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Autore: elfin emrys    19/12/2012    1 recensioni
Dal Capitolo 30
Prende la spada che un tempo fu della ragazza e la lucida. Mentre il corpo freddo viene sotterrato e la tomba viene ornata con candele e fiori, Garret conficca la spada nel terreno, come ricordo che lì, dentro quella terra, c'è qualcuno che riposa in eterno.
[Grazie a tutti quanti, perchè, nonostante da 300 lettori sia passata a 35, c'è sempre qualcuno che recensisce e c'è sempre qualcuno di nuovo che aggiunge questa storia fra le preferite/seguite/da ricordare]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Guida ai capitoli:

Il titolo significa “Perenne, immortale” ed è collegato alla città in cui si svolge la battaglia qui descritta. Inoltre, può essere pensato insieme a un altro elemento all'interno del capitolo...

 

CAPITOLO TRENTADUE: BITU



Elanor respira profondamente, massaggiandosi la testa. Si mette una mano sul braccio stringendolo, mentre i capelli le scivolano davanti al viso. Appena terminata la battaglia avevano seppellito tutti i morti -tranne uno- e li avevano contati come al solito. Sono tantissimi, più di quanto fosse mai accaduto: una distesa infinita di lapidi improvvisate che gettano ombra deformi sul terreno distorto.

La Regina dà una pacca sulla spalla a Brandil, tentando di sorridere: era stato un ottimo soldato e Elanor aveva saputo che aveva anche guidato i soldati alla resistenza. Sarebbe stato premiato, in futuro, per il suo coraggio e per la sua forza. Forza che in questo momento Elanor sente distintamente di non avere.

-Sei stato bravo. Mi piacerebbe vederti in prima fila nei prossimi giorni.

Al ragazzo cominciano a brillare gli occhi. Quella frase aveva sottointeso un aumento di grado. Non avrebbe mai immaginato una cosa simile.

-Oh, sì, mia Signora. Non mancherò.

-Bene.

Lui le fa un inchino col capo, per poi allontanarsi salutandola. La ragazza sale su una cassa, guardando intorno a sé. Cosa ha fatto? Ha avuto un momento in cui non stava ragionando, un momento di vera e propria pazzia, ma ora che riesce a vedere tutto con una lucidità crudele, non riesce a fare a meno di pensare che, forse, non è la persona che crede di essere. O almeno, non quella che è abituata a conoscere.

Elanor guarda il cielo, tinto di un rosso sangue dal sapore metallico e crudele. Nella pianura si vedono i corpi dei soldati, a terra: la loro carne è ancora fresca, ancora trucidata da poco. Il viso della ragazza è sporco di fango. I capelli, già parzialmente ricresciuti, si muovono a un vento freddo. Eppure è quasi estate, ormai. Il cielo si fa scuro, poco a poco, passo per passo, vestendosi di un manto nero: in lutto. Elanor ha il viso dai tratti duri e forti: è cambiata, non è più un'adolescente di diciassette anni, è una donna, una regina. Lo sguardo, che riprende parte dell'inoccenza dell'infanzia, passa sui morti da cui il sangue sta smettendo di uscire. Vede Magor e Richard che portano un corpo coi capelli rossi dentro una tenda: il suo cadavere. Dio, non può credere di averlo pensato.

-Garret...

I due ragazzi cercano di rendere presentabile il morto, togliendogli lo sporco dal viso, pulendo la ferita. Elanor non ha il coraggio di avvicinarsi, non riesce a fare un passo. Si guarda intorno. I soldati sopravvissuti fissano con sguardo vuoto i propri piedi. Anche loro sono ridotti male. Qualcuno ha nelle iridi una scintilla di follia, qualcun altro non ha semplicemente niente. Elanor sospira. Perchè non se ne vanno? Perchè dovrebbero morire per un futuro che non ha speranza? Come lei potrebbe mai farli vivi, spronarli a combattere? Garret era speranza, lo era in carne ed ossa. Nessuno, nè Magor, nè Richard, nè Elanor, meritava più di lui quel domani per cui tanto combatteva. Garret e i suoi canti d'incoraggiamento, Garret che era sicuro della vittoria, Garret che amava accarezzarle i capelli. Il cuore fa male quando batte. Solo ora Elanor capisce il desiderio di morire. In guerra, in quella guerra senza onore nè gloria, essere ucciso può essere solo una liberazione, una speranza per fuggire alle lame delle spade, alle pallottole, ai raggi magici. Quest'ultima cosa sembra così stupida, banale. Non lo è.

