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Autore: Noth    27/11/2012    13 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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13 Reasons Why
Cassetta C Lato 5.








Non ero così forte, non potevo continuare ad ascoltare e sapere che tutti noi – perché sì, anche io – avevamo contributo alla demolizione di una persona. A volte era decisamente meglio non sapere. Mi guardai attorno e vidi un enorme cassone accanto a un edificio fatiscente. Ebbi il forte desiderio di prendere tutte le cassette e lanciarle oltre il bordo, così decisi di farlo. Mi tremavano le mani, avevo paura, non riuscivo a pensare. Non ero forte come aveva creduto, probabilmente, non mi importava se poi tutti avrebbero saputo, perché la verità era che non sapevo nemmeno io, non me ne stavo dando il tempo. Avrei buttato anche il registratore se non fosse stato un ricordo troppo importante per essere distrutto. Mi avvicinai attraversando la strada con le gambe molli e la voglia di vivere sotto ai tacchi. Era un incubo, un orribile incubo dal quale avrei voluto svegliarmi subito ed andare a salvare Blaine. Dio, se solo fossi stato più attento.

Okay, avevo deciso, non potevo ascoltare quei nastri un secondo di più, non per distruggermi in quel modo. Le mani tremavano violentemente e temevo che non sarei riuscito a stringere le cassette abbastanza da lanciarle nel cassone dove sarebbero state incenerite senza nemmeno uno sguardo. Ormai le premevo così forte nei palmi che faceva male, tutte e sette le audiocassette con i loro tredici numeri argentati sopra.

Era il momento di dire addio.

« Scusami se sono un codardo. » mormorai tra i denti, e stavo davvero per liberarmene, stavo per farlo.

Poi una voce.

« Non farlo, Hummel. »

Una voce profonda e triste alle mie spalle. Mi voltai, accorgendomi di avere delle copiose lacrime lungo le guance.

Patetico e stupido, ma ancora più patetico era chi stava di fronte a me in quel momento, le mani nelle tasche e la cresta scompigliata.

Indossava un giubbotto di pelle e la sua figura si stagliava in mezzo alla strada.

Noah Puckerman.

Cosa diavolo ci faceva là? Di colpo pensai di saperlo.

Mi asciugai le lacrime con rabbia ed il mio sguardo divenne ingiustamente ostile. Probabilmente Puck era nelle cassette ed aveva fatto del male a Kurt, alla pari di me, ma se le avessi buttate non lo avrei mai potuto sapere.

« Cosa vuoi? » sbottai, e quando lui fece un passo avanti nel buio io arretrai.

Sorrise malinconico.

Era comunque strano che fosse in zona industriale a quell’ora.

« Non buttarle. Ci ho pensato anche io, ma ti assicuro che poi vorrai sapere. Io sono tornato a prenderle. » con gli occhi indicò il cassone.

« Io… non lo farò. » risposi, distogliendo lo sguardo da lui.

« Oh, sì invece. E poi la tua è una storia che devi sentire. Lui ha il diritto di dirtelo. » spiegò.

Scossi la testa.

« Ho sicuramente fatto qualcosa di orribile. » piagnucolai, e odiavo piagnucolare, ma nel frattempo infilai in tasca le cassette.

Le avrei davvero mai buttate?

« Lo abbiamo fatto tutti, e tu hai sentito solo un pezzo della mia storia. A quale nastro sei? »

« Alla quinta persona. » risposi, schiarendomi la voce e ripetei una seconda volta.

Annuì.

« Quella che stai per ascoltare è una bella storia. »

Scoppiai a ridere mentre lui si stringeva nelle spalle.

« C’è seriamente qualcosa di bello in questi nastri? » chiesi, l’amaro della risata ancora in bocca.

« Devi pur vedere del bello ogni tanto, o l’ascolto diventa un incubo. »

Sospirai, il fiato tremolante che si condensava in una nuvola grigia.

Ci fu un silenzio orrendo, nel quale mi sentii in colpa per quello che avevo quasi fatto. Puck si girò e fece per tornare a nascondersi nell’ombra nella quale era probabilmente rimasto nascosto tutto il tempo.

« Aspetta. » lo chiamai. « Finora so solo che lo hai preso in giro quando anche tu stesso te la spassavi con Sam. » rabbrividì a sentirselo dire. « Dici che mi manca metà della storia ma te lo voglio chiedere lo stesso. Perché hai fatto quello che hai fatto? Credi che se lo avessi saluto prima ti saresti comportato diversamente con lui? »

Puck non ci pensò nemmeno.

