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Autore: Lily Moon    18/11/2012    6 recensioni
Chiusi gli occhi, e inspirai il sapore di quella sensazione magica. Mi lasciai andare al ritmo di quella musica, la lasciai entrare in me e raggiungere ogni parte della mia anima.
Le appartenevo, completamente, perché grazie ad essa ero diventata la ragazza che ero.
Quello era il mio elemento, scritto ad inchiostro indelebile nel mio destino.
Vivevo per quello, per la musica.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11

 

Mi sfiorai ancora una volta la guancia con la mano. Se chiudevo gli occhi, mi sembrava di sentire ancora la sua carezza ed il profumo della sua pelle, come quando era così vicina alla mia.
Appoggiai la testa al vetro gelido, per riordinare un po’ le idee. Quella notte non ero riuscita a dormire, con la mente invasa da quei pensieri, dai ricordi del pomeriggio passato. Due piccole occhiaie, infatti, si erano fatte strada sotto i miei occhi, che, ora come ora, pesavano come non mai. Non riuscivo a smettere di pensarci, non potevo farne a meno.
Non mi ero mai sentita così, mai, neanche una volta. Cosa mi stava succedendo?
«Tutto ok?» mi chiese Niall, voltandosi per un attimo verso di me, per poi tornare a dedicare la sua attenzione alla strada.
«Cosa?» replicai, confusa, alzando la testa di scatto.
Eravamo in macchina, diretti in quel posto che lui e Harry si erano tanto premurati di non dirmi. Niall stava guidando, mentre io me ne stavo seduta di fianco a lui, assorta nei miei pensieri.
«Sei strana. Sei così silenziosa, e di solito non fai altro che parlare, parlare e parlare.» commentò.
«Non è niente.» sospirai. Ma ovviamente lui non ci cascò.
«Emma, credo di conoscerti abbastanza bene da capire che c’è qualcosa. Avanti, sai che puoi dirmi tutto. In fondo ci siamo sempre confidati i nostri problemi.»
Mi venne un groppo in gola. Non sopportavo l’idea di nascondere qualcosa a mio fratello, non ne ero affatto abituata. Ma non potevo, non potevo dirglielo.
«Non mi va di parlarne.» me ne uscii.
Niall mi guardò per un altro, interminabile istante, come se avesse voluto leggermi nel pensiero. Poi sospirò, e si voltò.
«Come voi.»
Non riuscivo a non sentirmi il colpa. Sapevo che c’era rimasto male, e lo capivo. Anche io al suo posto lo sarei stata. L’unica cosa che mi consolava era l’idea che gli stavo mentendo per una buona causa. Giusto?
Proseguimmo il viaggio in silenzio, del tutto insolito tra noi. Cercai però di fingere un’aria disinvolta, come se niente fosse successo, quando fummo finalmente arrivati a destinazione, e scendemmo dalla vecchia macchina di seconda mano che mio fratello era riuscito a comprare dopo tante fatiche.
«Allora, ora mi puoi dire dove siamo?» iniziai.
«Non ti ricordi questo posto?» mi chiese, con una strana aria.
Mi guardai attorno. Quello in cui eravamo mi sembrava un normalissimo parcheggio di un vecchio parco.
“Ha fatto tutto questo casino per portarmi in un fottuto parco?” pensai tra me e me.
Ma più i secondi passavano, più mi rendevo conto, infatti, che quel posto aveva qualcosa di familiare, di già visto, in qualche modo.
«Dovrei?» ribattei.
Ridacchiò e, cingendomi le spalle con un braccio, mi disse: «Dai, andiamo.»
Ci incamminammo per il sentiero di sassi, fino a quando arrivammo al vecchio cancello di entrata. Le sbarre di metallo erano scrostate ed arrugginite, unite da un’ulteriore orizzontale, su cui erano state incise delle parole. Mi chinai, cercando di decifrare quello che era stato scritto.
“Ieri è storia, domani è mistero, oggi è un dono. Per questo si chiama presente.”
«Ma che vuol dire?» chiesi, rileggendo la frase tra me e me.
«È un antico proverbio cinese. Un giorno probabilmente lo capirai da sola.» rispose Niall.
«Tu l’hai capito?»
Annuì, con una strana luce che gli brillava negli occhi.
Non gli chiesi in che situazione lo avesse capito, anche perché non ne ebbi il tempo.
In quel momento, forse per sfuggire alla mia imminente domanda, Niall aprì la cigolante inferriata, tenendola spalancata per lasciarmi passare.
Alzai lo sguardo, e trattenni per un secondo il respiro alla vista che mi parò davanti. Era un immenso prato, ornato da tantissimi alberi, ormai spogli. Foglie secche coprivano la grande distesa d’erba come una coperta, mentre il vento gelido le sollevava, per poi farle di nuovo ricadere ai nostri piedi. Doveva essere un paesaggio bellissimo in periodo primaverile, pensai. In quel momento, però, aveva un non so che di abbandonato. Emanava una strana aura di malinconia.
«Niall?»
«Dimmi.»
«Che posto è?»
«Lo scoprirai molto presto.»
«Che palle!» esclamai, un po’ seccata.
