi trattava o mi
guardava, mi convinse
che era di tutt’altra risma. E questa volta, invece, la mia
impressione fu più
che corretta. Era piacevole stare in sua compagnia, per quei minuti
potevo… dimenticare.
Scordare dov’ero, cos’ero, cosa
avevo
fatto. Quando lo salutavo, mi chiedevo sempre se
l’avrei più visto un’altra
volta. Non capivo perché, e forse avrei dovuto stargli
distante – ci provai, le
prime volte. Non sapevo proprio, allora, con chi avevo a che fare. Lui
s’era
ben guardato dallo sbandierare i suoi natali, pensavo fosse un semplice
shinigami – decisamente bello e raffinato, sì,
ma… normale, diciamo
così. E non nascondo che le prime volte mi vergognavo
assai a stargli accanto, per quanto tentassi di tenermi pulita il
più possibile
accanto a lui mi vergognavo come una ladra – e mi rendevo
sempre più conto di
quanto sudicia apparissi al suo fianco. Non osavo avvicinarmi troppo,
nemmeno
quand’era lui ad invitarmi. E se chiedeva il motivo, non davo
risposta – la
vergogna era davvero, davvero troppa.
E
poi, quell’ammissione dei suoi sentimenti,
quell’invito a seguirlo nel suo mondo, nella sua casa. E fu
allora che scoprii
che non era certo l’ultimo shinigami della Soul Society
– no, quello che mi
aveva chiesta in sposa non era altri che uno degli uomini
più nobili e potenti
di tutta
Non
mi stupii nel vedere che la sua famiglia
non era assolutamente d’accordo con le sue intenzioni
– mischiare il sangue
nobile dei Kuchiki con quello di una stracciona spuntata da
chissà dove per
loro era un’eresia bella e buona. E li capivo, davvero
– sebbene non potessi
fare a meno di rimanerci male. Non era arrivismo il mio, quello che
ormai ci
legava era un sentimento forte e saldo, che sarebbe rimasto lo stesso
anche se
lui non fosse stato aristocratico o potente. Ma il nobile Byakuya (non
riuscirò
mai a chiamarlo semplicemente “Byakuya”, temo) era
un uomo fermo sulle proprie
idee, quello che quando desidera qualcosa lo ottiene – a
maggior ragione se
quel desiderio è dettato dal cuore. Si offrì di
istruirmi, insegnarmi come ci
si comporta in mezzo ai nobili; le sere in cui avrebbe necessitato di
andare a
dormire presto le passò insegnandomi le arti tradizionali e
la letteratura più
complessa – e visto che le mie proteste e i miei tentativi di
farlo rinunciare
furono totalmente inutili, feci del mio meglio per non deluderlo, per
far sì
che almeno lui fosse fiero di me. Obbligò la famiglia ad
accettare la sua decisione,
ad accettare quel nostro amore – ma loro mi vedranno sempre
come un avvoltoio,
temo. Ma “fai buon viso a cattivo
gioco”,
si usa dire: alla fine decisero di accettare la nostra unione.
Tuttavia, gli
auguri che ci fecero in occasione del Yui-no,
la cena di fidanzamento, furono quanto di più falso sentii
in vita mia, i doni
venivano portati con ipocrita reverenza. Ma per quello che sarebbe
diventato
mio marito, per l’uomo che amavo, accettai tutto con un
sorriso - e lui non
mostrò mai segni di cedimento o ripensamenti. Mi strinse la
mano sfiorandomi la
fronte con le labbra prima di darmi la buona notte sulla soglia della
mia
camera, quasi a volermi far forza – il giorno dopo nessuno
avrebbe più potuto
dir nulla su di noi. Ci saremmo sposati, sarei stata in una posizione
tale che
nemmeno gli anziani avrebbero potuto avanzare proteste.
Ed
ora eccoci qui, l’uno di fronte all’altro.
La giornata è stata a dir poco sfiancante – seppur
bellissima, questo è ovvio.
Ho appena tolto il tradizionale shiromuku bianco, sistemandolo per bene
su un
apposito appendiabiti, restando con il kakeshita e lo shitagasane dello
stesso
colore, rindossati dopo i canonici cambi d’abito. La testa un
po’ mi duole per
via della parrucca con lo tsunokakushi che ho dovuto portare
– quelle corna di
demone, simbolo della gelosia, nascoste sotto il velo a forma di
cappuccio, per
dimostrare la totale concessione della mia sottomissione al mio sposo.
