IL PIANOFORTE
Cassandra sedeva
dinanzi al suo pianoforte e teneva le dita poggiate sui tasti bianchi.
Uno spartito era aperto sul
leggio e molti altri fogli erano sparpagliati qua e là. La stanza era vasta ed
illuminata dal sole del primo pomeriggio, mentre il profumo dei fiori, rose
rosse e orchidee, in un vaso posato su un tavolino riempiva l'aria; le tende
svolazzavano lievemente al soffio del vento primaverile.
Cassandra guardava le note segnate sullo spartito in silenzio, perfettamente
immobile; aveva l'espressione concentrata e, allo stesso tempo, incantata:
sembrava persa tra quelle note che costituivano tutto ciò che lei aveva di più
prezioso. Perché la musica era tutto il mondo di Cassandra, e lei non poteva
farne a meno.
Suonava fin da bambina e non aveva mai smesso: lei e il suo pianoforte a coda
erano divenuti una cosa sola, gli ottantotto tasti bianchi e neri erano un
prolungamento del suo essere, gli spartiti e le melodie i suoi compagni fidati.
Ma quel giorno qualcosa non stava andando nel verso giusto: Cassandra non
riusciva a suonare, la sua espressione, prima felice, s'era fatta come
impaurita, come se si sentisse persa in un luogo sconosciuto. Per la prima volta
in tutta la sua vita, sentì la musica divenirle estranea. Due lacrime le caddero
dalle ciglia e le inumidirono il viso d'adolescente. Perché non riusciva a
capire il senso delle note di quella melodia di Chopin? Le sembrava che il
foglio bianco fosse stato imbrattato con linee e segni scuri disegnati
casualmente.
Cassandra chiuse gli occhi per un momento e respirò a fondo: avvertì il
venticello proveniente dalla finestra aperta sulla pelle e il profumo dei fiori
freschi giungerle alle narici. Si sentì di nuovo calma, tranquilla e protetta,
lì nella sua stanza segreta, coi suoi fiori e il suo pianoforte. Riaprì gli
occhi e, finalmente, cominciò a suonare.
Le note presero a salire d'intensità, eppure erano diverse dal giorno prima:
sembravano tremare incerte nell'aria, susseguirsi alla rinfusa, sembravano non
creare affatto quella magia speciale che la musica sapeva far nascere.
Erano suoni sgraziati,
striduli, che fecero arricciare il naso di Cassandra, la quale smise
immediatamente di suonare. Guardò le sue mani posate sui tasti dello strumento e
le ritirò improvvisamente: possibile che quell’accozzaglia di rumori l’avesse
realizzata lei?
Si sentì, ad un tratto, profondamente
arrabbiata e batté una mano sui tasti producendo ancora un rumore stridulo e
disarmonico.
S’alzò dallo sgabello di
scatto, s’avvicinò alla finestra e guardò fuori. Il giardino dove giocava da
bambina era diverso, adesso: gli alberi erano cresciuti, non c’era più la sua
vecchia altalena. Erano ormai finiti gli anni dedicati ai giochi, l’infanzia era
cosa passata: ora la vita esigeva che crescesse.
I ricordi riemersero nella
mente di Cassandra. Ella stessa s’era costretta, senza saperlo, in una prigione
fatta di artificio, di mediocrità, di domande senza risposte e taciute per
chissà quale motivo, di accondiscendenza con amici e famigliari per paura di
restare sola e di non essere accettata. E tutte quelle paure, quelle ansie, quei
dubbi, quei silenzi, si erano tradotti in una musica artificiosa, ridondante,
falsa, priva di emozioni e di intensità.
Adesso si rendeva conto della verità.
Prima le sembrava che tutto fosse accettabile, che non ci fosse nient’altro
oltre quel modo di vivere, che la sua musica fosse già sublime così.
E, ora che cominciava a
crescere e a cambiare, era mutata anche la sua musica: era più delicata, più
viva, più autentica; era musica vera, perché lei stessa era più vera e libera.
Cassandra tornò alla realtà,
rivide il giardino e si ritrovò nella sua stanza; si voltò verso il pianoforte e
lo guardò tristemente. Cosa c’era che non andava? Perché la musica era diventata
stridula? Perché si alternavano giorni in cui suonava da grande artista ad altri
in cui le note erano caotiche?
Tutto il suo mondo era la
musica ed essa mutava al mutare della sua anima.
Cassandra si chiese perché
mutasse così all’improvviso e cosa avrebbe dovuto fare per trovare il giusto
equilibrio.
Voleva diventare una grande pianista, voleva che la sua
musica colpisse il cuore e suscitasse sensazioni mai provate… e aveva bisogno
delle risposte a quelle domande che si accavallavano nella sua mente
d’adolescente confusa. Ma forse le risposte si trovavano nella musica stessa,
nella sua stessa anima, e lei non doveva far altro che portarle fuori e dare
loro corpo attraverso le note: doveva far musica e trovare pace.
Sospirò e si sforzò di
sorridere; si risedette sullo sgabello e posò le dita sui tasti bianchi; chiuse
gli occhi e si sentì nuovamente serena. Ricominciò a suonare la melodia di
Chopin a memoria, senza guardare lo spartito, e cercò di imprimere il giusto
sentimento in quelle note. Sgombrò la mente e suonò con animo sereno e i suoni
tornarono ad essere magici, armonici.
Ma di tanto in tanto, nel bel
mezzo dell’armonia, qualche suono era discordante, qualche nota tornava ad
essere stridula e Cassandra ancora non capiva come fare ad eseguire un pezzo per
intero senza sbavature. Soffriva ancora, perché sentiva che nelle sue mani la
musica era distorta, perché anche le note sembravano soffrire con lei. Non
pianse: troppo a lungo l’aveva fatto e adesso gli occhi le bruciavano ed stanca
di restare immobile ad osservare.
Lei doveva vivere, doveva
agire.
Niente più giornate davanti alla finestra, ma sotto il sole di primavera, con la
musica come compagna e come fonte d’ispirazione. Niente più giorni passati a
fantasticare, col pensiero rivolto a cose solo vagheggiate e mai veramente
ottenute.
Era tempo di vivere la vita vera, di crescere e maturare e cambiare. Era tempo
di diventare una grande pianista, di comporre musica e di farla ascoltare negli
uditori delle città più importanti del mondo.
Cassandra voleva vivere e
suonare e amare. Voleva fare tutto ciò come una persona nuova e autentica,
voleva farlo al massimo.
Continuò a suonare e la musica
l’avvolgeva; era una sinfonia nella quale la vecchia e la nuova Cassandra
s’incontravano, si scontravano e si fondevano. Ma, ad un certo punto, si fermò:
non sapeva più andare avanti, nella sua testa non c’erano più note,
l’ispirazione era sparita.
Cassandra doveva ancora capire chi
era e dove andare prima di riprendere a suonare.
Doveva guardarsi dentro,
perché solo in lei avrebbe trovato le risposte che cercava.
Compiuto quel passo, la sua
musica sarebbe divenuta la più bella mai sentita e lei sarebbe divenuta
finalmente vera.