Si mise a ridere, intimandomi di seguirlo. Camminammo ancora per una manciata di minuti, che sembrarono interminabili. Quando feci per chiedergli un’altra volta dove mi stava portando, però, improvvisamente si fermò.
Mi guardai attorno, cercando la causa di questo suo comportamento, ma non la trovai. Eravamo circondati da alberi, solo alberi. Nient’altro.
Niall alzò un braccio, indicandomi la base della grande quercia davanti a noi, e tutto mi fu chiaro.
Lì incise nella corteccia, c’erano delle parole che non vedevo scritte da tantissimo tempo.
E subito mi tornò in mente quella piccola bambina dai capelli scuri di molti anni prima, che sedeva proprio in quel punto, piangendo, perché il fratello, poco più grande di lei, le faceva i dispetti.
Mi tornò in mente come, tra le lacrime, trovò delle scritte incise nel legno, e di come sua madre le aveva spiegato che erano stati proprio lei e suo padre a scriverle, molti anni prima.
Mi tornò in mente come a quel punto suo padre prese il coltello da lavoro che portava sempre in tasca ed impresse altre due parole nella dura corteccia.
Mi tornò in mente come la bambina a quel punto sorrise, perché, nelle due nuove parole, aveva riconosciuto il suo nome.
Gli occhi iniziarono improvvisamente a pizzicarmi, e fui costretta a distogliere lo sguardo. Perché lì, davanti a me, c’era il segno inconfutabile che, in un passato relativamente lontano, i miei genitori erano stati lì, avevano calpestato quel terreno, avevano inciso quelle parole con le loro mani, ancora calde...
Elizabeth e John.
Niall e Emma.
Mio fratello mi strinse a sé, ed io affondai il viso nel suo cappotto, come per proteggermi da quella vista.
Perché mi comportavo così? Non ero mai stata una ragazza che piangeva per ogni stupidaggine, anzi. Odiavo mostrarmi debole, come in quel momento. Ma probabilmente Niall aveva toccato l’unico mio punto debole, l’unica cosa che riusciva veramente a distruggermi dentro.
Mi sentivo in qualche modo vulnerabile, stretta tra le sue braccia. E mi odiavo per questo.
«Se avessi saputo che avresti reagito così avrei pensato a qualcos’altro.» mi sussurrò in un orecchio.
Mi staccai da lui, ed asciugai quella che mi ripromisi sarebbe stata l’ultima mia lacrima, almeno per quel giorno.
«No, va bene così.» risposi. Ma lui non sembrò convinto.
Così mi avvicinai alla quercia e, con un ultimo sguardo alle parole incise, mi sedetti alla sua base.
Niall sorrise e, senza esitazione, si sdraiò di fianco a me.
«Così è qui che siamo stati, quando eravamo piccoli.» cominciai.
«Già. Per mamma questo era un posto davvero speciale. È per questo che ti ho portata.» rispose lui.
«Davvero?»
«Sì. E so che ci teneva davvero che tu lo conoscessi come lo conosceva lei.»
Il mio cuore iniziò a battere più forte. «Come fai a saperlo?»
«Perché me l’ha detto, quando era ancora viva. Diceva sempre che questo è l’unico posto al mondo dove niente cambia mai, l’unico posto dove il tempo non passa. E in qualche modo è vero, non trovi?»
Ripensai alla frase del cancello, e poi a come mi era sembrato davvero di rivivere la scena di molti anni prima, quando avevo rivisto quelle scritte. «Hai ragione.»
«Io ho sempre ragione, dovresti saperlo.» replicò.
«Ti avverto, mi sto trattenendo dall’insultarti solo per non rovinare questo momento fraterno.» risposi io.
Si mise a ridere, e poco dopo anche io cominciai.
Ci volle molto tempo prima che entrambi ci fossimo calmati. Appena uno smetteva, l’altro ricominciava.
«Sai, forse, e sottolineo il forse, dovrei uscire un po’ più spesso con te.» dissi, tra una risata e l’altra.
«Meglio non farci l’abitudine, sorellina.» rispose, ironico.
«Sì, hai ragione.»
Rimanemmo per qualche attimo in silenzio, assaporando quel momento.
«Ti va di cantare qualcosa?» mi chiese Niall.
«Oh, certo.» risposi.
Alla mia risposta sfoderò dalla custodia la sua chitarra, e cominciò a strimpellare qualche accordo. Lui e quello strumento erano una cosa sola, ormai. Sembrava che vivessero in simbiosi.
Poi gli accordi presero forma, e riuscii a riconoscere la canzone, la cui melodia scaldò l’atmosfera intorno a noi, rendendola quasi surreale.
Niall iniziò a cantare, ed io lo seguii.
“Yesterday, all my troubles seemed so far away, now it looks as though they're here to stay, oh I believe in yesterday. Suddenly, I'm not half to man I used to be, there's a shadow hanging over me. Oh yesterday came suddenly. “
Smisi di cantare, perché la voce di mio fratello era così bella, così perfetta, che cantandoci sopra mi sembrava in qualche modo di rovinarla.
Chiusi gli occhi, e mi lasciai andare a quella melodia, e alla sua famigliare voce che mi cullava.
 