Non che
fosse necessario questo scomodo copricapo, per garantire
ciò. Ed ogni singolo
capo indossato dalla sposa è bianco, il bianco
più puro simbolo di purezza e
verginità. Non riesco a celare un certo imbarazzo, sapendo
come… insomma, come
si porterà avanti questa notte. E sottilmente, dentro di me,
una vocina molesta
mi fa quasi esitare. Lo voglio davvero?
Inginocchiato
di fronte a me, vedo il mio
nobile marito tendere le mani verso la mia testa, invitandomi con poche
parole
ad abbassarla lentamente per aiutarmi a togliere il copricapo. Presto i
miei
capelli sono liberi di tornare sciolti sulle spalle, i ciuffi di
ricadermi
davanti agli occhi. Non ci diciamo nulla, ancora inginocchiati sui
tatami, con
ancora indosso gli ornamenti tradizionali. Con gesti lenti il mio sposo
mi
passa le dita tra i capelli, gentilmente, ravvivandoli e sistemandoli,
massaggiandomi piano la cute – e con altrettanta lentezza, le
sue mani si
spostano dai miei capelli alle mie braccia, scivolando leggere fino
alle mani,
che mi stringe. Osando alzare lo sguardo verso di lui, scorgo un tenue
sorriso
alla luce dell’andon che illumina fiocamente la stanza.
Sempre tenendo le mie mani
tra le sue, se le avvicina alle labbra e ne bacia le dita, lentamente,
più
volte, accarezzandomi i dorsi con i pollici.
«Cosa
ti turba, Hisana?» mormora, con le
labbra lievemente posate contro le mie nocche.
Come
può essersene già accorto? Pensavo di
esser riuscita a celare bene le mie incertezze – ma a quanto
pare, sono davvero
una pessima attrice. Rafforzo per un istante la presa sulle sue mani,
abbassando il viso. Sento le guance bruciarmi, ho quasi timore di
dirgli ciò
che mi passa davvero per la testa – perché
quest’uomo non merita delusioni, no
davvero. Eppure… nonostante lo guardi, cerchi di comprendere
in quelle iridi
grigie ciò che non dice a parole, non riesco a capirlo come
lui invece pare
capire me. Cos’avrà pensato in quella notte
precedente al nostro giuramento? Ha
avuto anche lui un sonno agitato per la tensione, oppure ha riposato
tranquillo? Ma soprattutto… cos’è che
l’ha spinto a scegliere me, a fare di una
poveraccia la sua sposa? Mi rifiuto di credere che non ci fossero tante
altre
nobili più adatte di me, pronte a cogliere al balzo questa
occasione.
Ricambio
per un istante il suo sguardo, che si
è notevolmente addolcito. Non pare più
l’uomo distaccato che incontrai nel Rukongai,
quello shinigami freddo che rifiutò l’acqua per il
viso. Tuttavia, esito
ancora. Ho paura di deluderlo, non voglio deluderlo – anche
se lui sa che non
sono affatto tranquilla. Le donne anziane della famiglia mi hanno
spiegato come
funziona il matrimonio, nella nobiltà – e a quanto
pare, consumare la prima
notte di nozze è ciò che più aspettano
per rendere effettivamente valido il
nostro giuramento. Si sono debitamente informate i giorni precedenti
alla cerimonia,
quasi sperando non avessi una verginità da offrire al mio
sposo. In sé, credo
che il nobile Byakuya temesse una cosa del genere, visto
l’ambiente in cui
vivevo precedentemente. Rassicurai tutti sul fatto che non ero mai
stata con
nessuno prima, ero sempre riuscita a scamparla nell’Inuzuri e
nel mondo terreno
ero morta troppo presto. L’abito bianco mi avrebbe
rappresentata in tutto e per
tutto, immacolata in tutti i sensi. Vedendomelo ancora addosso mi pare
quasi un
peso – e sottilmente, sto odiando il protocollo.
Perché per rendere valida la
nostra unione, è necessario consumare la prima notte? Ho
ancora troppa paura,
troppi dubbi per la testa.