-Garret...

La voce di Elanor non risponde più ai comandi del cervello. La voce interiore si è spenta, chiusa. Le sopracciglia le si stringono verso il centro in un'espressione di dolore che non può sfogare in lacrime. Ormai sono lacrime di sangue, che non escono dagli occhi, bensì dal cuore, dallo stomaco, dalle braccia e le gambe, dal viso, disperatamente da una ferita aperta. Elanor guarda ancora i soldati. Stanno fermi. Ancora. Immobili. Chiudono stancamente gli occhi, ma non cadranno nel sonno: troppa è la paura. Con che coraggio la seguono? La ragazza li fissa. Se fossero egoisti, traditori, sarebbero tutti fuggiti. Invece stanno lì, correndo verso qualcosa che verrà, per amore di quello continuano a combattere. L'amore è il primo concetto che una persona impara da bambino. Il mondo è fatto da chi ama. E' fatto da chi ama, da chi ha coraggio, da chi ha dei valori... non da chi è egoista o menefreghista. No... l'universo è pieno di guerra e da chi è fatta la guerra? Se gli uomini pensassero realmente a se stessi, non ci sarebbe nessuno a combattere. Ma... Cavolo, i soldati ci sono e sono lì! Elanor abbassa lo sguardo. Garret le avrebbe accarezzato i capelli, le avrebbe messo le mani sulle spalle e le avrebbe detto che tutto va bene e che avrebbe dovuto continuare. La realtà è che forse neanche lui ci credeva veramente. E' necessario. Non avrebbero mai potuto fare altrimenti. Ma, in quel posto dove l'essere umano viene ridotto a un misero pezzo di carne, Elanor come poteva pensare? Un prezzo così alto da pagare, un prezzo che avevano pagato tutti e che pagheranno tutti. Non c'è più niente in cui credere. Neanche nell'alba nuova, ancora lontana. Chi circonda la regina è molto più di quello che può sembrare, molto, troppo di più. La ragazza allora comincia a camminare nel campo di guerra. Il capo in alto, per non guardare i corpi a terra. Troppo il dolore. Cammina. Continua. Si toglie il mantello rosso, lungo. Si guarda intorno. Si avvicina a un corpo in particolare: quello di colui che aveva ucciso Garret, quello che lei stessa aveva massacrato. Lo copre col mantello. Non può perdonare, non può, ma può sempre impedire un ulteriore scempio di quel soldato da parte della natura.

-Ah...

La voce nella sua testa è ancora muta. Elanor chiude gli occhi. Chiama Richard e Magor. Li vede: sono stravolti.

-Chiamate Cathal.

-...

-Andate!

I due se ne vanno, ritornando con l'uomo che ha chiamato. Lei li ringrazia per poi far cenno di lasciarli soli. Cathal la guarda con seria curiosità e sorpresa: l'aveva chiamato rare volte, probabilmente per disagio che prova ancora quando è con lui.

-Ti devo parlare.

-Prego.

-Ecco, io... io...

Per un attimo sta in silenzio, poi comincia a piangere. Lentamente. Il sole tramonta ancora, ormai non si vede neanche più, ma la sua luce continua a illuminare il paesaggio sotto i loro occhi. Ironico.

 

Arianna scosta la stoffa dell'entrata della tenda. Appena aveva sentito della morte dell'amico era corsa a vederlo, credendo che fosse tutto uno scherzo di cattivo gusto. Ma quando l'aveva visto freddo, steso su un tavolo, quasi era svenuta. Si era guardata intorno, cercando qualcun altro oltre lei, ma solo Niniel, con gli occhi sbarrati e le mani tremanti, le aveva risposto che gli altri erano tornati ognuno nella propria tenda.

-Ri... Richard?

-Arianna, non entrare!

La ragazza sente che l'altro tira su col naso. Non lo vede. Lei fa un paio di altri passi.

-Stai ferma!

Si guarda intorno.

-Dove sei?

Non risponde. Arianna osserva attentamente tutta la tenda, finchè non vede un ciuffo dei suoi capelli neri.

-Sei dietro al tavolo?

-NO!

