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Autore: Noth    20/12/2012    16 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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13 Reasons Why.
Cassetta C Lato 6.









Non so con che coraggio riuscivo ancora ad andare avanti a camminare, non avevo risposte a tutto ciò che era successo e presto sarebbe toccato a me. Cosa avrei fatto poi? Non sapevo nemmeno questo, ma il tempo scorreva come sassi in una clessidra, con una lentezza snervante che mi stava facendo uscire di testa.
Ed era incredibile come dentro di me vi fosse il caos, eppure all’esterno tutto restasse immobile. Il paradosso del dolore, immagino.

Mi mancavano ancora otto lati, parevano infiniti e volevo solo sapere quando sarebbe toccato a me, perché l’attesa mi stava consumando.
Non erano bastate cinque ragioni, ce ne volevano tredici. Perché tredici? Non sapevo dove andare, il freddo era così rigido che facevo fatica a sentire le giunture. Con le dita tremanti afferrai la cassetta da dentro il registratore e la voltai, il numero sei lampeggiò argenteo davanti ai miei occhi. Mi accasciai accanto al palo del cartello della città e vidi Sam Evans camminare velocemente sul marciapiede accanto al mio, poi mi vide e si fermò in piedi ad osservarmi, con quell’espressione orribile dell’uomo che guarda sofferente l’animale che ha appena investito. Il suo sguardo mi metteva a disagio, ma finsi di non vederlo e di non notare che noi colpevoli continuavamo a camminare per la città come zombie alla ricerca di un compagno. Sistemai bene le cuffie nelle orecchie e sperai che il nastro mi desse un luogo dove andare perché, sinceramente, non avevo voglia di stare là a farmi osservare mentre mi frammentavo. Non era nemmeno uno spettacolo da guardare, Sam era un idiota.

Play.

Cassetta numero seeeeeeeeei.

Canticchiava, magnifico. Amavo la sua voce. Non me l’aveva mai fatta sentire.

Mi dimentico sempre di avvisare chi si sarà nella cassetta dopo ma, perdonatemi, rumore di fogli dispiegati, siete davvero tanti. Tanti e… faticosi. Perdonatemi.
Anzi, no, non fatelo.

Il filone dei suoi pensieri risultava a tratti decisamente buffo. Pazzia? No, Blaine era semplicemente sempre stato fatto così. Alzai lo sguardo e mi accorsi che il cielo era coperto di nuvole, ma gli stracci di vapore scuro non coprivano bene le stelle che brillavano ugualmente come fiamme.

In ogni caso per questa cassetta non ho preparato indovinelli, quindi… bè, andrò dritto al punto.

Sam restava lì, immobile.

Ciao queen-Quinn. Immagino che la tua vita sia fantastica come sempre.

Sobbalzai. Quinn. Quinn Fabray aveva fatto del male a Blaine? Ma… tutti dicevano fosse un angelo. Mi salutava tutti i giorni, a parte gli ultimi perché a scuola non la avevo più vista. Ogni nome nella lista di Blaine era come uno schiaffo.

Sì, tutti sanno che hai avuto un figlio, tutti sanno che sei una brava ragazza e che ami Finn Hudson. Temo di dover specificare che solo la prima di queste affermazioni è vera.

Cosa?

Avete capito bene, gente, Quinn Fabray non è la giusta sovrana che tutti voi credete. Già, vi va di andare davanti casa della dolce queen-Quinn? Sapete tutti dove abita, non ve lo dico nemmeno.

Certo che sapevo dove abitava, ma era dall’altra parte della città. Con tutta probabilità non c’erano più autobus e non sapevo bene quale avrei dovuto prendere in ogni caso. Non ero un frequentatore dei quartieri alti e raramente ero andato a una delle feste che aveva organizzato a casa sua.

Alzai lo sguardo e Sam era sparito.

Mi invitasti ad una festa a casa tua, credo ti fossi dimenticata che non esistevo.

Stop.

Mentre ascoltavo e pensavo a come fare, una macchina si accostò a me, abbassando il finestrino. Ero pronto a difendermi in caso di aggressione quando vidi che, in macchina, vi era Finn. Non parlai, non sapevo nemmeno cosa dire. Volevo solo stare in silenzio e pregare che non mi rivolgesse la parola. Mai più. Ma era sperare troppo, immagino.