*
 
Aggiunsi mentalmente alla lista delle cose da fare lo scoprire perché non potevo avere una serata da sola in tranquillità a casa mia.
Chiusi la porta della cucina alle mie spalle, lasciando soli mio fratello e Liam a guardare la solita noiosissima partita di calcio. Mi sedetti su una sedia, ed affondai il viso tra le mani, appoggiando i gomiti sulla tavola.
Era stata una giornata davvero pesante. Scoprire quel posto così speciale mi aveva veramente fatto piacere, ma tutte le emozioni provate nel pomeriggio si stavano riversando dentro di me, causandomi un gran mal di testa.
Ma non erano solo quelle. Perché la cosa che mi preoccupava di più era che quel giorno non era passato un momento in cui lui non fosse nella mia testa, in cui i suoi grandi occhi ambrati ed il suo sorriso non fossero presenti nei miei pensieri.
Non sopportavo quella situazione. Sapevo che stavo cercando in tutti i modi di non riconoscere quella che forse era la pura e semplice verità, sapevo che non volevo accettarlo, perché se solo mi fossi resa conto che quello che stavo provando fosse vero, quella sarebbe stata la fine. O meglio, l’inizio di un’altra fine.
Andiamo, Emma Horan non si innamora! Ho smesso di fare sbagli del genere. L’unica cosa che mi importa ora è divertirmi, vivere mentre sono ancora giovane.
«Emma?» una voce chiamò il mio nome, mentre il mio cuore fece un salto mortale dentro di me.
Alzai lo sguardo, maledicendomi per quel secondo in cui avevo sperato che fosse Zayn.
Invece era Harry, che mi guardava dall’altra parte della finestra aperta.
Appena incrociai il suo sguardo mi alzai dal tavolo, diretta di nuovo in salotto, dalla parte opposta alla sua. Non gli parlavo dal pomeriggio prima, quando aveva fatto quella scenata. Sapevo che forse stavo sbagliando a comportarmi così, e che la mia tentazione era quella di uscire ed andare ad abbracciarlo, ma non potevo. Non potevo fargliela passare liscia.
«Ti prego, Emma, ascoltami.» mi fermò, con la voce appena appena incrinata. «So di aver sbagliato. Credimi, è da ieri che sto malissimo per quello che ho fatto. Mi fai entrare?»
Mi limitai a fulminarlo con lo sguardo.
«D’accordo.» sospirò. Non perse tempo, scavalcò la finestra ed atterrò sul pavimento della mia cucina. In un attimo fu di fianco a me, cercando di stringermi la mano, che tenni però ben serrata al petto, senza scompormi.
«Quante scuse dovrò dirti prima che tu possa perdonarmi?» mi chiese.
«Tante.» risposi , con freddezza.
«Scusa scusa scusa sc…»
«Oh, smettila, idiota!»
Al diavolo le scuse. Mi fiondai su di lui, e lo abbracciai più forte che potevo. Solo in quel momento, tra le sue braccia, capii che, anche se solo per un giorno, quella stretta mi era mancata più che mai.
Anche lui mi strinse a sé dolcemente. E poco dopo lo sentii trattenere un sorriso.
«Dovrei incasinarmi più spesso, se questo è quello che ottengo alla fine.»
«Sappi che non ti ho perdonato.» commentai, ma lo strinsi testardamente ancora più forte a me.
Scoppiò a ridere per quella mia strana reazione. Quel suono mi avrebbe sempre sconfitta, non sarei mai riuscita a rimanere arrabbiata con lui.
«Lo vedo.» mi sussurrò all’orecchio.
Mi lasciai sfuggire una risatina, per poi tornare seria.
«Credo che tu mi debba delle spiegazioni.» iniziai.
«Riguardo?» fece il finto tonto.
«Sai benissimo a cosa mi riferisco.»
«Ok, ok.» sospirò. «Tu sei la mia migliore amica, lo sai. Non è lecito essere un po’… un po’…»
«Geloso?» conclusi.
«Pff no, figurati!» cercò di negare.
