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Autore: Amy Tennant    17/12/2012    6 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il vento spingeva le nuvole veloci su un cielo abbagliante di luce, luminoso come lo è solo prima della pioggia. Probabilmente il pomeriggio sarebbe stato pessimo, un’altra giornata d’inverno, ma era sempre così sotto Natale e Rose non ricordava una sola volta che durante le feste ci fosse stato bel tempo, se non per poche ore. Almeno questo non era cambiato, in quel mondo.
Abituarsi alle differenze non era stato facile. Diversa la Storia, la geografia politica; diversi i destini delle persone che aveva conosciuto nel suo primo mondo, quello per il quale era morta, e che invece lì non l’avevano incontrata perché non era mai nata.
Quando il pensiero vagava in quella direzione Rose si sentiva quasi persa, poi ricordava. Ricordava che chi l’amava era lì, con lei.
Sua madre, che finalmente sembrava essere più felice di come non fosse prima e non così sola. In quel mondo parallelo Rose aveva anche ritrovato suo padre, un uomo che l’istinto le diceva di amare incondizionatamente ma che non sembrava provare per lei gli stessi sentimenti, piuttosto un disagio strano, tale anche dopo tempo. La accettava ma non come “figlia propria” quando incredibilmente aveva sostituito una Jackie con l’altra e quindi avuto il figlio che desiderava con lei.
A volte Rose si sentiva di troppo, in quella grande e bellissima casa. Le mancava il quartiere, i cortili con le scritte sui muri lasciate per noia o solo per gridare qualcosa; le mancava qualcosa che non esisteva. In quel mondo infatti, quei palazzi non erano stati costruiti. Rose però non rimpiangeva nulla. In quel mondo c’era LUI.  
Era con lei al mattino, quando si svegliava spesso prima di lui e restava a guardarlo, addormentato accanto a sé, i capelli scompigliati, l’espressione dolce del sonno più profondo, il suo avvolgersi nelle coperte facendo peso con il corpo perché lei tendeva a rubargliele durante la notte.
John spesso non si svegliava quando lei lo accarezzava e si stringeva al suo corpo ma più di qualche volta la abbracciava e teneva stretta a sé d’istinto, come anche nel sonno avesse coscienza di doverla proteggere.
Lui sognava molto e spesso insisteva per raccontarle quel che vedeva, ed era una tragedia; facevano colazioni lunghissime, lei con la testa poggiata sulla mano e gli occhi semichiusi davanti al tè fumante e lui ad agitarsi per la cucina in preda all’eccitazione ripetendo anche cento volte “oh, Rose! Avresti dovuto vedere!”.
A volte Rose pensava che quello fosse l’unico modo che gli fosse rimasto per viaggiare, andare lontano e quindi i suoi racconti la rattristavano. Ma anche questo era essere “umani” e quindi prendeva coscienza che sarebbe stato così per sempre e lui l’aveva accettato. O per lo meno, lo aveva fatto per lei. L’aveva sempre ammirato per il coraggio, aveva iniziato ad amarlo per quello; forse.
John non la stava deludendo. Scegliere lei, scegliere di restare lì con lei era la cosa più coraggiosa che potesse fare.
Quando il coraggio mancava a lei, lui la prendeva tra le braccia, come aveva sempre fatto. Il suo calore la confortava, il suo modo di aprire gli occhi e guardarla ogni giorno, il suo sbadigliare come un bambino, la facevano sorridere e ridere. Ridevano molto, loro due insieme.
In fondo era sempre stato a quel modo.
Tranne che per quel primo periodo, difficile e strano.
Anche allora John aveva dimostrato una pazienza e un amore infinito, verso di lei. Aveva atteso, lasciato che lei cercasse dentro di lui quel che voleva trovare e che ritrovandolo, lo amasse per quel che era; colui che lei conosceva.
I pensieri di Rose vennero spezzati dal pianto della neonata e dal borbottare di Jackie.
Guardò sua madre. Curata, ben vestita. Sembrava avere dieci anni di meno ed era molto più bella. Nella grande sala, l’albero di Natale brillava addobbato da scintillanti creazioni di vetro, costosissime sicuramente. Pete non badava a spese, questo si era intuito da subito. E ciò nonostante, quando vide lo sguardo di Jackie sull’albero, pensò che anche lei aveva ripensato a quel Natale passato.
Era stato allora che Rose aveva capito come anche Jackie tenesse al Dottore.
-          Oh, tesoro… dicci come possiamo aiutarti! –
Le aveva sentito dire queste parole, al suo capezzale, mentre lui soffriva ed uno dei suoi cuori si era fermato per lo sforzo improvviso fatto troppo presto.
