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Autore: Acinorev    24/11/2012    15 recensioni
«Ma sono qui – la interruppi. - Sono qui, con te. Ed è esattamente dove voglio stare.»
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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I don't want you to die

Capitolo 18

 

Mi misi seduto, respirando a pieni polmoni.
“Ah, ti sei svegliato?” chiese Louis, fermandosi all’entrata del salotto con una tazza di caffè fumante in mano.
Spostai lo sguardo su di lui e lo riabbassai sulla punta dei miei piedi.
Svegliato? Non mi ero nemmeno addormentato.
“Tra poco arriveranno gli altri a prenderci, dobbiamo svegliarlo.” consigliò Harry da chissà quale parte della casa, comparendo poco dopo al fianco di Louis mentre si sistemava la giacca blu.
L’amico si limitò ad indicarmi con un cenno del capo, così che anche gli occhi del riccio si fermarono su di me: “Ah, buongiorno.” mi salutò. Annuii in risposta.
“Zayn…” Il campanello di casa interruppe qualsiasi cosa Louis volesse dire o chiedermi e io ringraziai quel suono metallico.
“Parli del diavolo…” mormorò Harry, andando ad aprire la porta. Riconobbi le voci di Liam e Niall e iniziai a prepararmi alla loro preoccupazione.
3… 2… 1…
“Zayn!” esclamò Liam, avvicinandosi a me e appoggiando una borsa sulla prima poltrona che si trovò davanti. “Dio santo, mi hai fatto preoccupare!”
“Per fortuna Harry ci ha avvertiti… Che ti è successo? Cos’è successo con Kathleen? Stamattina era…” intervenne Niall, facendosi più vicino. Non continuò, probabilmente scoraggiato dal modo in cui avevo fissato i miei occhi nei suoi.
Quel nome, anche se pronunciato da altri, ardeva dentro di me.
Mi alzai in piedi, trovandomi quasi faccia a faccia con uno dei miei migliori amici: “Non chiedetemi niente, per favore. – li supplicai, a denti stretti, - Andiamo a fare questa dannata intervista e non chiedetemi niente.”
Vidi Liam scrutarmi come se potesse capire qualcosa dal mio sguardo e, quando lo superai per andare in bagno e darmi una rinfrescata, mi richiamò: “Zayn… Ti ho portato dei vestiti puliti.” sussurrò quasi, indicandomi la borsa con la quale era entrato. Annuii, ringraziandolo silenziosamente sia per il cambio sia per aver capito e non avermi fatto altre domande.
Dopo un’intera notte passata a pensare a lei e a quello che le sarebbe successo, non ero ancora riuscito ad accettarlo o a capirlo. Come avrei potuto spiegarlo ad altre quattro persone?
 