Amo
il nobile Byakuya, forse anche troppo, e
non perché mi ha raccattata come un animaletto abbandonato e
mi ha offerto cibo
e un alloggio… ma per il suo riguardoso rispetto, per la
dolcezza che ha
dimostrato in quegli istanti che abbiam potuto passare insieme, per
la
serietà con cui opera nelle missioni e come capitano nella
sua brigata. E
questi sono solo i primi motivi che mi vengono in mente…
perché sarebbero
ancora tanti, davvero tanti. È come se solo io avessi il
privilegio di vedere
il vero Byakuya Kuchiki –
non quello
freddo e altero, restio a pronunciarsi o ai semplici contatti, ma
quello che
sorride, mi prende per mano, mi abbraccia anche così, per il
semplice piacere
di stare vicini, baciandomi di quando in quando le guance o le labbra.
Usa
sempre una delicatezza assoluta con me, forse anche per la notevole
differenza
fisica che ci separa – ma è anche per questo che
amo tanto i suoi abbracci:
quando mi stringe ho quasi l’impressione di sparire alla
vista del mondo,
celata dalla stretta delle sue braccia. Ed è proprio
lì che mi ritrovo, quasi
senza rendermene conto. Il suo abbraccio è caldo e gentile,
le sue carezze così
leggere che pare mi sfiori appena.
«Anch’io
ho paura, Hisana.» mormora, premendo
le labbra contro la mia fronte.
Prego?
Ho sentito bene? Byakuya-sama ha… paura?
L’ha davvero ammesso a voce alta?
Mi rannicchio un po’ di più contro il suo petto,
stringendo la stoffa del suo kimono
e dandomi della sciocca: perché stupirmi di
un’ammissione simile? Certo, è
strana da parte sua, ma… insomma, è umano
anche lui, no? Avrà timori e pensieri come tutti, mi dico.
Ma è quel “anch’io”
che mi dà da pensare… ha capito. Ha capito tutto,
senza che io gli dicessi
nulla. Questo abbraccio, dunque, può significare
“non ti lascio sola”?
«Byakuya-sama,
io…» abbasso lo sguardo,
staccandomi di poco da lui «So che forse la mia domanda vi
sembrerà fuori luogo
e… vi prego di perdonarmi se vi parrà
inopportuna, specie in questo momento,
specie… ora che avete fatto di me la vostra
sposa.».
La
sua presa si fa più leggera, avverto le sue
mani ferme sulla mia schiena. Mi sento addosso il suo sguardo grigio,
attento,
quasi in attesa che io lo ricambi. Il suo silenzio pare quasi un invito
a
proseguire.
«Ecco,
io… vi prego, siate sincero,
Byakuya-sama. Anche se la risposta non dovesse essere…
insomma, bella, ma… per
favore, ditemi la verità. Perché avete scelto
proprio me? Tra tante donne che
potevano offrirvi di più… perché
io?».
Per
svariati istanti non si ode nulla, a parte
i nostri respiri che però sembrano quasi assordanti. Mi
stringo i pugni al
petto – ho rovinato tutto? Sento i sudori freddi scorrermi
lungo la schiena,
avrei fatto meglio a tacere. Ma ormai pare tardi per rimediare,
Byakuya-sama mi
osserva serio, senza nemmeno sbattere le palpebre. Stupida, stupida
Hisana,
avrei dovuto tacere! Penserà che l’abbia sposato
controvoglia, che non nutra la
benché minima fiducia in lui, che abbia deciso di
assecondare il suo desiderio
solo per fargli il contentino e godermi la vita nelle ricchezze di
questa casa…
I pensieri più infausti mi si accavallano nella mente ad una
velocità
sconcertante, stordendomi – e nemmeno mi rendo conto di aver
abbassato lo
sguardo e iniziato a tremare. Dopo quella che pare
un’eternità, il mio nobile
marito prende parola – e ancora, non ha mollato per un
istante il nostro abbraccio.
«Ti
ho scelta… perché tu avevi qualcosa che
nessun’altra donna incontrata finora aveva,
Hisana.» mormora, poggiando la
fronte contro la mia testa, sebbene non ricambi il suo sguardo
«La bontà di
cuore. La sincera voglia di aiutare il prossimo senza aspettarsi nulla
in cambio.
