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Autore: Amy Tennant    19/12/2012    8 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rose stava correndo come molte altre volte inseguita da qualcosa di spaventoso e di fatto lo era. Ma non era alle sue spalle. L’ascensore le era parso troppo lento, il pianerottolo, le scale, la strada... Troppi minuti, troppi preziosi minuti.
Il tempo correva.
…Corri, Rose…
La sua voce nella sua testa. Non era reale, non era un richiamo ma la sentiva lo stesso.
E le diceva di correre.
 
Il reparto medico del Torchwood era enorme. Rose non vi aveva mai fatto caso.
Vi era stata un paio di volte in compagnia di John per i controlli di routine cui si sottoponevano tutti coloro che lavoravano lì o avevano contatti con sostanze di origine particolare o sospetta ma a parte chi doveva fare delle analisi o si recava lì per essere medicato per qualche piccolo incidente avvenuto in un laboratorio, non vi era nessuno se non qualche sfuggente figura in camice bianco che appariva e spariva dietro delle porte perennemente chiuse.
Molte stanze si aprivano lungo i corridoi e grandi vetrate dividevano un settore dall’altro, dando al piano un’atmosfera più ombrosa e sinistra che altrove. Aveva anche notato dei rotoli di materiale isolante, così aveva detto una volta John impensierito dalla cosa, e quelle casse in materiale plastico di color arancio in giro per i corridoi ma mai tante come in quel momento. Le intralciavano la corsa.
Correva, Rose.  
In fondo all’ultimo settore che aveva aperto, aveva visto un gruppo di persone e proprio accanto ad una porta, suo padre. Era pallido e agitato.
Vicino a lui la dottoressa Catherine Lane che Rose conosceva, visto che lavorava con lui allo sviluppo controllato del progetto di John. Sapeva di lei anche per quel che ne diceva lui, che ne apprezzava molto le doti intellettuali e caratteriali. Sembrava sconvolta, il viso tirato, una mano nervosamente poggiata sulla bocca a tormentarsi le labbra senza nessun interesse per altri attorno, solo per una porta chiusa alle sue spalle.
Rose vide che c'era troppa gente in fondo a quel corridoio; ma lui non c’era.
Quando la vide, Pete rivolse uno sguardo alla dottoressa Lane che le venne incontro, pur restando un po’ più distante.
-          Rose eccoti…! – disse Pete. La voce era ansiosa. Rose aveva ormai compreso quanto suo padre fosse in genere controllato ma in quel momento non lo era affatto.
Ma qualunque ansia potesse incrinare la sua voce non era nulla al confronto di ciò che stava provando lei in quel momento.
-          Papà, papà! dov’è? – chiese allarmata.
-          Cerca di calmarti e stai a sentire…
-          Solo dopo che l’avrò visto, dov’è? – ripeté impaziente, agitandosi. Rose notò che la gente attorno la guardava, come tutti si aspettassero la sua presenza in quel luogo. Ebbe un brivido lungo la schiena – che è successo, che gli è successo? – Pete la prese fermamente tra le braccia e la guardò fisso.
-          Rose, John è di là… - la trattenne appena sentì che voleva entrare nella stanza – Rose, ora gli hanno dato qualcosa per abbassare la febbre ed è tranquillo ma la situazione è critica.
-          Io… non capisco.
-          Temiamo per la sua coscienza, per la sua mente. Un uomo non può sopportare a lungo febbri di questo tipo, signorina Tyler – Rose si girò verso la cupa voce che l’aveva chiamata per nome. Aveva avuto uno strano brivido.
Pete, che la stringeva ancora, l’aveva lasciata piano e la sua espressione si era fatta più fredda.
L’uomo che aveva davanti era come sbucato all’improvviso dal nulla, forse da una delle tante porte chiuse e in ombra, porte che di fatto li circondavano. Era una presenza che percepì immediatamente come negativa. Alto, massiccio, il volto pallido di chi non vede mai il sole. Indossava una giacca che sembrava di tipo militare ma molto scura e dai particolari indecifrabili, vista anche l’illuminazione del corridoio. Rose lo guardò allarmata e incuriosita insieme. Non lo conosceva. Ma lui conosceva lei.