Liam mi poggiò una mano sulla spalla e io sospirai.
Durante la strada del ritorno, mi aveva convinto a tornare a casa e affrontare qualsiasi cosa fosse successa con Kathleen. Il mio piano era di tornare da Harry e Louis: sapevo che non era giusto, ma era l’unica cosa che mi sentivo in grado di fare. Eppure il mio amico aveva ragione: scappare non aveva alcun senso.
“Potete lasciarci da soli per un po’?” gli chiesi, mentre apriva la serratura della porta.
“Certo.” mi rispose, sorridendomi appena.
Li lasciai entrare per primi, rimanendo appoggiato alla parete fredda appena fuori dalla porta. Continuavo ad inspirare ed espirare come se fosse la cosa più difficile del mondo, anche se in quel momento iniziavo a pensare che incontrarla sarebbe stato ancora peggio. Non capivo perché il pensiero di vederla mi risultasse così spaventoso e difficile, eppure non riuscivo a rilassarmi.
Troppo velocemente, i miei due amici, seguiti da Abbie, uscirono dall’appartamento lanciandomi degli sguardi espressivi. Volutamente evitai quello delle mora e dopo qualche secondo, mi scollai dal muro per varcare la soglia di casa.
E lei era proprio davanti a me, a circa due metri e mezzo di distanza, con le mani che si torturavano a vicenda e i capelli biondi leggermente spettinati. La porta si chiuse alle mie spalle con un tonfo sordo mentre io rimanevo immobile a fissare i suoi occhi scuri.
Prima che potessi dire o fare qualsiasi cosa, la vidi ricoprire la distanza tra di noi con passo deciso e stringermi a sé: le sue braccia circondavano debolmente il mio busto, mentre le mie erano ancora rilassate lungo i fianchi. Troppe emozioni contrastanti mi invadevano perché io potessi ricambiare quel gesto: mi stupiva come un suo abbraccio fosse la cosa di cui avessi più bisogno e allo stesso tempo la cosa che più mi distruggeva. Chiusi gli occhi e il suo profumo mi inondò le narici: spontaneamente, le mie mani corsero sulla sua schiena, stringendo nei loro palmi il maglioncino che indossava. La sentii sussurrare un flebile “Zayn” nell’incavo del mio collo e accentuare un po’ la presa, ma quella vicinanza mi stava facendo male: la allontanai, mentre percepivo il suo sguardo su di me, forse alla ricerca del mio, che però era attratto da qualsiasi altra cosa all’interno della stanza che non fossero le sue iridi.
“Zayn.” ripeté. Non era l’inizio di una frase, ma un semplice richiamo, un richiamo a cui non risposi, se non stringendo i pugni.
“Zayn, guardami.” continuò, portando una mano sulla mia guancia. La accontentai. La guardai dritto negli occhi e lasciai che il mio sguardo parlasse per me: non sapevo bene cosa le stessi comunicando, mi chiedevo se in mezzo ci fossero anche la paura, la rabbia, la delusione e il mio amore per lei. Qualsiasi cosa fosse, però, la sconvolse, quasi quanto stava sconvolgendo me. Ritrasse la mano e rimase immobile.
“Allora, vuoi sapere di Madrid? Di Parigi?” sbottai a denti stretti, mentre tutta la mia rabbia si riversava in quelle poche parole. Kathleen non rispose.
“Vuoi sapere del duomo di Milano? – ripresi, inclinando leggermente il capo, - Dovrei aver fatto delle foto, le vado a prendere.” annunciai sorpassandola. La sentii pronunciare il mio nome come se fosse un lamento o forse una preghiera; dopo pochi passi, mi voltai verso di lei: “Ah no, forse le foto possono aspettare. – ricominciai, assottigliando gli occhi, - Forse dovremmo parlare di qualcos’altro, giusto Kath? O preferisci rimandare ancora?” la provocai, cercando di mantenere la calma.
“Smettila…” sussurrò, abbassando lo sguardo.
“Dovrei smetterla? – chiesi retorico, alzando la voce, - E dimmi, cosa diavolo dovrei fare?! Cosa dovrei dirti?!”
“Dovresti farmi spiegare!” rispose, tornando a guardarmi.
“Hai ragione: devo lasciarti spiegare. Perché voglio proprio sapere cosa ti ha spinto a nascondermi una cosa del genere!”
Per qualche secondo rimanemmo a fissarci, io arrabbiato e impaziente, lei alla ricerca delle parole giuste.
