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Autore: Blue_moon    18/11/2012    1 recensioni
Primo libro della trilogia Similitudini.
Dal prologo:
"Nonostante fosse nato nell'oscurità di Jotunheim, Loki bramava la luce.
Il suo calore, la sua purezza e, soprattutto, la sua capacità intrinseca di creare ombre profonde e insondabili. Le stesse che sentiva di avere dentro, le stesse che l'accecante luce di Odino e Thor aveva creato nella sua vita.
Essere lasciato al freddo e al buio era una punizione peggiore di quanto lui stesso pensasse.
Ma c'era una cosa che, in parte, lo consolava.
Fino a che fosse stato sotto la protezione del Padre degli Dei e di Thor, non avrebbe potuto essere bersaglio dell'ira di Thanos, l'oscuro signore con cui si era alleato e di cui aveva disatteso le aspettative.
Loki era scaltro e realista, teneva alla propria vita.
Senza di essa non avrebbe potuto raggiungere i suoi obiettivi, né dimostrarsi degno dell'onore che sapeva di meritare.
Per ora, anche se impotente, si trovava in uno dei posti più sicuri all'interno dei nove regni, protetto dall'amore cieco e stupido di chi si credeva migliore di lui.
Almeno, così aveva sempre creduto."
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Khalida spalancò gli occhi, inspirando come se i suoi polmoni avessero ripreso a funzionare dopo una lunga apnea. La luce dorata le ferì gli occhi neri e fu costretta a socchiuderli, portando istintivamente la mano alla fronte per schermarli.
Qualcosa tintinnò, e lei si osservò stupita il polso, decorato da tre sottili cerchietti d'oro lucido.
Strano, osservò, non aveva mai indossato niente del genere in tutta la sua vita.
Aggrottando le sopracciglia, si guardò intorno. Era stesa in un letto coperto da lenzuola di seta dorata, in una stanza ampia, dal soffitto altissimo. Non somigliava a nessun posto che lei conoscesse. Aveva visitato residenze lussuose, nel suo paese natale, ma lì c'era qualcosa di diverso.
Qualcosa che non era terrestre.
I colori erano accesi come se gli oggetti vibrassero di una propria luce interna, perfino l'aria stessa sembrava pura e rarefatta come se fosse ad alta quota.
Quello era decisamente un sogno estremamente vivido e dettagliato, tanto che Khalida iniziava a dubitare che lo fosse.
Si mise a sedere e qualcosa si mosse ai margini del suo campo visivo.
Si voltò di scatto solo per ritrovarsi a fissare la propria immagine riflessa in uno specchio, circondato da una sfavillante cornice barocca intarsiata d'oro e diamanti.
Sbalordita, la donna si alzò in piedi e si osservò da capo a piedi.
Indossava una tunica bianco ghiaccio, fermata sulle spalle da due spille ingemmate, ricoperte di rubini e smeraldi. Il tessuto le scivolava tra le dita come acqua.
Aveva i capelli raccolti su una spalla, in una morbida treccia attraversata da nastri bianchi e oro.
Khalida non si era mai considerata particolarmente bella, eppure non riusciva a togliersi gli occhi di dosso. Si toccò una guancia, dubitando perfino che quella fosse la sua reale immagine.
Possedeva il fulgore di una dea, qualcosa di luminoso e altero al tempo stesso.
Il silenzio della stanza, dapprima rotto solo dal suo respiro, mutò impercettibilmente.
Cercando un'arma invisibile al fianco, Khalida si voltò, tendendo i muscoli, pronta all'azione.
A tre passi da lei, si scontrò con il sorriso sottile di Loki.
Indossava un'armatura di metallo nero, dai riflessi verde cupo. Sulle spalle aveva un lungo mantello che ondeggiava come mosso da una brezza invisibile, spandendo bagliori dorati, e sulla testa l'elmo che già aveva sfoggiato a Stoccarda e New York.
La sovrastava in tutta la sua altezza, e la donna provò un vago timore.
Emanava un'aura di potere che non aveva mai percepito e le sembrò più pericoloso che mai. Se escludeva il giorno in cui era arrivato, non gli era mai stata tanto vicina.
Il sorriso di Loki si allargò e Khalida capì.
«Sono morta, vero?», chiese.
«No», replicò lui. «Non ancora».
Khalida sollevò un sopracciglio. «Non ancora?», ripeté.
«La tua ferita è molto grave. Forse nemmeno la camera di guarigione di Asgard riuscirà a salvarti», spiegò Loki, avvicinandosi di un passo.
