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Autore: Columbrina    02/12/2012    4 recensioni
“Yo!” fece lui, da una distanza tale che potesse trasalire e girarsi all’improvviso, senza sapere cosa aspettarsi.
Yamato, poi, quando lo vide fece un cenno con la testa e lo invitò a sedersi, allettato dal fatto che Taichi aveva alzato il cartone del caffè con gesto eloquente. La colazione era andata.
“Che fortuita coincidenza…”
“Taichi, è l’unico parco in città e puoi incontrarci chiunque” lo ammonì Yamato, con la solita razionalità
“Intendevo è una coincidenza il fatto che tu e Sora prendiate il caffè allo stesso modo” sorrise Taichi, porgendogli il cartone freddato, dove sul fondo galleggiavano pochi granelli di zucchero, la quantità sufficiente a sgranchire i sensi.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Taichi Yagami/Tai Kamiya, Yamato Ishida/Matt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Caffè e chiacchiere al parco'
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Empatia
 

 
Yamato si scaldò le dita fredde facendole sfregare l’una all’altra e soffiandovi dentro, come per spegnere una candelina del desiderio per poi sfregarle di nuovo.
Poi scarta l’involto di carta stagnola e prende a trangugiare ciò che suo fratello gli aveva fatto trovare quella mattina, aspirando ogni singolo sentore preconfezionato dato che Takeru non sa cucinare; avverte, comunque, il calore necessario per assestare un nuovo respiro brinato.
Il mercoledì mattina il parco pullula di poca gente: alcuni anziani che vogliono sgranchirsi le gambe e la stanchezza che perfora le ossa come fossero fatte di carta, alcune persone che vogliono evadere dalla vita e trovare un toccasana al di fuori delle mura di casa e poi ci sono quelli come lui, che sono capitati lì per caso, magari per una passeggiata o solo perché hanno perso la bussola che programma la giornata come se fosse un dovere da adempiere.
Yamato aveva dimenticato come vivere: da un paio d’anni le sue giornate erano scandite dall’espiazione dei suoi rancori più recondite. In un primo momento ce l’aveva con Taichi, perché non aveva incassato il colpo come si deve o, per lo meno, come fece il suo destro; successivamente maturò la convinzione che quell’amore esasperato per Sora l’aveva spogliato dentro, rendendolo burattino delle sue stesse passioni quando lui era il primo a dire che non si doveva cedere a quelle bestie infernali, che si cibano della vera essenza dell’uomo per rimetterla ancora più corrotta e maldicente.
Comunque parlare con Taichi a telefono aveva spianato la strada a un nuovo, corroborante rapporto; il ripristino di un qualcosa che non poteva essere davvero gettato via come fosse fatto di sabbia e vento. Parlare è una parola grossa: si erano limitati ai convenevoli e qualche frase fatta buttata lì per non rigirarsi i pollici, poi era uscito un forzato “Ho da fare, ci sentiamo più tardi” e Taichi aveva borbottato un altrettanto superficiale “Sì, anch’io ho tanti impegni ultimamente…”.
Patetici.
E solo a pensarci, gli veniva da ridere, increspare le labbra in un ghigno per nulla compromettente, che avrebbe risvegliato il calore sopito di quei respiri brinati, di quelle folate che incedevano impellenti in quella strana mattina di inizio inverno.
Taichi, invece di costruirsi castelli di carta e di spuntini mattutini, camminava al parco perché doveva arrivare anche Sora, ma il tragitto era stato inutile: gli aveva appena mandato un messaggio per dirgli che aveva avuto un contrattempo.
“Cazzo!”
Si morse la lingua tra i denti e con incedere un po’ traballante girava per il parco, stringendo in mano due caffè così come li prendevano loro.
Fischiettava silenziosamente, giusto per veder uscire dalle labbra quella nuvola di fumo brinato che tanto lo divertiva, come se fosse una boccata d’inverno che risvegliava emozioni inespresse e che gli altri non sarebbero riusciti mai a capire.
Stava per gettare via il caffè di Sora prima che si freddasse, ma i suoi occhi fatalisti catturarono lo sguardo ligio e accaldato di Yamato, che ben si confaceva allo scenario invernale di quel parco spoglio.
“Yo!” fece lui, da una distanza tale che potesse trasalire e girarsi all’improvviso, senza sapere cosa aspettarsi.
Yamato, poi, quando lo vide fece un cenno con la testa e lo invitò a sedersi, allettato dal fatto che Taichi aveva alzato il cartone del caffè con gesto eloquente. La colazione era andata.
“Che fortuita coincidenza…”
“Taichi, è l’unico parco in città e puoi incontrarci chiunque” lo ammonì Yamato, con la solita razionalità
“Intendevo è una coincidenza il fatto che tu e Sora prendiate il caffè allo stesso modo” sorrise Taichi, porgendogli il cartone freddato, dove sul fondo galleggiavano pochi granelli di zucchero, la quantità sufficiente a sgranchire i sensi.