“Quando sono stata male ho detto a Abbie che ti avrei raccontato tutto, ed era la verità. – cominciò, con un filo di voce, - Ma quando il dottor Johnson mi ha dato la notizia, io… Sapevo che se te l’avessi detto avresti preso il primo aereo per tornare qui.”
“E cosa ci sarebbe stato di tanto sbagliato?” le chiesi, immaginando già quale sarebbe stata la risposta.
“Non volevo che tu dovessi interrompere il viaggio per tornare da me: ti avrei detto tutto appena tornato. Zayn, tu non puoi vivere in base alla mia malattia! Hai una tua vita, hai la band, mille impegni, mille obiettivi da raggiungere! Non voglio essere un peso, più di quanto non lo sia già.”
Sapevo che avrebbe giustificato così la sua decisione, perché non era la prima volta che mi faceva un discorso del genere; ma lei sapeva altrettanto bene che quel ragionamento mi dava sui nervi. Infatti, non le diedi tempo di aggiungere altro: “Dio! – imprecai, alzando di nuovo la voce e passandomi le mani tra i capelli, - Quante volte devo ripeterti che ho scelto io di farlo?! Che sono disposto a interrompere tutto per prendere il primo aereo e tornare da te?! Tu fai parte della mia vita! È così difficile da accettare?!”
Lei non era un peso: come poteva esserlo se era la persona che amavo? Con i suoi difetti e i suoi pregi, persino con il suo tumore, Kathleen era l’unica cosa che potesse tenermi vivo. Era inconcepibile per me vederla come una palla al piede e forse era proprio quello l’amore: il volersi prendere cura di una persona nonostante tutto.
“E per te è tanto difficile da capire che non voglio che tu lo faccia?!” ribatté, avvicinandosi di una passo.
Rimasi per un attimo a guardarla, incredulo: “Non vuoi che io lo faccia? E sentiamo, cosa dovrei fare, secondo te? Cazzo, io ti amo Kath! Come puoi pretendere che non lo faccia?!”
“Ti amo anche io Zayn! È questo il punto! Così come tu vuoi il meglio per me, io voglio il meglio per te! E il mio concetto di meglio non comprende di certo lo stare dietro ad una malata terminale di cancro 24 ore su 24!”
“Ma lo è per me!” urlai, avvicinandomi a lei. Sospirai profondamente cercando di calmarmi: “Non voglio urlare con te.” sussurrai. L’avevo già fatto, ma non mi piaceva: era come se non ne avessi il diritto, come se stessi sbagliando approccio.
“Perché no?” domandò, attirando il mio sguardo su di sé. In realtà non mi diede nemmeno il tempo di rispondere, perché mi incalzò con un’altra domanda: “Perché sto per morire?”
Serrai la mascella a quelle parole e strinsi i pugni fin quasi a conficcare le unghie nella pelle.
“Non ho bisogno di un trattamento speciale, sai? – riprese, - Solo perché mi hanno dato una scadenza non significa che debba essere trattata in modo diverso! E non significa che tu debba rinunciare alla tua vita per rendere migliore la mia! Quindi fallo, urlami contro!” esclamò, arrivando quasi a sbraitare.
Io non fiatai, limitandomi ad ascoltarla e a respirare velocemente per l’agitazione.
“Urla Zayn! - continuò, dandomi una leggera spinta sul petto, - Cosa aspetti? Urla! Dimmi quello a cui stai pensando, avanti!” insistette, dandomi un’altra spinta. A quel punto sentii la rabbia ribollirmi dentro e, senza deciderlo lucidamente, accolsi il suo invito: “Vuoi che urli? – chiesi retorico, afferrandola per le braccia, - Vuoi sapere a cosa sto pensando?! Sto pensando che sono incazzato perché tu mi hai nascosto tutto questo per una settimana! Perché mi hai respinto ancora una volta! Perché continui a non capire che starti vicino è la cosa migliore che possa fare! Perché hai detto che ti hanno dato una scadenza, come se fossi un prodotto di un supermercato! Perché stai morendo, cazzo! Stai morendo e io non posso fare niente per evitarlo! E sono incazzato perché hai deciso di interrompere le cure senza nemmeno chiedermi un fottuto consiglio, come se io non c’entrassi assolutamente niente in tutto questo! Ecco a cosa sto pensando!” urlai, riversando fuori di me una piccola parte della rabbia e del dolore che mi stavano divorando dall’interno. Mi fermai, mentre il mio petto si alzava e si abbassava ritmicamente, a differenza di quello di Kathleen che era scosso da piccoli singhiozzi. Alcune lacrime avevano iniziato a bagnarle le guance pallide e a quella vista io l’avevo lasciata andare, pentito di aver solo peggiorato il suo stato d’animo.