L’onestà e l’umiltà, e la
testardaggine per riuscire in ciò che vuoi. Tu non te
ne rendi conto, forse… ma sei una persona buona, Hisana, una
persona che in
mezzo a tanta ipocrisia è come un’oasi nel
deserto. Con questo non voglio dire
che ti ho scelta per comodo, non fraintendere… ai miei occhi
hai la fragilità
d’un fiore, Hisana, sei così minuta eppure in te
ci sono tantissime qualità.».
Anche
se è lui a dirlo, stento a crederci. Non
mi vedo come una buona persona… non dopo quello
che ho fatto. Ma lui non sa. Non sa di che orrenda colpa mi
sono macchiata,
sono l’ultima persona degna di essere definita buona.
Sento di nuovo la sua voce, bassa e calda.
«Sì,
all’inizio non mi avevi colpito molto…
quando mi offristi l’acqua, ricordi? Rifiutai solo
perché tu ne avevi molto più
bisogno, ma non per pietà, e forse avrei dovuto anche
dirtelo. Ma mi avevi
lasciato spiazzato, Hisana, e avevo bisogno di metabolizzare. Sei stata
forse
la prima, a parte mio padre, che mi ha teso un aiuto senza aspettarsi
chissà
cosa. Tutte le altre donne… e furono parecchie quelle che si
presentarono per
il fidanzamento, davvero… di me hanno visto solo il nome
“Kuchiki” e niente di
più. I loro sorrisi quando mi guardavano o parlavano... i loro stessi sguardi erano falsi, modellati per l'occasione, per chi avevano davanti. Non era paranoia la mia, Hisana... vivendo nella nobiltà, impari ad accorgertene. Ma se non ti avessi incontrata prima, forse la differenza non mi sarebbe mai parsa così lampante.».
Scosto
appena la testa per poterlo osservare,
passando le dita sulla sua fronte, sopra le pieghe della pelle causate
dalle
sopracciglia ora aggrottate, lo fa sempre quando è
pensieroso.
«Per
questo mi avete chiesto d’incontrarvi al
Rukongai?» chiedo, abbassando piano la mano a sfiorandogli
distrattamente il
petto.
«Esatto.
Anche per quello, c’è da dire. Non ti
dissi mai come mi chiamavo proprio per vedere come ti saresti
comportata credendomi
una persona qualunque, e dopo aver saputo chi ero veramente. Ma mi eri
tornata
in mente… come un fulmine a ciel sereno, direi. Ho ricordato
all’improvviso il
tuo volto, il tuo… sorriso un po’ esitante, e
quella poca acqua che mi offrivi.
Perché hai cercato di tirarti indietro, Hisana?».
È
una domanda seria? Piego appena la testa di
lato, non è difficile dare una risposta chiara e concisa.
«Semplicemente
perché… siete troppo per me,
Byakuya-sama. Al di là delle ricchezze della vostra
famiglia… ma per
raggiungere una simile posizione e guadagnarvi il rispetto di tutti,
avrete
faticato tanto. Sposarvi con me… avrebbe reso vano il vostro
lavoro. E perdere
tutto per una come me… non ne valeva la pena.».
«Lo
vedi? Anche quando potevi pensare di
rinunciare per non sobbarcarti responsabilità nei confronti
di un clan… pensavi
di rinunciare per non rendere vano un lavoro fatto da
me. È questa la bontà di cuore che sin
da piccolo, vedendo i
miei genitori insieme, speravo di poter trovare nella persona che avrei
sposato. Ti ho osservata spesso senza che tu lo sapessi, ti vedevo
aiutare chi
trovavi in difficoltà anche quando tu stessa stentavi a
tirare avanti.
Quell’anziano che era stato derubato del pane, lo ricordi?
Hai fatto a metà del
poco che avevi per poterne dare un po’ anche a lui.
Sei… Kami-sama, Hisana, non
so davvero come spiegarmi.» lo sento stringermi di
più, premendo la guancia
contro la mia testa – e nel mentre, cerco di metabolizzare
quanto ha detto. Non
mi ero veramente mai accorta che venisse nell’Inuzuri a mia
insaputa,
osservandomi, per di più «Sei la donna che amo e
che voglio proteggere, Hisana.