« No, ciò che abbiamo fatto è ciò che siamo. Evidentemente non siamo delle belle persone. » rispose, ma non gli credetti del tutto perché, nonostante tutto, aveva buttato le cassette ed era tornato a riprenderle e, inoltre, era ancora lì a quell’ora a sentirsi in colpa e a riflettere.

Chissà, allora, perché le persone mentivano.

Nel tempo in cui mi ero fermato a pensare, Puck era già scomparso.

Nonostante fosse buio e la strada non fosse poca, decisi che sarei tornato in città a piedi.

Per non sentirmi solo, ficcai una delle cassettine nel registratore, feci un respiro e lanciai un’ultima occhiata al cartello sbilenco. Mi misi a camminare, schiacciando lentamente il tasto play.

Siamo arrivati alla quinta persona, è stato relativamente veloce. Non indolore, ma veloce. Ci sto mettendo meno del previsto, decisamente. Siamo a una delle cassette che mi ha fatto capire che non potevo restare. Che rischiavo solo di peggiorare, più a lungo fossi rimasto. Ed, in effetti, è quello che è successo, ma a breve smetterà di accadere.

Quasi inciampai per il dolore di sentire pronunciare delle parole così tristi con così tanta rassegnazione.

Mike, non avrei voluto includerti in questa lista, eppure ci sei. Sì, Mike Chang. Non ti agitare, Tina, se stai ancora ascoltando. Non vale la pena agitarsi, suppongo. Mike, scusami. Probabilmente nessuno di voi lo sa, non so se è una fortuna o meno, ma Mike soffre di bulimia nervosa. Come lo so? Fui l’unica persona a cui lo disse perchè non avevo contatti con nessuno e tutti mi odiavano. A chi avrei potuto dirlo? Un giorno ero rimasto a scuola il più possibile per non restare troppo tempo a casa da solo senza nessuno attorno, per quanto a nessuno andasse davvero di starmi accanto, ma avevo troppa paura di me stesso. Avevo più volte pensato di tagliarmi solo per vedere se davvero distraeva da altri tipi di dolore, e avevo paura di farlo. Non ero sicuro che fosse una buona idea. Uscirono tutti i giocatori di football che finivano allenamento, alcuni tirandomi pacche sulla testa e ridendo. Anche Finn, che si girò a guardarmi, e Puck che rideva spintonando Sam che sembrava davvero stanco. Ma poi volevo solo che non mi importasse di ciò che faceva nessuno dei tre. Eppure mi importava.

Sei uscito dopo di tutti, Mike, e si sa che non resta mai nessuno a scuola dopo la squadra di football, quindi era tutto di una solitudine spaventosa.

Ti sei seduto accanto a me, hai appoggiato la borsa e sei scoppiato a piangere. Accanto a me! Pensai che fossi ubriaco, invece stavi male. Piangevi in silenzio, ma ti tremavano le mani.

Avevo paura ad espormi, ed avevo paura ad avere un giocatore della squadra che mi aveva picchiato accanto a me. Ma poi tu cominciasti a parlare, e decisi che dovevo stare ad ascoltarti.

« Non voglio giocare a football, non voglio andare bene a scuola. O meglio, lo voglio, ma non è il mio primo pensiero. E voglio smettere di sentirmi così… lo sai cos’è peggio? Che non posso dirlo a nessuno e questa… cosa mi sta uccidendo. Voglio ballare, voglio ballare e invece… »

« Invece? » mormorai, guardando dritto davanti a me. Ero fuori allenamento con le conversazioni, e quella si stava rivelando una delle più strane avute negli ultimi tempi. O l’unica.

Tu deglutisti a vuoto.

« Non posso dirlo. »

« Lo so. »

« Vorrei. »

« Parlare con me è come parlare ad un fantasma, se ti consola. » replicai, sperando che cogliessi il riferimento a ciò che mi veniva fatto e, inaspettatamente, lo facesti. Mi desti una delle risposte che non avrei mai creduto di udire da qualcuno di voi.

« Mi dispiace. »

« Sul serio? » quasi risi amaramente.

« Sul serio. »

Rimanemmo in silenzio. Volevo parlarti ma avevo imparato dalle esperienze passate che non era mai una buona idea, però, se non volevo andare a casa da solo un’altra volta, dovevo trovare qualcosa da dire per non farti andare via.

« Penso di… sai cos’è la bulimia? » chiedesti. Io annuii lentamente. Riuscivo a sentire le mie sopracciglia assumere la forma di una tettoia, la tipica espressione che assumevo quando ero preoccupato.

