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Autore: AxXx    29/11/2012    3 recensioni
Sono i Personaggi di KH ed ancora una volta dovranno affrontare un nemico conosciuto, ma in un nuovo mondo e con poteri inimmaginabili, affrontando nemici con risorse illimitate in confronto a loro.
In un mondo dominato dal pregiudizio e da una dittatura mascherata Sora ed i suoi amici dovranno squarciare il velo della menzogna e liberare l'uomo da una falistà che si è creata da sola.
"E gli uomini vollero l'oscurità, piuttosto che la luce" (Dal vangelo di Giovanni)
[Questa Fic la dedico a Reno_Dedé_Turks, che mi ha ispirato e che mi ha messo tra le persone che ammira (Anche se non credo di meritare questo onore) ;). Quindi il 60% (E forse anche 80%) per cento dei complimenti che farete saranno rivolti a lei]
Genere: Azione, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Riku, Sora, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
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                               Riku.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Naminé scese dall’autobus tre fermate prima del previsto.
Su tutti i canali erano apparse foto di lei, sua sorella e suo padre ed avvertivano di contattare immediatamente le autorità, se mai le vedessero.
Non osò rimanere di più in quel luogo chiuso.
Alla prima fermata uscì dal veicolo.
Non conosceva il quartiere in cui si era fermata: era una zona che non conosceva.
Avrebbe voluto cercare sua sorella, ma non sapeva dove andare.
La città era molto grande e tutti gli edifici erano uguali.
Fuori dal suo percorso abituale, si sentiva spaesata e persa.
A ciò si aggiungeva la paura di essere vista e scoperta: non voleva pensarci.
Ogni volta che urtava qualcuno, si stringeva nelle spalle, maledicendo di non avere un cappuccio e si allontanava con un veloce: “Scusi.”
Gli edifici bianchi sembravano sagome minacciose, legioni intere di palazzi bianchi che si estendevano all’infinito.
L’ansia divenne via, via sempre più opprimente.
Ad un certo punto dovette attraversare la strada e quello fu un errore.
Mentre attraversava un vigilante la scorse, o per lo meno, fu quello che capì lei quando incrociò il suo sguardo.
Naminé affrettò il passo, pregando che non l’avesse riconosciuta, ma fu subito smentita quando una inclinando la testa di lato riconobbe l’inconfondibile uniforme bianca dei vigilanti.
Stava comunicando qualcosa ad un apparecchio sulla sua spalla.
La ragazza si mise a correre tra la folla, cercando di mettere distanza tra lei e l’uomo, ma quello, accortosi dell’improvvisa fuga, la inseguì.
Sul marciapiede le persone si voltavano quando quella ragazzina le urtava, il vigilante urlava delle cose alle persone, ma quelle non reagivano abbastanza in fretta dando il tempo a Naminé di fuggire.
Lei, però, non era allenata come il suo inseguitore, le gambe cominciarono a farle male dopo poche centinaia di metri e la sua resistenza, già limitata di suo, era compromessa dal forte stress avuto in precedenza.
L’inseguimento durò pochissimi secondi, forse non più di un minuto, ma subito lei si fermò un attimo per riprendere fiato mentre i passi alle sue spalle si facevano sempre più vicini.
“Fermatela!” Gridò l’uomo alzando una specie di manganello che emanava un alone azzurrino elettrico.
Naminé si mise di nuovo a correre imboccando un vicolo laterale.
Girò l’angolo e si trovò in un vicolo cieco.
‘No! E adesso!?’ Si chiese disperata, mentre si guardava freneticamente intorno alla ricerca di una via di fuga, ma l’unica scala antincendio era sollevata.
“Stai ferma lì!” Le intimò una voce alle sue spalle.
Lei non osò muoversi.
‘È finita, chissà cosa mi faranno?’ Si chiese in preda allo sconforto.
In quell’istante un rumore attirò la sua attenzione, come di un corpo che cadeva a terra, ma non volle muoversi.
Dopo pochi secondi un paio di robuste braccia la avvolsero in un caldo abbraccio.