Proteggerti da chiunque e qualunque cosa possa farti del male, dalle
tue paure,
da tutti i tuoi timori. Scusami se le mie motivazioni ti sono parse
insensate e
banali. Ma ti amo, Hisana, davvero. Per così tanti motivi
che, se ci penso,
continuo a trovarne sempre di nuovi.».
«Anche
se questo vi… vi ha portato a scontrarvi
con la vostra famiglia?».
«Anche,
sì. Sin da quando ero piccolo, ho
sempre obbedito alle regole. Mi sono allenato duramente per non
sfigurare in
Accademia, una volta entrato il minimo che mi veniva richiesto era il
massimo
dei voti, Hisana, in qualsiasi disciplina. Fallire non mi è
mai stato concesso,
è un qualcosa che, nell’opinione della famiglia,
non deve mai avvenire. Hanno
sempre scritto loro la mia vita, io dovevo solamente fare di tutto per
non
tradire le loro aspettative. Ma non avrei mai permesso loro anche
di… di scegliere
la donna che avrei dovuto sposare, con cui avrei dovuto avere una
famiglia.»
torna a stringermi di più, facendomi posare la guancia
contro il suo petto e passandomi
le dita tra i capelli, in carezze leggere «Tra tante
cose… mi hanno insegnato
il rispetto per gli altri, per il loro onore. E per come la vedo io,
non sarei
mai e poi mai riuscito a pretendere il cuore e il corpo di una donna,
se io per
primo non l’amavo. Certo, non lo farei nemmeno in caso tu non
mi amassi, ma…».
«Non
è così, Byakuya-sama!» lo interrompo
allarmata, stringendo la stoffa del suo kimono tra i pugni –
forse è il fatto
che stiamo andando a parare in un argomento tanto delicato, che mi
impaurisce
«Io vi amo, davvero! Se voi foste stato anche un
pover’uomo, o meno bello, o…
non nobile, se vi avessi conosciuto mi sarei innamorata di voi lo
stesso! Ma mi
sembra così ingiusto che abbiate litigato con la vostra
famiglia per me… Certo,
le vostre motivazioni sono più che corrette,
però…».
«Fammi
finire, Hisana.» mormora, prendendo le
mie mani tra le sue e stringendole di nuovo «Dicevo, non lo
farei nemmeno se tu
non mi amassi… ma nemmeno tu in caso non ti sentissi pronta.
Sì, lo so.» piega
appena il capo, interrompendo sul nascere il mio tentativo di
intervenire di nuovo
«Se la prima notte non viene consumata, il matrimonio non
viene ritenuto
valido. Ma non voglio nemmeno costringerti se tu per prima non ti senti
pronta
per fare un passo del genere, Hisana. Cosa ti hanno raccontato i miei
famigliari?».
Sento
le guance bruciarmi, so che non fa
apposta a mettermi così in imbarazzo, ma è anche
la prima volta che… insomma,
ne parlo apertamente con lui. Non che con le anziane della famiglia sia
stata molto
più a mio agio, ma erano pur sempre donne, lui…
sì, insomma, è pur sempre un uomo,
sebbene sia mio marito!
«Hanno
detto che… come avete detto voi, se la
prima notte non viene consumata il matrimonio non viene ritenuto
valido. E che
domani mattina… controlleranno personalmente.»
parlo sempre più piano, finendo
per abbassare la testa talmente tanto da non veder altro che la stoffa
bianca
che ancora mi ricopre le gambe. Non hanno specificato cosa
controlleranno, e
spero davvero che… insomma… Sento una sua mano
sfiorarmi il viso, in un muto
invito a rialzare lo sguardo, ma l’imbarazzo è
davvero troppo, non mi sposto di
un centimetro.
«Domani
mattina controlleranno le lenzuola.»
spiega «Durante la prima notte insieme, la sposa offre la
propria verginità
allo sposo – e le macchie di sangue sul lenzuolo proverebbero
che
effettivamente la sposa è stata deflorata in quella prima
notte.».
Oh.
Intimamente mi sento quasi sollevata
all’idea che le anziane controlleranno le coperte e non il
mio corpo. Ma le
suddette coperte dovrebbero essere macchiate di sangue, del mio sangue.
Sto per
ribattere di nuovo, ma il mio sposo non me lo permette.