Certo quell’esperienza surreale aveva reso per loro ogni albero di Natale un po’ inquietante. Come la vista di Babbo Natale, che però in quel mondo parallelo non era vestito di rosso e bianco perché la CocaCola non aveva fatto quella famosa pubblicità. Jackie continuava a borbottare e Rose la guardò.
-          Ti piace l’albero, mamma? – le chiese con un sorrisetto.
-          Mi dà i brividi – disse Jackie avvicinandosi a Rose, la bambina in braccio che si lamentava debolmente. Aveva gli occhi azzurri di Pete ma le somigliava, lo dicevano tutti. L’avevano chiamata Elizabeth, un nome da principessa; molto diverso dal semplice “Rose” – oh, povera me, sono a pezzi! – sospirò con tono lamentoso – forse ero troppo vecchia per avere un bambino, Rose!
-          Non dire sciocchezze!
-          È trascorso molto tempo da quando ne avevo avuto uno – le sorrise.
-          Già… – Rose guardò le manine della sorellina agitarsi mentre la piccola bocca si arricciava in bollicine di saliva e smorfiette deliziose – posso prenderla un po’? – chiese a Jackie.
-          Speravo davvero che me lo chiedessi! – disse con un sospiro sollevato e con cura la mise tra le braccia della figlia, ancora un po’ impacciata nel tenerla tra le mani – stai tranquilla, non è fatta di vetro…
-          È che sembra… è così piccola! – mormorò Rose stringendola sé delicatamente.
-          Ti somiglia tanto, Rose. A te da piccola, intendo – Jackie accarezzò i capelli biondi di Rose e la guardò un lungo momento. Era cresciuta, era diventata più donna. Era cambiata molto e l’aveva cambiata lui. Spesso, guardandoli insieme, pensava a quanto si somigliassero loro due.
Qualunque cosa legasse entrambi era diventata più forte proprio quel Natale passato cui stava ripensando, guardando l’albero nella sala. Se prima il loro viaggiare insieme le sembrava strano, imprudente e inopportuno, in seguito qualcosa era cambiato; LUI. Il Dottore era tornato sulla Terra diverso, un ragazzo. Le aveva fatto tenerezza, diversamente dall’altro che le pareva persino arrogante. Era un bel tipo, il primo Dottore che aveva conosciuto. L’aria strafottente nella sua giacca di pelle nera, gli occhi azzurri perennemente spalancati e l’aria inquieta. Un uomo affascinante, anche per lei. Comprendeva quindi che la figlia se ne sentisse attratta. Era però sfuggente, freddo. Glaciale. Il ragazzo dagli occhi scuri e con quei capelli ribelli era diverso.
Non che non fosse originale o fastidioso, tale era rimasto. Era però più dolce, incline alla tenerezza, nonostante lo avesse visto anche spietato. E quando aveva accettato di passare il Natale insieme, cosa che non aveva voluto fare l’ALTRO, si era accorta che qualunque cosa Rose provasse per lui, era ricambiata. Il sorriso che lui e la figlia si erano scambiati sulla porta l’aveva convinta una volta per tutte che Rose con lui era al sicuro. Con lui più che con chi era stato prima.
-          Mamma, che stai pensando?  - chiese Rose.
-          A quel Natale movimentato – Jackie fece un sospiro di sollievo per esserne lontana anni luce. In tutti i sensi, ormai.
-          Sai se papà torna a casa, oggi? – la neonata iniziava a protestare, forse aveva fame. Jackie però sembrava ancora pensare ad altro – mamma…!
-          Ah, sì… scusa, Rose. Sono stanca, la bambina dorme poco e penso che ora voglia il latte…
-          Non preoccuparti. Se vuoi glielo do io…
-          Va bene – sorrise – comunque, non so se tuo padre sarà di ritorno fino a sera, al laboratorio stanno facendo delle prove importanti, così dicono. E detesto tutte le chiamate al cellulare che riceve. Non ha tregua.
-          Sì, lo so. Anche John è molto impegnato, in questi giorni.
-          Volevo chiedertelo ma… sta bene? Mi sembra pallido, stanco – Rose abbassò lo sguardo un momento – Rose… che c’è?
-          Niente.
-          Rose, hai fatto una faccia strana. Dimmi che c’è… se non parli con me che sono tua madre…
-          È che non lo so, mamma. Davvero. Non so che succeda – Rose strinse la sorellina forse un po’ più forte. La bimba rise appena poi riprese a fare brevi strilli. Forse aveva davvero fame – se mi dai il biberon intanto le do da mangiare…
-          Andiamo in cucina a prepararlo – disse Jackie.
