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Autore: Phoenixstein    17/12/2012    8 recensioni
Derek il grande e grosso lupo cattivo che si era innamorato di un piccolo frenetico ragazzo iperattivo come lui.
Derek che una notte l’aveva stretto forte e gli aveva sussurrato “Resta, resta per sempre”; con la voce bagnata di malinconia gli aveva chiesto chiaramente di non lasciarlo mai o sarebbe morto. Stiles in quel frangente aveva avvertito il bisogno di piangere avvolto dalle sue braccia, rispondergli che non sarebbe successa una cosa del genere per nessuna ragione al mondo. Invece era rimasto come in stato di shock, muto, con le labbra premute sul suo petto. Per la prima volta nella sua vita, parlare, emettere un suono dopo l’altro, risultava arduo. Capiva il peso di ogni singola parola e immaginava quanto fosse costato all’orgoglio dell’Alpha farle uscire dalle labbra, pur leggere come un respiro. Più tardi avrebbe assimilato quell’episodio come una specie di sogno e non ne avrebbero parlato in alcuna occasione, sebbene ogni volta che gli tornava in mente venisse pervaso da una sensazione di calore diffuso.
[Future fic in cui Stiles è al college mentre Derek è rimasto a Beacon Hills]
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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{Future fic in cui Stiles ha appena cominciato a frequentare il college;

Derek è rimasto a Beacon Hills.

L'ispirazione mi è arrivata da questa gif…


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Not enough.

 

 

Non esistevano appellativi sdolcinati fra loro. Non esistevano “amore”, “tesoro”, “dolcezza”. Stiles a volte lo chiamava ancora “sour wolf” quando brontolava troppo; Derek invece gli sussurrava all’orecchio cose come “lil’ red hoodie”, ma solo prima di ritrovarsi entrambi a sonnecchiare su un letto sfatto.

D’altronde non ne avevano bisogno. Il loro rapporto era tutto fuorché canonico. Era solido, fatto di gesti concreti, non esibiva cerimoniali. Nessuno avrebbe scommesso su di loro anni prima, eppure erano ancora insieme…

«Stiles.» rispose semplicemente Derek, premendo il tastino in verde. Pronunciò quel nome come faceva quando lo accarezzava con la punta della lingua fra le scapole. Stava aspettando quella chiamata da un po’, in verità. Era sicuro che il suo ragazzo non avrebbe resistito senza sentirlo per più di mezza giornata… Ed ecco! Non che la cosa gli dispiacesse, in fondo.

«Sai che ho già conosciuto il mio compagno di stanza? Fino a mezz’ora fa stavo sistemando la mia roba nell’armadio… Ora sto facendo due passi nei giardini, non ho ancora avuto modo di fare il giro del campus. E sto morendo di fame. Sono al chiosco. Credo che dovrei…»

«Fermo. Sono rimasto a “Ho già conosciuto il mio compagno di stanza”…» con tono asettico Derek interruppe quella valanga di chiacchiere.

«Sembra simpatico!» Stiles annuì energicamente, quasi che l’altro potesse vederlo.

«Hm.»

«Oh-oh.» Il più piccolo cominciò a punzecchiarlo. «Aspetta. Intendevi… Sei geloso?»

«No.» disse Derek, indeciso se stare ai giochetti di Stiles o meno. Sì, era geloso. Non che ci fosse ragione per esserlo, ma pur volendo non riusciva proprio a celare la sua possessività.

«Ahhh. Ammettilo. Sei geloso perché un altro ragazzo dormirà nella mia stessa stanza!» continuò quello, in una specie di allegra cantilena. Erano finiti i tempi in cui aveva paura dell’Alpha, i tempi in cui con un solo sguardo gelido si lasciava ammansire…

«L’importante è che non dorma nel tuo stesso letto.» precisò Derek, tranquillo. Non aveva dubbi: non sarebbe successo, ma meglio specificarlo.

«Ovvio. Quello spetta solo al mio lunatico preferito.»

Stiles tacque il fatto che non riusciva mai nemmeno a considerare l’ipotesi di fare con altri quello che faceva con Derek. Era inammissibile. Non avrebbe concesso a nessuno di toccarlo così in profondità. Era Derek. Derek e basta.

Derek da cui tutto iniziava.

Derek che era stato la svolta della sua vita.

Derek il grande e grosso lupo cattivo che si era innamorato di un piccolo frenetico ragazzo iperattivo come lui.

