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Autore: realkseyoung_95    02/12/2012    1 recensioni
[Kurtbastian Week]
Day 1-Jealousy
Day 2-Scommettiamo?
Day 3-Lima Bean
Day 4-Infidelity
Day 5-Stalking
Day 6-The Last Time
Day 7-Columbus
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: OOC, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Secondo aggiornamento di oggi ^^
Questa volta non ho nulla di speciale da dire: con questo tema ho sguazzato in acque decisamente conosciute dato che ho subito pensato all’angst e io e l’angst andiamo a braccetto fino all’altare e ci sposiamo sempre. E’ stato bellissimo, si è lasciata scrivere praticamente da sola xD
 Come sempre è basata su una canzone della Swift , ma questa volta al posto di mettere una frase solo all’inizio, l’ho usata per tutta la oneshot.
Si intitola –guarda, guarda- The Last Time ed è davvero una canzone favolosa.
Ve la linko nel caso voleste ascoltarla: http://www.youtube.com/watch?v=-CDUpe7JPV8

Buona lettura a voi **
-Dixie



Kurtbastian Week
Day 6
The Last Time

 

Found myself at your door,
Just like all those times before,
I’m not sure how I got there,
All roads they lead me here
.

 


Come avesse fatto a salire le scale del condominio fino al penultimo piano era ancora un mistero.
Aveva guardato l’ascensore con aria penosa, sperando di trovare il coraggio di salirci sopra nonostante avesse troppa paura di vomitarci anche l’anima.
Aveva lo stomaco in subbuglio, un po’ come tutti giorni da sei mesi circa, la barba non fatta e i vestiti del giorno prima.
Non aveva avuto neanche la prontezza di tornare a casa sua per cambiarsi e per lavarsi un po’.
Non era di certo la prima volta che si dimenticava dove fosse casa sua.
O forse l’appartamento che si era comprato non riusciva a considerarlo tale.
L’aria fredda di prima mattina lo aveva fatto un po’ riprendere, concedendogli di fare due passi dal bar in cui ero stato fino a tarda notte, al marciapiede, lasciandosi trascinare per le strade di New York, quasi senza accorgersene, fino all’alba.  E proprio quando stava iniziando ad uscire un po’ più di luce nel cielo, si era deciso ad entrare nel palazzo che tanto conosceva e salire le scale fino al penultimo piano.
Rimase forse più di mezz’ora davanti alla porta, chiedendosi ancora cosa lo avesse spinto a ritrovarcisi davanti, ancora una volta.
Osservò il mogano scuro sperando che fosse invisibile, sperando che non esistesse.
Lo aveva desiderato troppe volte negli ultimi tempi, guardarci attraverso e spiarlo senza che lui se ne accorgesse, gli sarebbe bastato solo quello per sentire ancora una scintilla di felicità brillargli nel cuore.
O forse no.
 

I imagine you are home,
In your room, all alone,
And you open your eyes into mine,
And everything feels better,



Aveva delicatamente appoggiato la fronte sulla superficie di legno, provando in tutti i modi di non far rumore, e aveva chiuso gli occhi.
A quell’ora della mattina non si aspettava di certo che fosse già sveglio, soprattutto dopo un sabato sera che sicuramente aveva passato fuori, in pieno stile newyorkese.  E comunque, alla domenica, tutti i comuni mortali desideravano dormire qualche ora di più.
Tranne lui.
Passava così ogni domenica mattina, a quella porta, in piedi come uno stupido con le mani che fremevano per bussare, ma non ci riusciva mai. Ogni settimana era la solita storia, così come erano gli stessi i ricordi che lo prendevano, stringendogli il cuore e spezzandoglielo ancora una volta.
Come se non fosse già spezzato abbastanza.
Immaginarlo solo nella loro, o meglio, nella sua stanza lo faceva stare peggio, perché sapeva di non poter essere là insieme a lui, per abbracciarlo e soffocare la solitudine.
Preferiva tenere gli occhi così chiusi e lasciarsi scivolare le lacrime di dosso, piuttosto che aprirli e guardare in faccia al mondo e alla realtà, nonostante quanto gli risultasse sfocato e poco visibile.
I colori gli facevano sempre più male.
 I colori del suo vecchio appartamento, quei pastello così delicati e leggeri, spensierati. Poi il rosso acceso del copriletto, un rosso pieno e caldo, uno dei suoi colori preferiti.
E infine il colore che più lo uccideva di tutti: l’azzurro.
Ne esistevano tante tonalità, l’azzurro cielo, l’azzurro mare, fino a scurirsi di più per diventare blu elettrico e poi un blu più scuro, un blu notte, ma nessuna di quelle provocava così dolore come faceva quell’ azzurro.
Non lo avrebbe mai dimenticato. Non avrebbe mai dimenticato come ci si immergeva all’interno ogni mattina fino a sei mesi fa quando due occhi grandi e un poco assonnati si aprivano davanti a lui e dentro i suoi, di come sorrideva ogni volta e ogni cosa per qualche secondo sembrava andare meglio.