La donna provò l'istinto di indietreggiare, ma si trattenne.
Era confusa, ma determinata a non farlo percepire al suo avversario.
«Questa è un'illusione?», chiese.
«Credo che si possa definire così», annuì Loki.
Khalida si guardò rapidamente intorno. «Sono su Asgard?».
«Sì».
«E tu?».
L'alieno sospirò. «Ancora su Midgard».
«Tu non dovresti essere in grado di usare i tuoi poteri», obiettò Khalida.
Loki rise. «La vostra prigione è distrutta. E i tuoi amici sono troppo impegnati a raccogliere i morti frutto della loro incompetenza per badare a questi dettagli».
«Non sono i miei amici», lo contraddisse l'agente Sabil, rabbrividendo. In quella cornice illusoria si sentiva più fragile e faticava a nascondere ciò che provava. «Cosa è successo?».
Loki tornò serio. «L'attentato alla mia vita era solo una copertura. Mentre il Chyss vi teneva impegnati, un altro ha raggiunto il Tesseract e se ne è impadronito. Fortunatamente il vostro mostro radioattivo era nel laboratorio e la creatura non è riuscita a recuperare anche lo Scettro».
«Quindi il Cubo ora è in mano a Thanos...», rifletté Khalida, incolore. Non era addestrata per stupirsi, solo per razionalizzare la situazione e pensare come uscirne.
Guardò Loki negli occhi, adombrati dall'elmo imponente. «Quanto tempo abbiamo, prima che attacchi?».
Il Dio di fronte a lei scoppiò a ridere forte, sinceramente divertito. «Sei in fin di vita, eppure non smetti di interrogarmi», osservò.
Khalida realizzò che in fondo era stupido preoccuparsi ancora del suo lavoro, dato che non sapeva nemmeno per quanto avrebbe continuato a respirare.
La consapevolezza la colpì allo stomaco come un pugno.
Stava morendo.
La vita a cui tanto teneva era ormai appesa a un filo, buttata via per proteggere qualcuno che con molta probabilità non le avrebbe mai mostrato un minimo di riconoscenza.
Anche se, in fondo, nemmeno se lo aspettava.
Loki colse la natura dei suoi pensieri e tornò serio.
«Perché l'hai fatto?», le chiese, con un tono che sembrava arrabbiato, se non furente.
Ormai erano uno di fronte all'altro, il bordo del mantello di Loki sfiorava l'orlo dell'abito candido di Khalida.
La donna sollevò il mento in un moto d'orgoglio che scemò quando si scontrò con gli occhi chiari e affilati di Loki. Non sarebbe riuscita ad ingannarlo, ma doveva provarci lo stesso.
«Nessuno dei miei prigionieri è mai morto sotto la mia custodia, se non per mano mia», rispose.
Il volto di Loki rimase immobile. «Bugiarda», l'accusò.
Khalida strinse gli occhi. «Immagino che, detto da te, sia un complimento», osservò, caustica.
Un sorriso increspò le labbra di Loki e Khalida constatò che era l'espressione più sincera che gli avesse mai visto sul volto. Non appena ebbe formulato il pensiero, l'alieno tornò improvvisamente serio, come se avesse voluto nascondersi.
Khalida capì. «Riesci a sentire i miei pensieri?», chiese, con una punta di terrore.
«Non proprio».
«Però sei nella mia testa», insisté Khalida.
«Questa conversazione non è a senso unico», disse Loki, come spiegazione.
Dopo aver riflettuto qualche secondo, Khalida accennò un sorriso. «Non puoi ascoltare direttamente i miei pensieri, perché altrimenti io sentirei i tuoi», concluse.
L'alieno annuì gravemente.
Khalida si guardò nuovamente attorno, tutto le sembrava estremamente reale e dettagliato. Sentiva perfino il profumo freddo della pelle di Loki e quello di fresie che saliva delicato dai suoi capelli intrecciati. Curiosa, sollevò lentamente una mano, sotto lo sguardo attento dell'alieno, e la posò con delicatezza sulla sua guancia.
Intorno a loro, il silenzio si intensificò, facendosi pesante.
«Sei bravo. Sembra tutto vero», osservò Khalida, mentre i polpastrelli registravano la consistenza della pelle chiara di Loki.
L'asgardiano si sforzò di non apparire toccato da quella mossa imprevista. Non si ricordava più quanto tempo era passato dall'ultima volta che qualcuno l'aveva toccato. Probabilmente l'ultima a farlo era stata Frigga.
