DISCLAIMERS:
“Harry Potter” e tutti i suoi personaggi
appartengono a J.K. Rowling, Warner
Bros, Bloomsbury, Salani Editore e a chiunque altro ne detenga i
diritti. La
seguente fiction non è in alcun modo connessa con il lavoro
della Rowling né ha
alcuno scopo di lucro.
I
dialoghi sono tra virgolette, i pensieri anche, ma sono scritti in
corsivo.
Alcune formule magiche, invece, sono scritte con un carattere diverso.
DEDICA:
Questa storia è dedicata a Vale e Gegè,
potteriane d.o.c., colleghe e supporters
impareggiabili, e a tutti coloro che amano sognare ad occhi aperti: non
smettete mai di farlo! Spero che vi piaccia e che vi divertiate a
leggerla
quanto io mi sono divertita a scriverla.
CAPITOLO 1 – UN BRUTTO
PRESENTIMENTO
Il
piccolo negozio “
Se
ci foste passati davanti, l’unica vetrina de “
La
proprietaria, Oleander Silvestre, era una donna di
trent’anni, di statura e
corporatura media. La prima cosa che avreste notato di lei sarebbero
stati
senza dubbio i capelli: lisci, cortissimi e di un color prugna molto
cupo e
spento. Nessuno pensava mai che fosse quello il loro colore naturale,
nonostante le sopracciglia e le ciglia della donna avessero la stessa
improbabile tonalità, pertanto le domandavano sempre che
marca di tinta utilizzasse.
Domanda alla quale rispondeva brevemente “Una miscela di mia
creazione.” Di lei
avreste poi osservato due occhi castani, nascosti dietro grandi
occhiali dalla montatura
di metallo sottile, sareste scesi con lo sguardo lungo il naso forse un
po’
stretto, che le conferiva una voce leggermente nasale, e sulle labbra
rosate, morbide
e mai coperte di rossetto, solo, quando il freddo era più
intenso, da un velo
di burrocacao. Infine, sicuramente avreste notato le sue mani e non per
la loro
bellezza: molto robuste, per appartenere ad una donna, con le unghie corte, spesso macchiate di
smalto o solvente,
piene di spellature, calli, graffi o piccoli tagli, sempre intente a
piegare abilmente
metallo, impugnare martelli e pinzette, sfregare carta vetrata sulla
superficie
delle pietre. Intente, insomma, al loro lavoro.
La
nostra storia ha inizio in un limpido pomeriggio di giugno: Oleander
stava
consegnando una coppia di orecchini di ambra ad una ragazza, quando
entrò
un’altra cliente, la quale aspettò che la prima
uscisse e mormorò con voce
musicale alla padrona del negozio “Cerco la mia
pietra.”
“Capisco.
– Oleander
sorrise e fece cenno alla donna
di sedersi di fronte al bancone – non le spiacerà
mostrarmi un documento,
vero?”
La
cliente aprì la borsetta e le mostrò un
cartoncino bianco rettangolare, sul
quale comparvero, come scritte da mano invisibile, le seguenti parole: Mieko
Sonoda, nata il 1 agosto 1750, sirena del clan Sonoda.
“Molto
bene.” Approvò Oleander. Prese una sottile
bacchetta di legno chiaro e la agitò
in direzione della porta, la cui serratura si chiuse
all’istante, mentre le
veneziane scendevano a celare l’interno del negozio, poi si
alzò e dal retro
del negozio portò una boccetta contenente un liquido bianco
lattiginoso ed un
sacchetto di raso bianco pieno di pietre dure. Invitò la
sirena a sceglierne
una e posarla sul palmo della mano aperto.
La
ragazza obbedì, pescando un’ametista a forma di
cuore. Oleander con un
contagocce ci versò sopra due gocce della sostanza
lattiginosa, ma non accadde
nulla. La cliente provò allora con un cristallo di rocca e
dell’ossidiana, però
la padrona del negozio continuava a scuotere la testa. Al quarto
tentativo
scelse una luccicante sfera di ematite e quando Oleander
versò le gocce del
liquido, esso divenne di un brillante color celeste, come gli occhi
della
sirena.
“L’abbiamo
trovata: l’ematite aiuta a purificare ed incanalare
l’energia. Spero che lei e
la sua pietra andrete d’accordo.” Disse Oleander.
Contenta
del suo acquisto, la sirena pagò 10 falci ed uscì.
Oleander
si alzò e scomparve nuovamente nel retrobottega: un babbano
avrebbe visto solo
una nicchia, grande poco più di una cabina del telefono, due
pareti della quale
erano piene di scaffali fino al soffitto, sui quali giacevano
affastellati e
senza alcun ordine gli attrezzi ed i materiali che servivano alla
creazione dei
gioielli (in effetti Oleander era una casinista nata e mantenere una
parvenza
di ordine, di là in negozio, le richiedeva un grande
sforzo!), mentre la terza
parete era vuota, presumibilmente per muoversi meglio in quello spazio
angusto.