“Io non ti ho respinto. - sussurrò, con la voce rotta dal pianto, - Ho solo… Ho solo cercato di proteggerti.”
“Da cosa Kath? Da cosa vorresti proteggermi?” le domandai, quasi esasperato.
“Da me.”
La guardai per un attimo, rilassando tutti i muscoli del mio corpo rimasti in tensione per troppo tempo: “Tu… Non voglio che tu mi protegga. Non ce n’è bisogno, tu non ne hai bisogno. L’unica cosa di cui hai bisogno è avere qualcuno al tuo fianco e non mi importa di quello che dirai per contraddirmi: ti conosco abbastanza bene da sapere che tutto questo tuo comportamento in realtà è solo una facciata. Hai bisogno di me, Leen.”
“No, Zayn. Io non voglio aver bisogno di te. Sto per morire e…”
“Dio, quante volte vuoi ripeterlo ancora?!” esclamai, alzando la voce. Ogni volta che lo diceva era come se una coltellata mi colpisse il petto, più e più volte.
“Non dirlo non cambierà le cose! I tre mesi che mi rimangono non si allungheranno magicamente!” ribatté.
Tre mesi.
Ecco quanto le rimaneva.
Quanto sarebbero passati in fretta? Sembrava ieri che l’avevo rivista all’ospedale e il tempo era volato. Quanto ci avrebbero messo novanta giorni a passare? Sarebbero passati lentamente, lasciandomi il tempo di prepararmi e rendendomi insopportabile l’attesa? O sarebbero passati in un batter d’occhio, portandomi troppo in fretta in una realtà che non avrei mai voluto conoscere?
“Tre mesi.” sussurrai, dando voce ai miei pensieri. Solo tre miseri mesi.
Kathleen mi guardava come se stesse cercando di capire come avessi reagito, ma ero sicuro che, qualsiasi cosa fosse riuscita a cogliere dallo stato in cui mi trovavo, non sarebbe stata nemmeno un decimo di quello che realmente provavo.
“Con la chemio sarebbero di più.” esclamai.
Subito non rispose, limitandosi ad aprire la bocca come se volesse ribattere, ma chiudendola subito dopo. Cosa le impediva di sottoporsi ancora alla terapia e far aumentare quei tre mesi?
“Davvero non capisci?” chiese poi, stringendo i pugni.
“Non capisco cosa? Cosa c’è di male nel provare di tutto per vivere di più?”
“Vivrei di più, certo! Ma quanto? Un mese? E come lo vivrei quel mese, come anche gli altri tre? Non voglio dover passare gli ultimi giorni della mia vita stesa in un letto e imbottita di farmaci che non fanno altro che farmi stare peggio! Che vita sarebbe?” Il suo tono di voce era alto, ma rotto da qualche singhiozzo. Potevo vederla trattenere le lacrime, ma loro sembravano essere più determinate e scendevano senza problemi sulla sua pelle. Perché io non riuscivo a piangere?
“Sarebbe una vita più lunga! – sbottai di nuovo, ormai incapace di trattenere le mie emozioni, - Ci sarebbe più tempo per te, per noi, per tutto quello che avresti voluto fare! Ci sarei io.”
“Non potrò fare tutte queste cose se la chemioterapia mi ridurrà peggio di quanto non abbia già fatto!” urlò.
Non capivo perché, al posto di parlare, continuassimo ad urlarci dietro: eravamo entrambi arrabbiati, ma forse dipendeva dal fatto che eravamo entrambi sopraffatti dalle nostre emozioni. Dopo quelle parole mi zittii, respirando velocemente, come se fossi reduce da una corsa. Kathleen abbassò lo sguardo e si asciugò il volto con la mano lattea; si passò una mano tra i capelli e tornò a inchiodarmi con gli occhi. Sapevo che stava per dire qualcosa, ma la precedetti, interrompendola ancor prima che potesse emettere un suono: “Fallo per me, Kath. Vivi di più.” Avrei voluto aggiungere che avevo bisogno di lei al mio fianco, che non mi sarebbe importato di quanti sacrifici avrei dovuto fare, che le sarei stato accanto ogni giorno fino alla fine. Ma non dissi niente, sicuro che lei sapesse già tutte quelle cose.
