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Autore: Janet Mourfaaill    14/06/2007    10 recensioni
Solitudine ossessionante nello sguardo mentre la pelle copre cicatrici segrete. La sua mano accenna un gesto d'addio, non c'è risposta o azione di ritorno. C'è profondo pregiudizio in me, oscura del tutto la ragione interiore. Sogni impartiti eliminati dolorosamente e proiettati fino all'ultimo.
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Windowpane



Black face in the windowpane
Made clear in seconds of light
Disappears and returns again
Counting hours, searching the night





Una pioggia fugace scendeva leggera sui passanti, quella mattina, a Londra. Draco Malfoy si passò una mano tra i capelli lisci e sottili, appena umidi; aveva dimenticato di prendere l’ombrello uscendo di casa, o forse non lo aveva preso di proposito. Quella mattina non aveva badato al proprio aspetto, era uscito senza nemmeno curarsi di nascondere il volto più di tanto. Non aveva indossato il mantello, solo quel lungo cappotto nero che ostentava in modo quasi disturbante il suo pallore. Non aveva preso nemmeno i guanti, si accorse, sentendo il freddo pervaderlo. Sorpassò un gruppo di babbani, e un altro. Il suo sguardo si fermò sul marciapiede bagnato, fango per terra e sulle scarpe, sui bordi dei mantelli, tra le crepe in mezzo alla strada. Svoltò un angolo accendendosi una sigaretta. Infilò un altro bottone nell’asola del cappotto, chiedendosi se la temperatura potesse diminuire ancora. Camminò ancora un centinaio di metri, il passo costante e il fiato corto, la sensazione di sentire quell’aria gelida nella mente e nelle mani, contro i denti. Si era potato una mano in una tasca, pallida e affusolata. Sotto gli occhi gli evidenti segni di una notte in bianco, le mascelle indurite dal freddo e la fronte leggermente aggrottata. Il profilo secco, di una bellezza tagliente.
Si fermò poco prima dell’incrocio, gli occhi fissi sulla pozzanghera su cui si rifletteva il rosso del semaforo. S’inumidì le labbra prima di aspirare profondamente dalla sigaretta e alzare lo sguardo sul lato opposto della strada.
  


             
 Might be waiting someone
Might be there for us to see
Might be in need of talking
Might be staring directly at me
 
 
 
Quella mattina era uscita senza ombrello. Era talmente quasi in ritardo che nemmeno la concreta idea di un temporale in arrivo l’aveva trattenuta dall’uscire di casa alla velocità della luce. I tacchi forse un po’ troppo alti, un regalo di Ginny che lei indossava più per riconoscenza che per reale piacere, dato che a malapena ci sapeva camminare su quelle scarpe. Mentre chiudeva velocemente a chiave la porta di casa si lisciò sovrappensiero con una mano la camicia già perfettamente stirata, di un azzurro pallido che risaltava la sua carnagione altrettanto chiara. Gli orecchini discreti di un grigio opaco le accarezzavano le guance tintinnando ad ogni suo movimento. Le davano un po’ fastidio, a dire il vero, ma le piaceva vestirsi come il tempo; grigio e azzurro chiaro, come le nuvole e quel cielo bruciato. La gonna lunga appena fino alle ginocchia, le calze quasi invisibili, un bracciale sottile al polso e quel vuoto religioso all’anulare sinistro.
Hermione Granger aveva camminato soprappensiero girando automaticamente gli angoli della strada, aggirando pozzanghere e persone. Si era riavviata un ciuffo di capelli guardando nervosa l’orologio; la sola idea di essere in potenziale ritardo di norma la induceva a credere di esserci già, portandola ad accelerare istintivamente sia il passo sia il cattivo umore. Si inumidì le labbra rigorosamente prive di rossetto portandosi la mano destra sulla guancia e sfiorandola con un dito. Una goccia di pioggia.Se non si fosse affrettata sarebbe arrivata al Ministero in uno stato pietoso. Passò davanti a qualche vetrina poi svoltò l’angolo e giunse all’incrocio, dove il semaforo brillava di un rosso sfacciato che lei faticò a non prendere come un affronto personale. Trattenne a stento uno sbuffo mentre una mano correva immediatamente alla borsa, tenendola stretta ed aderente al corpo.
Alzò lo sguardo e lo puntò davanti a sé.
 