Derek che una notte l’aveva stretto forte e gli aveva sussurrato “Resta, resta per sempre”; con la voce bagnata di malinconia gli aveva chiesto chiaramente di non lasciarlo mai o sarebbe morto. Stiles in quel frangente aveva avvertito il bisogno di piangere avvolto dalle sue braccia, rispondergli che non sarebbe successa una cosa del genere per nessuna ragione al mondo. Invece era rimasto come in stato di shock, muto, con le labbra premute sul suo petto. Per la prima volta nella sua vita, parlare, emettere un suono dopo l’altro, risultava arduo. Capiva il peso di ogni singola parola e immaginava quanto fosse costato all’orgoglio dell’Alpha farle uscire dalle labbra, pur leggere come un respiro. Più tardi avrebbe assimilato quell’episodio come una specie di sogno e non ne avrebbero parlato in alcuna occasione, sebbene ogni volta che gli tornava in mente venisse pervaso da una sensazione di calore diffuso.

Derek con cui illudersi di passare una settimana in maniera semplice, senza scossoni, era impossibile. Ma a Stiles tutti quegli scossoni piacevano, pensava che per un amore così ardente valesse la pena compiere ogni possibile sforzo.

Derek a cui si sentiva sposato in segreto, legato a filo doppio in una relazione poco vistosa, vincolante, burrascosa ed eterna.

«Puoi giurarci.» affermò l’Alpha, ammorbidito.

«Comunque qui è tutto fantastico e…» riprese il più piccolo, entusiasta all’idea di renderlo partecipe delle sue sensazioni da matricola «Aspetta, il mio taco è pronto, devo pagare.»

L’Alpha non ebbe il tempo di aggiungere nulla. Restò in linea e sorrise nell’ascoltare Stiles che tesseva le lodi di un taco con molto formaggio e ringraziava il venditore. «Smettila di ingozzarti!» esclamò divertito, sicuro che l’altro non potesse sentirlo.

Ma Stiles, pur tenendo il cellulare vicino al petto per poter allungare comodamente il denaro al tipo, aveva carpito uno stralcio di quella battuta e temeva di essersi perso qualcosa d’importante. «Eh?» domandò, riportando in fretta il telefono all’orecchio.

Derek immaginò con dolorosa precisione quella sua facciotta buffa che si arricciava con espressione interrogativa. Godere della sua voce ma non poterlo guardare negli occhi -quegli occhi tanto dolci da aprire uno squarcio di luce nel suo buio- era un supplizio dei sensi. «Niente. Devo lasciarti da solo con il tuo taco, per caso?»

«No, raccontami la tua giornata.»

«È come ogni altra giornata, solo che…» “manchi tu” pensò «…non ho te che vaghi per l’appartamento come un pazzo parlando di tredicimila cose nello stesso istante.» disse soltanto. Il silenzio prolungato mentre Stiles masticava assorto e poi l’improvviso “Merda, mi cadono pezzi di pomodoro dappertutto!” lo convinsero di non essere propriamente ascoltato.

«Scusa dicevi?» rimediò il più piccolo, prima di addentare nuovamente il taco che per miracolo manteneva in bilico nella mano destra.

«Leva di mezzo quella roba, maledizione.» replicò Derek, brusco.

«Un attimo!» disse Stiles, per niente impressionato. Aveva imparato a trattare con lui in quegli anni: lupo che abbaia non morde. Inglobò quel fagotto ripieno in un solo colpo. «Okwhay, fuinitho.» farfugliò, la voce soffocata mentre masticava rumorosamente con le guance rigonfie di cibo.

Derek alzò gli occhi al cielo, quell’incosciente si sarebbe strozzato, specie dopo la proposta implicita che stava per fargli. «In questo momento vorrei strapparti via la maglietta a morsi, così vediamo se dedichi più attenzioni al tuo taco o a me. Oppure credi che un taco riesca a farti ululare di piacere?»

«Ch… DEREK!» l’altro iniziò a tossire com’era ovvio che accadesse. «Bel tentativo di ammazzarmi…» rantolò, battendosi teatralmente dei sonori colpi sul petto. Due ragazze poco distanti non riuscirono a trattenere una risatina.

«Veramente era un modo delicato per farti capire cosa voglio in questo preciso momento. Mai pensato al sesso telefonico?»

«Delicato???» urlò Stiles, prendendo le dovute distanze dalle ragazze data la piega che aveva preso la conversazione. «Sesso telefonico?» mormorò, sbalordito, scandendo le parole con eccitazione. «Ma sei serio? Non ti facevo tipo da… queste cose

«Sono serio. Ed essenzialmente hai ragione tu, non è il mio genere di intrattenimento…» disse Derek, caricando le sue parole di intime allusioni. Era abituato a fare, non a dire. «Ma ti voglio, ora.» aggiunse, roco. Quell’idea pazza aveva preso a perforargli il cervello senza un motivo preciso. Forse per una variazione di tonalità nella voce di Stiles che gli aveva ricordato i gemiti in camera da letto, forse per il repentino realizzare che non l’avrebbe visto per giorni e giorni, forse per il silenzio da cui era circondato e che ricalcava l’assenza dell’altro… Forse per tutto e forse per niente. Tante ragioni accendevano la sua brama, nessuna in particolare. Il mosaico della sanità mentale andava in pezzi.