La casa di Pete era immensa. Ci si perdeva. Uscirono dalla sala da pranzo e fecero un corridoio lunghissimo, in fondo l’enorme cucina. Grande il doppio della loro vecchia casa. Entrandoci dentro Jackie faceva sempre un’espressione un po’ strana, neanche molto soddisfatta. Aveva sempre desiderato più mezzi e se l’erano vista brutta, lei e Rose. Eppure quello era troppo. Poco dopo il loro ingresso, una delle giovani cameriere a loro servizio, era già pronta agli ordini.
-          Cara, non ti preoccupare, faccio io – disse Jackie un po’ a disagio. Cercare il bollitore lì in mezzo però era un’impresa. Dopo aver aperto due cassetti, Jackie si rassegnò a chiedere alla ragazza dove fosse e già che c’era di metterlo su per la poppata di Elizabeth.
Intanto Rose continuava a tenere la bimba in braccio, molto pensierosa.
-          Rose, avanti… dimmi cosa è successo – insistette a voce più bassa.
-          Mamma, qualche giorno fa John ha avuto un’esperienza molto dolorosa – disse le parole sottovoce ma la cameriera rivolse loro uno sguardo un po’ intimidito, si sentiva di troppo. Rose le sorrise per tranquillizzarla.
Il personale al servizio di Pete era trattato bene e ben pagato. Jackie era una padrona di casa un po’ petulante ma rispettosa. Dell’altra “Jackie”, Rose aveva un ricordo drammatico che diventava fastidioso ogni volta che vedeva le divise della servitù.
Come aveva fatto Pete a superare tutto così velocemente e sostituirla con un’altra? Per un periodo si era chiesta qualcosa del genere per sé stessa, visto che John non era il Dottore.
Poi aveva capito che era diverso. Del tutto.
La cameriera finì di preparare l’occorrente per la poppata e le lasciò sole. Jackie porse a Rose il biberon dopo aver sentito sul polso il latte e Rose, sedendosi vicino alla finestra, lo prese ed iniziò ad allattare la sorellina.
La piccola succhiava avidamente e Rose si mise a ridere.
-          Almeno non dà problemi per mangiare – sospirò Jackie.
-          Piccola, se continui ad avere una fame simile, dovrai stare attenta alla linea – disse Rose scherzosamente.
-          Rose, ora che siamo sole, continua, dimmi tutto – Rose si intristì. Era preoccupata – ma è una cosa grave? Una cosa tra voi?
-          No, no…
-          Bene, perché se lui ti facesse ancora soffrire io non lo sopporterei!
-          Lui non mi ha mai fatto del male, mamma. Quel che è successo ha fatto soffrire molto entrambi.
-          Perché ho l’impressione che il passato c’entri qualcosa con ciò che dicevi prima?
-          Perché in fondo è così – disse Rose. Porse il biberon vuoto a Jackie che riprese in braccio la bambina.
-          Rose… - la ragazza esitava. Perché non glielo diceva e basta? La stava facendo innervosire – Rose! – insistette.
-          Il Dottore si è rigenerato, mamma. E John ha sentito la sua morte – Jackie la guardò con occhi sgranati e bocca aperta per la sorpresa. Non poteva essere. Non doveva essere.
-          Lui è … il Dottore intendo, è … ?
-          Sì. L’uomo che abbiamo conosciuto è morto – disse con accento triste – ora… lui è cambiato, John dice che sta bene ma…Ma lui…! Lui l’ha sentito ed è stato lento, doloroso.
-          Lui è umano, come è stato possibile?
-          Non è proprio tale e ancora non lo sappiamo.
-          Ma è successo… in un altro universo!
-          Sì, eppure non è bastato a dividere il Dottore dal Dottore. Io… - esitò. Jackie la guardò preoccupata – mamma, l’ho visto, l’ho visto bruciare come già era accaduto quando era cambiato davanti ai miei occhi! E’ stato terribile.
-          Oddio…  Ma ora, John sta bene?
-          Pare di sì – Rose accarezzò la sorellina. Era però triste e Jackie comprese il senso di quello sguardo.
-          Hai pensato molto a LUI, non è vero? – Rose abbassò lo sguardo.
-          Ho pensato a lui ma non come temi. Io amo il mio Dottore. E lui è John – Jackie annuì – però… il pensiero che abbia sofferto, che la sua vita come chi conoscevamo sia in fondo durata poco mi ha angosciata. Perché temo che potrebbe valere anche per John e lui non può cambiare, rigenerarsi.
-           Perché dovrebbe riguardare lui?
-          Non lo so. Non è un pensiero razionale.
-          Temere per la vita di chi si ama è naturale, Rose – disse Jackie – quando restavo sola ad aspettarti, ad aspettarvi entrambi ad un certo punto, io… avevo paura, per voi. Sapevo, sentivo, che i vostri viaggi non erano tranquilli e sono stata malissimo.
-          Mamma…  – Rose le si avvicinò abbracciandola – so di averti lasciata molto sola.
-          Molto.