«Se
però tu, Hisana, non ti senti pronta a
concederti così… lo capisco, non te ne faccio una
colpa. Ci sarebbe un modo per
ovviare la questione delle macchie sulle lenzuola, così da
non temere
ritorsioni da parte della famiglia.» occhieggia verso la sua
zanpakuto
sistemata su un apposito appoggio vicino al suo shihakusho e al suo
haori da
capitano, non appena nota il mio sguardo perplesso
«Basterebbe un semplice
taglio e qualche goccia di sangue, per ingannarli. La ferita sparirebbe
con il
kido e nessuno se ne accorgerebbe.».
Effettivamente
sarebbe una soluzione, sì…
eppure non ne sono convinta. Più che altro, non mi
piacerebbe l’idea che la
“convalida” del nostro giuramento fosse una
menzogna. D’altro canto non mi va
nemmeno di esser costretta ad avere la mia prima volta solo per la
sopraccitata
convalida. Osservo a mia volta la zanpakuto per una manciata di
secondi, per
poi tornare ad osservare il mio sposo.
«Byakuya-sama,
voi… lo fareste solo perché lo
richiede il protocollo, nonostante il vostro, il mio amore,
oppure anche…
per un altro motivo?» mi rendo conto di essermi espressa
male, al che cerco di
spiegarmi meglio «Voglio dire, se il protocollo non lo
prevedesse, ma contando
solo sul nostro amore… voi fareste ugualmente
l’amore con me in questa prima
notte?».
Resta
in silenzio solo il tempo necessario di
ascoltare la mia domanda, prima di scuotere leggermente la testa un
paio di
volte. No. No? Non riesco a capire a cosa stia rispondendo, esattamente.
«Hisana,
te l’ho detto. Se tu non volessi, io
non lo farei. Nemmeno se tu volessi farlo solo per farmi contento e per
rispettare
il protocollo.» sento che la presa delle sue mani diventa
ancora più forte «Se
pure questa regola non ci fosse, farei l’amore con te solo in
caso anche tu lo
desiderassi. Solo se anche tu fossi pronta, davvero, perché
lo desideri con il
cuore, non per un semplice contentino, non per timore di deludermi. Non
sono
pensieri indecenti o sconvenienti, Hisana, né mi
verrà mai in mente di
rinfacciarti la cosa qualora tu non volessi fare un passo simile.
Aspetterei il
momento in cui anche tu vorrai concederti a me, davvero.».
Sento
gli occhi inumidirsi. Perché? Cos’ho
fatto di tanto buono per meritare un uomo così? Un uomo
disposto ad amarmi così
tanto, nonostante il mio essere una stracciona dei quartieri
più malfamati, che
riesce a stento a leggere poemi complessi, rea di una delle colpe
più
disgustose di cui potrebbe macchiarsi una sorella? Davvero, sento di
non meritare
affatto il suo amore – eppure non riesco a farne a meno, non
quando il petto,
il cuore mi fa così male per la consapevolezza sempre
più forte che i suoi
sentimenti sono totalmente ricambiati – e a parte le parole e
le azioni, non so
in che altro modo dimostrarglielo. O forse, un altro modo
c’è…
«Byakuya-sama,
io… lo vorrei. Davvero, non per
farvi il contentino o… o per quella convalida. Io vorrei
davvero… donarmi a
voi, farvi capire quanto, nel mio piccolo, ricambi i vostri sentimenti.
Con
questo non voglio dire che vi ami di meno, anzi, forse oso pure troppo
nei
vostri confronti, ma…».
Stavolta
è un suo bacio a zittirmi – leggero,
gentile, quasi reverenziale. È come se il semplice tocco
delle sue labbra
riuscisse a far calmare il panico che mi stava prendendo in quel goffo
tentativo di spiegazioni, ma a quanto pare il mio nobile marito
è piuttosto
perspicace, gli bastano poche parole per capirmi. Mi tiene il viso tra
le mani,
osando un po’ di più, modellando le labbra contro
le mie, facendomi piegare leggermente
la testa di lato – e nel mentre, sento la punta della sua
lingua sfiorare
leggera il mio labbro, quasi a chiedere un permesso che non tardo a
concedere.
Nemmeno mi rendo conto di stringergli il kimono nei pugni, un barlume
di
lucidità mi dice di mollarlo, che rischio di rovinarlo
– ma ben presto ogni
pensiero è focalizzato esclusivamente sull’uomo
che, quasi dispettoso, gioca
con la mia lingua in un muto invito a seguirla, ricambiare.