Lei gli si avvicina, andandogli davanti. Lui alza il capo. Ha gli occhi grandi e bagnati. Arianna gli si siede di fronte, continuando a guardarlo. Lui apre le labbra, sta per dire qualcosa, ma poi le richiude, abbassando la testa. Arianna sospira, tentando di non interrompere il silenzio che si era creato fra di loro. E' un silenzio triste e innaturale, eppure così intimo e caldo. La ragazza gli passa una mano intorno alla spalla, mentre con l'altra tenta di abbracciarlo goffamente.

-Io non so come sia potuto accadere.

Richard alza il viso, guardandola.

-Non so come sia successo. Non... non pensavo sarebbe mai capitato a nessuno di noi. Quasi non lo credevo possibile.

Negli occhi ha una strana luce vibrante e fioca, come le candele che stanno per spegnersi per il troppo vento.

-E lui era così bravo, così forte! Deve essere uno scherzo, non ci posso credere, deve essere così, solo uno scherzo di pessimo gusto.

-Ma...

-Sì, l'ho visto anche io. Sono stato io stesso a portarlo via e a pulirgli il viso, non è questo quello che voglio dire. Non so... se riesci a capire.

Arianna tira su col naso.

-Credo di capire.

Richard le osserva un attimo gli occhi e le labbra tremule, poi sorride tristemente.

-Allora puoi piangere anche tu, no?

Il viso della ragazza subito si trasfigura in una smorfia, mentre calde lacrime iniziano a scendere sul suo viso, cadendo dalle guance e dal mento per finire sul vestito. I singhiozzi le fanno tremare le spalle e le fanno chinare il capo, mentre con il dorso della mano tenta di nascondere alla vista dell'altro la sua espressione.

-S... Sembro un... una bambina... ma...

-No... non è vero...

Arianna sente un bacio sulla fronte, poi affonda il viso nella maglia dell'altro, il petto che si alza e si abbassa con una lentezza esasperante. Gli stringe i bordi del colletto tentando di smettere. Ma poi si accorge che anche Richard ha ricominciato, ma con meno enfasi. E' una tristezza più rara e matura, più silenziosa. E Arianna deve incassare il colpo: forse tra i due era sempre stata lei la bambina capricciosa. Gli passa una mano sul volto, tentando di cancellare le scie umide, si stringe un pochino di più. E' strano come si senta protetta così, in quella situazione, in quel momento. Sorride un attimo fra le lacrime, senza un vero motivo apparente, per poi posare la propria bocca sotto agli occhi -non sulle labbra, no, non era il caso- di Richard.

Si rende conto che quello è il momento che avrebbe condiviso finchè morte non li avrebbe separati.

 

Elanor posa la penna sul tavolo. Osserva con attenzione la lettera: aveva tentato di essere più delicata possibile.

-E' per mia sorella?

-Sì...

-Le hai scritto della mor...

-Sì.

Cathal si guarda un attimo le mani, attendendo pazientemente che Elanor chiuda la busta per inviarla. La ragazza chiama un messaggero e le dice di inviarla con qualunque mezzo disponibile ad Avalon.

-Hai fatto la scelta giusta, Elanor.

Lei sospira, chiudendo gli occhi.

-Non ne sono molto sicura. Da una parte sento che... che morirei se non usassi il Graal. Ma dall'altra, so che non è giusto nei confronti di tutti. Però...

La ragazza si gira verso l'uomo.

-Sto affrontando la cosa dal lato sbagliato? Non la sto guardando come dovrei? Non so cosa fare, non ne ho idea. Mi sento persa... non so neanche cosa fare adesso! Dovrei muovere verso Parigi, finalmente, oppure dovrei rimanere ancora ferma? E cosa succederebbe?

-...

-Lui sta ancora nella tenda, sta ancora lì. Non so come comportarmi. Non voglio seppellirlo, non voglio. Ma neanche voglio lasciarlo lì come se nulla fosse. Dovrei accettare gli eventi o combattere contro di loro?

Cathal non risponde. Elanor riprende con più enfasi.

-E se anche combattessi, vincerei? Ho tutto il mondo contro, adesso, tutto, neanche i miei soldati mi dovrebbero accogliere come loro regina. Che comandante sono? Che comandante sono, ora? Non...

Riprende fiato, chiudendo ancora gli occhi e girandosi verso il tavolo.

-Non ho più nessuno da perdere e allo stesso tempo ho tantissime vite sulle spalle. Odio, odio tutto questo, odio tutto quanto. Potrei dire di odiare anche questa spada!