-          Mi scusi, lei chi è? – chiese con la solita ruvida franchezza. Non le importava nulla, voleva solo aprire quella dannata porta oltre la quale lo avrebbe trovato; e ancora non sapeva in che stato.
Pete si irrigidì e la guardò un po’ preoccupato ma l’uomo con gli occhi gelidi accennò ad un sorriso, anche se la piega della sua bocca era quasi priva di labbra.
-          Mi permetta di presentarmi. Io sono l’ispettore superiore Daniel Tashen, signorina Tyler.
-          Ispettore, se mi conosce lei sa perché sono qui! – disse Rose impaziente.
-          Certo, comprendo il suo stato d’animo. Il Dottore è molto provato dalla situazione.
-          Provato, signore? Io non userei quel termine è decisamente riduttivo – disse Pete Tyler con scoperta amarezza e preoccupazione. Le persone vicine ne rimasero molto colpite come non se l’aspettassero. Rose vide che era lo stesso anche per l’uomo in divisa, sebbene si sforzasse di non far trapelare la cosa. Ma quel che aveva detto suo padre l’aveva fatta rabbrividire.
-          Papà…
-          Noi non sappiamo da cosa dipendano le condizioni di John Smith – disse calmo l’uomo in scuro – e tuttavia stiamo cercando di fornirgli la migliore assistenza possibile. Il Dottore sta portando avanti una ricerca di primaria importanza e noi teniamo alla sua salute più di ogni altra cosa, anche per motivi di interesse.
-          Per voi ce ne sono altri?  - Rose non riuscì a trattenersi. L’uomo in scuro non le rispose se non con uno sguardo gelido che parve un muro d’acciaio.
-          Dovremmo… riconsiderare la questione, signore. Se le condizioni di John dipendessero dal soggetto della sua ricerca, non sarebbe il caso di fermarsi? – Rose guardò Pete tacendo. Il suo sospetto andava in senso opposto a quel che tutti là dentro credevano. Notò però che la dottoressa Lane la stava fissando e il suo sguardo era impossibile da ignorare. Negli occhi di quella donna qualcosa, una domanda diretta a lei oppure…
-          Signor Tyler, ovviamente è il Dottore a decidere in proposito e qualunque sua decisione sarà la nostra.
La porta bianca alle loro spalle si aprì e tutti tacquero. Un giovane in camice bianco uscì dalla stanza seguito da altri due colleghi più maturi. L’espressione che avevano era indecifrabile.
-          Come sta? – Rose fu anticipata dalla dottoressa Lane e la cosa non le piacque. D’istinto le lanciò un’occhiata di fuoco che la donna ignorò del tutto.
-          Le condizioni del paziente sono instabili.
-          Instabili? – Rose impallidì.
-          La febbre è scesa è sveglio ed è cosciente – disse gelido il medico – consiglierei di tenerlo in osservazione ma il dottor Smith insiste, con notevole veemenza, di voler riposare a casa.
-          Molto bene, allora – disse l’uomo in scuro e rivolse lo sguardo a Pete Tyler –come vede, signor Tyler, certe situazioni sono meno drammatiche di quanto non appaiano agli occhi di un familiare apprensivo – Pete aveva dato un leggero segno di disagio, pur tenendo un atteggiamento composto - credo sia il caso di aggiornarsi sulla questione, non pensa? - Pete tacque. Tra i due uomini troppe parole non dette ed era evidente ma Rose non riuscì più a trattenere la propria impazienza. Voltò le spalle al gruppo di persone in cui era per varcare di prepotenza la soglia della stanza, seguita da uno dei medici che prima ne erano usciti.
Lo vide, disteso sul letto con una flebo in vena e avvolto dalle coperte. La giacca del suo vestito e il suo cappotto, piegati su una sedia con una certa cura che la colpì.
Aveva gli occhi chiusi, come dormisse.
Rose si sentì scossa guardandolo, percependo la sua debolezza in quel momento. Comprese una volta per tutte che cosa potesse significare che lui era in parte umano.
-          Ma non era sveglio? – chiese con voce sospesa. Uno dei medici si avvicinò a lui con aria perplessa. Controllò il suo polso e il respiro, poi la guardò.
