Illusione
Soffia il vento, le fronde degli alberi vengono agitate e il cielo è plumbeo.
Un tappeto di fitte nuvole oscura la fredda luce del sole invernale.
Si ode solamente il suono cullante delle foglie che si sfiorano.
Il vento che le muove non è quello che accompagna una tempesta, ma quello che la precede, quello che gonfia i mantelli e fa ondeggiare gli orli delle vesti, che le solleva, non quello che le strappa.
Questo vento scuote le chiome, non le rende simili a fruste.
È un vento che sollecita la malinconia; è quel vento che odi in una sera d’inverno, mentre siedi davanti al caminetto acceso, con una tazza di tisana calda tra le mani e lo sguardo perso tra le fiamme.
Pare fuori luogo a quest’ora: il crepuscolo.
Non puoi vedere la luce del sole, ma immagini che sia passato tanto tempo da quando le prime nuvole hanno velato il sole di mezzogiorno, ma non si sono ancora tinte di blu, quindi la notte non è ancora scesa.
Sei appoggiata con il capo alla finestra di pietra, dalla quale il freddo entra pungente.
Uno scialle di lana dai colori rustici, è appoggiato alle tue spalle e ti scalda, sebbene non molto. I tuoi lunghi capelli castani, dai riflessi rossicci, sono raccolti in una stretta crocchia che sfiora il collo e i tuoi occhi seguono, pieni di lacrime, un uomo.
Cammina impettito, lento, regale. È avvolto in un manto verde smeraldo, dai ricami argentei.
A un primo sguardo sembrano solo linee curve che si intrecciano in un arabesco senza fine, ma tu sai che non è così.
Per anni hai consumato i tuoi occhi su quel mantello, osservandone ogni più piccolo particolare e sognando che l’uomo a cui apparteneva si voltasse verso di te con un sorriso e lo sguardo colmo d’amore.
Non l’ha mai fatto.
Ma tu non ti sei mai stancata di fissare quella schiena, nascosta sotto il cappuccio del tuo manto color ruggine.
Vi è rappresentato un serpente, grande, bellissimo, crudele.
Come lui.
Ma, dopotutto, Salazar Serpeverde avrebbe potuto mai essere diverso da quello che è?
Quante notti insonni hai trascorso pensando a questo?
La tua mente corrosa dal dubbio che la sua crudeltà gli impedisse persino di amare.
Ora non hai più dubbi, non puoi averne.
Lui ti sta lasciando, e tu non ricordi nemmeno l’ultima volta che quelle labbra si sono schiuse in un sorriso destinato a te, a te soltanto.
Forse non è mai accaduto.
Le sue impronte spiccano nitide sulla neve fresca, caduta appena la notte prima.
Il suo manto verde fluttua intorno alle caviglie e le piccole onde che forma sembrano increspature di un mare cristallino. La sua figura slanciata si sta allontanando sempre più, si confonde con il paesaggio, a mano a mano diviene sfocata e i contorni si fanno meno nitidi, come se a un pittore di acquarelli fosse caduto un bicchiere d’acqua sulla tela.
O forse sono le lacrime che ti impediscono di distinguerlo chiaramente.
Il tuo amore, l’unico uomo che avresti potuto amare.
Un uomo crudele.
Un uomo che non sa cosa sia l’amore.
Eppure tu, caparbia, eri convinta che alla fine qualcosa sarebbe accaduto, che il tuo carattere mite e dolce avrebbe schiuso la catena che tiene da sempre serrato il suo cuore. La prova del tuo fallimento ora si presenta dinnanzi a te, chiara, inequivocabile: lui sta lasciando Hogwarts, la scuola che avete fondato assieme solo quindici anni orsono senza nemmeno rivolgerti una parola di commiato.
Quindici anni.
Non pensavi ne fossero trascorsi così tanti, ti sembra che siano volati.
Ogni giorno ti levavi, ti guardavi allo specchio, chiedendoti se forse quel giorno si sarebbe accorto di te, se quel giorno sarebbe stato memorabile.
Ogni sera rientravi nella tua stanza con il cuore infranto, eppure la mattina dopo ti facevi le stesse illusioni e uscivi con il sorriso sulle labbra, lo sguardo sognante e la sera di nuovo lacrime. Per quindici anni.
Quante volte ti avrà parlato in questi anni?
Un centinaio di volte?
Forse solo per i consigli in cui decidevate i voti dei vostri alunni.
Nulla più.
Mai un saluto, mai una parola gentile.
Ma tu hai custodito nel cuore quelle poche che ti ha rivolto come se fossero gocce di diamante.
Non le hai mai dimenticate.
Hai speso tutta una vita, un’intera esistenza dietro il fantasma di un amore.