È un bacio diverso
da quelli che ci siamo scambiati finora, molto più lungo,
molto più dolce, ma
con una passione mai sentita prima. È come se con questo
bacio mi stesse di
nuovo dicendo quanto mi ama, e quello che sento è tanto,
tanto amore – forse
pure troppo, penso di nuovo. A stento mi rendo conto che mi ha fatta
stendere
sul futon, la mia testa sfrega contro la stoffa del cuscino, sospinta
anche da
questi baci che non mi danno tregua. Sento le sue mani tra i capelli,
si regge
sui gomiti per non gravarmi addosso con il suo peso – e nel
mentre, gli scosto
leggermente i ciuffi che gli coprono il viso passando le dita a pettine
tra le
seriche ciocche corvine, portandole indietro, quasi invitandolo ad
avvicinarsi
ancora di più.
Non
mi mette fretta, lascia che decida io
quando portare le mani sui suoi abiti, iniziare a slacciarli, scoprendo
prima
le spalle e, successivamente, la schiena e le braccia. Il kosode gli si
accumula in vita, fortunatamente aveva già tolto
l’haori in precedenza. Gli
passo le mani lungo la schiena, sfiorando con i polpastrelli i leggeri
solchi
dei muscoli tesi e la colonna vertebrale, mugolando mentre si china a
baciarmi
dolcemente la guancia, scendendo poi lungo il collo. Scosta con il naso
i bordi
bianchi del kakeshita e dello shitagasane per arrivare alla pelle della
spalla,
mentre la mano scende a sciogliere i complessi nodi che stringono
l’obi. Un
passo dopo l’altro, tra un fruscio di stoffe e gemiti
sommessi, i vestiti
rimangono tutti a terra, sparsi attorno al futon matrimoniale. In
un’altra
situazione non mi sognerei mai di lasciarli in quelle condizioni,
buttati a
terra, col rischio di rovinarli – ma Byakuya-sama, sopra di
me, reclama
attenzione con fugaci tocchi e baci, distogliendomi totalmente dal
pensiero
degli abiti a terra. Ho i brividi, non so se per il freddo o per
l’emozione del
momento, mentre sento le sue dita scorrere leggere sulla mia pelle,
seguendo un
tracciato immaginario lungo il mio corpo che ben presto viene solcato
anche
dalle labbra e dalla lingua. Di per mio riesco a fare ben poco
– stordita,
impacciata, inesperta come sono – se non assecondarlo,
mordicchiandomi il
labbro di quando in quando. Mi sembra di bruciare dove mi sfiora,
lì dove nessuno
mi ha mai toccata prima, costringendomi ad inarcare la schiena per le
scosse
d’adrenalina che la percorrono più e
più volte – e il mio viso scotta più
che
mai per la vergogna delle reazioni di questo mio corpo, per le parole
sconnesse
che, di quando in quando, mi escono di bocca, per questi gemiti
così… indecenti,
a parer mio. Ma Byakuya-sama
sembra non farci caso, mentre percorre il mio ventre con le labbra,
baciando la
pelle sotto l’ombelico, alzando lo sguardo grigio a cercare
il mio. Kami-sama,
che vergogna, che vergogna. Mi copro il viso con le mani, tentando
anche di
richiudere le gambe, ma le mie cosce cozzano contro di lui, impedendomi
di
rannicchiarmi e nascondermi il più possibile al suo sguardo.
So che non lo fa
per prendermi in giro, ma mi sembra ancora così irreale
essere diventata la sua
sposa e avere la consapevolezza che, ben presto, saremo uniti anche
fisicamente, non riesco a fare a meno di arrossire violentemente. Sento
la sua
pelle farsi sempre più calda e sudata e, intimamente, sento
anche quanto si
stia trattenendo.
«Hisana…».
“Non
nasconderti alla mia vista”, sembra dire.
Lentamente scopro il viso,
trovandolo al medesimo posto di prima, ma inginocchiato di fronte a me.
Sussulto quando lo vedo appoggiare le mani sulle mie ginocchia e
aprirle con
delicatezza, sporgendosi leggermente in avanti.
«Sei
sicura, Hisana? Puoi… possiamo ancora
tornare indietro, se non vuoi.» mormora, esitando ancora.