 

Inside plays a lullaby
Slurred voice over children cries
On the inside
 
 
 
Lei era rigida, ferma a una decina di metri. Una gonna, i capelli sciolti e una camicia azzurra sotto il cappotto grigio. Senza nemmeno accorgersene le fece scivolare lo sguardo addosso, dal collo alla spalla e poi al braccio fino a soffermarsi sulla mano che teneva lungo il fianco. L’anulare spoglio.
Quella promessa rimangiata a testa bassa.
Una delle tante.
Aveva conservato quei tratti marcati e quell’aria distaccata che però non riusciva a indurirla, rendendola soltanto un po’ più sola. Non aveva un ombrello ma non sembrava preoccuparsene; mentre la pioggia le picchiettava il colletto e le increspava i capelli lei teneva lo sguardo artigliato al suo, immobile.
Tutt’intorno mantelli schiaffeggiati dal vento e voci ovattate, mentre lui la guardava con il rispetto e l’intimità con cui avrebbe guardato la prima neve.
Semaforo verde.


 

Haunting loveliness in the eye
Skin covering
a secret scar
His hand is waving a goodbye
There's no response or action returned

 
 
 
Lui era rimasto immobile, l’espressione immutata, e lei per un momento aveva creduto di vedere un fantasma.
Il viso bianco e la mascella serrata, quel cappotto nero, le labbra sottili. Si ritrovò a doversi proteggere improvvisamente dalla raffica febbrile di ricordi, impedendosi di ricapitolarne i più duri e i più intimi – la freddezza dei suoi silenzi, ogni abitudine di quei muscoli.
Era cresciuto.
L’aveva guardata negli occhi poi era sceso fino alla punta delle sue dita, soffermandosi su quel vuoto che ora lei sentiva come una presenza ingombrante, un peso invisibile dove per anni c’era stata solo assenza.
Quella promessa sul terreno arido del loro rapporto.
Quella fra tutte.
Quello sguardo su di sé che le era dolorosamente mancato per mesi per poi apaticamente mancare per anni, ora di nuovo addosso con l’intensità di una scossa. Al suo fianco un bambino si affacciava su una pozza d’acqua mentre la madre lo richiamava afferrandolo per un braccio.
Semaforo verde.
 
 
 
Draco Malfoy si era alzato in piedi, l’espressione sconvolta, ma il suo tono suonò comunque contenuto quando aprì bocca per parlare – Sei fradicia. -
- Lo so. -
- Non entri? -
Hermione Granger si era lentamente appoggiata allo stipite, mantenendo lo sguardo basso per non riscontrare anche nei suoi occhi la premura insostenibile che aveva appena percepito nella sua voce. - No. Non voglio starti vicino. – Gli aveva parlato come fosse stato infetto e per un momento fu convinta che lui avrebbe reagito con il medesimo sdegno, quasi lo voleva, quasi desiderava che s’infettassero le loro parole tanto da nauseare entrambi e portarli a dividersi con sollievo.
- Come vuoi. – la risposta invece era stata temperata e come sempre Hermione si era ritrovata a chiedersi a che punto l’educazione di Draco Malfoy diventasse freddezza.
- Non voglio starti vicino mai più. –
Draco non aveva reagito o se l’aveva fatto lei si era premurata di non accorgersene, si era stretta nei suoi vestiti fradici chiudendo gli occhi e sentendosi improvvisamente malata.
- Non ti ho mai costretta a rimanermi accanto, non lo farò adesso. –
- In un modo o nell’altro non mi hai mai permesso di allontanarmi. -
- Non ti ho mai costretta a restare. -
- Non mi hai mai nemmeno lasciata andare. –
- Avrei dovuto? -
- Sì. -
Una pausa infinitesimale accompagnata da un sorriso amaro - Avresti voluto? -
Hermione aveva abbozzato una risata vuota, passandosi una mano sulla fronte e scuotendo piano il capo. – Sì. -
Draco era rimasto in silenzio senza più guardarla, annuendo appena. Poi aveva scrollato appena le spalle, come al voler privare quel momento della solennità che lei gli stava conferendo – Hai sempre saputo chi ero, hai semplicemente smesso di accettarlo. O meglio, ti sei ricordata di come tutto fosse più facile quando non ne eri in grado. –
- Non era più facile, era solo meglio. -
- Non sono d’accordo, ma non penso di poterti convincere a questo punto. -
- Quando è successo? – glielo aveva quasi urlato addosso, voltandosi di scatto a guardarlo - Quando hai deciso che non meritavo più la tua pietosa vanagloria, quanto ti sei accorto che l’accondiscendenza meglio si confaceva alla tua persona e meglio riusciva nell’intento di sminuirmi? –
Gli occhi di Draco ora dardeggiavano nei suoi mentre si apriva di nuovo a malavoglia in un sorriso stanco, senza allegria né calore – Dopo tutti questi anni ancora tendo a dimenticarmi quanto sei brava con le parole, anche quando non hai assolutamente nulla da vincere – si era passato una mano tra i capelli, abbassando la voce come al voler parlare più a se stesso che a lei – Alla domanda non penso di voler rispondere, non vorrei scoprire d’essere effettivamente in grado di insultare la tua intelligenza. –
- L’hai fatto per due anni, ogni giorno, facendomi credere che tutto questo potesse essere. –
- Quindi amarti è stato un insulto? -
- Basta. -
Draco aveva serrato la mascella davanti a quella voce spezzata e a quella mano sul petto, rimanendo in silenzio. Aveva continuato a guardarla fino a quando lei non era più riuscita a trattenersi e si era voltata a guardare lui, cinerea.
- Spero che tu muoia, giorno dopo giorno fino a morire del tutto, sotto il peso del marchio che hai scelto di portare. -
Lui non la guardava più, l’espressione inalterata e gli occhi fissi sul pavimento di pietra. – Non ho scelto. - , lo aveva mormorato dopo interi minuti ma lei era già andata, lo aveva già lasciato solo correndo via col petto incandescente e dentro di sé la sensazione di stare indietreggiando.
 