Elanor tira fuori Excalibur, buttandola sul tavolo.

-Non la voglio.

-Davvero?

Lei prende profondi respiri.

-Davvero, Elanor?

-No... la realtà è che... non posso più tornare indietro...

La ragazza si rigira. Lo stomaco è leggero e il cuore sembra morto dentro al petto. Sente freddo e ogni capello che le cade sul viso le dà fastidio come mai prima d'ora. Riprende la spada e la rinfodera.

-Ma... rimane il fatto che io non volevo tutto questo.

-Ma era tuo destino, no?

Elanor indurisce lo sguardo.

-Come era destino che finisse così.

-Destino? Tsè. Chiamalo come ti pare. Io la chiamo illusione, tu chiamalo destino o Provvidenza. Vediamo chi ha ragione.

Esce, mentre Cathal sorride lievemente. Non è vero che lei non crede più in quello che sta facendo e, se non le sue parole, almeno la sua giustizia verrà ricompensata.

 

Elanor guarda sorridendo la lettera che le era arrivata dal Regno Unito: l'intero sud era stato finalmente interamente riconquistato. C'erano state numerose perdite, ma... ma alla fine tutto era andato per il meglio. La Regina guarda verso l'alto: il cielo si era un pochino schiarito dopo gli ultimi giorni di buio. Era quasi una settimana che stavano riposando. Dopo la... dopo la... battaglia (la morte) erano stati tre giorni fermi, poi avevano riconquistato Parigi -altri due giorni di guerra- e, dopo diversi soli e diverse lune finalmente qualcosa si stava muovendo.

Elanor getta un'occhiata alla tenda dove ancora riposa il corpo di Garret. La lettera di risposta di Clio non è mai arrivata.

-Mia Signora?

-Sì Brandil?

-Antonio è pronto.

-Ah! Sì... sì, arrivo subito.

La ragazza entra nella tenda, posando un bacio sulla fronte del ragazzo freddo e pallido.

-Finalmente vedremo la fine, Garret.

Elanor esce ancora, andando verso il luogo dove il Mago del Tempo italiano alloggia. La Regina si era subito accorta che era uno dei più forti e il fatto che sia sopravvissuto, al contrario di alcuni suoi compagni, dimostra che è anche fortunato. E non solo. Utile. Questa è la parola più esatta in questo momento. Utile.

Elanor non ha dimenticato l'affronto di Mordred, non ha dimenticato che le ha preso l'Italia da nord a sud, intera; non ha dimenticato che ha messo il suo stemma su ogni punto più alto di Roma, da San Pietro fino all'Altare della Patria per poi passare al Colosseo e alle varie basiliche sparse per la città.

La Regina entra, vedendo Antonio piegato e concentrato. Pierre sta al suo lato, tentando di capirci qualcosa.

-Quindi state già organizzando.

-Sì. Abbiamo già provato diverse volte, ma senza un esercito...

-Da dove sono arrivari i nemici?

-Sia dal nord che dal sud: ci hanno praticamente circondati. E' stato impossibile fuggire loro.

Elanor si avvicina un po'.

-La Regina è qui.

-Voglio parlare con lei.

Antonio fa un cenno alla ragazza, che si piega verso l'aggeggio di metallo su cui stava prima il Mago.

-Mmmmh... sì?

-Mia Signora, qui è Lorenzo Damiani, sono nascosto in una delle catacombe di Roma insieme a molti miei compagni. I nemici hanno conquistato l'intero paese senza incontrare grandi difficoltà e lo stesso Mordred adesso risiede qui. Se riusciste a passare tutti, potrebbe essere la battaglia finale.

-Finale?

-Esatto. Come ho detto, abbiamo provato molte volte a ribellarci, ma con scarsi risultati. Non abbiamo un esercito, siamo in pochi e ognuno fa per testa sua: non c'è nessuno che ci dica cosa dobbiamo fare. Inoltre i contatti con quasi tutto il resto del mondo sono stati troncati. Signora, chiediamo il vostro aiuto per...

-Accordato, basta che mi dici come possiamo arrivare lì.

L'uomo guarda un po' verso l'angolo dello schermo: ci deve essere un suo compagno lì dietro.

-Noi avremmo un'idea... Tuttavia non sappiamo quanto sia possibile. Ci sono spie e soldati sparsi per tutta Italia e non sappiamo la loro precisa posizione. E' impossibile passare fino a qui senza essere beccati. Però, in realtà, ci sarebbe un'alternativa.