Trattengo
il fiato per pochi istanti, per poi
scuotere leggermente la testa, sfregando la nuca contro il cuscino.
«No…
no, io… lo voglio, Byakuya-sama.»
sussurro, stringendomi un braccio al petto e allungando una mano per
sfiorare
la sua.
È
un’unione lenta e dolce, nonostante tutti i
timori del caso. Non posso negare di aver pensato, per una frazione di
secondo,
di fermarlo – colpa mia, di questo corpo così
minuto. Ma lui sembra capire al
volo, ad un mio gemito un po’ più alto, e rallenta
fino a fermarsi, cercando di
distrarmi con leggeri baci sulle labbra. Tento di abituarmi alla sua
presenza
rilassando i muscoli che, involontariamente, si erano contratti a
quell’intrusione così... inaspettata, forse? Non
che non sapessi a cosa stessi
andando incontro, solo, non pensavo fosse… così.
Non so davvero spiegarmi, o
forse è veramente l’estasi del momento che
m’impedisce di ragionare
razionalmente. Gli passo le braccia attorno al collo, portandomelo
più vicino,
stringendolo a me mentre si muove sì dolcemente, ma con
progressiva intensità.
Kami-sama, mi pare di impazzire, ormai non faccio neanche
più caso a quei
gemiti che prima mi parevano così indecenti. Intimamente
sorrido tra me, sono
così minuta che lui mi sovrasta quasi completamente, sento
il suo avambraccio
contro la testa – il cuscino è finito sul tatami,
quand’è che mi è scivolato
via da sotto la nuca? – mentre l’altra sua mano
stringe la mia, intrecciamo le
dita, è una presa salda, quasi abbia paura di vedermi
sparire da un attimo
all’altro. Non so per quanto continuiamo in questa danza
così primordiale, passionale ma allo stesso tempo dolce,
ormai non riesco veramente più a pensare ad altro che a lui,
solo a lui, il mio
nobile marito che, pochi istanti prima dell’apice finale, mi
stringe in un abbraccio
tanto forte da lasciarmi ancor più senza fiato –
e, anche se involontariamente,
fa pure un po’ male. Si regge sui gomiti per non collassarmi
addosso, ansimante
e sudato, i capelli neri gli si sono appiccicati alla fronte. Passo
lentamente
le mani sulla sua schiena, quasi invitandolo a stendersi, al che alza
lo
sguardo verso di me, sorridendomi appena. Di suoi sorrisi ne ho visti,
sono
così rari di solito, ma questo è in assoluto il
più bello e dolce che mi abbia
mai rivolto. Si sporge per baciarmi la fronte, chinandosi poi per
avvicinare le
labbra al mio orecchio.
«Grazie…
per essere mia, Hisana…».
Non
mi lascia il tempo di replicare, dandomi
un altro bacio e stendendosi al mio fianco, facendomi poggiare la testa
sul suo
petto – in quel momento sento il suo cuore che ancora batte
come impazzito, al
che mi stringo contro il suo fianco, abbracciandolo e sorridendo. Per
un
attimo, mi sento davvero in pace con me stessa, appagata e felice
– il pensiero
delle anziane non mi sfiora minimamente, ora come ora. Sappiamo
entrambi cosa
ci ha uniti in questa notte, non è stato il protocollo, non
è stato nemmeno la
voglia di accontentare l’altro, ma il desiderio
di sentire che
ci apparteniamo reciprocamente, incondizionatamente, senza
distinzione di classi
sociali o cultura a dividerci. Le sue dita che leggere sfiorano i miei
capelli
sono più dolci di una ninnananna, la stanchezza non ci mette
molto a prendere
il sopravvento su di me. Ma sono davvero, davvero felice. E il sorriso
sereno
di Byakuya-sama sembra suggerirmi che, al contrario di quel che
credevo, sono
riuscita a donargli più di quanto sperassi di poter fare.
Non la semplice
verginità della propria sposa, quanto piuttosto la compagna
che sperava di
avere da tutta una vita, per quello che d’ora in poi
sarà il nostro cammino
insieme.
«A te che hai reso la mia vita bella da morire,
Che riesci a render la fatica un immenso piacere,
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
A te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
A te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei
sogni
miei...»
A
te -
Jovanotti