«A me sembra di sì invece.»
«Ok, forse ero un po’ geloso. Ma non tanto.» cercò di giustificarsi.
Ma per me bastava, sapevo di non poter ottenere di meglio. Sorrisi, e mi fiondai di nuovo su di lui, bloccandolo in un abbraccio stritolatore.
«Comunque sia, non voglio più scenate del genere, ok?» dissi.
«Vai tranquilla, da ora in poi sarò il perfetto Styles.» concluse, sfoderando il suo sorriso da ebete.
Scoppiai a ridere, di nuovo. Finalmente mi ero liberata di quel peso sulla coscienza. Non sopportavo l’idea di litigare con lui.
«Come è andata oggi, alla fine?» mi chiese.
«È andata bene, credo. Si può definire bene essere sull’orlo delle lacrime per tutto il pomeriggio?»
«Dipende che lacrime erano. Se di gioia, presumo di sì.» commentò.
«Sì, forse hai ragione.» dissi, pensierosa.
«Comunque, dov’è tuo fratello?» chiese poi Harry.
«È di là, sta guardando la partita con Liam.»
Mi pentii subito di quello che avevo detto. Harry mi prese la mano, e mi trascinò contro la mia volontà in salotto. Maledizione a me.
«A quanto siamo?» chiese Harry, varcando la soglia.
«Due a zero per il Liverpool.» rispose Niall, senza distogliere l’attenzione dallo schermo.
«No, non è possibile!» esclamò il mio migliore amico, che si distese sul divano libero.
Quando lo guardai con aria scettica, si mise a sedere e mi tirò fino a quando non finii tra le sue braccia, la schiena appoggiata al suo petto.
Rimanemmo così, le braccia di Harry che mi stringevano dolcemente da dietro, mentre le sue grandi mani continuavano a cercare le mie.
Non mi piaceva il calcio, in verità lo trovavo uno sport abbastanza insulso. I tre ragazzi all’interno della mia stessa stanza, però, non la pensavano come me. Restai comunque lì, a farmi coccolare dal mio migliore amico.
Quando il Manchester fece goal, dopo un tempo che sembrava infinito, si misero ad urlare. Niall e Liam si alzarono in piedi, facendo cadere a terra tutti i pop corn, mentre Harry si limito ad alzare in aria le braccia, per poi abbassarle per ricercare le mie mani.
In quanto a me, mi limitai sbadigliare, cosa che provocò una sua occhiataccia.
Ridacchiai, voltandomi verso di lui. Guardava la televisione con un’attenzione che avevo visto solo pochissime volte. Quella sua espressione seria mi fece ridere.
«Che c’è?» mi chiese.
«Niente niente. Stavo pensando, sai che in fondo in fondo, molto in fondo, non sei male come ragazzo?»
«Se non l’avessi detto tu ci avrei quasi creduto.»
«Hai ragione, i popcorn devono avermi dato alla testa.»
Si mise a ridere.
Appoggiai la testa alla sua spalla, chiudendo gli occhi.
«Ti voglio bene, Emma.» mi sussurrò, baciandomi la fronte.
«Ti voglio bene anche io, Harry.»
«Ehi, voi due!» ci interruppe Niall «Mi potete rispiegare perché non state ancora insieme?»
Per risposta, gli arrivò un cuscino in faccia.

 



Eccomi qui.
Scusatemi del ritardo di pubblicazione, in questi giorni sono sommersa di compiti, verifiche e interrogazioni, e il tempo di scrivere si sta sempre più riducendo.
Spero comunque vi sia piaciuto il capitolo. L'ispirazione mi è venuta da un sogno che ho fatto l'altro giorno, anche se non riguardava direttamente i ragazzi.
Che dire, vi ringrazio per le recensioni che mi avete lasciato, mi hanno fatto davvero piacere. Ne aspetterò altre 5 per poter aggiornare.
Sapete, sono molto curiosa.
Chi vorreste insieme a Emma? Zayn o Harry?
Io ho già una mezza idea, però vorrei sentire le vostre opinioni.
Al prossimo capitolo!
Lily

  
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