-Sono pronta a correre il rischio.

-Vede, qua siamo in cinquanta circa e, teoricamente, potremmo riuscire ad aprire un portale abbastanza grande per farvi passare tutti.

-Cosa dobbiamo fare, dunque?

-Bene. Innanzitutto domani, alle 11:30, quando non ci sono i turni di guardia da queste parti, create un cerchio per terra, non importa come, basta sia un cerchio delle misure che stiamo mandando adesso. Quindi, all'ora detta, entratevi tutti quanti, oppure dividetevi in due gruppi i più numerosi possibili. Non dovete fare null'altro. Al resto ci penseremo noi.

-Ok. Eseguirò le istruzioni alla lettera.

-Bene. Vi aspettiamo. Domani, alle 11:30 precise.

Elanor annuisce, poi cambiano l'orario segnato dagli orologi per renderli uguali secondo per secondo.

-Domani, Roma sarà nostra.

-Mia Signora, saremo al vostro servizio.

La comunicazione si interrompe. Elanor si siede, massaggiandosi il capo. Arianna è arrivata dietro di lei. Richard e Magor le stanno accanto. La Regina si gira e li guarda, poi si alza e, scosse le spalle, parla loro.

-Signori, domani combatteremo.

 

Elanor si guarda intorno. Sono riusciti a far entrare tutti nello stesso cerchio. Non si sono potuti portare armi più pesanti e ingombranti, però hanno tutto il necessario per vincere. La ragazza guarda l'orario, mentre si stringe contro i suoi uomini. Chissà perchè proprio un cerchio. Inoltre, quelle misure non sono neanche di un vero e proprio cerchio, ma più di una specie di leggera ellissi. Le sono familiari, ma... non si ricorda proprio dove le ha già viste. Una ricerca di scuola -oh, quanto le manca!- e il computer che non si decideva ad aprire la pagina, la stampante contro di lei e un'interrogazione per cui studiare. Ma non si ricorda neanche lontanamente l'argomento.

11:29

-Uomini, pronti!

L'attesa è snervante. Ogni secondo sembra durare un anno. Sente qualcuno tossire nel silenzio da dietro di lei, Niniel accanto a lei stringe la spada. Improvvisamente vede il cerchio a terra illuminarsi.

11:30

Elanor chiude gli occhi e trattiene il fiato, mentre sente la testa girarle e il terreno staccarsi dai suoi piedi. Il teletrasporto dura un pochino di più del normale, se ne accorge, ma alla fine sente dell'aria calda sul viso e dei rumori le arrivano alle orecchie. Apre gli occhi. L'esercito si sta già sparpagliando. Si guarda intorno. Ma quello è...

-Mi hanno... trasportato... attraverso il Colosseo?

Anche il Colosseo stesso era un portale, quando era intero.

In effetti è coperto da una patina di uno strano colore luminoso. La ragazza si gira. Dei maghi tolgono le mani dal monumento, sospirando come se si fossero liberati di un grande peso: deve essere stata una bella fatica per loro perchè, oltre a trasportarli, per farlo dovevano far riprendere attraverso mura e statue fatte di pura magia la forma originale del luogo!

Qualcosa le sfiora l'orecchio. Nemici? Sì, eccoli lì, non molto più in là, rallentati a malapena da altri maghi. Elanor sfila la spada, alzandola verso il cielo.

-All'attacco!

I suoi cominciano a correre e a sparpagliarsi per le strade e i viottoli -uno inciampa su un san pietrino e se non fosse per l'occasione il fatto sarebbe anche divertente- mentre Elanor si guarda intorno, cercando di farsi strada.

-Mordred...

Dov'è? Deve essere lì: che comandante sarebbe se non stesse lì insieme ai suoi uomini? Lo sa che c'è: lo sente fino alle viscere. Sembra non esserci nessuno per le strade tranne loro. Probabilmente si sono tutti nascosti. I vari maghi si rifugiano in palazzi alti, tentando di colpire dall'alto.