-          Però lui mi ha sempre protetta, come ti aveva promesso. Sempre.
-          Questo lo so! Ma ha preso mia figlia e l’ha portata via da me ed io l’ho detestato, per questo. Lo ammetto.
-          Però ora gli vuoi bene – sorrise Rose. Jackie fece una smorfia alzando gli occhi e poi entrambe risero. Non si accorsero che lui stava sulla soglia a guardarle.
Rose ebbe un moto di sorpresa, accorgendosi che era lì. Con le spalle poggiate alla porta, il lungo soprabito marrone ancora addosso e le braccia conserte. I suoi occhi ridevano.
-          Da quanto sei qui?
-          Abbastanza da aver sentito qualcosa di compromettente – disse John con un sorriso.
-          Non montarti la testa! – protestò Jackie con tono petulante ma espressione scherzosa. La luce che entrava dalla finestra era più forte. Il cielo, piuttosto che incupirsi, si era inaspettatamente schiarito. Jackie guardò per l’ennesima volta il sorriso che si scambiavano Rose e lui, qualcosa di più caldo di mille parole.
Lo stesso di allora, forse ancora più dolce.
 John si avvicinò a Jackie guardando la bambina che aveva in braccio e la piccola tese verso di lui le manine con uno strillino acuto. Rose rise.
-          Ho l’impressione che mia sorella ti apprezzi molto, guarda come ti sorride! Sfacciata, direi.
-          Ti somiglia anche in questo – Rose rivolse un’occhiata finto offesa alla madre – se è come temo prevedo almeno vent’anni di problemi.
-          Mamma!
-          Entrambe le mie figlie hanno pessimi gusti – John rivolse a Jackie un sorriso ironico ma i suoi occhi erano fissi in quelli della bambina. Sembrava che si parlassero, anche se non era possibile.
-          Jackie … posso… ? – le chiese quasi sottovoce.
-          Visto che hai avuto cura della grande, ti affido la piccola… - gli sorrise e lui la prese tra le braccia con attenzione ma sapendo esattamente come fare. Jackie lo guardò sorpresa – sei molto più bravo di Rose!
-          Beh, non è difficile capire cosa vuole un bambino –  disse John sorridendo – in realtà i neonati sono talmente espliciti che persino gli animali li comprendono. Meno spesso le persone –  Rose lo guardò divertita e Jackie scosse il capo con espressione poco convinta. La bambina afferrò un lembo della giacca di John e lui rise – sì… sì… sono d’accordo, la mamma ti veste troppo di rosa – disse sorridendo alla bambina.
-          Ma che fai, puoi parlarci? – Rose lo fissò incredula.
-          Oh, ma certo – disse John con tono professionale – tua sorella sta protestando, ha dei gusti molto precisi. Detesta il rosa.
-          Non ci credo!
-          Al fatto che te lo dica o che il rosa non le piaccia? – John rise, Rose lo fissava a bocca aperta – dai, Rose… scherzavo!
-          Ah…!
-          Però quando sono così piccoli i bambini vogliono poco, mangiare, dormire… stare poggiati contro il petto di chi li ha in braccio – mormorò e la guardò – sentire i battiti del cuore li tranquillizza.
-          Perché è  quel che sentivano prima di nascere, no? – lui annuì.
-          E’ il ticchettio dolce del loro tempo – si allontanò un po’ verso l’ultima finestra della grande cucina, gli occhi fissi in quelli della bambina – ah, piccolina… mi dispiace. Lo so, mi trovi freddo, vero? – sussurrò pianissimo perché non lo sentissero. La piccola emise un debole verso – vuoi lo stesso stare un po’ con me? Sì? Ah… certo, ora hai sonno – Jackie e Rose lo guardavano un po’ stupite. John strinse delicatamente la bambina e rivolse le spalle alla finestra, proteggendo con la sua ombra la piccola dalla luce.
La teneva in braccio con un’espressione dolce e divertita, accarezzandola piano. Dopo qualche minuto la bambina già dormiva e lui la cullava. Sembrava non aver fatto altro nella vita. Rose sorrideva intenerita e Jackie lo guardò un lungo momento.
-          Guarda com’è bello John in questo momento – disse Jackie piano. Rose rivolse lo sguardo alla madre  – dovreste pensare ad avere un bambino…  – Rose sgranò gli occhi e arrossì.
-          Mamma… ! - protestò piano, neanche troppo convinta.
-          Forse dopo qualche centinaio d’anni si sentirà pronto. O no? – Rose scosse il capo continuando a guardarlo.
Sapere chi era, faceva sembra la bambina che aveva in braccio ancora più piccola.
Era un signore del tempo "umano".
Capace di una tenerezza infinita.  
E lei lo amava più di quanto non lo avesse amato in passato.
  
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