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Autore: Alex e Finger    10/12/2012    2 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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       Il giorno in cui vi ritornò, Istanbul mostrò a Yusuf il suo lato migliore. Sbarcato a Galata, il volto sorridente e segnato dalle rughe di Talip lo strappò ai ricordi amari in cui si era perso. Il traghettatore lo riconobbe subito, malgrado lui l’avesse già quasi superato in altezza e lo abbracciò con le lacrime agli occhi. Quell’accoglienza, insieme ai rumori e agli odori familiari del porto e l’aria primaverile, lo fecero ben sperare.

Da Talip Yusuf apprese che la piccola abitazione in cui aveva vissuto con sua madre era ora occupata da una famiglia greca, ma non gliene importò: non sarebbe mai tornato in quella casa, che già visitava abbastanza nei suoi incubi. Inoltre, seppe che la bottega di sartoria al Gran Bazar era stata presa in mano da una delle lavoranti di sua madre e che quel poco di buono del suo amico, Dönek, era sparito dalla circolazione a tempo con lui. Talip, da uomo gentile e compassionevole qual era, si offrì di ospitarlo per la notte e gli disse che il giorno dopo avrebbe potuto presentarlo a un suo cugino che gestiva una locanda nel distretto di Costantino. Yusuf lo ringraziò e assicurò di poter pagare il disturbo, il poco denaro che suo padre era riuscito a mettere da parte in quegli anni di lavoro alla fucina gli era stato consegnato da Teoman prima della partenza, ma lui rifiutò.

Fu un inizio fortunato. Grazie alla raccomandazione del traghettatore e alla buona impressione che fece a suo cugino (e alla figlia Damla che aveva forse un paio d’anni più di lui) ebbe una stanzetta in cui sistemarsi vicino alla locanda, attorno a cui gravitavano un’infinità di persone spesso in cerca di lavoratori occasionali.

Yusuf si diede da fare: la fatica non lo spaventava dopo tre anni passati a dividersi tra la fucina di Teoman e gli allenamenti di suo padre, e il suo carattere aperto di certo lo aiutò a integrarsi in poco tempo, ma col giungere dell’inverno la città si mise d’impegno nell’esibire il suo aspetto più duro. I commerci diminuirono e con essi le occasioni di lavoro e mentre la riserva di denaro si assottigliava in maniera preoccupante, quelli che durante l’estate si erano comportati da amici divennero concorrenti spietati. Ogni mezzo pareva lecito per accaparrarsi una misera paga e ognuno aveva il proprio. C’era chi impietosiva, chi minacciava e chi passava all’azione. Yusuf cedeva davanti a chi gli mostrava la moglie e i figli affamati, cercava il più delle volte di evitare i conflitti sottostando alle minacce e quando non lo faceva era costretto a difendersi o a sfuggire ai pestaggi.

Ben presto si ritrovò alla fame, con in testa solo il pensiero di sopravvivere e con le parole che Saad gli aveva detto la sera in cui aveva rifiutato la sua offerta che gli tornavano in mente più spesso di quanto avrebbe voluto. Ma non cedette mai alla tentazione di cercare rifugio presso gli Assassini, né mai toccò i dadi truccati, che si era portato via da Bursa insieme ai pugnali e allo shamshir di suo padre. Decise invece di far buon uso degli insegnamenti di Dönek.  

 

 

 

 

 

Istanbul,

Rajab 888

(Settembre 1483)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 











e nuvole cupe che scaricavano torrenti di pioggia avevano accorciato il crepuscolo. La luce ormai scarsa e le tegole scivolose sarebbero state già un rischio sufficiente senza aggiungervi la paura, la stanchezza e il rimorso.

Mentre correva spinto solo dalla forza di volontà, Yusuf continuava a ripetersi che era troppo giovane per morire e se la vita di qualcun altro era il prezzo per la sua sopravvivenza, era giusto che fosse stato pagato, ma il ragionamento continuava a fare a pugni con le emozioni. Il suo braccio sembrava ancora vibrare per la resistenza che la carne aveva opposto alla punta del pugnale e non riusciva a togliersi dalle orecchie il suono rantolante che era uscito dalla bocca del suo aggressore, né dagli occhi l’espressione quasi sorpresa che era comparsa sul suo viso. Quel ragazzo aveva più o meno la sua età e di certo anche lui pensava di essere troppo giovane per morire.