« Storia di Quinn, vedo. » mormorò, abbozzando uno di quei suoi vecchi sorrisi che di solito mettevano tutto a posto, perché lui era Finn, era un po’ scemo ma nulla di più.

Ma non quella volta.

« Non vuoi parlarmi e non ti biasimo, davvero. » sospirò. « Ma visto che finora sono passato per di qua tutte le sere e ho fatto da Caronte alle varie vittime, monta pure in macchina, ti porto da Quinn. » disse, continuando a mantenere quell’aria da innocente che mi metteva così a disagio.

« Non parlerò durante il tragitto, ti lascerò ascoltare in silenzio. Sarò solo un autista. »

« Perché lo fai? » sbottai.

Lui abbassò lo sguardo sulle mani strette al volante.

 « Per una serie di ragioni, ma principalmente perché mi sento uno schifo per quello che ho fatto e credo sia l’unico modo che ho per rimediare. »

Montai in macchina, evitando di guardarlo. Mi sentivo insensibile, troppe emozioni in una volta sola. Troppo tutto. Troppa verità.
Finn premette sull’acceleratore e proseguì per le strade gelate di Lima, mentre io continuavo il mio ascolto.

Play.

E sinceramente non so perché andai. Non avrei dovuto, sapevo che era una pessima idea, ma non volevo essere solo. Ne ero consapevole ma… accettare la propria solitudine era una tortura. Volevo solo svagarmi, fingere di avere un posto nel mondo almeno per una volta, e poi c’era la possibilità che avrei potuto incontrare una persona lì. C’era la possibilità, non tutti andavano, però… in ogni caso mi trovai a mentire ai miei e a dire che avevo degli amici di un club inesistente che mi avrebbero fatto compagnia. Mi diressi in bicicletta a casa tua, già, lo so, pessima idea andare ad una festa in bici, ero nuovo di queste cose, non sapevo nulla.

Strinsi la stoffa dei pantaloni tra le mani.

Potevo sentire il pompare della musica dall’entrata dei quartieri alti della città. Non so dove fossero andati i tuoi genitori, ma per un reverendo dev’essere orrendo credere che sua figlia sia un angelo quando non lo è.

Spiegati, Blaine.

C’era tanta di quella gente che non si vedeva il pavimento. Tutti con un bicchiere in mano e tu mi accogliesti col sorriso, porgendomi una bottiglia di birra e augurandomi di divertirmi. Passai la serata ad andare avanti e indietro tra coppie che pomiciavano violentemente, gente che vomitava e persone che ridevano. Non riuscii nemmeno a scoprire se colui che cercavo ci fosse o meno, o meglio, non me lo ricordo. Sai perché?

Perché, Blaine?

Perché mi davi sempre qualcosa da bere e, non avendo niente di meglio da fare, trangugiavo tutto e, alla fine, finii ubriaco. Era una sensazione meravigliosa, era come fluttuare con la testa che mi galleggiava simile a un palloncino sopra il corpo. Sorridevo così tanto che mi doleva la mascella e, se ci ripenso, mi fa male ancora adesso.

Io a quella festa c’ero, mi ricordo. Avevamo parlato io e Blaine. Era vero che era ubriaco, ma avevo stupidamente sperato la sua felicitò fosse autentica. Ricordavo il dialogo fatto, perché mi era rimasto impresso. Ero rimasto seduto sul divano dall’inizio della festa ed avevo visto talmente tanta gente pomiciare che ormai era diventato noioso. Miracolosamente Santana Lopez aveva smesso di baciare un giocatore di hockey ed era visibilmente alticcia. Fu allora che Blaine mi affiancò, il fiato alcolico e un bicchiere di qualcosa in mano.
Pensai che un’occasione del genere non mi sarebbe capitata mai più, e mi feci coraggio, forse perché ero mediocremente allegro per via del cocktail bevuto poco prima.

« Che festa. » avevo detto. Blaine si era voltato verso di me e aveva abbozzato un sorriso storto un po’ fuori luogo.

« L’unica. » aveva risposto e solo ora capivo che intendeva di non essere mai stato invitato a nessun’altra.  Avrei dovuto capirlo, eppure più sapevo e più mi rendevo conto di essere stato stupidamente distratto, un po’ come tutti. Nessuno aveva davvero prestato attenzione.