Deglutì lentamente, per non svelarsi agli occhi attenti della donna.
«Tutto questo non è fisico, ma è reale, probabilmente più di qualsiasi altra cosa tu abbia mai provato».
Khalida annuì, senza scostare la mano. Quel contatto effimero la faceva sentire più vicina alla vita, e non desiderava interromperlo, per quanto ambiguo e fuori luogo.
Anche se non era una mossa intelligente, desiderava la compagnia di Loki.
Se la conversazione fosse terminata, lei sarebbe nuovamente sprofondata nel buio.
Gli occhi di Loki si fecero improvvisamente assenti.
«Devo andare, stanno venendo a prendermi», annunciò.
Khalida ricordò d'un colpo tutto quanto: l'attacco, il Tesseract rubato, la confusione che di sicuro regnava nello S.H.I.E.L.D. Se si concentrava riusciva anche ad immaginare la faccia di Tony Stark.
«Cosa hanno intenzione di fare?», chiese.
L'asgardiano la trapassò con uno sguardo cristallino e gelido.
«Non sei nella posizione di preoccuparti di questo. Evita di morire, e potrai farti tutte le domande che vuoi», affermò, con una scintilla inaspettata sul volto. Forse una sorta di muta allegria o, più probabilmente solo un'impressione dovuta alla luce.
Khalida osservò confusa la figura di Loki scomparire all'improvviso, la mano ancora a mezz'aria.
Prima di tornare nell'incoscienza ebbe il tempo di pensare che, forse, la frase di Loki era un modo per augurarle buona fortuna.

L'alba su Asgard era uno spettacolo unico nell'universo.
Benché tra i nove regni non fosse né il più vasto, né il più antico, nessuno avrebbe potuto negare che Asgard fosse, senza dubbio, il più affascinante.
La luce si rifletteva sulle nubi, infrangendosi in arcobaleni di colori intensi e vibranti. Sprazzi di cielo cupo e scuro, trapuntato di stelle, facevano la loro comparsa qua e là, conferendo all'alba un duplice significato di nascita e morte, come un perpetuo crepuscolo.
Fu in quella luce ultraterrena che Khalida aprì finalmente gli occhi, lasciando con gioia che i riflessi dorati del guscio evanescente sopra di lei le ferissero le pupille dilatate.
Il primo respiro fece male, e un rantolo le salì dal petto, trasformandosi in un accesso di tosse che le tolse il fiato.
Le salirono le lacrime agli occhi.
Era piacevole perfino sentire dolore, sapendo che era reale.
Si rannicchiò su un fianco, cercando di respirare profondamente.
Un'ondata di nausea le prese lo stomaco e si trattenne a stento dal rimettere.
Strinse forte gli occhi, concentrandosi sul flusso d'aria che entrava ed usciva dai polmoni.
Era un esercizio semplice, ma funzionava sempre.
In breve tempo il cuore si acquietò e il malessere scemò in un lieve cerchio alla testa. Tenendo ancora gli occhi chiusi, si stese nuovamente supina e rilassò le braccia.
Le sue orecchie ben allenate colsero un rumore di passi.
C'era qualcuno nella stanza.
Aveva il passo leggero, quasi felpato. Quasi sicuramente si trattava di una donna.
Per quanto potesse sforzarsi, un uomo non sarebbe stato fisicamente in grado di fare così poco rumore.
Khalida rimase immobile, lasciando che la presenza si avvicinasse.
Un lieve sibilo risuonò sopra di lei. La temperatura cambiò impercettibilmente, e anche l'odore di fiori, dapprima lieve, divenne più penetrante.
La camera di guarigione era stata aperta.
Un attimo prima che la presenza si avvicinasse troppo, Khalida scattò seduta e afferrò la donna al collo, premendo il pollice sulla giugulare, immobilizzandola.
Fece in tempo solo a registrare i lineamenti perfettamente cesellati della ragazza, poi lei la allontanò con una spinta decisa al petto. Per una della sua stazza era incredibilmente forte.
Khalida crollò nuovamente seduta sul cuscino di seta argentato che l'aveva accolta fino a poco prima.
I muscoli delle gambe le bruciavano per lo sforzo repentino, come se non li avesse mai utilizzati prima di allora. Provò la fastidiosa sensazione di essere inerme come un neonato.
«Non sono una nemica», disse la ragazza, toccandosi il collo, infastidita per essere stata colta alla sprovvista.
«Chi sei?», domandò Khalida, tastando con discrezione intorno a sé, cercando qualsiasi cosa potesse aiutarla a difendersi.