-          Sta dormendo, signorina Tyler.
-          Ed è …?
-          La cosa migliore che possa fare adesso – l’uomo le rivolse un breve sorriso ma Rose pensò che avrebbe preferito non lo facesse.
-          Se dorme, aspetteremo che si svegli e poi andremo a casa, se vorrà.
-          Sarebbe il caso che …
-          Sarà come vuole lui – concluse lei con tono deciso. Poi prese una sedia e si mise vicino al lettino. Il medico le rivolse uno sguardo neutro, uno sguardo totalmente bianco che Rose non si sforzò neanche di ricambiare, poi uscì dalla stanza.
Rose lo guardò ancora, respirava piano ma aveva l’aria molto stanca. Tese una mano verso il suo viso per fargli una carezza.
-          Potresti svegliarlo – Rose chiuse le dita a scatto e si rivolse verso la voce che aveva sentito.
Lei. Era anche entrata là dentro per prima. Si irrigidì, lei non c’entrava nulla lì, in quel momento. Ma gli occhi tristi e preoccupati della dottoressa le fecero comprendere che forse non era la persona su cui sfogare la preoccupazione.
-          Perdona la mia presenza qui – disse Catherine intuendo le ragioni del suo sguardo ostile, inizialmente.
-          No, mi scusi lei. In fondo sembra che le stia molto a cuore, John. E a prescindere dal progetto che segue.
-          Per me il progetto e John Smith sono la stessa cosa. Ed è necessario che esso venga portato a termine con successo il più presto possibile. John deve dedicarvi tutte le sue forze, fino alla fine – il tono era stato gelido. Un fremito d’ira percorse Rose Tyler.
Che cosa crudele. John parlava della Lane come una donna sensibile e gentile. Proprio per questo aveva creduto fosse lì per lui invece si era sbagliata. E lui su di lei. Era stata stupida a credere che una donna come la Lane potesse interessarsi a John come persona. Catherine Lane si avvicinò, prese in mano le cose di John ben piegate sulla sedia e si sedette, proprio di fronte a lei. Rose la guardava confusa. Piena d’ira ma trattenuta perché lui era lì, riposava e se dormiva era il caso che lo facesse fin quando fosse necessario.
Lei la fissava in silenzio e il disagio aumentava. Poi Rose vide una cosa che la colpì. La donna, innervosita, accarezzava la giacca di John lisciandone le pieghe. Non dipendeva dal fatto di avere qualcosa in mano, qualcosa che avrebbe potuto mettere da parte tranquillamente su un’altra sedia ma che invece stringeva con cura. Il gesto di lei tradiva altro. Le sue dita si perdevano sui fili della giacca, sul colletto ed una manica, si perdevano dentro la manica dolcemente. Catherine poi non lo guardava ed era strano perché chiunque gli avrebbe rivolto uno sguardo impensierito ma lei non l’aveva fatto. Rose allora comprese che quelle erano carezze, carezze rivolte all’uomo addormentato tra loro.
-          Rose, è molto importante che John riprenda subito a lavorare. Non possiamo perdere troppo tempo, capisci? E’ fondamentale – Rose non sapeva che dire. Le parole e gli occhi sembravano non essere della stessa persona. Sembrava gelida ma non le sue mani sulle sue cose. Rose sentì una fitta di gelosia dentro ma non era il momento. La fissò perplessa e poi annuì lentamente abbassando lo sguardo.
Catherine rispose con un tiratissimo sorriso che aveva un senso profondamente diverso a quello che le aveva fatto il dottore.
-          Gli porterò quel che ha lasciato in laboratorio oggi. Deve finirlo.
-          Dottoressa…
-          Deve finirlo – ripeté la donna con tono deciso.
Catherine si alzò in piedi, poi ripose delicatamente quel che aveva in mano e finalmente, prima di uscire, sfiorò con lo sguardo John.
E fu qualcosa di simile al gesto che avrebbe voluto fare Rose sul suo viso. Anche lei rinunciò a fermarlo. Come avesse avuto peso, quello della sua mano; stesa su di lui.
  
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