« Come stai? » gli avevo chiesto. Come potevo sapere che per lui era una domanda enorme?

« Da urlo. » aveva annuito, non avevo capito che non era affatto un urlo positivo quello che intendeva lui.

« Bene. » avevo risposto, mostrando al meglio che ero felice. Io sapevo che qualcosa non andava, lo sapevo e non avevo fatto nulla.

« Tu? » aveva dovuto avere la forza di chiedere, guardando il suo bicchiere con disgusto ed appoggiandolo sul tavolino lì accanto.

« Non mi lamento eccessivamente. » lui era scoppiato a ridere.

« Nessuno si lamenta mai abbastanza. » aveva detto.

« Se tutti si lamentassero adeguatamente, sai che tristezza. » avevo provato a farlo ridere ancora, ma senza ottenere risultati, perché lui sospirò. Poi mi aveva poggiato una mano sulla spalla e si era alzato in piedi, sollevando un dito in aria e dicendo:

« Penso che andrò a vomitare. » e poi si era allontanato traballante ed io non lo avevo più visto.

Ad un certo punto ho il vago ricordo che andai in bagno a tentare di vomitare, ma non ci riuscivo, perché pensavo a Mike e mi sentivo malissimo all’idea. Alla fine mi abbandonai sulle scale, rimanendo immobile, come morto, sui gradini e sono quasi sicuro di essere stato pestato più volte, ma non importa. Non so quante ore passarono, magari minuti, ma arrivasti tu, Quinn, e mi prendesti per mano, portandomi in uno sgabuzzino. Non capivo un accidente, so solo che chiudesti la porta a chiave e mi baciasti, spingendo qualcosa nella mia bocca: una pastiglia della quale non saprò mai il nome ma della quale conobbi l’effetto. Ogni sensazione si amplificò da morire, mi girava la testa, era come avere un infarto. Ero vagamente cosciente del fatto che ti stavi spogliando davanti a me e stavi levandomi la maglietta. Ero vagamente consapevole di non volere reagire al tuo tocco ma non riuscivo ad essere padrone del mio corpo, mi sentivo un burattino.

Era sbagliato, era sbagliato, era sbagliato. Non ero attratto da te, non volevo che la mia prima volta fosse con te. Qualcosa gridava, nella mia testa, ma non riuscivo a fare uscire niente dalle mie labbra, o forse sì ma la musica era troppo alta perché qualcuno mi udisse.

Finito tutto ti vestisti semplicemente, lasciandomi lì.
So che eri ubriaca, fatta, inconsapevole ma… perché? Non hai idea di come ci si sente. Dov’era Finn? Dove lo avevi lasciato? Allo stesso modo in cui avevi lasciato me?

Ho dimenticato quasi tutto di quella serata, tutto ma non quello. Quello mi viene a trovare tutte le notti e mi sveglio coperto di sudore freddo ed i muscoli tesi e doloranti. Qual è il mio valore se vengo usato come una prostituta? Drogato? Ti ricordi tutto questo, tu Quinn? O a te si è facilmente cancellato tutto? E so che è egoista da dire, ma perché me? Non importava a nessuno di me, non potevi ignorarmi come tutti gli altri? Perché nella tua scelta random nella quale non riconoscevi nessuno ha preso per mano proprio me?

Sto mentendo? Tutte bugie? Ero troppo ubriaco?
Credete ciò che volee, ormai non mi riguarda, la vostra è una vita della quale non faccio più parte e nessuno vi obbliga a starmi a sentire. D’altra parte avrei direttamente sparso le cassette per la città invece che limitarle a voi, se il mio intento fosse stato inventare storie per diffamarvi.

Traete le vostre conclusioni, che sono poi anche le conclusioni della mia vita che, a quanto pare, non aveva alcun genere di valore.

Finn fermò a macchina davanti alla casa più grande del quartiere. Concentrai tutte le mie forze per distogliere lo sguardo annebbiato dalle mie mani tremanti. Guardai l’abitazione come se avessi potuto farla crollare con lo sguardo.

Stava crescendo un odio sempre più grande dentro di me, come l’occhio di un ciclone e, prima o poi, avrei provato tutto quello anche per me stesso.

Ero io la persona che aveva voluto trovare? No, mi aveva rimosso dal suo racconto, probabilmente non ero stato nemmeno rilevante.