Non ti mancavano spasimanti, certo, non ne avevi tanti quanti ne aveva la tua amica Priscilla, ma, di tanto in tanto, qualche aitante giovane bussava alla tua porta.
Non li hai mai visti, mai considerati, non hai rivolto loro nemmeno uno sguardo. Forse tra loro ce n’era uno che avrebbe reso la tua vita un giardino e non avrebbe permesso a un deserto privo di oasi di impossessarsi del tuo cuore.
Ricordi nitidamente il giorno in cui su di te cadde il primo granello di sabbia.
Era una mattina calda, il cielo privo di nuvole e il sole splendeva abbagliante.
Vent'anni fa.
Lui entrò al Paiolo Magico e si sedette a un tavolo, poi tu entrasti e ti sedesti a suo fianco, in silenzio, senza osare rivolgergli per prima la parola.
Tu, Godric, Priscilla e Salazar dovevate incontrarvi li, non ricordi nemmeno più il motivo.
Sai solamente che, quando Priscilla entrò, al braccio di Godric, lui le lanciò un’occhiata colma di desiderio e ne riservò una piena d’odio al giovane compagno.
In quell’istante il tuo piccolo mondo ha iniziato ad andare in frantumi.
Con gli anni le crepe sono diventate centinaia. Priscilla era l’unica donna a suscitare in lui un qualche interesse, ma non disdegnava le altre, che si gettavano ai suoi piedi folgorate dalla sua gelida bellezza e dal suo immenso potere.
Persino Godric, in una delle loro tante, accese e violentissime discussioni gli aveva intimato che, se il suo comportamento da disinvolto libertino non fosse cessato al più presto sarebbe stato costretto ad allontanarlo dalla scuola
Oggi il tuo piccolo mondo si è infranto.
Oggi hai compreso che per lui eri poco più che un ornamento, una figura silenziosa che si muoveva attraverso i corridoi di Hogwarts, una figura insignificante, indegna di attenzioni, che doveva sopportare solamente perché amica d’infanzia di Godric.
Ma, dopotutto, come dargli torto?
Non possiedi la bellezza sfolgorante di Priscilla, i cui occhi color dell’onice, contornati da folte ciglia scure, catturano chiunque, non hai la sua grazia innata, che le permette di volteggiare, fendendo l’aria, come un cigno, né hai il suo portamento, simile a quello di una regina.
Nessuno ti si è mai avvicinato attratto dal tuo aspetto: non piace la tua chioma rossiccia e opaca, raccolta perennemente in una crocchia e coperta da un veletto bianco, non piace la tua figura, bassa, troppo magra, né le tue labbra, sottili e chiare. Non piacciono i tuoi occhi verde chiaro, né la tua carnagione pallida.
Tu sai di non essere affatto bella.
E nemmeno intelligente.
Priscilla invece possiede un acume fuori dal comune.
Può conversare su qualunque argomento, comprende velocemente ogni cosa, è curiosa. Bella, intelligente, affascinante, superba, spigliata. Ha sempre avuto decine di pretendenti che facevano la fila dinnanzi alla sua porta.
Perché la Fortuna ha voluto essere tanto generosa con lei e tanto avara con te?
Questa è la domanda che ti poni ogni volta che osservi il modo in cui Godric la segue con lo sguardo, senza perdersi nemmeno un suo movimento.
Odi i suoni dell’amore provenire dalle loro stanze durante la notte e lo scalpiccio degli alunni che si divertono a spiare i loro professori nell’intimità.
Le risatine dei giovanotti e i gemiti indignati e scandalizzati delle ragazze, che, pur ritenendo l’amore carnale cosa impura come è stato loro insegnato non riescono a trattenersi dallo spiare la più bella strega del mondo magico e il mago più saggio e aitante in momenti estremamente privati.
Nemmeno loro ti considerano.
Oh, certo, ti rispettano mentre tieni le tue lezioni, ma se devono confidarsi, raggiungono Priscilla, se devono chiedere giustizia, si recano presso le stanze di Godric e se vogliono vendetta chiedono di Salazar.
Persino la materia che insegni è insignificante, se paragonata agli altri argomenti affidati ai tuoi amici.
Priscilla insegna Incantesimi, Godric Trasfigurazione e Salazar, il tuo Salazar, Pozioni e Difesa Contro le Arti Oscure.
E tu?
Tu cosa insegni?
Erbologia.
Accosti le ante di legno della finestra e ti lasci scivolare sul pavimento di marmo, freddo, gelido, come il tuo cuore. Non scendono lacrime dai tuoi occhi color salvia, il dolore giungerà dopo, e allora piangerai, ma adesso tutto quello che senti dentro di te è un grande vuoto, incolmabile, che divora tutta l’allegria e la gioia, per lasciare un grande deserto privo di qualsiasi emozione.