“Meno male che ti ho trovato in tempo, Nam!” Disse una voce familiare che le dette i brividi.
“Riku!” Disse sollevata, mentre rispondeva all’abbraccio con trasporto.
Il vigilante giaceva svenuto a terra pochi a pochi passi da loro.
La tensione che permeava il suo corpo si sciolse tutto di un colpo e le sue gambe crollarono, mentre alcune lacrime di gioia e paura iniziarono a rigarla il volto.
“Ehi, calma, tirati su, che dobbiamo andarcene!” La esortò dolcemente l’argenteo tirandola su.
“Ehi! Piccioncini! Vi sembra il momento? Avanti venite che dobbiamo andarcene!” Li chiamò la ragazza di nome Faith che abbassò la scala antincendio.
Riku la condusse, tenendola per mano, fino alla scala e salì per primo subito seguito da lei che, con un po’ di fatica arrivò alla terrazza di ferro.
“Forza, dobbiamo arrivare in cima!” Disse la mora continuando ad arrampicarsi energica.
Se lei e il ragazzo erano ben allenati ed abituati ad affrontare quelle salite, Naminé dovette sforzarsi parecchio per raggiungere la cima dell’edificio.
“Avranno già trovato il loro compagno, dobbiamo sbrigarici!” Disse Riku mentre sotto di loro, a conferma delle sue parole, si radunavano altri vigilanti.
Il gruppo superò una serie di impalcature improvvisate raggiungendo il tetto di un edificio vicino.
“Come sapevi che ero nei guai?” Chiese Naminé mentre correvano.
“me l’ha detto Faith, l’ha saputo dopo che te n’eri andata, ma non è riuscita a raggiungerti, così poco dopo che sono tornato, ci siamo messi a cercarti. È una fortuna che tu sia riuscita a fuggire.” Rispose l’argenteo.
Faith saltò con un'unica mossa un vicolo largo quattro metri e allungò una specie di instabile ponticello di ferro per permettere ai due di attraversare.
“Bene, ora raggiungiamo la strada, presto!” li esortò la ragazza mentre scendeva usando la scala antincendio del secondo edificio.
La corsa verso il basso fu rapida della salita, dato che bastava scivolare lungo il ferro scivoloso che componeva la rampa.
Al pian terreno entrarono nel vicolo, per poi uscire di nuovo sul marciapiede.
“Ecco Celes!” Disse Riku indicando una ragazza dai capelli biondi con la maglietta rossa ed i pantaloni bianchi appoggiata ad una macchina simile ad una jeep coperta.
I tre la raggiunsero.
La ragazza, raggiunta dal gruppo, salì sul veicolo, seguita dagli altri e facendola partire.
“Dove andiamo?” Chiese Naminé mentre notava che le strade venivano bloccate dai vigilanti.
“Andiamo alla base dei Runner, nei bassifondi, un altro gruppo si sta occupando di tua sorella e del suo amico.” Spiegò Riku mentre si alzava il lato destro dei pantaloni.
Solo in quel momento Naminé si accorse della ferita che aveva il giovane.
Sembrava uno sparo.
“Che ti sei fatto?” Chiese la ragazza distogliendo lo sguardo incapace di osservare mentre lui si cambiava la fasciatura.
“Diciamo che l’ultimo incarico era parecchio importante per chi ci aveva chiesto di farlo, tento che i vigilanti ci hanno sparato a vista.” Spiegò lui mentre il sangue tornava a scorrergli lento, ma inesorabile, lungo la gamba.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sora e Kairi capirono subito che l’autobus non era un luogo sicuro dove nascondersi.
Tutti gli schermi, compresi quelli pubblici, trasmettevano soventemente la loro immagine bollandoli come ricercati.
“Cosa facciamo?” Chiese Sora dopo diversi minuti di fuga.
Si erano rifugiati in un vicolo sul retro di un ristorante per sfuggire ad una pattuglia di vigilanti che stava setacciando quella zona della città.
“Dobbiamo raggiungere mio padre, lui potrebbe avere una spiegazione su tutto questo, non posso credere che ci stiano cercando solo perché sei uno Psionico, dev’esserci dell’altro.”
