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Autore: Alex e Finger    26/11/2012    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Bursa,

Safar 885

(Aprile 1480)


 

 

 












uella mattina Yusuf si lavò alla buona e si vestì in fretta. Nel dormiveglia aveva intravisto Yalìm rifarsi il letto e lasciare la loro stanza molto presto, e lui si era alzato poco dopo e con l’intenzione di sgattaiolargli dietro. Quando uscì nel cortile un frullo d’ali attirò la sua attenzione e Yusuf guardò in alto tra i tetti confinanti, dove un piccolo stormo di piccioni si era appena librato in volo. Era troppo tardi.

È scomparso, pensò con la bocca ancora impastata dal sonno.

Una donna dietro la finestra della casa del fabbro gli faceva segno di entrare.

Yusuf calciò un ciottolo dello sterrato e lasciò il cortile.

 

― Si è preso la giornata libera, ― disse Teoman masticando una focaccia salata.

Yusuf sedette accanto all’uomo al vecchio tavolo, mentre Rasime gli metteva sotto al naso una scodella di latte di capra. Il ragazzo vi intinse un simit e lo addentò voracemente, coltivando la sprecata speranza di finire la colazione in tempo per raggiungere suo padre.

― Per fare ché? ― chiese con la bocca piena.

Teoman tagliò una fetta di formaggio. ― Questo non me l’ha detto. ―

― E cosa ti ha detto? ― domandò ancora Yusuf, prima di prendere la scodella con due mani e tracannare il latte tutto d’un sorso.

― Di tenerti con me in bottega fino al suo ritorno. ―

Yusuf posò di colpo la ciotola sul tavolo e si voltò a guardarlo con un bel baffone di latte. ― Perché? ― obbiettò contrariato. Quella prospettiva andava contro i suoi piani.

Teoman e Rasime si scambiarono un’occhiata.

― Anche questo non me l’ha detto, ― disse il fabbro alzandosi. ― Adesso vieni, oggi voglio mostrarti una cosa. ―

Yusuf rimase seduto ancora per un po', fissando la sua sagoma massiccia oltrepassare la porta e puntare verso la fucina. Ad un tratto Rasime aggirò il tavolo per venirgli a fare una carezza sulla testa.

― Tuo padre sembrava molto arrabbiato, ― gli mormorò complice. ― Yusuf, è successo qualcosa? ― domandò prendendo la sua tazza vuota.

Il ragazzo scosse la testa e si asciugò il latte sulla faccia con la manica della camicia da lavoro.

― No, ― disse perplesso, sorpreso quanto lei. ― Non è successo nulla. ― Incontrò gli occhi della moglie del fabbro con una muta inquietudine.

― Yusuf! ― lo chiamò Teoman e lui scattò come una lepre fuori dalla porta.

 

Nella grande fucina la luce si stava abbassando quando finalmente il fabbro lo congedò.

La giornata era trascorsa con una lentezza straziante per Yusuf, che il comportamento insolito di suo padre aveva reso distratto e anche un po’ ansioso. Nella pausa per il pranzo e nelle ore pomeridiane aveva cercato di estorcere altre informazioni a Rasime, sospettando che nell’occhiata tra coniugi di quella mattina ci fosse nascosto un discorso più ampio, ma la donna aveva scosso la testa a tutti i suoi quesiti, mentre faceva le pulizie e stendeva i panni nel cortile, lasciandolo friggere nel suo tormento. Poi Teoman l’aveva richiamato in bottega per il secondo turno e si era spaccato le braccia un altro po’.

Grondante di sudore, Yusuf uscì dalla fucina e attraversò il cortile del retrobottega che confinava con quello dove si allenavano lui e Yalìm. Suo padre non si era ancora fatto vivo e perciò quella sera si sarebbe dato una pulita come si deve, prima di mettersi alla tavola del fabbro per la cena.

C’era qualcuno seduto al piccolo tavolo nel centro del salottino e quando Yusuf entrò in casa gli era parsa solo un’ombra; quasi non ci badò, ma poi l’ombra si mosse, facendo scricchiolare la sedia, e a Yusuf gelò il sangue. 

È tornato. E chissà da quanto tempo….

Le braccia conserte, lo sguardo perso lontano oltre le finestre che affacciavano sul cortile. Di fronte a lui, abbandonata sul tavolo come la carcassa di una vecchia preda, c’era una coppia di dadi…

Yusuf trasalì, sentendo guance e orecchie tornare ad incendiarsi rapidamente, come se fosse ancora di fronte alla grande bocca della fucina.

