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Autore: Noth    20/11/2012    14 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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13 Reasons Why
Cassetta B Lato 4









Quando le persone muoiono lasciano un vuoto nell’immagine. È come tagliare via qualcuno da una fotografia e guardarla anni dopo e ricordarsi che c’era una persona lì, ma non riuscire a rammentare la sua faccia.

È come andare sempre al parco a sedersi sull’altalena, saltare un paio di giorni per via di impegni vari e ritrovare il posto distrutto il giorno dopo perché hanno deciso di costruirci dei condomini.

È come scriversi un numero di telefono e non trovarlo più, perso tra le infinite cartacce.

È come fare un errore fatale.

È come scomparire.

Solo che tu resti.

È l’altro che se ne va.

Immagino che non siate tantissimi ad aver notato Tina Cohen-Chang a scuola. È una ragazza asiatica che veste in uno stile dark fumettistico, non molto alta, sempre in giro con un altro ragazzo asiatico che sicuramente avrete visto nei corridoi, Mike Chang, è nella squadra di football. No? Vediamo se così vi ricordate di lei: ha messo in giro la voce di me e Puckerman più o meno a inizio anno. Ora vi ricordate di quella povera ragazza cinese, vero?
Già, anche io.

Mi si rovesciò lo stomaco e mi salì la bile in gola. C’era qualcuno che non avesse contribuito a quella storia? Qualcuno che non avesse ferito irrimediabilmente Blaine? Qualcuno che fosse innocente come sembrava? Digrignai i denti così forte che iniziò a farmi male la mascella. Mi accorsi che avevo le dita viola, quindi forse avrei dovuto andare da qualche parte, ma dove? Nemmeno m’importava volevo solo sentire che, alla fine, il mio nome non compariva in quella maledetta lista.

Vi consiglio di dare un’occhiata alla mappa, e di seguire il punto F-6. Vedete la vecchia zona industriale? Vi suggerisco di prendere il bus 9 barrato e smontare davanti al cartello artificiale con su scritto “Silicon Crap”. Sì, la gente da queste parti ha un umorismo inquietante.

Si metteva a fare battute? E perché io ridevo?

Dovreste smontare a pochi metri da un palo della luce sbilenco. Mettetevi lì e ascoltate in quel punto il resto della registrazione, altrimenti potete fare ciò che volete come avete sempre fatto e ascoltare seduti nel vostro letto al sicuro, mentre io quella volta non lo sono stato affatto.

Pause.

Premetti il pulsante all’istante. Non potevo sopportare di sentirmi come uno qualsiasi dell’infinita massa che non aveva fatto altro che prendere Blaine e sbatterlo da una parte all’altra finchè non aveva optato per terminare quell’agonia.
Mi alzai in piedi con le ginocchia ed i palmi che bruciavano per la caduta ed il petto mi doleva ancora come se mi fosse passato sopra un tir. Certo, più o meno era anche il modo in cui mi sentivo, un po’ per via della botta e un po’ per il martellare violento del senso di colpa, del dolore e della paura che mi cercavano di sfondare il petto a testate. Mi rimisi sui miei passi mentre una macchina mi passava accanto e rallentava, per poi sfrecciare via come se avesse voluto scappare e nascondersi. Mi ficcai le mani nelle tasche dei pantaloni, ma ancora non riuscivo a sentire nulla con le punte.

Non ero ben sicuro di dove fossi, ma più o meno ricordavo da dove venivo, e poi non è che Lima fosse questa gran metropoli.
Non riuscivo a capire se rabbrividivo per il freddo o per il disgusto.

A sentire la sua voce, Blaine mi mancava molto di più di quanto avessi pensato. Aveva lasciato un vuoto enorme sotto ai miei piedi.

Perché non lo avevo fermato?
Perché ero stato così stupido?
Perché lo avevo ferito?

Mi piaceva ricordare quella serata di qualche settimana prima. Mi piaceva ma ora mi sentivo sporco. Era in qualche modo colpa mia e non riuscivo a perdonarmelo.
Il freddo aveva smesso di fare la guerra col mio giubbotto ed era semplicemente penetrato oltre la sciarpa ed il colletto, solleticandomi la schiena come una lama. Ogni tanto vi erano delle folate di vento davvero violente che mi sbattevano contro la siepe a lato del marciapiede. Mi misi a correre di nuovo, tossendo per via del bruciore al petto, perché volevo arrivare a quel maledetto cartello e ascoltare quella dannata storia e finire, arrivare a me e poi scappare a chiedergli scusa in qualche modo.

Tornai alla vecchia stazione che, grazie a Dio, era il luogo di fermata di ogni autobus, compreso il 9 barrato. Benedetta quella volta che avevano deciso di far correre i bus fino a mezzanotte. Controllai gli orari e mi accorsi di dover aspettare un quarto d’ora e, frustrato, iniziai a tirare fuori le cassettine una per una e ad osservarle. Ne analizzai i vari colori, chissà dove aveva preso quelle maledette audiocassette. Passai il dito intirizzito sulla grafia argentata e distratta che era evidentemente stata scritta con velocità sulla plastica. Da quanto tempo pianificava tutta quella storia? Perché nessuno, nemmeno i suoi, se ne era accorto?