Senza dire una parola si incamminarono, ma si resero subito conto che non ce l’avrebbero mai fatta senza un veicolo.
La città era immensa e per girarla a piedi ci volevano almeno due giorni, senza contare i controlli al limitare di ogni quartiere.
Dovevano anche stare attenti, perché ogni passo era pericoloso, rischiavano di essere scoperti.
C’erano un sacco di pattuglie e tutti gli schermi pubblici mostravano l’immagine di loro due e di una ragazza bionda, la sorella di Kairi, ricordando che erano criminali pericolosi mettendo l’accento sul fatto che Sora fosse anche uno psionico.
‘Dobbiamo uscire da questa situazione... Potrei consegnarmi...’ Pensò Sora cercando un modo per far cessare quell’assurda caccia all’uomo.
Attraversarono tutto il quartiere a piedi, camminando a testa bassa tra la folla, cercando di attirare meno attenzione possibile, mentre le macchine sfrecciavano sulla strada.
Al tramonto, quando il cielo si tinse di rosso, raggiunsero una specie di enorme piazza.
Era uno spazio completamente circolare dove c’era la porta che separava il loro quartiere dal quartiere lavorativo, dove avrebbero dovuto trovare il padre di Kairi.
Il muro era di pietre, molto spesso ed alto almeno dieci metri con le pareti lisce, impossibili da superare.
L’unica porta era presidiata da dieci vigilanti.
Attaccato alla porta della mura, inoltre, c’era un enorme edificio alto tre piani, totalmente piatto e senza aperture, tranne una porta di metallo blindata, probabilmente una caserma.
“Non possiamo passare di qui.” Disse Kairi mentre si affrettavano ad entrare in un vicolo per non essere visti.
Il viottolo si  districava tra gli edifici più vicini alle mura.
Erano stranamente malmessi rispetto a quelli nella parte più centrale del quartiere.
“Forse potremmo riuscire a scalare le mura...” Disse Sora osservando una parte di esse che sembrava un po’ più crollata.
Stavano per raggiungerle, quando un individuo afferrò Kairi per il giacchetto.
Sora si voltò, ma qualcuno afferrò anche lui, mentre altri due uomini si avvicinarono.
Erano tutti e quattro di corporatura robusta ed indossavano ei vestiti consunti.
Uno di loro aveva una folta barba nera incolta, mentre quello che teneva il ragazzo era completamente calvo.
“Bene, bene, cosa abbiamo qui?” Chiese uno dei due uomini sopraggiunti osservandoli con sguardo avido. “Cosa ci fanno un paio di ragazzini ben vestiti come voi, qui ai margini del quartiere?”
I due non risposero ed abbassarono la testa, sperando di non essere riconosciuti.
“Abbiamo perso la lingua, vedo, bene, Joshua, Malek, perquisiteli e cercate qualcosa di utile, voi due fate i bravi e, forse non vi succederà niente.” Li minacciò il loro capo facendo un cenno ai due che li tenevano, mentre impugnava una pistola.
Sora rimase zitto evitando di attirare l’attenzione, sapendo che avrebbero potuto riconoscerlo e lascio che gli controllassero le tasche.
Passarono pochi interminabili minuti, durante i quali i due cercarono di mantenere la calma.
“Capo, questi qui non hanno niente!” Disse il ragazzo che teneva Sora.
“Ma qualcosa hanno...” Disse allusivo quest’ultimo osservando Kairi con uno sguardo che non prometteva niente di buono.
“Facciamo un patto.” Disse rivolgendosi a Sora con un sorriso di scherno. “Tu ci... presti la tua ragazza. Quando abbiamo finito ve ne andate.”
“Non ci provare nemmeno!” Urlò Sora alzando la testa infuriato c ercando di divincolarsi.
Non avrebbe mai permesso a quei bastardi di toccare Kairi.
Lei intanto  cominciò a divincolarsi urlando, cercando di non farsi toccare.
In quell’istante quello che accompagnava il capo si sporse verso di lui.