«Mi chiamo Sif. Sono una compagna d'armi di Thor», rispose l'asgardiana, scrutando a fondo l'umana di fronte a lei.
L'aveva stupita. Era chiaramente debole, eppure aveva reagito con una prontezza e una forza insolita per la sua razza. Probabilmente era una guerriera ben addestrata, come Thor le aveva detto.
Khalida, dal canto suo, analizzò più attentamente l'aliena davanti a sé, non appena gli occhi si abituarono alla luce brillante. Sembrava giovanissima, ventenne o poco più. Era slanciata, ma l'abbigliamento attillato lasciava intendere una muscolatura accentuata. Un soldato, quasi sicuramente.
In silenzio, le due donne si scrutarono a lungo.
Khalida fu la prima a spezzare l'immobilità. «Da quanto tempo sono qui?».
«Dieci giorni».
La donna ebbe voglia di imprecare, ma si trattenne. Aveva sprecato moltissimo tempo.
«Devo tornare sulla Terra», disse, più parlando con sé stessa, che con Sif.
Fece il gesto di alzarsi.
Sif le mise una mano sulla spalla, costringendola a rimanere seduta.
«Siete ancora debole. Non conosciamo esattamente gli effetti della camera di guarigione sui terrestri», spiegò.
«Mi sento bene», obiettò Khalida.
Sif strinse gli occhi da gatta. «Non potete lasciare questa stanza senza il permesso diretto del Padre degli Dei».
Khalida serrò le labbra. «Mi trattate da prigioniera», osservò.
Il viso dell'asgardiana si accese di disappunto. «Avete salvato la vita ad un traditore e come tale verrete trattata», spiegò, come se fosse la cosa più ovvia dell'universo.
Khalida emise uno sbuffo divertito. Iniziava a capire che l'arroganza era una caratteristica insita nel DNA di ogni asgardiano. Non avrebbe cavato un ragno dal buco, discutendo con quella donna.
«Dì a Thor che voglio parlare con lui», fece, con tono conclusivo.
Sif sembrò scandalizzata dal tono autoritario con cui Kahlida le si era rivolta, ma qualcosa la spinse ad ingoiare e ad annuire.
«Come desiderate», mormorò, prima di accennare una sorta di inchino e sparire in fretta dalla stanza.
Una volta sola, Khalida si guardò intorno.
La stanza era vuota, se si escludevano le cinque camere di guarigione, simili a grossi proiettili di bronzo, disposte in cerchio. Le pareti erano ricoperte da pannelli di uno strano metallo opaco color oro. Il pavimento era di marmo bianco e rosa, come anche le imponenti colonne.
Il soffitto era così alto che Khalida faticava a distinguerne la decorazione.
Non c'erano lampade o candele, la luce sembrava irradiare direttamente dalle pareti.
Il profumo di fiori proveniva dall'esterno, attraverso la grande finestra che si apriva di fronte a lei.
Si alzò lentamente, constatando che ogni sensazione di malessere era scomparsa, l'aria stessa sembrava rinvigorirla. Il fruscio della stoffa accompagnò i suoi movimenti e solo allora si concesse di osservare il proprio abbigliamento. Era vestita esattamente come nel sogno, o visione, che aveva condiviso con Loki.
Era scalza, e la sensazione del marmo gelido la infastidì, procurandole fastidiosi brividi lungo la schiena.
Decise di muoversi e avvicinò la finestra con pochi passi ampi.
Davanti al panorama della città illuminata dalla luce nascente, Khalida ammutolì.
Per la prima volta in vita sua provò una genuina e incontrollabile sensazione di stupore.
Con gli occhi divorò i giardini rigogliosi, ammirò l'architettura futuristica e slanciata, la luce divina e perfetta, le forme pure ed essenziali e l'aria densa, carica d'energia e profumi d'ogni genere.
Dentro di lei nacque un improvvisa comprensione per Loki.
Come si poteva crescere in mezzo a quella bellezza e non desiderare di possederla?

Thor entrò nella stanza spalancando le porte a due battenti con una sola spinta vigorosa.
Dietro di lui, camminavano a passo svelto alcune giovani donne, cariche di vari oggetti a cui Khalida non fece caso. Si era seduta sul davanzale di marmo della finestra, a contemplare il paesaggio, in attesa che Thor la degnasse della sua presenza.
