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Autore: _Pandora_    19/12/2012    2 recensioni
Sequel di "~Monotonia"
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"Più passa il tempo, più mi rendo conto che credevo di conoscerti ma mi sbagliavo.
Quando hai fatto l’eroe, in quella gioielleria, l’hai fatto solo per te stesso, perché volevi compiere un gesto degno di nota, oppure perché almeno un po’ eri preoccupato per me e volevi salvarmi?
Spererei nella seconda, se non sapessi che è impossibile.
Tu eri un egoista, un egocentrico, un idiota."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Vivere - In Frantumi'
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~ Malinconia


Ti è mai capitato di chiederti perché esistevi?
Perché fossi nato, qual era il tuo scopo nella vita, cosa dovevi fare?
Ti sei mai fatto anche solo una di queste domande?
Io… Ne dubito fortemente.
Anzi, per la precisione sono fermamente convinta che se ci avessi pensato anche solo una volta, le cose non sarebbero andate in quel modo.
Oppure, in realtà, ci hai pensato davvero; magari per un caso del tutto fortuito l’hai fatto, e ti sei convinto che era perché dovevi lasciare un segno del tuo “passaggio” nella storia.
Cosa che poi hai fatto, effettivamente.
Ho tanta confusione in testa, pensieri, parole… Mille e mille domande sul perché sia andata così.
Più passa il tempo, più mi rendo conto che credevo di conoscerti ma mi sbagliavo.
Quando hai fatto l’eroe, in quella gioielleria, l’hai fatto solo per te stesso, perché volevi compiere un gesto degno di nota, oppure perché almeno un po’ eri preoccupato per me e volevi salvarmi?
Spererei nella seconda, se non sapessi che è impossibile.
Tu eri un egoista, un egocentrico, un idiota.
Eri convinto che il mondo girasse attorno a te, che tutto ciò che ci accadeva fosse strettamente collegato al tuo destino di paladino della giustizia.
Non hai mai indugiato, neppure un istante, e hai proseguito lungo la strada che avevi deciso di percorrere, quella di un adolescente brillante e fantasioso, destinato a diventare una leggenda; e io ti sono sempre venuta dietro come una stupida, convinta che nel tuo futuro ci sarebbe stato un posto anche per me.
Ma… Ormai, ho capito che le mie erano solo false speranze.
Già, esatto, proprio così.
Tutto perché tu eri un egoista egocentrico idiota.
Non hai esitato a lasciarmi indietro non appena ti si è presentata l’occasione.
Per la prima volta nella vita, in quella maledettissima gioielleria, io non sono riuscita a seguirti, perché io sono diversa da te: io non ho il coraggio di gettare tutto all’aria solo per un capriccio, per una remota possibilità di farmi conoscere in tutto il mondo.
Io non voglio morire.
Tu lo volevi?
Uff, quanto vorrei ricevere delle risposte.
Eppure, per quante volte te lo chiedo, tu non mi rispondi mai.
E direi che è anche normale.
Sei sotto non so quanti strati di terra, dentro una bara di pregiato legno d’ebano, probabilmente non mi senti neanche.
Alcune persone mi passano accanto e mi guardano perplesse, ma io non ci bado.
Non mi importa di essere chiamata “matta”, per me davvero non conta.
Anche perché so di esserlo.
Eh già, da quando sei “andato via” sono convinta di essere impazzita.
Lo psicologo dice che è colpa del dolore e che si tratta solo di un cedimento di nervi, io invece sono sicura di aver superato il limite della follia e di aver toccato il fondo.
Infondo sto parlando con una lapide, sperando che le mie parole raggiungano un cadavere: non è assurdo?
Mi alzo, infilo le mani in tasca e me ne vado, ancora una volta non ho trovato le mie risposte ma non mi interessa.
Ormai a me non sta a cuore più nulla.
Sono stanca di vivere ma non ho il coraggio di suicidarmi.
Diciamo pure che tanto non ce n’è bisogno perché dentro di me sono già morta.
Passeggio senza meta, mi allontano svelta dal cimitero e torno nella caotica città.
Mentre cammino, i miei occhi si posano sulla vistosa insegna di una gioielleria.
Non una qualunque, proprio quella.
Quella dove sei stato ucciso.
Entro, seguendo il mio istinto, e do una furtiva occhiata in giro.
Non è cambiato niente.
I soliti banconi, le solite vetrine, i soliti gioielli, la solite luci, i soliti commessi.
Mi volto e faccio per andarmene, ma una mano mi afferra il braccio e mi blocca: è la stessa gioielliera di quel giorno, quella che hai salvato e alla quale hai permesso di chiamare la polizia.
Mi sorride, un sorriso triste e malinconico.
In qualche modo ci ritroviamo a parlare, mi sorprendo del fatto che riesco ancora a rivolgere frasi di senso compiuto ad una persona viva e non morta da almeno due mesi.
D’un tratto le porte si spalancano ed entrano tre rapinatori, gli stessi di quella volta, e agitando le pistole in aria minacciano di fare una strage se non riceveranno in fretta ciò che vogliono.
E’ tutto come quella volta, la grida, l’ansia, la paura e i battiti accelerati dei cuori dei presenti.
Manchi solo tu, pronto a buttarti nella mischia per salvare la situazione.