 
 
 
La folla si agitava impaziente su entrambi i lati della strada, una fretta comune che non tangeva né quel traffico né quel tempo.
Semaforo verde.
Draco guardava avanti, la vista nascosta a tratti da ombrelli, spalle e nuche. Il rumore della città premuto contro le tempie come una minaccia, quel rumore che lui non faceva entrare.
Tre metri.
Si era accorta di stare avanzando più velocemente dei suoi pensieri, si era accorta di non starlo più guardando per non cedere all’impulso di fermarsi in mezzo alla strada e aspettarlo lì, per poi decidere all’ultimo se ignorare quella tensione o assorbirne ancora.
Due.
Non si erano mai abituati a salutarsi, mai, si erano sempre trovati e basta senza doversi cercare.
Uno.
Aveva sentito i muscoli tendersi sotto il suo tocco quasi doloroso, appena incrociati. Aveva sbattuto velocemente le ciglia e si era voltata a guardarlo; stupore e vergogna nel constatare che non la stava toccando, lei si era piantata le unghie nel polso per non lasciare la mano libera di sfiorare la sua - ma ormai lo stava guardando e guardarlo faceva male agli occhi.
Il tempo strappa e il tempo ricuce.
Si era resa conto che lui stava per voltarsi e continuare a camminare e così si morse il labbro inferiore, disperata - Non ho mai voluto che tu morissi. – lo aveva detto in un soffio, così piano che sentì il terrore o il sollievo di non averlo detto affatto.
Lui si era voltato. Le sue pupille seguivano uno strano moto, vorticavano sul suo viso e ricominciavano una volta finito. - Lo so. –
Quindi amarti è stato un insulto?
Hai sempre saputo chi ero, hai semplicemente smesso di accettarlo.

Hermione si ritrovò ad annuire velocemente, la pioggia sulle labbra e fin dentro agli occhi. Si dettero le spalle con la naturalezza a cui si erano abituati, negli anni; senza voltarsi né aggiungere altro. I pugni chiusi a nascondere quella promessa nuda al dito che avrebbero portato addosso per sempre, l’azzurro pallido imbevuto di pioggia, il cappotto fradicio, di un nero che s’incupisce col passare del vento.
 
 
 
There is deep prejudice in me
Outshines all reason inside
Given dreams all ridden with pain
And projected unto the last

 
“C'è profondo pregiudizio in me, oscura del tutto la ragione interiore. Sogni impartiti eliminati dolorosamente, e proiettati fino all'ultimo.”
 
 
Semaforo rosso.


  
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