Combattendo contro i conati del suo stomaco disperatamente vuoto, Yusuf si calò dal tetto nell’ombra di un vicolo appartato. La porta scrostata pochi passi alla sua destra era la salvezza e il riposo. La raggiunse in due balzi e sparì dietro di essa.

Annaspò nel buio imprecando alla ricerca di una candela e altre parole che non avrebbero sfigurato in bocca a un scaricatore della peggior specie si aggiunsero, quando una scintilla provocata dall’acciarino gli bruciò una mano.

La stanza era piccola e disadorna e tutto il suo arredamento era costituito da un tavolo traballante, due sedie spaiate, un baule tarlato e un pagliericcio. A questo si aggiungevano alcune casse piene di oggetti alla rinfusa, vestiti e suppellettili varie, due coperte dal colore ormai indefinibile, una catinella di ceramica sbeccata e una grande brocca piena d’acqua.

Yusuf trascinò il baule contro la porta, si liberò della cintura col pugnale e si sganciò dalla spalla la custodia dei quattro coltelli da lancio che erano stati di suo padre. Si sfilò i vestiti bagnati, che abbandonò sullo schienale di una sedia, e si buttò sul pagliericcio avvolgendosi in una coperta. Lo stomaco brontolava, ma la nausea era ancora troppo forte e comunque non aveva niente da mangiare.

Aveva spiato per quattro giorni quel dannato mercante di seta, aveva annotato i suoi movimenti e visto il denaro passare di mano, aveva anche scoperto dove lo tenesse. Troppo ben sorvegliato anche per solo accarezzare l’idea di metterci sopra le mani, ma Yusuf aveva pensato che l’informazione avrebbe potuto essere ben pagata e magari metterlo in buona luce con la Gilda dei Ladri. Un piano perfetto, finché un concorrente non si era presentato sulla sua strada. Non si era accorto di essere seguito se non quando era stato troppo tardi. Il rumore della pioggia battente aveva nascosto il suono dei passi alle sue spalle e quando un braccio l’aveva improvvisamente afferrato alla gola, solo le ore di inflessibile addestramento a cui suo padre lo aveva sottoposto ogni santa sera degli anni che avevano trascorso nella Vecchia Capitale gli avevano permesso di cavarsi d’impaccio. Yalìm era stato un insegnante severo ed esigente, parco di elogi quanto generoso con le critiche, ma nessuna delle sue estenuanti lezioni avrebbe potuto preparare Yusuf alla durezza di uno scontro reale. Aver assistito all’uccisione della madre lo aveva portato a credere che la morte non avrebbe più potuto impressionarlo, e mentre rabbrividiva sotto la coperta, capì di essersi sbagliato, e che quando si uccide qualcuno è tutto diverso, e niente potrà più essere come prima. In quel momento Yusuf ricordò l’ombra negli occhi di suo padre quando tornava dalle sue missioni e la comprese, domandandosi se qualcuno ora avrebbe potuto riconoscerla nei suoi.

Accompagnato dal mormorio della pioggia che entrava nella stanza dalla stretta finestra priva di imposte, il ragazzo si arrese alla stanchezza e si addormentò.

 

Il bussare insistente alla porta strappò Yusuf al sonno in modo brusco, spaventandolo a morte. Rimase immobile sul pagliericcio, maledicendo se stesso per non aver spento la candela e rendendosi conto che l’unica possibilità di una rapida salvezza era fuggire nudo dalla finestra.

Salak…— sussurrò tra i denti.

Bussarono ancora e il ragazzo si chiese per quanto avrebbero provato prima di spingere la porta e spostare il baule che la bloccava.

— Yusuf, lo so che ci sei, si vede la luce! —

Riconoscere quella voce che non aveva ancora deciso se restare quella di un bambino o trasformarsi finalmente in quella di un adulto, fece tirare a Yusuf un sospiro di sollievo, provocandogli allo stesso tempo un moto di fastidio.

— Vattene Latif! — gridò. — Sono stanco, lasciami in pace! —

Quel ragazzino gli si era attaccato come una patella a uno scoglio da quando, qualche mese prima, lo aveva tolto da certi guai con alcuni bulletti del quartiere.