Rimani sveglia tutta la notte e il giorno dopo continui a fissare il vuoto con espressione assente.
Non ti alzi, non mangi, non dormi, non provi alcun tipo di emozione.
Sei immobile, ferma, vuota.
Non fai nulla, ti limiti ad attendere.
Cosa?
La morte.
L’unica che adesso avverti come amica e fedele compagna. Desideri l’oblio, lo desideri come mai prima d’ora. Il sole compie il suo cammino due volte prima che Priscilla si decida ad aprire la porta della tua stanza.
E ti trova immobile, lì, in quell’angolo sotto la finestra avvolta nello stesso scialle di due notti fa.
Ti scuote, ti chiama, ma tu non la senti, non vuoi sentirla, non vuoi che quella condizione apatica vada in frantumi, perché sai che, oltre quel muro grigio c’è, in agguato, il dolore sordo della perdita e una disperazione così forte da tingersi di nero.
La senti che preme con violenza contro quella barriera priva di sentimento, non vuoi vivere la disperazione e quella rabbia mista a dolore che pervade gli esseri umani, non vuoi, semplicemente non vuoi.
E così preferisci lasciarti morire, a poco a poco, con il nulla nei tuoi occhi.
Basta una parola per abbattere quel muro.
È il suo nome, sussurrato appena da Priscilla, ignara.
Ed ecco che, dopo due interi giorni, il dolore, la rabbia e la disperazione ti invadono, irrompendo nella tua mente con la violenza con cui le onde di una tempesta invernale si infrangono sulle scogliere a strapiombo.
Il tuo pianto scoppia rapido come i temporali estivi, ma non si esaurisce altrettanto velocemente.
Singhiozzi violenti, che ti fanno sussultare, che bloccano il tuo respiro in gola.
Scacci con violenza Priscilla dalla tua stanza e piangi, affondi le unghie nella pelle del volto, ti strappi i capelli e tempesti di pugni le pareti.
Le tue lenzuola sono in breve tempo ridotte a brandelli e ogni cosa distrutta.
Giaci incosciente nella tua camera per giorni, fin quando Priscilla non ha nuovamente il coraggio di entrare. Ti salva proprio quando il baratro della morte è a un passo da te. Ti riprendi, a fatica, ma nulla, e tu lo sai, potrà essere uguale a prima.
Le stagioni si susseguono, una dopo l’altra, con un ritmo incessante, e tu non sembri nemmeno accorgertene.
Sei sempre più apatica, silenziosa, una figura spettrale che si aggira per i corridoi marmorei della scuola di Hogwarts. Persino il tuo stendardo con il tasso dorato sembra rifulgere meno.
E un giorno ti guardi allo specchio e vedi ciocche bianche striare i tuoi capelli, vedi il tuo corpo emaciato e scheletrico coperto da un semplice scialle.
Uno scialle che indossasti anni prima, appoggiata a una finestra.
Uno scialle che vide la tua distruzione.
I tuoi occhi sono opachi, privi di espressione, slavati, quasi come se tutte le lacrime che hai versato incessantemente, in questi lunghi decenni, nella solitudine della sera avessero diluito il colore che li accendeva.
Priscilla è felice, nonostante Godric sia morto da anni ormai.
Ha avuto una figlia, Helena, che cresce contenta e ti guarda con occhi pieni di pietà.
Tu, per lei, sei la zia che piano piano sta scomparendo, inghiottita dalle nebbie del tempo.
Il sole sorge, tu stai morendo. Sei ancora giovane per lasciare questo mondo, hai soltanto sessant'anni, ma il dolore che hai provato nella tua vita ti ha logorato, conducendoti a una morte prematura.
Te ne vai in silenzio, dopo un giorno di agonia.
Te ne vai nel silenzio della notte.
Le fredde stelle ti osservano, occhi indifferenti di un altro mondo, la luna rischiara il lago con il suo bagliore.
Che giorno è oggi?
Lo stesso in cui, più di vent'anni fa, Salazar ha lasciato queste mura.
Una lacrima scende sul tuo volto scavato e un ultimo pensiero, prima che l’oblio s’impossessi di te, ti attraversa la mente. Pensi che, se le cose fossero andate diversamente, adesso a vegliare su di te ci sarebbe lui, con i tuoi figli, con gli occhi pieni d’amore per te.
Se fosse davvero così, lasceresti questa terra in pace e invece piangi.
Ma tu lo amavi, molto, così tanto da negarti la felicità per onorare il suo ricordo.
Ma anche lui ti amava, non l’ha mai detto, non ne ha mai dato prova, ma ti amava.
Questo pensi.
Quest’ultima illusione ti accompagna verso la tomba e un fragile sorriso si apre sulle tue labbra esangui.
Sei stata felice nella morte.
Grazie a un’illusione.