You find yourself at my door,
Just like all those time before,
You wear your best apology,
But I was there to watch you leave


Come avesse fatto a svegliarsi a quell’ora la domenica mattina non era per niente un mistero.
Non era uscito la sera prima, anzi, era rimasto fino a tardi a guardare un film sul divano, in pigiama, e poi a fare zapping in tv, concedendosi dei biscotti al cioccolato e un po’ di latte caldo.
Non poteva dire di stare bene nella sua solitudine perché non era vero, ma quanto meno cercava di fingerlo, prima di tutto per se stesso e poi per smetterla di far preoccupare i suoi amici e suo padre. Non avrebbe mai creduto che concludere una storia fosse così difficile, chiudere un capitolo della propria vita e iniziarlo con qualcuno di nuovo, senza pensarci due volte.
Eppure rialzarsi sembrava essere più difficile di tutte le volte che si era trovato a faccia a terra.
Non a caso aveva cominciato a soffrire di insonnia e, dato che non aveva alcuna intenzione di prendere qualche tipo di medicina, aveva preferito abituarsi e conviverci.
Per questo si ritrovava in piedi a guardar sorgere il sole su New York, in mano un bicchiere d’acqua e l’altro braccio che gli circondava i fianchi in cerca di conforto.
I muscoli delle spalle e della schiena erano tesi, le gambe fissate al pavimento come incollate, che gli intimavano di rimanere lì e di non correre verso la porta ad aprire.
Era a conoscenza di chi avrebbe potuto trovare là dietro, la domenica mattina.
Una volta lo aveva visto lui stesso; dopo aver sentito un rumore alla porta aveva guardato dentro lo spioncino e lo aveva visto.
Si era allontanato, il cuore stretto in una morsa. Si era lasciato accasciare contro il legno scuro, cercando di piangere silenziosamente.
Pochi giorni dopo la signora che abitava in fondo al corridoio gli disse di averlo visto altre domeniche e di non aver capito con esattezza le sue intenzioni, dato che sembrava non volesse mai bussare.
Da allora, aveva dormito di meno e ogni domenica mattina non riusciva a scrollarsi di dosso il pensiero che lui si trovasse a pochi metri di distanza.
La cosa peggiore era che non aveva ancora trovato il coraggio di scacciarlo, o peggio, di cambiare casa. Sapeva che non l’avrebbe mai perdonato, poteva avere anche la scusa migliore del mondo.
Per questo, ogni volta, lo lasciava andare via, senza risolvere ancora nulla.



And all the times I let you in,
Just for you to go again,
Disappear when you come back
Everything is better

 

 
Provava ad immaginare come sarebbe stato se, almeno una volta, lo avesse lasciato entrare.
Le supposizioni erano due.
La prima comprendeva un discorso detto a vanvera e in modo confuso, provando in tutti i modi a scusarsi e a mostrare quanto era dispiaciuto, senza mai trovare però le parole adatte per farlo. Lo avrebbe ascoltato fino ad un certo punto, sapendo però che poco dopo gli avrebbe intimato di lasciare l’appartamento e di andarsene, di nuovo.
Seconda opzione, e forse quella più probabile, lo vedeva con la schiena alla parete, le sue labbra alla ricerca delle sue finché non si sarebbe lasciato andare e baciare. Avrebbe provato emozioni contrastanti, avrebbe desiderato respingerlo ma nello stesso momento avrebbe voluto tenerselo tra le sue braccia ancora una volta. Poi, di certo avrebbero fatto l’amore, magari senza neanche preoccuparsi di spostarsi in camera da letto. Era un’immagine forte e vivida quella che aveva, quella di loro due che lo facevano di nuovo, e ancora quelle emozioni non si erano quietate, il batticuore c’era. Ma sapeva in cuor suo che sarebbe andata a finire come nel primo caso, non gli avrebbe più permesso di rientrare in casa.
In entrambi le situazioni era certo di una cosa; dopo aver  richiuso la porta si sarebbe sentito meglio.
 