«Dio! Sembra così… pazzesco!» fu tutto quello che Stiles riuscì a blaterare.

«Vai in un posto tranquillo.» ordinò Derek.

«Ora? Subito?»

«Vai.»

«Okay!»

«Corri, Stiles. Corri nella tua stanza. Voglio immaginarti qui. Voglio sentirti.»

Derek rilassò del tutto la schiena sul materasso e avvertì il benessere propagarsi nelle ossa, il desiderio montare fra le gambe. Divaricò appena le cosce, la patta dei jeans era aperta, la sua mano pronta.

«Stiles… Stai correndo?»

«Sto correndo. Te lo giuro, sto correndo.»

Ci fu il “clunk” di una porta che si chiudeva con i meccanismi che scattavano all’interno sonoramente. Stiles si schiarì la voce per attirare l’eventuale attenzione del suo coinquilino; nessuna risposta, era solo, bene. Con movenze ingoffite dalla fretta, corse in bagno. Chiuse a chiave. Si fermò scivolando sulla parete. Derek poteva udire il suo fiato corto dall’altra parte e poi “Sono pronto”.

Non avevano ancora cominciato che già si sentivano irretiti, febbricitanti, coi propri sessi ancora intrappolati nei pantaloni e i cuori che scalpicciavano come cavalli in groppa al vento.

«Cosa devo fare?» chiese Stiles, arrossendo violentemente. Temeva di essere troppo impacciato, di non essere in grado di varcare quella nuova frontiera. Avrebbe dovuto però avere più fiducia in se stesso; era Stiles Stilinski, le sue capacità spaziavano da un orizzonte all’altro.

«Chiudi gli occhi.»

«Chiusi. Devo… hm… tipo… ansimare?»

La domanda di Stiles, per quanto ridicola, non fu in grado di spezzare l’atmosfera satura di bramosia. Erano passati da una normalissima conversazione telefonica a una smania impellente di soddisfarsi l’un l’altro.

«Non te ne accorgerai nemmeno quando comincerai a farlo. Non forzarti, lascia che tutto venga da sé.» spiegò Derek, facendo slittare la mano al di sotto dell’intimo.

«Va bene.» disse Stiles. Si sedette più comodo che poté sul pavimento e allungò le gambe davanti a sé.

«Apri i jeans. Toccati. Piano. Immagina che siano le mie labbra a farlo, a premere al di sopra dei tuoi boxer.» Derek partì con delicatezza. Trattenendo il fiato attese il sospiro di Stiles prima di continuare. «Li faccio scivolare giù solo con la bocca, senti le linee tracciate dai miei denti?»

«Sento il contatto sottile delle zanne lungo la pelle quando mi vuoi e mi baci e mi mordi e sei metà lupo. Sai che lo amo.» un brivido si insinuò nella spina dorsale del più piccolo mentre sussurrava e immaginava. Capì che si prospettava un’esperienza disarmante. «Non sto dicendo… qualche sciocchezza, vero?»

Si sentì inturgidire subito, col tocco della propria mano guidata dalla voce calda di Derek. «Parla liberamente. Hai un sapore buono sulla pelle, Stiles.» gli rispose l’Alpha «E l’odore. L’odore è perfetto. È quello che chiama il lupo.»

«Continua a dirmi cosa mi fai, Derek.» mugolò il più piccolo «Mi sembra di impazzire.» ammise, le guance bollenti, sull’orlo di un attesa sensuale e pericolosa.

«La mia mano è intorno a te, piano, poi più veloce. Ti sto viziando, ti ho tutto nella mano, Stiles.»

«Hmm.»

«Sì, fammi ascoltare. Lasciati andare. Visualizza la mia mano, io posso percepire il tuo calore, la consistenza nel palmo…»

«Hmmf. Non smettere. Non smettere.»

«Lo sto facendo. Più veloce, Stiles?»

«Più veloce, veloce come il cuore che mi spacca il petto.»

«Lo bacio, il tuo cuore. E dal cuore la mia lingua è ovunque, ovunque tu voglia sul tuo corpo slanciato. Il tuo corpo è mio.»

“Non solo il corpo”, pensarono entrambi, e una voragine di sentimenti espressi di rado lacerò le loro coscienze con la rapidità del fulmine.

«Sì, è tuo. È tuo. Ti amo, Derek.» si lasciò scappare Stiles, sbriciolando la dolcezza in un ansimo dissoluto. Fece divampare il fuoco nella mente dell’Alpha e si lasciò investire dalle fiamme…

«Posso sentirlo. Posso sentirlo da come batte il tuo cuore contro la cassa toracica, sotto la mia lingua, sotto la mia forza. Voglio scoparti, Stiles.»