Elanor passa da nemico a nemico. Vede con la coda dell'occhio Cathal che si getta su qualcuno: è sempre stato bravo con la sua arma. Il sangue comincia a colare sull'asfalto e a spruzzarsi sui muri. Dopo tanti anni Roma è nuovamente spettatrice di un massacro. Elanor svia per un viottolo che sa portare un pochino più lontano dal centro vero e proprio della battaglia. Attraversa, passa, ma incontra solo fanti comuni. La delusione e la rabbia si fanno crescenti dentro di lei. E' frustrata. Deve finire tutto quel giorno, lo sforzo avrebbe reso loro la vittoria. Improvvisamente vede un paio di traverse più in là, un uomo vestito diversamente dagli altri: sembra come se fosse una guardia del corpo, un soldato adibito al controllo del...

-Ti ho trovato!

La ragazza comincia a correre, ma quando arriva, ucciso l'avversario, non c'è nessuno.

-Deve essere per forza da queste parti.

Altri dei suoi combattono nella piazza vicino con dei nemici: ne sente il cozzare delle spade. Elanor guarda a destra e a sinistra, decidendo di tornare indietro. Ripercorre le stradine per cui tante volte aveva passeggiato, ritornando al punto di partenza. Si gira, comincia a salire -non si è mai ricordata come si chiama quel giardino vicino al Colosseo, diamine, e, a dirla tutta, tra un po' neanche si ricordava che esisteva- mentre la polvere le macchia i vestiti, l'armatura e la pelle. Osserva dall'alto: ogni via brulica di soldati, amici e nemici.

Dov'è quel maledetto?

Elanor riscende, vede Richard fare un salto, evitando un colpo. Evita il più possibile il contatto diretto, corre e corre ancora. Un gruppo di nemici la assale, li batte, passa oltre. Non può perdere tempo, deve finire tutto velocemente e con meno vittime possibili. Belle parole, ma già un'ora è passata e lei neanche se n'è accorta.

Elanor entra in una chiesa, cerca, non c'è nessuno. Riesce, entra in un'altra e cerca nuovamente: due bambini stanno nascosti sotto una panca. Li porta in un luogo più sicuro, poi ricomincia la sua corsa disperata verso il nemico principale. Il sole è sempre più alto e la ragazza sente il sudore colarle sotto ogni strato di protezione. Sa che sarà disgustoso, dopo, con tutta quella polvere, ma non importa, non in questo momento.

Scuote la testa, girandosi intorno. I suoi sono arrivati fino a lì. Il Tevere li osserva tuttaltro che placido, grande e grigio, mentre l'isola Tiberina un po' più in là sembra isolata dal resto del mondo. Non c'è nessuno, a parte militari. Elanor corre ancora, una cartaccia portata probabilmente da un rarissimo sbuffo di vento quasi le arriva in faccia, poi si ferma. Li ha visti, è sicura. Si gira. Mordred sta lì, a qualche metro di distanza, in piedi, tranquillo, come se nulla fosse.

La sta sottovalutando?

La Regina si avvicina con più calma, cercando di riprendere fiato.

-Finalmente ci incontriamo, Elanor. Non vedevo l'ora di conoscerti.

L'uomo impugna ancora più saldamente la spada. Non ha quasi alcuna difesa e il suo viso è scoperto e senza elmo. E' un uomo molto bello.

-La nostra carissima discendente che tanto si aspettava!

Idiota.

-Ma che stai dicendo? Combattiamo o vuoi rimanere lì come se nulla fosse? Non ignorarmi, Mordred.

-Oh, non lo sto facendo.

L'altro fa roteare la spada.

-Farò piano, ragazzina.

-Oh, che premura.

Mordred ride, prima di gettarsi sopra di lei. Elanor evita il colpo, tentando di contraccambiare l'attacco, che viene a sua volta scansato.

-Che ironica la bimbetta. Molto divertente.

La ragazza prova ancora ad affondare, con l'unico effetto di trovarsi con le spalle rivolte al nemico. Si gira in fretta, giusto in tempo. Mordred sorride, mentre si rialza avvicinandosi piano a lei. Elanor capisce che la sta prendendo molto più seriamente di quello che vuole dare a vedere. I suoi movimenti sono eleganti e studiati e anche quella lentezza non è altro che un mezzo per confonderla. Ma lei non può abbassare la guardia.

Attacca, il suo colpo viene evitato, si sente gettata a terra, la lama dell'altro le sta alla gola. Elanor gli dà un calcio e la fermezza di Mordred cede per un attimo, abbastanza lungo per permettere alla ragazza di fuggire. Lui sorride ancora, provando un affondo, ma Elanor si alza velocemente e prova a sua volta a colpirlo dietro la schiena. Nulla. Mordred la guarda, per poi afferrarle una mano con la propria e tirarla contro la propria lama. Scorretto, sleale. E inefficace, considerando che Elanor riesce a evitare nuovamente, più per fortuna che per altro, e gli procura un graffio.

