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Autore: Shari Deschain    10/12/2012    3 recensioni
C'erano cose che Jack non aveva mai capito, e c'erano cose che Jack non poteva più capire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ianto Jones, Jack Harkness
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pairing/Characters: Jack/Ianto
Rating: PG
Warnings: Fluff, H/C;
Word Count: 1017 (fdp)
Disclaimer: MAGARI ;O;
N/A: Scritta per la Staffetta in Piscina @ piscinadiprompt, prompt “Mani ghiacciate e cioccolate calde” e per 500themes_ita, prompt #83. Contando gli anni.
- Scritta anche per la maritombola @ maridichallenge, prompt #70. “Posso offrirti un caffè?”.
- IDK, okay? Non so perché tutte le Janto che scrivo sono H/C e sono ambientate di notte, mi sa che è un kink che non sapevo di avere.





Late night chocolate






C'erano cose che Jack non aveva mai capito, e c'erano cose che Jack non poteva più capire.
Era stato Ianto a dirglielo, e quella frase gli era rimasta in testa come una cicatrice. Non era stata pronunciata con cattivi sentimenti, era anzi venuta fuori durante un litigio scherzoso (qualcosa sul fatto che Jack e la macchina del caffè non erano compatibili a prescindere, a causa di una qualche specie di gap tecnologico) ma in qualche modo quelle parole lo avevano ferito.
Perché era vero, in fondo.
Tra le cose che non aveva mai capito, oltre alle macchine del caffè e al modo preciso di prepararlo ─ cose che si potevano attribuire più all'ossessività di Ianto per quella bevanda che alla sua poca familiarità con la tecnologia arretrata di quel secolo ─ c'erano anche tutta una serie di sentimenti e di legami di cui avrebbe anche fatto a meno, ma con cui era costantemente costretto a confrontarsi a causa non solo di Ianto, Gwen e del resto del suo team, ma anche della sua famiglia (di quel poco che ne restava, almeno) e di quelle persone che ogni tanto smettevano di essere casi e diventavano qualcosa di più.
Non era facile starci dietro, nemmeno con l'aiuto di un paio di bottiglie di alcool.
Tra le cose che non poteva più capire, invece, rientravano tutta una serie di piccole cose, spesso legate al trascorrere del tempo, di cui non comprendeva l'importanza, se non quando era qualcun altro a fargliela notare, esplicitamente o meno.
In quel caso si trattava degli anniversari.
A parte qualche data particolarmente traumatica, Jack non era mai stato in grado di ricordarli. Poi, con l'aggravante dell'eternità, avevano perso ai suoi occhi qualsiasi tipo di significato. Perlopiù li riteneva inutilmente nostalgici, sdolcinati al meglio e dolorosi nel peggiore dei casi, troppo legati al passato. Non gli piacevano.
Ianto, al contrario, non ne perdeva mai uno.
Ricordava il giorno in cui era entrato a Torchwood, i compleanni di Owen, Tosh e Gwen, festeggiava con gli altri il compleanno che avevano arbitrariamente attribuito a Jack (che secondo loro si rifiutava di rivelare la data della sua nascita per pura vanità, e che in realtà Jack non ricordava affatto), ricordava il giorno del loro primo bacio e della loro prima scopata, e tutta una serie di date che Jack non capiva come potessero stare in una sola testa.
E queste erano cose tutto sommato piacevoli da ricordare (anche se inutili, a parere di Jack), ma c'era anche di peggio. C'era Canary Wharf. E c'era Lisa.
Di quello Ianto non parlava mai, ma non ce n'era bisogno. Anche se quei giorni in particolare a lui non dicevano nulla, a Jack bastava vedere l'espressione di Ianto per capire. Di solito, un po' vigliaccamente, lo lasciava ai suoi pensieri, ai suoi lutti mai consumati, e si limitava a rivolgergli qualche sorriso gentile. Se Ianto lo cercava allora finivano per fare l'amore da qualche parte ─ nel suo ufficio o nel seminterrato, più raramente sul divano o in un letto ─ altrimenti tentava di non infastidirlo con avances che non sapeva come sarebbero state interpretate.
Era il massimo del rispetto per i sentimenti altrui che gli sembrava di poter avere.

*

Perché questa notte dovrebbe essere diversa, Jack non saprebbe dirlo.
Forse perché sono nel loft di Ianto, lontani dalla spartana efficienza dell'Hub e di Torchwood in generale.
Forse perché il non capire certe cose non significa automaticamente il non volerci nemmeno provare ad agire come se le capisse.
Forse, più semplicemente, perché è una notte davvero bella, serena e silenziosa, e gli piace il modo in cui la luce della luna accarezza la curva delle spalle di Ianto, che se ne sta seduto immobile ai piedi del letto, con lo sguardo fisso nel vuoto, probabilmente concentrato su di un ricordo che lui non può condividere.
Sarebbe un peccato sprecare una notte così a crogiolarsi nel dolore.


«Posso offrirti un caffè?», domanda.
Ianto sobbalza così violentemente da far tremare anche il materasso, e Jack non riesce a trattenere una risata, messa poi prontamente a tacere dall'occhiata seccata dell'altro.
«Jack, lo ripeterò solo una volta: per l'amore di qualsiasi divinità tu possa adorare, fosse anche te stesso, stai lontano dalla mia macchina per il caffè. Stai lontano dalla mia cucina, anzi», ribatte Ianto, con quel suo solito tono che potrebbe essere sia sarcastico che mortalmente serio.
«Volevo solo essere gentile».
«Allora evita queste frasi da vecchio molestatore che adesca ragazzini nei bar fuori dalla scuola».
Jack si finge offeso.
«Sono abbastanza sicuro che tu sia maggiorenne».
«Ho paura a chiederti se la cosa faccia davvero differenza per te», mormora Ianto, passandosi una mano sul volto.
«... e comunque sono perfettamente in grado di gestire una cucina», continua Jack, ignorandolo. «Infatti ora andrò di là e...»
«Stai. Lontano. Dal. Mio. Caffè», scandisce Ianto.
«Niente caffè», concede Jack, alzando gli occhi al cielo. «Ma ora rimettiti sotto le coperte e aspettami», gli ordina, cominciando ad alzarsi.
Ianto fa per protestare, poi si limita a scuotere la testa, rassegnato, e a godersi il panorama del fondoschiena nudo di Jack che si allontana verso la cucina.


Quando Jack torna in camera da letto, una decina di minuti più tardi, ha in mano due enormi tazze di cioccolata calda. (Ianto non ricordava nemmeno di averne in casa).
«Tu saprai anche fare il caffè più buono della città», lo apostrofa il Capitano, serioso. «Ma questa è vera arte, ragazzo mio!», esclama, gonfiando il petto.
Ianto sbuffa e afferra la sua tazza (una tazza dei puffi, santo cielo, ed è dei suoi nipoti naturalmente ─ maledetta sua sorella che gli lascia quelle cose in giro per casa ─ ma Jack non ci crederà mai. Mai. Può solo sperare che non lo dica ad Owen), sfiorando con le proprie mani ghiacciate e quasi insensibili quelle più grandi e tiepide di Jack, e poi la sorseggia con sospetto.
È inaspettatamente buona.
Jack gli sorride, sfoggiando quella smorfia da “Io te l'avevo detto”, ma Ianto decide di non farci caso. Almeno per questa volta la sbruffonaggine del Capitano ha un suo motivo di esistere: è davvero la cioccolata più buona che abbia mai assaggiato.
E poi, si dice, mentre ogni altro pensiero gli scivola via dalla testa, è un momento davvero troppo bello per sprecarlo.



   
 
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