— Ma Yusuf, ho del guvec (stufato) ancora caldo, Damla me lo ha dato per te. —

Accorgendosi che la nausea era sparita e che i crampi allo stomaco si erano fatti quasi insopportabili, Yusuf si disse che forse dover tollerare la presenza di Latif poteva compensare un pasto gratis. Non era la prima volta che succedeva qualcosa del genere, sembrava proprio che quel piccolo furfante, con gli occhi da cerbiatto e l’aria perennemente affamata, riuscisse a convincere qualsiasi ragazza a fare ciò che voleva, e Damla, la figlia del padrone della taverna dove lavorava come sguattero in cambio di vitto e alloggio, non rappresentava un’eccezione alla regola.

— Un attimo e arrivo. —

— Sbrigati però, piove. —

Yusuf gettò da parte la coperta e si alzò, si infilò qualcosa addosso e, dopo aver lanciato le armi rimaste sul tavolo in una delle casse, si apprestò a spostare il baule.

— Ehi, che succede? Stai facendo uscire una ragazza nuda dalla finestra? —

Come si facesse venire in mente certe idee una canaglia di tredici anni che ne dimostrava a stento undici era per lui un totale mistero. Una ragazza nuda… Tanrı'nın iyiliğini! (bontà divina!)

Quando la porta fu finalmente aperta Latif si precipitò dentro con un sorriso da un orecchio all’altro, posò una piccola pentola di terracotta sul tavolo e dopo essersi cavato di tasca un cucchiaio di legno, tolse il coperchio e si accomodò su una sedia. Il profumo era decisamente invitante e Yusuf si piazzò sull’altra sedia, tirando la pentola verso di sé con l’acquolina in bocca.

Afiyet olsun! (buon appetito!) disse Latif porgendogli il cucchiaio. — Come è andata la tua giornata? —

L’altro si affrettò a scacciare dalla mente i brutti ricordi di quel pomeriggio che rischiavano di guastargli la cena.

— Niente di speciale. — disse, ma il suo tono non doveva essere stato troppo convincente, perché Latif lo squadrò con le sopracciglia aggrottate.

— Non mi incanti sai? La tua faccia dice che è successo qualcosa. —

L’ombra. Pensò Yusuf. Quel ragazzino troppo sveglio stava forse vedendo l’ombra nei suoi occhi?

— Ho avuto dei guai, va bene? E non ho voglia di parlarne. —

— E perché, scusa? Non avrai mica ammazzato qualcuno! — Latif rise, fiero della sua battuta, ma quando vide che il suo amico si era bloccato col cucchiaio a mezz’aria e la bocca aperta, la risata gli si strozzò in gola e suoi occhi si allargarono a dismisura.

— Hai… ammazzato qualcuno… Yusuf? —

Il giovane Tazim sbatté il cucchiaio sul tavolo, facendo sobbalzare il ragazzino.

— Ti ho detto che non ho voglia di parlarne! — la sua voce era piena di rabbia e la nausea era tornata ad assediagli lo stomaco.

— Non… lo dico a nessuno. — balbettò Latif. — Te lo giuro. Su quello che vuoi tu. —

— Non giurare, Latif. —

— E invece sì. Tu sei mio amico, e ti devi fidare di me. Ti fidi di me? —

Yusuf scorse la paura nei suoi occhi. Sapeva di suo fratello, un bastardo di diciotto anni che non si era mai fatto scrupoli a riempirlo di botte e pensò a se stesso come la causa di quel timore, ma poi si rese conto di come stessero davvero le cose: Latif non aveva paura di lui, ma del fatto che potesse negargli la fiducia che tanto desiderava, allontanandolo. Si pentì di aver alzato la voce.

— Mi fido. — disse costringendo le sue labbra in un debole sorriso. — Anche tu sei mio amico.—

Il ragazzino sembrò rilassarsi e dopo un attimo indicò la pentola.

— Non mangi più? —

Yusuf spinse lo stufato verso di lui e gli passò il cucchiaio. — Finiscilo pure. —

Latif attaccò a mangiare con la consueta voracità.

— Davvero hai ucciso qualcuno? — chiese tra un boccone e l’altro.

Yusuf si prese la testa fra le mani, sospirando.

 

 

 

  
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