― Va’ a letto, ― disse Yalìm d’un tratto, senza voltarsi. ― Domani mi racconterai tutto. ―

Yusuf si avviò verso la loro camera, guardando ora suo padre ora i dadi truccati, e si richiuse la porta alle spalle chiedendosi come avesse fatto a trovarli. Scardinò tutto il cassetto dal comodino e lo rivoltò sopra al letto quasi con rabbia, dandosi dello stupido. Avrebbe dovuto lanciarli in mare durante il viaggio e invece li aveva tenuti nelle tasche, e appena erano arrivati a Bursa li aveva nascosti in fondo a quel cassetto, ancora prima di lavarsi, come il più inestimabile dei tesori.

Prese a pugni il cuscino e poi vi affondò la faccia, soffocandoci un urlo.

Con Imran lo scontro tra la verità e la menzogna era durato giusto il tempo di qualche breve stoccata, e Yusuf ne era uscito in parte vincitore, ma non sarebbe mai riuscito a mentire a suo padre, che gli aveva esplicitamente ordinato di non farlo rimandando la battaglia all’indomani.

Qualcosa, forse un’intuizione, gli suggeriva che Yalìm aveva trascorso tutta la giornata fuori casa solo per pensare alla maniera migliore per fargli rimpiangere le fatiche della fucina. Suo padre non faceva nulla per caso, e se lo aveva mandato a riposare così presto e senza neanche cenare, doveva pur esserci un motivo.

 

Yalìm sfondò la sua guardia entrandovi con tutta la propria figura e Yusuf fu costretto a indietreggiare. Un attimo dopo perse l’equilibrio e cadde seduto sul terriccio del cortile, inghiottito dalla polvere che avevano alzato i suoi stessi piedi.

Da quando avevano cominciato l’allenamento il suo maestro non gli aveva dato tregua, imponendosi nel duello senza più un minimo di correttezza, atterrandolo con uno sgambetto o confondendolo con una finta. Tutti gli insegnamenti, le tecniche, le regole che suo padre gli aveva trasmesso, quel pomeriggio si erano sgretolate come il pane secco appena Yusuf aveva cercato di usarle contro di lui. Aveva risposto all’offensiva di suo padre appellandosi a tutta la sua forza, ma era stato vano, anche quello, come tutti i tentativi di tenere testa ai suoi affondi.

― Alzati. ―

Ora basta.

Di nuovo in piedi Yusuf scagliò a terra la spada di legno. ― Non vale! ― sbottò. ― Sei più grosso di me e te ne stai approfittando! ― aveva inghiottito una goccia di sudore e le ultime parole gli erano uscite rauche, trasformando il suo grido in qualcosa che poteva sembrare il preludio ad una fontana di lacrime. 

Yalìm piantò la sua spada nel terriccio e lo guardò negli occhi con i pugni sui fianchi. Aveva lo stesso sguardo vuoto di quella mattina, quando prima di recarsi in bottega gli aveva fatto vomitare ogni cosa, da come se li era procurati al perché per colpa di quei dadi c’era andata di mezzo la sua faccia. Yalìm aveva preso tutto, tutto come se di quei ricordi non avesse voluto lasciare traccia nella mente di Yusuf. Come se obbligandolo a raccontarglielo, quel brutto incubo avrebbe smesso di tormentarlo e suo figlio avrebbe potuto dimenticarlo. Si era limitato ad ascoltare proprio con quello sguardo che aveva anche adesso, quasi un modo non per prendere tempo, ma per dare a lui il tempo di mettere insieme altre parole. Per dare a chi gli stava parlando la possibilità di riscattarsi prima del suo colpo di grazia.

― Mi dispiace, va bene?! ― gridò Yusuf, afferrando al volo quella possibilità. ― Non ne vado fiero, ma il prezzo di quel gioco l’ho pagato, padre! L’ho pagato sulla mia pelle. ― Se avesse potuto si sarebbe strappato la cicatrice dalla faccia come una maschera solo per fargliela vedere più da vicino.

― Non è questo il punto, Yusuf. ―

La tranquillità con cui suo padre insisteva a rivolgerglisi, senza ostentare neanche un briciolo di compassione per l'atrocità, l'orrore di quei ricordi, lo spiazzò, mandandolo di nuovo seduto sulla nuda terra del cortile.

― L’azzardo è un gioco pericoloso, ma sono ancora più pericolosi i suoi giocatori, ― continuava Yalìm. ― Sai perché? ―

Yusuf scosse la testa.

― Perché il baro, l’imbroglione e il truffatore prima che della frode sono maestri del loro gioco. Come credi che si vincano le guerre? ―

― Con gli uomini, ― rispose Yusuf di getto, come una rapida stoccata, ― e le armi. Chi ne ha di più e più forti… vince. ―

Yalìm lo fulminò con un’occhiataccia. ― A volte rispondi come se avessi il doppio della tua età,  altre come se ne avessi neanche la metà. ―

Yusuf sfoggiò il peggiore dei suoi bronci. E con questo suo padre cosa voleva insinuare?