Mandò giù un sorso freddo e finse sollievo, quando in realtà era solo una retroazione positiva di quel freddo pungente.
“Carino da parte tua offrirmi un caffè”
“Non era per te, imbecille!” fece Taichi, rigirandosi il cartone tra le mani per fare in modo che il caffè si amalgamasse con i suoi sensi “Era per Sora. Dovevamo incontrarci, ma non si presentata”
“Lo prende caldo e con poco zucchero… Ma caldo è un optional” disse Yamato, sorridendo e mandando giù un altro sorso. Taichi fece di conseguenza, ma lasciò che il caffè si freddasse nelle sue mani e solo allora l’avrebbe mandato giù tutto d’un fiato.
“Di solito è lei che lo prende”
“Lo so, ne parliamo spesso”
Taichi socchiuse lo sguardo, elargendo una smorfia un po’ scettica e un po’ piccata, come se quelle parole fossero state scelte apposta per ferirlo.
Per Yamato non c’era redenzione, ma solo espiazione.
Allora Taichi smentì quel rituale mattutino e mandò giù una bella sorsata, fredda e inconsistente, che gli portò alla bocca solo il sapore preconfezionato del cartone.
“Sai…” fece Taichi, sorridendo. Yamato allontanò il cartone dalle labbra. “Se non fossimo mai stati amici, avrei trovato dei modi per farti soffrire in modo da non trovarmi in questa situazione”
“La cosa è reciproca” disse Yamato, brindando con il caffè di Taichi ed elargendo un sorriso complice, un po’ penoso, giusto per ribadire la patetica condizione in cui erano imprigionati.
“Alla fine, per non farti soffrire… Abbiamo sofferto entrambi”
“Colpa tua, Taichi”
Yamato mando giù l’ultimo sorso di caffè e Taichi aveva solo voglia di fargli incassare il colpo che non sarebbe mai arrivato; in fondo sapeva che un po’ di ragione ce l’aveva.
“Ti sei fatto abbindolare da una falsa speranza. Credevi che non considerandomi tuo amico, alla fine non avresti sofferto? Sei uno stupido”
“Piano con le parole che siamo nel pieno di una riappacificazione”
“Sai che mi piace affrontare tutto con franchezza, Taichi. E tu sei stato essenzialmente uno stupido”
Ci fu un momento di silenzio dettato dagli ultimi rivoli freddi di caffè che scivolavano lungo parole mai dette e concetti che facevano fatica a venir fuori; nel mentre Taichi rimuginò a lungo sulle parole da usare, mentre Yamato soppesava gli eventi con pericolosa razionalità, con disinteresse calibrato alla perfezione come se si rendesse pienamente partecipe di tutto ciò che era successo nell’arco di un transito emozionale.
Yamato finì quasi subito e  gettò il cartone nel cestino, offrendosi volontario di gettare anche quello di Taichi, che rifiutò e rimase con il cartone tra le mani, beandosi dei rimasugli del calore.
Yamato fece, invece, scoccare la lingua sotto il palato.
“Ebbene…” esordì quella voce di calibrato disinteresse “Da quanto tempo covi rancore nei miei confronti?”
Taichi rise di gusto, facendo oscillare la folta chioma che somigliava a un cespuglio intricato.
“Non mi conosci proprio, Yamato! Siamo amici da tanto e ancora non mi conosci bene… Io non provo rancore nei tuoi confronti, ma solo nel fatto che non siamo riusciti a passare sopra a questa situazione che ci ha colti in contropiede”
“E ricominciamo con queste velleità calcistiche…”
“Filosofia agonistica, prego”
“Come vuoi…” sorrise Yamato, divertito come lo era sempre stato da quando conosceva Taichi, da quando in prima media si erano ritrovati nella stessa sezione, fortuitamente.
E, anche in quella circostanza, Sora era tra di loro, come una tensione che traspare dai segni imprescindibili di un amore sbocciato troppo in fretta e sotto occhi indiscreti.
“Comunque Yamato, io non ho mai provato rancore”
Stavolta fu Yamato a ridere di gusto, come se si facesse beffa del buonismo quasi moralista di Taichi, che non era mai stato una vittima indiscreta delle sue colpe, anche se non ne aveva nessuna.
Mai accusare, quando la prima pietra è stata lanciata dalla propria mano, diceva una voce contestatrice nella mente di Yamato.
“Ipocrita”
Taichi sorrise, per nulla intimorito.
“Davvero?”
“Io ho provato rancore nei tuoi confronti”
“Perché sapevi di aver torto, Yamato. E’ dalla prima media che sai che a me piace Sora; tu la prendevi come una storia infantile e mi hai dato una bella lezione quando vi ho visti scendere da quella moto insieme, durante la sera del tuo primo concerto”
La ritorsione del rancoroso, ecco come coniò la sensazione che avvertì alla bocca dello stomaco, un po’ più in giù del cuore che ardeva di risentimento e di colpevolezza in parti uguali; Yamato incassò il colpo nello stesso modo in cui aveva fatto Taichi: ignorandolo deliberatamente.