Non sapeva quanto tempo aveva aspettato, ma la luce all'esterno era cambiata, diventando più calda e bianca, accendendo gli edifici di nuovi riflessi abbacinanti. In fondo non le era dispiaciuto, aveva la sensazione che avrebbe potuto rimanere lì per sempre, trovando sempre qualcosa di nuovo da ammirare.
Osservò di sottecchi Thor.
Avrebbe voluto domandargli come poteva trovarsi su Asgard se il Tesseract era stato rubato.
Se lo chiedeva da quando si era svegliata, ma porre quella domanda avrebbe significato rivelare la conversazione avvenuta in visione tra lei e Loki.
Thor non era certo la persona adatta cui svelare tale legame.
Il rumore di metallo che sbatte contro altro metallo distolse la sua attenzione, e Khalida concentrò lo sguardo sulle ancelle. Stavano imbandendo in fretta una tavola con ogni sorta di ben di dio, mentre altre due erano occupate con quello che sembrava un abito e dei gioielli.
«Cosa stanno facendo?», chiese a Thor, che aveva atteso con fare rispettoso che fosse lei la prima a parlare.
«Hai bisogno di nutrirti», replicò il Dio del Tuono, sorridendo.
«Sì, ma non di vestiti», insisté la donna, confusa.
Non le piacevano tutte quelle attenzioni, anche se era più corretto dire che non c'era abituata.
Il sorriso di Thor si allargò. «Quelli sono per l'udienza con mio padre. Non appena ha saputo che ti eri svegliata, ha chiesto di conferire con te», spiegò.
Khalida si accigliò vistosamente. Non osò chiedere di avere la sua divisa dello S.H.I.E.L.D., anche se la desiderava. Si sarebbe sentita molto più a suo agio con quella, e una pistola, possibilmente.
La luce di Asgard l'impensieriva, si domandava in continuazione quanto potessero essere profonde e insondabili le ombre che generava, e cosa avrebbero potuto celare. L'astio che aveva colto nelle parole di Sif le aveva fatto capire di avere dei nemici anche lì, oltre che sulla Terra.
Thor osservò il volto di Khalida, appariva immobile come al solito, ma riusciva a scorgere un'inquietudine malcelata nei suoi gesti e nei suoi sguardi guardinghi.
Non appena la tavola fu pronta, Khalida si avvicinò, scoprendosi affamata. Prese tra le mani un calice di ottone colmo di un liquido che sembrava sidro, prendendone un lungo sorso.
«Sono felice di vederti in salute», ammise Thor.
Khalida lo fissò in viso. «Immagino di doverti ringraziare per questo».
L'asgardiano incrociò le braccia al petto. «Non esattamente».
Lei sollevò le sopracciglia, invitandolo a chiarire con uno sguardo eloquente.
Thor sorrise. «Se non fosse stato per Loki, a quest'ora saresti morta».
Le mani di Khalida persero improvvisamente forza, e fu solo grazie ai riflessi ben allenati che il calice che reggeva non si schiantò sul pavimento lucido.
«In che senso?», domandò, mascherando lo stupore.
Thor sospirò. «Il nemico si è impadronito del Tesseract, e senza di esso il viaggio da Midgard ad Asgard sarebbe stato impossibile. Fortunatamente, Loki conosce metodi alternativi. Se non fosse per le sue capacità, non saremmo mai giunti qui in tempo», spiegò l'asgardiano.
Khalida immagazzinò le informazioni con lentezza, archiviandole per riconsiderarle in seguito.  Valutò attentamente l'espressione di Thor. Appariva più raggiante del solito.
«Perché sei così contento?», chiese, anche se in realtà temeva la risposta.
Thor parve confuso dalla domanda, come se la risposta fosse ovvia. «Il modo in cui ha agito Loki è insolito. Forse per lui c'è qualche speranza», ammise.
Khalida distolse lo sguardo, turbata.
Se Loki si era comportato in quel modo c'era solo un motivo.
In qualche modo oscuro, lei era entrata a far parte dei suoi piani.
Un sorriso amaro le spuntò sul volto.
Ora iniziava la vera missione.

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Cosa ne pensate?
Alcune precisazioni: nel descrivere l'armatura di Loki non ho sbagliato colore :-P immaginatela simile a quella di Avengers, solo di un colore molto più scuro, vicino al nero. Ormai iniziamo a comprendere qualcosina in più sulle reali intenzioni di Khalida, e sulla natura specifica della sua missione. pensate che lavori ancora per Fury? se si quale pensate sia il piano della nostra spia preferita? Alla settimana prossima con il capitolo 11




Nicole
  
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