« Credo… credo di essere bulimico. » sussurrasti, come se stessi sputando un cibo particolarmente amaro. Lo dicesti così piano che sembrava stessi confessandomi la colpevolezza di un omicidio, ma cos’era la bulimia se non un tentato suicidio giornaliero? Il fatto che ne stessi parlando, quando le persone solevano tenerselo per sé, mi fece capire quanto dovevo a malapena esistere in quell’universo.

E voi non sapevate niente, non vi siete mai accorti né di me né di Mike Chang che era vostro amico.

Il modo in cui aveva detto “voi” mi fece stringere il cuore mentre camminavo a bordo strada e l’autobus mi oltrepassava venendomi incontro e tornando in zona industriale. Notai con una nota dolorosa che Mike era ancora dentro, con la testa poggiata sul finestrino.
Forse avrei dovuto parlargli, e decisi che lo avrei fatto presto. Non quella notte, però.

« E perché lo fai? » ti chiesi, so che te lo ricordi perché, inaspettatamente, avevi la risposta.
« Perché non può essere peggio di così, giusto? » dicesti, e ti voltasti a sorridermi malinconicamente.
Ti ricordi che sorrisi? Io sì, perché era passato così tanto tempo dall’ultima volta che mi parve di strapparmi la faccia, giuro, sento ancora la sensazione.
Dopo quel giorno iniziammo a vederci di nascosto, e vorrei dirvi dove, ma allora quel posto perderebbe quel qualcosa di speciale che ha ora.
Tanto sono morto, starete pensando, ed io vi rispondo che credo di potermi permettere che mi importi di qualcosa.

Nonostante la tua presenza, Mike, come tu ben sai, iniziai a tagliarmi in ogni caso. Semplicemente era la cosa più facile da fare, ciò che mi permetteva di non sentirmi inesistente. Il dolore, quella piccola linea di bruciore, mi riportava alla realtà.

Un giorno lo scopristi, Mike, ti ricordi come? Wow, mi sembra di ricordarmi un sacco di cose.

Semplicemente eravamo seduti l’uno di fronte all’altro, i vestiti cominciavano a caderti sempre più larghi e, stiracchiandomi, mi si scoprì un polso e ci feci caso troppo tardi. Vedesti le piccole linee chiare che mi percorrevano i polsi martoriati e pensai di avere oltrepassato il limite.

Tra parentesi, sai che ancora non so come facessi a trovare tutto quel tempo da passare con me senza farlo sapere a nessuno? Voglio dire, eri sommerso di impegni…

In ogni caso.

Riuscii quasi a ridacchiare per quel pensiero assolutamente casuale inserito in un discorso orrendamente serio.

Mi prendesti il polso e poi mi abbracciasti. Avevo dimenticato il profumo e la sensazione degli abbracci e, anche se non ci crederai, è per quello che scoppiai a piangere, non perché mi avevi scoperto. Mi resi conto che volevolo sapessi perché avevo paura ed odiavo l’idea di lottare da solo, ma tu mi hai preso per mano e mi hai mostrato che c’era qualcuno con me. Assurdo, un giocatore di football, vero?

« Ti prometto che proverò a smettere il mio se tu smetterai il tuo. Aiutiamoci a vicenda… ti va? » dicesti.

Qualcuno voleva aiutarmi. Credo di aver capito dopo tanto tempo che non ero costretto a scegliere di stare da solo. Dopo un mese compresi per la prima volta che tu mi piacevi molto, Mike, e sembrava che io piacessi a te.

Ed è proprio per questo che ho fatto quello che ho fatto.

Da quel momento in poi cercai di ferirmi, e solo per non farti stare male. Se c’era una cosa che avevo imparato era che mi affezionavo decisamente troppo in fretta.

Però un giorno mi presero e mi buttarono nei cassonetti del retro della scuola. Non avete idea di quanto faccia schifo e quanto ti faccia sentire davvero spazzatura. Quando smisi di piangere e riuscii a trovare la voglia di uscire, sapevo benissimo cosa avrei fatto. Avrei voluto essere capace di non farlo diventare il mio primo pensiero, ma non ci riuscivo. Mi accucciai dietro al cassonetto, nonostante ormai lo spettacolo fosse finito e non vi fosse più nessuno e… e… per qualche motivo arrivasti e mi prendesti dopo che ero riuscito a fare una piccola e sottile linea soltanto. Non sapevo nemmeno di avere ancora la lametta dietro, in realtà. Sta di fatto che eri accanto a me, con un fazzoletto in mano e l’aria corrucciata. Mi tamponasti la ferita, che bruciava parecchio, ma la cosa peggiore era la tua espressione delusa. Poi però spiegasti.