Sotto la luce giallastra del lampione della fermata, i numeri brillanti sembravano dorati e le cassette quasi perdevano la lucentezza del colore sgargiante. Le infilai nuovamente in tasca chiedendomi se la tonalità di ognuna fosse stata scelta appositamente oppure fosse stato lasciato tutto a caso, ma forse iniziavo a pensare un po’ troppo.

Non mi accorsi nemmeno che l’autobus si era fermato dinanzi a me finchè non alzai lo sguardo e realizzai che stava per ripartire senza di me. Mi scaraventai all’interno ed accolsi piacevolmente il lieve calore che scaldava il mezzo.

Mike Chang era ancora sul mio stesso autobus. Si poteva sapere che cavolo facesse a quell’ora? Io avevo una scusa, ma lui…

Una curva quasi mi fece quasi schiantare sul finestrino.
Mike sembrava perso. Guardava dritto davanti a sé ed ero quasi sicuro che non mi avesse nemmeno notato, nonostante fossimo gli unici due nell’intero bus, escluso l’autista.

Per la seconda volta.

Per qualche minuto mi dimenticai del peso delle audiocassette nelle mie tasche e mi sedetti sul sedile davanti a lui, tanto per raggiungere la zona industriale ci sarebbe voluto un po’.

Conoscevo Mike perché avevamo fatto matematica ed economia domestica assieme ed era davvero un ragazzo a posto. Bravo nello sport, intelligente, simpatico, gentile, e molto disponibile. Eravamo andati molto d’accordo finchè lui non aveva iniziato ad isolarsi e a gettarsi esclusivamente nello studio, rischiando di dovere lasciare gli allenamenti di football.

E nessuno sapeva perché.

« Hey, Mike, ciao. » mi sporsi verso di lui e gli sorrisi, levandomi le cuffie prive di audio.

Come riuscii a distendere la faccia ancora non lo so.
Lui sobbalzò e, finalmente, mi notò.

« Kurt, scusa, non ti avevo visto. » mormorò.

« Già, avevo notato. » cercai di essere gentile. Vidi che non indossava i suoi soliti jeans e dal suo giubbotto non spuntava il cappuccio di una delle felpe che aveva sempre addosso.

« Tutto okay? » mi azzardai a chiedere e lui guardò fuori dal finestrino.

« Alla grande, perché? »

Mi sistemai bene sul sedile. Fuori dal finestrino i lampioni sfrecciavano veloci.

« No, nulla di particolare, voglio dire, se lo dici tu… » risposi, e lui sorrise e tornò a guardare fuori dal vetro sporco. Aveva delle borse sotto agli occhi, ed il suo colorito era di un pallore che poco si addiceva ad una persona che avrebbe dovuto fare molto sport. I suoi voti erano eccellenti, con… Tina andava tutto abbastanza bene, supponevo.
E allora perché?

« Perché fai quella faccia? » domandò con tono stanco.

Mi strinsi nelle spalle.

« E’ la mia faccia, suppongo. Con la tua ragazza come va? »

« E’ ancora Tina, per ora. » rispose, sospirando.

« Qualcosa non va? » chiesi, cercando di non apparire invadente.

Lui guardò il soffitto.

« Non è colpa sua, fidati. » disse, e mi resi conto che eravamo già nella zona industriale. Si era avvicinata nel frattempo? O avevo perso la cognizione del tempo?

« Spero si risolva. Scusami, devo andare, è la mia fermata. » dissi, e mi strinsi nel cappotto alzandomi in piedi.

« Scendi in zona industriale a quest’ora? » domandò. Sembrò quasi seriamente preoccupato che andassi in una zona del genere a quell’ora.

Sembrava quasi il vecchio Mike.

« Già. » gli risposi semplicemente. Mi voltai per prenotare la fermata e scesi. Non accolsi piacevolmente il freddo e rabbrividii, rischiando quasi di contorcermi.

Guardai l’autobus che si allontanava e vidi Mike con la testa poggiata sul finestrino e gli occhi chiusi.
Piangeva?
Non ne ero sicuro.

Di colpo il peso delle cassette nelle tasche divenne insostenibile e mi trovai a ricordarmene di botto, sentendomi quasi in colpa.
Magari Mike era nelle cassette, magari faceva così per quello che aveva fatto Tina e che i nastri stavano per spiegarmi. Come al solito ogni domanda si riduceva alla pressione di un unico tasto.

Play.

Scorsi in lontananza il cartello con scritto “Silicon Crap”.

Siete andati dovevi avevo detto? Vabè, non importa, fingerò che l’abbiate fatto. Se siete scesi dall’autobus, alla vostra destra – sotto a un lampione – dovreste vedere il cartello smangiucchiato dalle intemperie di “Silicon Crap”. Ora vedete accanto quel lampione sbilenco? Spero sia ancora lì, non ci passa mai nessuno in quel quartiere, ormai, e gli operai di certo non si sono mai impegnati ad aggiustare le cose rotte.

Mio padre ci aveva lavorato prima di avere l’officina, ed era vero.