“Zayn… Non ci riuscirei.” sussurrò. E con quelle parole capii a cosa si riferiva: Kathleen era una forza della natura, la vitalità fatta in persona, e il fatto che dovesse… morire da lì a tre mesi era un paradosso di per sé. La chemio avrebbe peggiorato solo le cose, le sarebbe andata stretta, l’avrebbe costretta a vivere un po’ più a lungo una vita che le faceva schifo. Non sarebbe stata più vita. Dovevo accettarlo.
Sbuffai, passandomi le mani tra i capelli e voltandomi di spalle, cercando di capire cosa avrei dovuto fare e cercando di placare la tensione che mi tormentava.
“Avresti dovuto dirmelo.” mormorai, chiudendo gli occhi.
“Non sarebbe stato diverso.” rispose con un tono quasi lamentoso, come se stesse cercando di farmi capire le sue motivazioni; ma come potevo farlo se la mia mente era occupata da una sola cosa?
“Sì, invece! – esclamai, voltandomi verso di lei, - Io non lo sarei venuto a sapere da Abbie, ma da te! E non ti avrei raccontato le cazzate che combinavamo in giro per l’Europa mentre tu dovevi fare i conti con… questo. Ecco cosa sarebbe stato diverso! Ti sarei stato vicino!”
“Ma tu mi sei stato vicino! – ribatté, avvicinandosi ancora, - Io avevo Abbie qui, ma sapere che tu ti stavi divertendo in quelle città era la cosa che mi faceva stare meglio! Sentire la tua voce spensierata, sentirti cantare per me...” Era tanto vicina da farmi sentire il suo respiro sul mio collo, tanto vicina da farmi male.
“Zayn, è solo questo quello di cui avevo e ho bisogno. – riprese, portando una mano sulla mia guancia, - Non voglio che tu abbandoni tutto per me, non voglio farti rinunciare a niente. Mi basta averti accanto nelle piccole cose, ora e nei tre mesi che rimangono.”
Inclinai leggermente il capo per andare incontro al suo tocco delicato. Avevo così tante cose dentro di me che non riuscivo più a contenerle, quindi ne lasciai andare alcune: “A me non basta, invece. Non mi è mai bastato, non è mai stato abbastanza e non credo che lo sarà. Non… Non mi bastano tre mesi per dirti addio.” sussurrai, portando le mie mani ai lati del suo viso. Singhiozzava sotto il mio tocco, di nuovo.
“Nemmeno a me bastano, Zayn. Non mi basterebbero nemmeno degli anni.” rispose, appoggiando la fronte alla mia.
“Ma è tutto quello che abbiamo. – sussurrò, - È tutto quello che abbiamo.”
Ogni cellula del nostro corpo cercava di consolarci, ma come avrebbe potuto?
 “Non voglio che tu muoia.” mormorai, passando il pollice sulla sua guancia umida. I suoi occhi ormai erano completamente arrossati e, proprio quando iniziavo a pensare che non avessero più lacrime da versare, si inumidirono di nuovo. Kathleen scoppiò, abbattendo tutti i freni che si era imposta fino a quel momento, sprofondando nell’incavo del mio collo e aggrappandosi disperatamente alla mia schiena. Piangeva, piangeva come non l’avevo mai vista fare, nemmeno nei momenti peggiori che aveva passato.  E io mi limitavo a stringerla come non avevo mai fatto, come se potessi tenerla stretta a me anche oltre quei dannati tre mesi, impedendole di andarsene. La strinsi immergendo il viso nei suoi capelli e la strinsi mentre tra un singhiozzo e l’altro mormorò un flebile “Anche io non voglio.”.
Chiusi gli occhi a quelle parole. Erano finalmente uscite dalla sua bocca, anche se per tutto il tempo ogni piccola parte di lei me le aveva urlate in silenzio. Riportai le mani ai lati del suo viso e avvicinai le nostre labbra: la baciai con tutto l’amore che in quel momento avrei potuto dimostrarle, con il dolore che mi portavo dentro e con altre mille sfaccettature del mio stato d’animo. E lei ricambiò il bacio con ancora più trasposto, con più amore, con più dolore, con più tutto, più di quanto io potessi immaginare.
 