« So quanto è difficile smettere. Io non sono riuscito a fermare il mio… problema. Ci ho provato per te, ma voglio che tu lo faccia perché sei… vale la pena. Insomma, ti prego, non farlo più. »

E restammo in silenzio. Nemmeno so perché ti importasse di me. Eravamo così impotenti.

« Non sei costretto a restare con me, se qualcuno ti vede ne pagherai le conseguenze. » ti dissi, ma non volevo mandarti via, eri l’unica cosa che avevo.

« Tu non eri costretto a non dire a nessuno del mio problema. Ci avresti guadagneresti popolarità, a chi non piace un bel pettegolezzo? » sorridesti, e capii la tua paura.

Quel momento è stampato nella mia memoria come un flash, ancora adesso. Mi carezzavi le cicatrici sul polso mentre io sentivo le tue costole che iniziavano a sporgere sotto la pelle. Poi.
Bè, poi.

Non volevo ascoltare, Blaine, perché lo avevi inviato anche a me? Non volevo sapere questa storia e, se non avessi avuto le mani congelate, probabilmente avrei stoppato. Per compensare mi morsi le guance e cercai di far smettere gli occhi di bruciare.

Un bacio non è poi una gran cosa, credo, però è successo e ho capito che era completamente sbagliato. Le nostre due galassie autodistruttive non erano fatte per collidere, solo per farsi un po’ compagnia, ma se troppo vicine avrebbero creato un buco nero. E non potevo permettermi di distruggerti.

Ero sollevato? Sì, eppure enormemente triste. Mi sentivo un egoista e odiavo tutta quella sofferenza. Odiavo che la sua voce si spezzasse mentre parlava. Ed odiavo non poter fare nulla a riguardo.
Odio, troppo odio.

Guarda che discorsi mi trovo a fare, ma devi sapereche sono scomparso per una ragione, che sono scappato e ti ho evitato per un motivo, e quel motivo eri tu. Hai continuato a cercarmi, lo so.
Spero solo che tu sia guarito, perché io no.

Ah, ciao Tina.

Scusami.

Mi fermai, col vento che mi schiaffeggiava la faccia.

 So che pensavi ti avessi usato per vendicarmi di lei e del suo rumors, ma ti posso giurare sulla mia vita – o forse no, ormai no – che mi ero ampiamente dimenticato della sua esistenza, da bravo egoista che sono.
Bè, il mondo si è dimenticato di me così tante volte che immagino sua un bel modo di riparare.

Un pausa.

No, affatto.

Rischiai di cadere a terra, un ginocchio mi cedette e mi faceva male la testa. Allungai una mano verso il cielo, un gesto da film, ma nessuno la afferrò. Lo spirito di Blaine, o chi per lui, non poteva fare nulla per lenire una sofferenza che, fino a poco prima, era stata solo sua.

Più restavo, più ferivo e venivo ferito. Non potevo meritarmi nessuno perché lo avrei trascinato sotto la mia valanga di terra. Non era giusto, no?
No.

Ho iniziato a macchinare tutto dopo di te, Mike, seriamente.

Ah, e voglio che ti sappia che non è colpa tua, ma mia. Volevo che capissi che non eri tu la mia… supernova.

Non eri tu.

Era un altro.

Fine cassetta C lato 5.

Macabramente divertente fu lo scatto della cassetta che si fermava all’istante, terminata. Alzai lo sguardo e scoprii di essere a un centinaio di metri dal cartello di entrata della città.

Avevo camminato veloce, uh.

Inizia a correre, il cuore che si rifiutava di battere velocemente nel petto. Morto e stanco.
Blaine e Mike. Non erano fatti per stare assieme. Da come lo aveva raccontato, se non lo era lui chi lo era? Io?

Io e lui…

Noi…

Mi aggrappai al palo e singhiozzai forte nella notte, cercando di tapparmi la bocca per non svegliare nessuno. Se c’era una cosa che non volevo fare era dare spiegazioni. Non in quel momento, né mai.

Quando nemmeno l’amore può salvarti e, invece, ti distrugge, cosa puoi fare?

Non andartene…

Disse una voce dentro di me.

Non andartene…




















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Spazio Aurtice:
Non avete idea di quanto sia stato difficile scrivere di Mike e Blaine. Seriamente. Pensavo di morire.
Ma ce l'ho fatta, e capirete dove porterà.

Grazie per ogni bellissima recensione e condoglianza per Leo. Scommetto che sarà felice.

Un bacio.
   
 
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