Ah, e mancano anche il mio buon senso e la mia voglia di vivere.
Con uno scatto strappo dalla giacca della ragazza che mi sta davanti il cartellino con il suo nome che certifica l’appartenenza  a quella gioielleria e me lo metto addosso.
Lei mi guarda confusa e anche un po’ sconvolta, io le sorriso senza un apparente motivo e mi dirigo verso la cassa fingendomi proprietaria del posto.
I tre tizi ci cascano come degli sprovveduti e mi lasciano andare dietro il bancone.
Faccio per aprire la cassa –anche se in realtà è chiaro che non ho idea di come dovrei fare-, poi con un gesto secco premo il pulsante d’allarme posto sotto il banco e avverto la polizia della presenza dei rapinatori.
Quelli mi guardano sconvolti e visibilmente scocciati.
Uno di loro mi afferra per il colletto dalla camicia e mi punta una pistola alla tempia tentando di provocarmi, il tutto inutilmente visto che io invece di scoppiare a piangere o chiedere perdono, o magari gridare disperata, distendo le labbra in un sorriso e chiudo gli occhi, attendendo la fine.
Hai visto, sono un’eroina anch’io ora.
Ho fatto la cosa giusta proprio come te quella volta, tutti mi ricorderanno di sicuro.
E poi potremo di nuovo stare insieme, e raccontarci tutto ciò che ci passa per la testa; chissà, magari stavolta la nostra sarà una vera e propria conversazione, e non un monologo a senso unico da parte tua.
Sto immobile, in muto silenzio, e attendo il tanto agognato sparo che porrà fine alla mia ormai inutile esistenza.
Ma non succede niente.
Neppure dopo parecchi secondi.
D’un tratto sento un grido soffocato, e la stretta al collo si annulla così come anche la presenza scomoda della pistola vicino alla mia testa.
Apro gli occhi, giusto in tempo per godermi la scena.
BANG, di nuovo.
Osservo il corpo inerme della solita giovane commessa cadere a terra con un tonfo alle spalle del tipo che mi teneva ferma, gli occhi spalancati e la bocca aperta; un lago di sangue si espande sotto di lei.
E allora capisco cos’è successo.
Quando il rapinatore stava per spararmi, si è gettata su di lui in un disperato tentativo di salvarmi la vita, e ci è riuscita, in cambio della sua però.
Di rapinatori infondo ce n’erano tre, gli altri due non potevano mica restarsene con le mani in mano.
Prima che qualcuno possa fare qualcosa, la polizia fa irruzione e arresta finalmente i tre criminali.
Se solo ci fossero riusciti la prima volta…
Mi lascio cadere in ginocchio sconvolta, gli occhi puntati sulla figura minuta di quella vent’enne che è riuscita ad essere più coraggiosa di me.
Mi porta le mani alla testa tremando, ma non per il freddo.
Poi, all’improvviso, mi metto a gridare.
Così, di botto, apparentemente senza un motivo preciso.
E continuo così per ore ed ore, anche dopo che mi hanno portato fuori da quel posto, finché non mi finisce il fiato.
Per la cronaca, vado anche al suo funerale: mi sembra giusto, infondo mi ha salvato la vita -anche lei.
Ignoro gli sguardi dei suoi parenti che mi guardano confusi o irati, posso immaginare come si sentono.
Non ascolta una sola parola pronunciata dal prete durante la cerimonia, mi limito ad osservare ogni minimo avvenimento per scolpirlo nella mia mente, come a non voler ripetere lo stesso errore.
“Polvere eravamo e polvere ritorneremo” un altro detto di mio nonno.
Come al solito fa schifo, però oggi è un tormentone.
Accidenti nonno caro, perché mi hai inculcato nella mente frasi simili quand’ero bambina?
Non è giusto, non mi piacciono.
Sono tutte stupidaggini.
Finita la funzione, mi allontano a passo lento con ancora addosso gli sguardi truci dei presenti.
Mi spiace, non ce l’ho fatta a raggiungerti, nemmeno stavolta.
Si vede che sono troppo attaccata alla vita, io, a differenza di te o lei.
Uffa, più il tempo passa, più mi stanco.
Sono stufa della monotonia, della mia vita, di tutto!
E allora perché non riesco a morire?
Perché sono nata? Qual è il mio scopo nella vita? Cosa devo fare?
Perché esisto?
Ho bisogno di risposte, tante risposte, ma non so a chi rivolgermi per ottenerle.
Mi fermo e alzo il capo verso il cielo azzurro e privo di nuvole con fare stanco e annoiato, poi lo riabbasso e riprendo a camminare, continuando dritta per la mia strada.
Perché?
Perché sono ancora Viva.





.: Angolo dell'Autrice che non sa più che fare per tirarsi su di morale :.

Sequel di "~ Monotonia", chi l'ha letta dovrebbe saperlo, chi invece non l'ha fatto allora dovrebbe recuperarla o semplicemente fregarsene.
Si può tranquillamente dire che questa fic sta in piedi anche da sola, apparte i continui riferimenti all'altra storia... Ok, forse non è che si regge proprio bene;
zoppica diciamo.
Scritta in un momento in cui ero abbastanza di buon umore, lo pubblico solo ora perché mi sono depressa
di nuovo.
E non so che fare per tirarmi su...
Se qualcuno ha qualche idea mi mandi un MP,
seriamente.
Direi che non ho nient'altro da aggiungere.
Baci

_Pandora_

  
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