“Ma tu sei quello che stanno cercando!” Urlò improvvisamente spaventato.
Fu un attimo.
Sora evocò il potere della sua mente e sprigionò un onda d’urto che travolse tutti i presenti.
Sora fu spossato da quel semplice utilizzo di poteri, ma ne ebbe abbastanza forza da attirare la pistola verso di se.
La afferrò e la puntò contro il capo della banda, mentre si avvicinava a Kairi per vedere come stava.
“Vattene!” Intimò all’uomo che aveva alzato le mani.
Quello si voltò subito seguito dai suoi compari, fuggendo in un altro vicolo laterale.
Avanti, Ka, dobbiamo andarcene.” La esortò il ragazzo, tirandola su.
Lei ansimò un attimo, poi lo guardò e lo abbracciò
“Grazie, non voglio pensare a cosa mi avrebbero fatto.” Disse con voce rotta stringendolo.
“Ho avuto paura anche io per te, ma dobbiamo andarcene, quelli avvertiranno sicuramente i vigilanti, dobbiamo muoverci!” Disse il ragazzo staccandola gentilmente dalla sua vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I vetri della jeep erano oscurati, quindi Naminé poté vedere il posto dove si trovavano solo quando uscirono.
Era il luogo più in rovina che avesse mai visto.
I suoi compagni le avevano detto che sarebbero andati nella parte più povera della città, ma quello era il posto più desolato che ci si potesse immaginare.
‘Com’è possibile che a così pochi passi da una città sfarzosa e ricca come la nostra, ci sia un luogo così povero e desolato.’ Pensò osservando il paesaggio circostante.
Era una grande città in rovina.
Palazzoni grigi sovrastavano la zona dall’alto dei loro cinquanta metri di altezze e anche oltre.
Il grosso della gente viveva sopra di essi in quelli che un tempo erano uffici dei più sfarzosi che si potessero immaginare.
Erano pochi, però a vivere oltre il terzo piano.
La maggior parte viveva al livello della strada ammassandosi in baracche anguste e strette che invadevano una strada già dissestata di suo.
L’unica in condizioni accettabili era la strada principale, unico collegamento tra la città centrale e quella malmessa dove si trovavano loro.
L’odore nauseabondo degli scarichi non riparati si sentiva anche da metri di distanza e la gente, a quel che si poteva capire, viveva probabilmente senza luce.
‘è un incubo: Eden dovrebbe rendere uguali le persone in qualunque situazione, perché lascia questa gente in una misera tanto opprimente?’ Si chiese Naminé.
Si trovavano su quello che un tempo era il tetto di un parcheggio a più piani della città antica.
Era per metà crollato ed era protetto da una specie di rete metallica, che era stata montata sul bordo, mentre dei ponticelli improvvisati, fatti di metallo, collegavano quel palazzo ad altri edifici vicini.
“Che c’è principessina, ti aspettavi strade asfaltate in oro qui nei bassifondi?” Le chiese Celes con tono pungente.
“Smettila, Cel, non mi sembra il caso di infierire così!” La redarguì Riku osservandola con sguardo infuocato, mentre Naminé arrossiva fino alla radice dei capelli sapendo che un po’ la ragazza aveva ragione.
L’argenteo le si avvicinò prendendola per le spalle con gentilezza.
“Non darle ascolto, vieni, il nostro capo vorrebbe parlarti.” Disse piano scrutandola con attenzione accompagnandola ad una roulotte.
In effetti il tetto era una specie di villaggetto di una decina di roulotte messe un po’ a caso che probabilmente erano le case dei jumper e con al centro una più grande.
Quella dove la stava portando Riku.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Allora, ecco l’ennesimo capitolo dove iniziamo a cadere sempre di più nei Bassifondi di queste futuristiche città.
Come potete vedere sono riuscito a descriverle un po’ meglio della parte più ricca (Almeno spero, ecco.)
Comunque so di aver fatto tardi, ma ho dovuto aggiornare un’altra fic, quindi non mi linciate.
Spero che vi piaccia.
Recensite, mi raccomando ;)
AxXx

  
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