“Dove sono?” chiesi.
Eravamo seduti a terra, con la schiena appoggiata al divano di pelle. La sua testa sul mio petto e la mia mano destra intorno al suo corpo esile a stringerla a me. L’altra mano disegnava fantasie invisibili sul suo corpo. Non sapevo esattamente da quanto tempo fossimo in quella posizione, minuti o forse ore. Sapevo di aver chiesto a Liam di non tornare ancora per un po’, ma non sapevo quando l’avessi fatto. Non ricordavo nemmeno quanto tempo prima io e Leen avessimo urlato proprio a due passi da dove ci trovavamo in quel momento. Di una cosa ero certo: per tutto quel tempo nessuno aveva parlato.
“Cosa?” domandò confusa, senza muoversi.
“Le metastasi.” risposi flebilmente. Kath non parlò: si limitò a spostare la sua mano sulla mia appoggiata sulla sua coscia. Le spostò insieme delicatamente, fermandole poi sul suo fianco destro, verso la fine del costato: “Fegato.” sussurrò. Poi riprese il suo percorso verso l'alto per fermarsi al centro del suo petto: “Sterno.” sussurrò ancora. Pregai con tutto me stesso che non ce ne fossero altre e così fu: strinse la mia mano, che si alzava e si abbassava ritmicamente seguendo il suo respiro.
Serrai le mascelle: “Non posson…”
“No, Zayn. Non possono fare niente. E quel poco che possono provare sono io a non volerlo.”
“Ti stai arrendendo.” dissi a bassa voce.
“No. Voglio solo assicurarmi di vivere davvero durante questi tre mesi.”
“Morirai.”
“Morirei lo stesso. Solo un po’ più tardi e più dolorosamente.”
“Ma potrebbero riuscire a salvarti, potrebbero riuscire a togliere almeno le metastasi.” continuai. Le nostre voci erano così calme, così basse, da poter essere considerate quasi dei sussurri: nessuno dei due aveva la forza o la voglia di urlare ancora.
“C’è il 20% delle possibilità, Zayn. Il 20% per il fegato e il 24% per lo sterno. Sai che cosa significa?”
Non risposi, perché faceva troppo male e forse perché non sapevo nemmeno cosa dire. Era impensabile che la vita di Kathleen dipendesse da numeri, percentuali, ore, minuti.
Intrecciò le nostre dite e io mi voltai verso di lei, incontrando il suo viso perfetto. Per un attimo respirammo gli stessi centimetri di aria, ma solo per un attimo, perché l’attimo dopo le nostre labbra erano incollate le une alle altre dolcemente.
Quel bacio era delicato, carico di sentimento: era una resa silenziosa, una resa a quello che sarebbe successo. Ma presto si trasformò in qualcosa di più, divenne più passionale, carico di desiderio.
Kathleen si sistemò meglio, facendo scivolare una sua mano sul mio petto, accarezzandolo, mentre io facevo lo stesso sulla sua schiena, mentre i nostri respiri si facevano più intensi.
Qualche minuto dopo era a cavalcioni su di me, con le labbra sul mio collo e le mie dita sotto la maglietta. Stavamo per spingerci oltre. E non era squallido, né inopportuno o fuori luogo. Era giusto. Era il nostro modo per dirci che saremmo stati bene, che eravamo lì l’uno per l’altra e che sarebbe stato sempre così.
Mi alzai, tenendola in braccio senza alcuno sforzo, data la sua leggerezza, e poco dopo eravamo sul mio letto.
Il suo maglioncino non c’era già più e presto lo imitarono anche gli altri nostri vesiti: era quasi doloroso staccarsi dalle sue labbra per potermi togliere la maglia o per riprendere fiato. Tanto doloroso che cercavo di evitarlo: avevo bisogno della sua pelle sulla mia bocca. Quindi percorsi il suo collo, scendendo sempre più giù. Mi fermai sul suo sterno, baciandolo anche se l’odiavo; mi fermai sul suo seno, dove quel dannato polmone giaceva malato sotto il mio tocco; mi fermai sulla pelle che ricopriva il fegato, lasciando una scia di baci che non si meritava. Poi tornai sulle sue labbra e guardandola negli occhi entrai in lei, facendola gemere.
Mi spingevo dentro di lei e sentivo qualcosa in me, qualcosa che non riuscivo a decifrare: era come un’ondata di sensazioni pronta a infrangersi su di me per abbattere anche l’ultima traccia di forza che mi era rimasta. Così, mentre la amavo, sentii qualcosa di umido solcarmi una guancia, vidi la vista annebbiarsi e sentii un peso all’altezza del petto che mi soffocava.
Stavo piangendo e non me ne ero nemmeno reso conto.
“Zayn…” sussurrò Kathleen, asciugandomi il viso con una mano tremante. Non le diedi ascolto, non mi fermai, mi limitai a tornare sulle sue labbra, a baciarle ancora una volta.
Mi ripromisi che le avrei baciate ogni volta che ce ne sarebbe stata l’occasione, perché non mi sarei permesso di perdermi nemmeno un millisecondo di lei.

 


 

Surpriseeeeeeeeeeeee!
È una surprise anche per me, perchè non avevo intenzione di pubblicarlo oggi, ma domani lol
Solo che l'ho finito di scrivere (nonostante dovessi studiare) e non ho resistito :3
Sì, perchè voglio sapere cosa ne pensate: Leen ha spiegato
il perchè delle sue azioni... Zayn è abbastanza sconvolto...
Spero di essere riuscita a esprimere bene i loro stati d'animo e la tensione mentre ne parlavano!
Ah, spero anche che il fatto che facciano l'amore alla fine
non vi sia sembrato fuori luogo... A me personalmente
piace, soprattutto il fatto che lui pianga, però vorrei sapere la vostra opinione!
Io vi dico solo che mentre scrivevo piangevo AHAHAH
Intanto parlavo con una mia amica e continuavo a piangere AHAHAHAH
Saranno state le canzoni di sottofondo!

Coooomunque volevo ringraziarvi per le magnifiche recensioni che
mi avete lasciato e per i bellissimi complimenti :D
Davvero, mi avete resa la persona più felice del mondo!




Ciao bellezze, vi amo con tutto il cuore :3
Risponderò alle recensioni del capitolo prima appena avrò un po' di tempo :
3

  
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