Mettetevici di fronte.

Lo feci.

Voltatevi dandogli le spalle.

Lo feci.

Quella fu la mia visuale quando mi tesero quell’imboscata. Sapete di chi parlo? Forse voi sì, io no, non li ho mai visti in faccia. Ho solo sentito le voci di alcuni ragazzi della squadra di football.

No, io non lo sapevo. Che diavolo…

Mi attaccarono da dietro, credo, non ho idea di come arrivarono, né da dove. Sapevo solo che erano tanti. Una decina. E io uno. E cosa volevano? Che smentissi la voce di me e Puckerman che aveva messo in giro la fidanzata di Mike Chang. Una voce della quale io non ero nemmeno a conoscenza. Un’altra, un’altra maledetta voce sul mio conto. Perché? Non ne erano circolate abbastanza? Sulla presunta AIDS, i miliardi di gigolò che entravano ed uscivano da casa mia… non bastavano mai.
Venni massacrato perché non riuscivo a parlare. Ad un certo punto svenni. Sapete perché quel palo è così sbilenco?

Non dirlo, Blaine, non dirlo.

Io ero lì perché mi era arrivato un biglietto di Santana che mi chiedeva di vedersi in quel punto. Non so perché non pensai che potesse essere falso, forse perché non mi scriveva mai nessuno, ma allora quello avrebbe dovuto essere un campanello d’allarme. Non lo so, ero stupido, ma avevo bisogno di interagire con un altro essere umano, e allora andai. Poi successe quel che successe.
Ah, già, il palo. Mi presero in tre e mi ci sbatterono addosso. Ricordo questo prima di svenire. Quando mi svegliai era quasi sera e non c’era nessuno. Mi avevano ammucchiato vicino a dei sacchi della spazzatura. Ero talmente invisibile dalla strada che avrei potuto essere stato morto e nessuno se ne sarebbe accorto.
All’epoca pensai fosse una fortuna non lo fossi.

Chiusi gli occhi, non riuscivo a guardarmi attorno.

In qualche modo mi misi in piedi. Ero ridotto ad uno straccio ma mi vergognavo così tanto che mi misi in testa il cappuccio e mi coprii come potevo. Presi l’autobus ed andai a casa. Mi medicai alla bell’è meglio, disinfettai le ferite e dissi a tutti che ero caduto in un tombino.

Scoppiò a ridere ma io non riuscivo a ridere. Volevo piangere a lungo, ma non ero nemmeno in grado di fare quello.

Sì, un tombino. Credibile. Nemmeno come avevo fatto o dov’ero mi venne chiesto. Da nessuno. A parte Miss Pillsbury. Le avevo risposto con un’alzata di spalle.
Ti venni a cercare, Tina, ti ricordi? Te lo ricordi eccome, perché cercasti di fingere innocenza ma io ti portai allo scoperto.
“Perché lo hai fatto?” ti chiesi, e il tuo sorriso svanì.
“Non so di…”
“Per favore, non mentirmi. Mi hanno… credi davvero che sia ridotto così perché sono caduto in un tombino?”
“Io non…”
“Rispondi, per favore.”
Tu scuotesti la testa. E la cosa mi fece morire di rabbia. Avevi capito che c’entravi in qualche modo e… non eri nemmeno venuta a cercarmi. Eppure eravamo a metà delle classi insieme, avevamo parlato, anche, prima che tutto iniziasse a crollare.
Perché io? Perché così?
“Si… acquista popolarità spargendo pettegolezzi… Mike aveva bisogno di recuperare popolarità perché io ero troppo… gli avevano detto che non andava bene e questa mi era parsa l’unica soluzione. Tu sei il primo che mi è venuto in mente, non…”
Ti fermai.
“Non l’hai fatto apposta.” Completai la frase al posto tuo e me ne andai. Sono quasi sicuro che mi urlasti delle scuse, ma non aveva senso sentire.
Popolarità? Solitudine? Divertimento?
Ero diventato la scusa perfetta.

Pause.

Mi misi a correre verso il palo ed iniziai a prenderlo violentemente a calci.

« Perché? Cazzo, perché? » gridai, e fui tentato di scaraventare via le cassette. Più avanzavo meno volevo sapere.
Era come una lenta tortura e volevo davvero liberarmene. Quegli strumenti facevano male, malissimo.
Capivo ciò che provava ma non potevo farcela, non potevo, non ce la facevo.




















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Spazio Autrice:
ome ben sapete, o forse no, purtroppo un mio caro amico è morto questa domenica. O meglio, è morto sabato ma lo ho saputo domenica.
E' caduto giù da una scarpata. Lo conoscevo dalle elementari.
E' morto a 22 anni, con una vita davanti, un matrimonio da preparare, una ragazza da amare.
E' morto e mi manca tanto.
E quindi voglio dedicare questo capitolo a lui. CIAO, LEONARDO.
Se sono lenta è per via di questo non me ne vogliate se ultimamente sono piuttosto triste. Mi passerà.

Grazie, comunque, per le meravigliosa recensioni, io mi sento incredibilmente onorata.

Un bacio,

Noth
   
 
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