L’uomo sfilò la propria spada di legno dal terriccio e pulì la lama dalla terra. ― Un bravo combattente potrebbe stendere il suo avversario a mani nude, anche se questi impugnasse la sciabola del Profeta in persona. ―

― Bhé, un solo uomo potrebbe ben poco contro un esercito di spade del Profeta. ―

Yalìm si fece una sommessa risata. Quel ragazzino gli ricordava sua moglie sempre di più e il dolore cresceva insieme al ricordo.

― Quelli come te e il tuo amico sono le prede più facili per gente come Ghaalip, ― continuò Yalìm, sembrando imprimersi quel nome a fuoco nella mente. ― Due cuccioli che inseguono un cinghiale quando ancora un coniglio è più grande di loro: la vostra presunzione è stata la vostra rovina e la sua occasione. Senza contare il risentimento del tuo amico. La vendetta acceca, indebolisce gli uomini, Yusuf, minando il loro operato fino ad impossessarsi del loro animo. ―

― Lo sai per esperienza? ―

Yalìm si voltò a guardarlo, non poco sorpreso da quella domanda. Le rughe sul suo volto si avvicinarono in un sorriso forzato, una fuga disperata da chissà quali ricordi.

― Tutto quello che cerco di insegnarti lo so per esperienza. ―

Yusuf rimase a lungo in silenzio.

― Allora… come si vincono le guerre? ― chiese poi d'un tratto.

― Con la strategia. ―

― Pffffft! ― scoppiò Yusuf. ― Solo nelle leggende o nei racconti di Simbad, papà! ―

― Forse tu conosci un’altra parola, ― disse Yalìm fingendosi pensieroso. ― Le guerre si vincono con l’imbroglio, il più grande di tutti, e la strategia non è altro che questo. ―

― Allora tutti i generali sono uomini senza onore? ―

Yalìm tacque. Era la seconda volta da quando vivevano a Bursa che suo figlio faceva le domande giuste nel momento sbagliato, e anche quella volta non sapeva se sorprendersene o preoccuparsene. Le ombre intorno ai suoi occhi sembrarono farsi più fitte mentre si preparava a quello scontro ormai inevitabile.

― I paradossi dell’Ordine sono un terreno scosceso, Yusuf, ― cominciò, serio, guardandolo dall'alto, ― e la risposta che mi stai chiedendo ne contiene uno, forse il più difficile da comprendere. ―

Il ragazzo non disse nulla e attese che fosse suo padre a continuare, ma con un respiro profondo Yalìm sembrò aver preso una decisone diversa da quella che si aspettava e Yusuf se ne sentì un po’ offeso. Ma dopo giusto un attimo di esitazione, la voce profonda e vibrante di suo padre tornò a scaldargli le orecchie.

― Il fine non giustifica i mezzi. Mai. Eppure in guerra non c’è spazio per la pietà e ogni scorrettezza sembra concessa. Questo perché il Sovrano, il Regno, l’Impero e il Mondo perfetto non esistono, Yusuf, perché l’imperfezione fa parte della natura umana. La sola cosa che non deve condurre nessuna delle tue azioni o fare alcuna delle tue scelte è l’ignoranza. O ciò che ne deriva: la paura. L’odio. ―

― La vendetta. ―

Yalìm s’inginocchio alla sua altezza. ― La Confraternita degli Assassini lotta contro questi cancri del Mondo dall’alba dei tempi e la vendetta è uno di loro. All’inizio assume le sembianze dell’arma più potente di cui possa servirsi un uomo per abbattere i suoi nemici, ma poi diventa traviante, un’ossessione, offuscando il tuo giudizio nel rischio di compromettere il Primo fondamento dell’Ordine. ―

Trattieni la lama dalla carne degli innocenti, ― citò Yusuf guardando a terra come se lo avesse letto da là.

Yalìm annuì soddisfatto. ― Sono contento che te ne rammenti. Sappi che questi principi varranno dovunque andrai e qualunque cammino tu scelga di percorrere, indifferentemente dall’essere un Assassino o un fabbro, ― disse alludendo alla bottega di Teoman. ― Diffida di chi ti dice che il bene non esiste, figlio mio. Esiste, ― gli puntò il dito sul petto all’altezza del cuore, ― qui dentro. ―

Yusuf piantò gli occhi nei suoi, ma lui si stava già alzando.

― Nulla è reale. Tutto è lecito. ― mormorò Yalìm una volta in piedi col tono assorto di una preghiera, ma si riscosse subito dopo, come ricordandosi con chi aveva a che fare. Gli tese la mano libera dalla spada di legno e quando Yusuf l’afferrò senza esitazioni, suo padre lo tirò a sé avvolgendolo in un abbraccio che sapeva di sudore, di spezie e di promesse.

 

 





 

  
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