-Tsè.

Lui la sbatte ancora a terra. La testa di Elanor fa male. Le salta addosso, tentando di trafiggerle la gola, ma ecco che la Regina si sposta e para, difesa, non attacco. Poi, con un lampo di forza, lo fa cadere al lato, ma fa giusto in tempo a rimettersi in posizione che l'altro già sta facendo un altro affondo. Evita. Para. Evita. Attacca. Non c'è null'altro da fare, se non provare a sconfiggere l'altro.

Il mondo sembra silenzioso intorno a loro e invece la battaglia si sta man mano spostando nella loro direzione. Elanor cade sulle ginocchia, digrigna i denti e poi mentre si muove rapidamente sente la lama di Mordred tagliarle una guancia. C'era quasi. Lei si allontana un po', tentando di limitare il contatto corporeo, ma lui le sta già davanti ad attenderla: è veloce, come ogni sua mossa, come ogni suo esercito. Lui prova ancora ad attaccarla. Parata. Questa volta il movimento era un pochino più sgraziato. Elanor tenta di colpirlo, ma lui si sposta. Prova ancora, ma è ancora un buco nell'acqua. Riprova. Lui le colpisce un braccio, stavolta in pieno. La ragazza si porta una mano alla ferita sanguinante, provando a fuggire nuovamente alla lotta corpo a corpo, ma ancora le sue speranze non si avverano.

Prova ad attaccare, disperatamente, senza un qualche scopo preciso, ed è un nuovo buco nell'acqua. Intanto sente alcuni soldati arrivare dove sono loro.

E chi può, conta la terza ora di battaglia.

-Sei brava, bimbetta, ma non abbastanza forse, eh?

-Che vuoi dire?

Elanor sente un lieve capogiro, forse dovuto alla perdita di sangue, mentre Mordred l'attacca ancora.

-Voglio dire, senza il cagnolino alle spalle non sei tanto sicura di te stessa.

-C... “cagnolino”?

-Ma sì, quello lì, quello che si poteva pretendere fosse il discendente diretto di Merlin. Ho saputo che è passato all'aldilà.

La ragazza si blocca improvvisamente. Come lo sa? Mordred la butta a terra, le si china davanti, avvicinando i loro visi. Elanor ormai non ha più l'elmo, quando lui la guarda negli occhi.

-Sta crepando all'inferno, spero.

Elanor gli dà un pugno in faccia, prima di rialzarsi e tentare di conficcargli la spada sul petto. Ma lui è già andato un pochino più in là, abbastanza da non essere colpito.

-Ti sei arrabbiata? Ahahah, non ci posso credere.

Lei stringe le dita intorno all'elsa, poi si getta ancora con odio contro l'avversario, colpendo ripetutamente con il braccio sano. E' un attimo, poi Mordred si tocca il fianco. Del sangue gli cola fra le dita. Lui lo guarda un attimo, costernato, poi alza lo sguardo. La insulta mentre con il piede la colpisce allo stomaco, facendola tentennare, poi colpisce la spada con la propria, facendole perdere l'equilibrio.

-Come...?

Elanor vede la lama del nemico alzarsi. E' la fine, è la fine, non può non esserlo. Chiude gli occhi, ma non sente niente. Nessun dolore, niente. Quando li riapre, vede che Magor ha fermato l'arma dell'altro. Lei sorride, grata all'amico per averla salvata.

Mordred lo guarda, poi guarda lei a terra. Alza il viso, come se avesse sentito qualcosa. Sbuffa.

-Beh, mi sono stancato di giocherellare con voi...

-Cosa?

-Ciao ciao!

Elanor sbatte le ciglia e in un attimo non lo vede più.

-Cosa? Ma dov'è?

-E'... scappato?

-Come sarebbe a dire?

Magor la guarda.

-Beh, è meglio andare.

La ragazza si rialza, poi tornando un pochino indietro, lasciandosi il Tevere grigio alle spalle.

La quarta ora è vicina.

 

Sentono le campane di San Pietro suonare quando si accorgono che non hanno più nemici da affrontare. La luce del sole ormai si sta spegnendo e i soldati ridono sollevati.

Non sanno che Mordred li osserva dall'alto.

   
 
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