Ma una qualsiasi creatura, nelle cui vene scorresse un po’ di
magia, su quella
nuda parete avrebbe invece visto una porta di legno di noce, con incise
numerose formule magiche anti-intrusione. La maga la varcò
ed entrò nel
laboratorio nel quale svolgeva il suo vero lavoro: infondere la magia
negli
oggetti, in modo da creare amuleti incantati. Si mise ad impacchettare
i vari
ordinativi aveva ricevuto, guardando Petrolio, il suo corvo imperiale
che già
saltellava impaziente sugli scaffali “Lo so, lo so, hai
voglia di fare un po’
di moto. Ti accontento subito.”
Dopo
un’ora circa si udirono alcuni colpetti decisi su una delle
finestrelle del
laboratorio, ma non era Petrolio già di ritorno: un grazioso
allocco con un
piccolo foglietto di pergamena legato ad una zampa stava bussando con
il becco
sul vasistas. Oleander Silvestre non aveva poteri divinatori, ma
avrebbe
giurato che quel volatile ed il suo messaggio preannunciavano guai,
comunque
aprì la finestra e fece entrare l’animale, che
planò, silenzioso ed elegante,
sul tavolo. Sperava fosse solo il cliente che le aveva commissionato un
eliotropio
stregato, un folletto molto assillante, ma non era così.
Lesse il messaggio,
aggrottò la fronte un po’ sorpresa e
parlò con l’animale
“D’accordo, sarò lì il
prima possibile, non c’è bisogno che porti una
risposta.” Il rapace piegò il
capo in segno di assenso e volò fuori.
La
donna sospirò pesantemente: la sensazione di andare incontro
a grossi grattacapi
a passo di marcia divenne più forte, il mittente del
messaggio non si sarebbe
azzardato a far volare in pieno giorno, in città, un rapace
così vistoso, se
non ci fosse stato un motivo serio. Chiuse il negozio e andò
a prendere la sua
auto, una vecchia 500 rossa fiammante, parcheggiata nella corte interna
del
palazzo. I maghi e le streghe di sua conoscenza le rimproveravano
spesso di
avere abitudini troppo babbane, compresa quella di guardare un sacco di
quelle
cose chiamate “film” e di voler guidare un
autoveicolo. Come si poteva
paragonare – chiedevano scandalizzati – la
comodità e la rapidità di una scopa
o di una passaporta a quella trappola puzzolente e rumorosa?
Ma
Oleander faceva le spallucce: guidare era per lei
un’attività molto piacevole.
Ascoltava il motore salire di giri, schiacciava la frizione e cambiava
marcia,
lasciava scorrere il volante di pelle sotto le mani, fissava il nastro
d’asfalto che scompariva sotto le sue ruote e si distendeva
come non mai. Con
la radio in sottofondo, poteva guidare per ore senza stancarsi.
Però
quel pomeriggio il suo tragitto era piuttosto breve: percorse un tratto
dell’accidentato pavet che costeggia il Naviglio, poi si
infilò in una strada senza
uscita, tanto angusta che a malapena ci passava una macchina, stretta
tra alti
palazzi dell’inizio del Novecento, in fondo alla quale stava
un vecchio
cancello di ferro arrugginito, che pareva restare in piedi solo grazie
ai
numerosi rampicanti che nel corso degli anni vi si erano avvinghiati.
Oltre il
cancello si scorgeva un filare di tigli malaticci e striminziti, dei
campi incolti
che non vedevano da anni la mano di un buon contadino, pieni di erbacce
e
pietre e, in lontananza, una fattoria abbandonata, nelle stesse pessime
condizioni del cancello. Oleander lasciò la macchina di
fronte all’ingresso, pronunciò
la parola d’ordine “Carlus Porta” [1], lo
aprì e oltrepassò la barriera che
teneva celato al mondo esterno l’Istituto Mediolanensis, la
scuola di magia
della città lombarda, nel quale lei stessa aveva studiato da
ragazza e sua
madre prima di lei.
I
tigli, in realtà, erano nel pieno della loro fioritura ed
emanavano un profumo
dolcissimo, quasi stordente, mentre le grandi foglie creavano una
piacevole
frescura. Il vialetto di sampietrini che conduceva
all’edificio principale era
cosparso di piccoli fiori gialli e i prati che circondavano la scuola,
puliti e
curati alla perfezione, erano verdi e rigogliosi, punteggiati da vivaci
papaveri rossi e grandi margherite. Le lezioni erano finite da pochi
giorni e
la scuola era semideserta; Oleander salutò il giovane
giardiniere che stava annaffiando
una siepe di tasso con la sua bacchetta magica ed entrò
nell’edificio, salendo
fino in presidenza. Bussò alla porta e quando le fu risposto
“Avanti!” entrò.
Conosceva abbastanza bene Michele Cardano, discendente di Gerolamo [2],
fondatore
di quell’Istituto, e dopo i soliti convenevoli la donna
andò dritta al punto:
“Perché mi hai fatto chiamare con tanta urgenza?