“La sera in cui…”
“Già. La sera in cui sverginasti le sue labbra!” disse Taichi, con verve tragicomica che fece ridere Yamato, che pagava silenziosamente il conto di tanti anni passati a patire una colpevolezza latente, troppo orgoglioso per poterla ammettere.
E meno male che era Taichi quello passionale.
“Perché non hai mai detto nulla?”
“Non ce n’era bisogno. Lo sapevi benissimo… Solo che dissimulavo bene”
“E questo non è essere ipocriti?”
“No, questo è essere amici. Ero felice per te, ma non per me eppure non mi importava. Ho trascorso tutti gli anni del liceo a guardare la nostra amicizia crollare e ricostruirsi su fondamenta precarie; tutto questo mentre Takeru e Hikari organizzavano i loro primi appuntamenti, quelli un po’ timidi e un po’ acerbi… Poi sono iniziate le uscite a quattro e lì sono divenuto un po’ più scorbutico. Soffrivo, però, quando Sora mi chiamava nel cuore della notte, con la voce rotta dal pianto e i singhiozzi… Faceva così per via dei vostri litigi stupidi, della tua gelosia infondata e ricordo che avevo solo voglia di picchiare quella tua faccia da schiaffi!”
Yamato socchiuse lo sguardo: faceva così quando doveva pensare a fondo e in genere quei pensieri lo consumavano fino a spogliarlo completamente di ogni sua contraddizione.
Taichi era il suo migliore amico, il piglio più franco a cui appoggiarsi e che sapeva essere un buon maestro di vita perché la conosceva meglio di lui, eppure non a fondo;  Yamato aveva una visione che circoscriveva rancori inesplorati e ingiustificati, quella solita ampolla in cui amava crogiolarsi nelle notti insonni.
Nella verve delle parole di Taichi riusciva a cogliere un potente sentimento nei confronti di quella ragazza per il quale aveva consumato ogni suo respiro vitale, apparentemente.
La loro amicizia era come una porta: ti lascia sul muro di casa il peso dello schiaffo d’addio.
“E poi ci siamo lasciati. Ricordi quel giorno, no?”
“Già. Venni subito da te per gonfiarti di botte e poi finimmo per parlare tutta la notte”
“Fu lì che ti dissi di essere innamorato di Sora”
“E ti ho cacciato fuori a pedate”
“Ho ancora in mente il tonfo della porta… Il rancore è uno strumento potente, che rimbomba sempre nelle orecchie”
“Anche il sapore di uno schiaffo…”
“Ma nulla batterà le risate che ci siamo fatti”
“Chi, tutti e due? Più che risate, la nostra amicizia è stata costellata di scontri... E non solo verbali”
Taichi rise.
“No, testone! Intendo tutti e tre… Ricordi al campeggio in seconda media? Ci sgridarono perché eravamo andati a curiosare nella boscaglia…”
“Colpa tua, Taichi! Credevi di aver visto un fantasma”
“Sì, ma è stato divertente…”
Yamato rise, silenziosamente, ma lo fece. Capitava anche quando erano insieme: si sentivano solo le risate di Taichi e solo sporadicamente rideva lui, specie quando non davano quei film scadenti alla televisione.
“Già, anche più di quando bruciammo la cena durante quella sera, a casa mia…”
“Sora ci fece una bella tirata d’orecchie”
“In realtà la fece a te, che dovevi controllare lo stufato”
“Sì, ma gli stupidi siete stati voi che vi siete affidati a me… Vado nel pallone quando sono sottopressione”
“Avrei detto il contrario… Quando giochi a calcio sei costantemente sotto pressione”
“Quella è un’altra cosa”
Restarono a parlare per una buona fetta della prima mattinata, fino a quando non arrivò un messaggio sul cellulare di Yamato da parte di Takeru, rimasto a piedi a causa di un guasto della macchina.
Yamato sospirò e raccattò immediatamente le sue metafisiche cose, elargendo un sorriso che Taichi conosceva a memoria.
“Stasera ci vediamo. Abbiamo tanto da recuperare”
“Ci possiamo tranquillamente vedere alla tua cena d’anniversario…”
“Non sarebbe la stessa cosa”
Yamato annuì, remissivo e per niente contrariato.
“Andata”
“Perfetto” sorrise Taichi, stiracchiandosi.
L’amico gli rivolse un cenno di saluto e, giusto prima di prendere la via del ritorno, gli disse una cosa che fece mantenere il sorriso di Taichi sereno per tutta la giornata.
“Se non fossimo mai stati amici, rivangare il passato non sarebbe mai stato così bello”
Taichi rispose prontamente.
“Sei sempre il solito sentimentalista, Yamato”
“E tu il solito stronzo”
 
   
 
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