«E dimmi che mi ami. Non me lo dici mai. Dimmelo adesso.»

«Lo sai, lo sai…» la frase si spezzò tracigamente nella gola di Derek «…che ti amo.»

«E allora usami, gioca, fammi male. Sto solo aspettando.» lo pregò Stiles, abbandonato al richiamo deviante della lussuria. Il ringhio basso di Derek, vibrando attraverso le celle di ricezione, sciolse del tutto ogni rigore morale residuo, lasciando solo ad entrambi un devastante vuoto da riempire con ingordigia.

«Stiles.» l’Alpha pronunciò quel nome come se fosse quello del dio in cui aveva disimparato a credere.

«Mi aggrappo alle tue spalle, respiro contro il tuo collo, Derek. Voglio lasciarti entrare, lasciarti fare tutto.»

«Il tuo respiro… bagna la mia pelle. A-apri le gambe.»

«Spiegami perché non sono lì. Voglio sentirti. Voglio ogni cosa e la voglio per davvero, adesso. Voglio stringermi forte a te e gridarti che ti amo mentre mi fai godere e sono tuo, completamente.»

«Merda, Stiles, merda. Proviamoci. Sono così eccitato che…» deglutì, inspirò a fondo tastandosi la fronte madida «…non riesco a parlare. E il pensiero di non poter toccare con le mani quello che mi prometti, di non poterti fare quello che vuoi e che voglio dannatamente… Sto perdendo il controllo.»

«Derek. Derek. Facciamolo.» mugolò il più piccolo, cercando di spingere via quella sgradevole sensazione che stava sopraffacendo sia lui che l’altro.

«Io… ti…» ansimò l’Alpha, stritolando il cellulare fra le dita. La plastica cominciava a sgusciare via per l’umidità dei polpastrelli. Immagini dense e violente di urla e sudore e scatti muscolari fra le lenzuola e seme a fiumi e scintille calde che esplodevano dappertutto con la finestra aperta e le stelle e la falce bianca di luna e “Sfondami” e “Sei bellissimo” e “Vieni, vieni!” e “Mio!” e gli odori che si mescolavano e si innalzavano pungenti dalle loro pelli bagnate… Era completamente intontito dai ricordi e inerte di fronte alla scomoda realtà dei fatti. Il sesso telefonico? Una cosa da stupidi. Come gli era venuto in mente di poterlo considerare sufficiente? COME, quando ciò che condividevano in camera da letto erano esperienze tanto appaganti da non poter essere paragonate a niente né di umano né di divino? Ringhiò per la frustrazione, sferrando un pugno sul materasso. Avrebbe voluto mordersi le nocche a sangue, saltare sulla Camaro e macinare km e km soltanto per raggiungere la sua metà in quel preciso istante. «Siamo due idioti, Stiles. Non sarà mai abbastanza, non sarà mai vero come quando ci guardiamo negli occhi ed espelliamo il dolore delle nostre cazzo di esistenze, quando mi respiri addosso e il tuo calore e il mio sono una cosa sola per tutta la notte! Fa male, Stiles! Fa male e sei via solo da un g-»

«Pensavo che sarebbe stato… Dio. Derek, vieni a trovarmi, vieni questo weekend.»

«Non posso.»

«Tu verrai qui, hai capito?» la voce di Stiles si acuì, divenne quasi stridula per lo spasmo di insoddisfazione che gli legò lo stomaco. E non riusciva proprio a concepire come fosse possibile essersi ridotti in quello stato. Tanto dipendenti l’uno dall’altro, tanto bisognosi di contatto che la barriera di un telefono cellulare non faceva altro che farli sentire due grotteschi perdenti in balìa del fato e del contakilometri…

«Hm, Stilinski? Tutto bene?»

Stiles trattenne il fiato e il battito cardiaco -un tamburo assordante- invase i suoi timpani con la forza di un’onda d’urto. Beccato. Beccato a fare sesso telefonico dal suo nuovo compagno di stanza. Tirò su con il naso. Riassettò intimo e pantaloni con un gesto stizzoso e cercò di far suonare la sua voce meno triste che potè. «Mi sa che è successo un casino.» sussurrò nel ricevitore «Ti richiamo, Derek.»

«Stiles! Aspetta.» esclamò l’altro, in un tentativo disperato come chi vuole trattenere un sogno fra le dita ed è costretto a vederlo scappare inesorabilmente…

«Devo andare.»

 

 

 

 

 

 

Giuro, questa nella mia testa era partita come una PWP ed è finita… bè, a questo ammasso di non-sense farcito con angst e feelings vari qua e là.

E, come al solito, ho il terrore di aver reso Derek e Stiles OOC. Fatemi sapere, prima che decida di darmi all’ippica :’(

Un bacio a chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui…

Phoenixstein

   
 
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