Se è per un’altra lezione
dimostrativa agli studenti dell’ultimo anno sugli amuleti
protettivi, posso
vedere di organizzare qualcosa in settembre…”
“No,
non si tratta di questo.” rispose Cardano, un ometto magro e
completamente
calvo che si avvicinava al secondo secolo di età, mentre si
agitava a disagio
sulla sua poltrona.
“Lo
sapevo: rogne.” La donna si massaggiò la fronte
con una mano, un’espressione
disgustata sul volto, come se le fosse scoppiato d’improvviso
un gran mal di
testa.
Il
preside spalancò gli occhi “Co-come…
fai a… n-non avrai…”
“No
– sospirò Oleander – non ho usato la
legilimanzia, non ce n’è bisogno: ti
comporti come se avessi un diavolo nascosto sotto la
scrivania.”
Il
viso dell’uomo divenne paonazzo, perché in un
certo senso la sua intuitiva
ex-allieva non era andata molto lontana dal vero
“Ecco… c’è una persona che
desidera vederti.”
“E
chi sarebbe?”
“Cerca
di capire… è una faccenda delicata, importante,
altrimenti non mi sarei mai
permesso di…”
“Chi
è?” chiese Oleander, la cui voce era salita di
un’ottava per l’irritazione.
Un
uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e gli occhi grigi, che
indossava un
completo bordeaux a fini righe dorate ed una camicia di seta bianca si
staccò
dalla parete alle sue spalle: “Ciao nipote, ti trovo
bene.”
Un
gemito sconsolato sfuggì dalle labbra di Oleander: non aveva
affatto bisogno di
voltarsi per sapere di chi si trattava. “Barone Raginmund Von
Athala, preside
della scuola di magia di Schloss Berth.” [3]
“Come
sei formale. Non mi chiami più zio Ragin?”
Oleander
lanciò un’occhiataccia prima al preside
dell’Istituto e poi al Barone “Che sta
succedendo qui?” chiese, con la sensazione di essere piombata
in quel film
babbano: “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”
Michele
Cardano si affrettò a congedarsi “Dunque, penso
sia meglio lasciare che il
Barone ti spieghi tutto.” Ed uscì dallo studio di
gran carriera.
Lo
zio si accomodò di fronte alla donna ridacchiando:
“Forse temeva che lo avresti
trasformato in un rospo.” Di fronte all’ostile
silenzio della donna proseguì
“Ho sentito che come copertura per la tua attività
hai un negozio di
gioielleria, aperto anche ai babbani. Non hai paura di essere
scoperta?”
“No,
sono prudente.” rispose asciutta la donna.
“E
come vanno gli affari?”
“Bene,
grazie.”
“Buon
per te. Ma se ti trovassi in difficoltà, a Schloss Berth
c’è sempre un posto
per te.”
“Cos’è,
la donna delle pulizie si è licenziata?”
Il
Barone ignorò la caustica domanda, si alzò in
piedi e andò alla finestra,
scostando la tenda “Originale il tuo mezzo di
trasporto…”
Oleander
esplose “Sei venuto fin qui per criticare il mio stile di
vita? Allora potevi
limitarti a spedirmi una lettera, avresti risparmiato tempo ed energie.
E poi
mi spieghi che cos’è questa pagliacciata? Non
c’era bisogno di farmi venire qui
con l’inganno: se avevi bisogno di parlarmi, sai benissimo
dove abito.”
L’anziana
segretaria dell’Istituto Mediolanensis, il cui ufficio si
trovava di fianco a
quello del preside, sussultò. Sapeva che Oleander Silvestre
aveva un carattere
tutt’altro che pacato. Si rivolse al suo superiore
“Sicuro che vada tutto bene,
lì dentro?”
“Me
lo auguro Magda, me lo auguro.” Rispose, con un sorrisetto
nervoso, assai poco
convinto e convincente. Di certo non convinse Magda, che continuava ad
occhieggiare la porta come se dovesse esplodere da un momento
all’altro.
=================================
NOTE:
[1]
= lo so, non dite niente: è un gioco di parole
agghiacciante, me l’hanno già
detto… però non ho resistito! XD
[2]
= Gerolamo Cardano fu un medico e filosofo lombardo del ‘500.
Poiché nella sua
vita si interessò anche di astronomia e di magia, ho pensato
che sarebbe stato
il fondatore ideale di questa scuola. ^_^
[3]
= ehm, io il tedesco non lo so e non l’ho studiato, quindi
per inventare questi
nomi mi sono servita di Internet: spero di non aver scritto castronerie
ciclopiche (nel caso, correggetemi). Insomma… prendeteli un
po’ con le pinze! Raginmund
dovrebbe significare “protezione del consiglio”,
Athala “nobiltà”, Schloss
“castello”
e Berth “splendore”.
Mi
sono accorta solo alla fine della storia che il nome che ho scelto per
la mia
protagonista, Oleander, assomiglia molto a quello del signor Olivander
e me ne
sono resa conto solo perché mi ero rimessa a leggere
“La pietra filosofale”
(questo da un’idea del grado di stordimento della
sottoscritta). La cosa non è
voluta, mi piaceva come suonava e l’ho scelto per questo.