Scappai fuori dallo sgabuzzino dopo averci passato dentro almeno mezz’ora, nella quale nessuno era venuto a cercarmi, ovviamente. Non è vittimismo, bensì dati di fatto constatati a mente fredda. Mi stavo ancora vestendo, infilando il maglione e cercando di mettere un piede di fronte all’altro quando uscii dalla porta principale. Nessuno mi salutò o cercò di fermarmi. Quante incoerenze e buchi vuoti in questo racconto, non riesco a fare ordine nemmeno nella mia testa, è un po’ come cercare di farsi luce con una lampadina mal funzionante. Flashback a cui è difficile dare un senso. Non mi piace pensarci, anche se spesso lo faccio senza accorgermene, credo.

Guardai Finn, che aveva un’espressione triste, ma io non mi sentivo triste, mi sentivo disperato. Tutto ciò che desideravo era avvolgere Blaine con le braccia, far scivolare le dita tra i suoi capelli e stringerlo, perché era tutto okay.
Ma non era tutto okay.

E il cuore mi batteva a una velocità spaventosa per il vuoto che mi si allargava nel petto.

Avrei dovuto dirti che ero innamorato di te, avrei dovuto farlo. Avrei potuto provare, anche se è egocentrico pensare che avrei potuto salvarti con così poco. E poi avevo fatto qualcosa per provocare tutto questo, quindi sarebbe stato ipocrita. In ogni caso avrei potuto farlo ma non lo avevo fatto.

Non so perché.

« So come ti senti. » disse Finn, dopo essersi schiarito la gola ed aver abbozzato un’espressione che non capivo.

« No, non credo. » risposi, non sfilandomi le cuffie dalle orecchie. Alla finestra della casa scorgevo Quinn, le braccia avvolte attorno al petto, che ci fissava. Sapeva benissimo perché eravamo là, e scorgevo nitidamente gli occhi rossi e le palpebre prive di trucco. Il secondo piano di casa sua era decisamente troppo visibile dalla strada, ma forse non era poi un grande problema.

Chissà se aveva paura che scendessi e le gridassi addosso. Chissà se qualcuno, qualche ipocrita, lo aveva fatto.
Era, però, uno di quegli errori del quale potevi pentirti tutta la vita, ma non sarebbe mai sembrato abbastanza.

« Credimi. Quinn era anche la mia ragazza, ricordi? Tolto il modo in cui mi ha tradito, se quella sera fossi stato con lei invece che chiacchierare con Puck, avrei potuto fermarla. » disse.

Ed annuii. Aveva ragione, forse mi capiva, anche se il dolore era di tipo nettamente diverso. Ma ci sono davvero diversi tipi di dolore?

Forse sì, ci sono quelli che fanno un po’ male, ma poi li ignori e passano, quelli che sono un po’ come un calcio sullo stomaco, e ti fanno venire da vomitare per un po’ di tempo, ma respirando profondamente ed abbozzando finti sorrisi poi passano, e poi ci sono quelli che arrivano come delle cadute di metri su un suolo freddo e liscio, dove ti spezzi e ti distruggi e a volte anche muori. Il dolore poteva essere diverso. A volte si sorrideva e ci si alzava, altre no.

Vorrei solo aver potuto dimenticare tutto.
Forse non sembrerebbe così sbagliato.
Forse non mi sentirei così una… puttana che non vale la pena chiamare il giorno dopo.
Forse non mi odierei così tanto da farmi schifo.
Forse sarei ancora vivo. Oppure no.
Fine nastro numero 6.

Guardai verso Quinn sulla finestra, gli occhi lucidi, e vidi che aveva appeso un cartello al vetro della finestra con dello scotch: “Mi dispiace così tanto.”
Abbassai lo sguardo e chiusi gli occhi di scatto.






















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Spazio Autrice:

Scusate se mi ci è voluto così tanto, colpa delle interrogazioni e delle verifiche infinite!
In ogni caso volevo postare prima della fine del mondo... :DDD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, mi scuso per i temi forti ma... come se gli altri capitoli non ne contenessero.

Non odio Quinn, non le ho fatto fare questa parte perchè la odio, sia chiaro.

Spero vi sia piaciuta, fatemelo sapere se volete, è davvero molto importante per me il vostro parere anche se ho poco tempo per rispondere alle recensioni, mannaggia a me.

Un bacio.

Noth
   
 
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