Right before your eyes
I’m breaking and fast,
No reasons why,
Just you and me



Se aveva quindi supposto tutto quello, cosa lo aveva spinto a girare le chiavi nella serratura e ad abbassare la maniglia?
 Cosa lo aveva portato ad aprire la porta e a ritrovarselo davanti, a sentire come se tutto il mondo cadesse e andasse a pezzi ai suoi piedi?
E a lui, cosa lo aveva spinto ad alzare gli occhi e ad incrociare l’azzurro che tanto gli era mancato, sentendosi rompere come un bicchiere di cristallo?
Cosa lo tratteneva dal prenderlo tra le sue braccia, costringerlo a stringersi a sé, o solo cominciare a scusarsi a raffica?
Senza  trovare un perché erano entrambi nello stesso posto, uno davanti all’altro, solo loro due.


This is the last time you tell me I’ve got it wrong
 

“… non capisci …”
E così, era tutto lì quello che aveva da dirgli? Dopo mesi che non stavano più insieme e che non si vedevano, la prima cosa che aveva in mente di dirgli era che si era sbagliato?

 

This is the last time I say it’s been you all along
 

 
“Sei stato tu, sempre. La persona che più ho amato e che ancora vorrei a mio fianco.” disse, e non avrebbe voluto sentire gli occhi pizzicargli dalle lacrime da quanto volesse risultare forte in quel momento.
Tentativo decisamente fallito.
 

This is the last time I let you in my door

 

Non avrebbe voluto spingere un poco la porta per chiuderla, una volta ignorato tutto quello che aveva intenzione di dirgli e una volta lanciatogli un ultimo sguardo di addio.
Non avrebbe mai voluto che lui si sforzasse per tenerla ancora aperta, per avere un’occasione in più per essere perdonato.
Eppure lo aveva fatto, promettendosi che fosse stata l’ultima volta che lo avrebbe lasciato sulla porta.



This is the last time, I won’t hurt you anymore
 


“Non ti ferirei più, sai che è così.”
Sapeva che l’altro avrebbe ritenuto solo parole vane quelle che aveva appena pronunciato. Sapeva che lo avrebbe ignorato, non gli avrebbe detto più niente e che si sarebbe messo a piangere dietro la porta, magari accasciato a terra, aspettando che se ne andasse.
Ma aveva fatto bene a provarci un’ultima volta, sapeva che non avrebbe avuto più rimpianti.



This is the last time I’m asking you this,
Put my name at the top of your list

 

 
“E’ l’ultima volta che ti chiedo di perdonarmi. Giuro che l’unica cosa che ha senso nella mia vita adesso è venire qui ogni domenica mattina e sperare che io ritorni ad essere la tua persona più importante, quella in cima alla lista.”



This is the last time I’m asking you why
You break my heart in a blink of an eye


 

 
Aveva le ginocchia al petto, le braccia circondate attorno al corpo scosso dai singhiozzi.
“Invece è l’ultima volta che ti chiedo perché l’hai fatto, perché hai spezzato il cuore di entrambi in un solo battito di ciglia. Ti concedo un’ultima risposta o questa è l’ultima volta che ti presenti davanti alla porta di casa mia.”

Sebastian non seppe rispondere al momento e, guardando un’ultima volta la porta di mogano scuro, si voltò per andarsene chiedendosi perché lo stesse facendo.

Kurt nascose la testa tra le mani, cominciando a piangere più forte, chiedendosi un’ultima volta perché avesse detto una cosa del genere e perché non si era sentito meglio, come aveva creduto.
Entrambi si stavano chiedendo il perché di tante cose, di cose diverse che all’apparenza potevano sembrare distanti tra di loro ma che in realtà erano un tutt’uno, collegate da loro stessi e dall’unica consapevolezza che avevano: di certo quella non sarebbe stata l’ultima volta.


 


   
 
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