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Autore: Amy Tennant    20/12/2012    9 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non conosceva le stanze di quel posto, forse. Non si rendeva esattamente conto di dove fosse.
Ricordava solo di essere uscito e non era solo; la strada, confusa e velata, le tracce della pioggia sull’asfalto, voci attorno, il cielo bianco. Le pozzanghere che avevano specchiato un palazzo rivoltato chissà in quale angolo, strisciate da arcobaleni di idrocarburi. 
Faceva freddo, un freddo azzurro e pungente. Le mani nelle sue, sulle sue, le mani addosso… troppo fredde. E poi gli occhi di quel cane, gli occhi chiarissimi di quel cane dal pelo rosso che lo aveva fissato…
… E la donna con la carrozzina scura, quello strano cigolare del mondo attorno…
Dov’era adesso?
Si guardò le mani, le sentiva strane. Guardò il suo riflesso in un vetro della finestra e i suoi occhi lo fissarono inquietamente. Giovane e vecchio insieme.
… tu non ci sei più…
Come chiunque altro prima, pensò. Era strano come riflesso non vedesse solo l’ultimo uomo che era ma anche le ombre di quelli che era stato. Nessuno sapeva che per questo, a volte, si fissava a lungo, per cercare qualcosa lasciato altrove, in qualcun altro di cui aveva avuto le iridi fredde o color miele, qualcuno che portava giacche diverse, più larghe e dalle tasche più profonde.
Proprio la sua giacca in quel momento lo stupì.
Leggera, scura. La conosceva ma non doveva averla più.
John si guardò attorno smarrito.
No, non c’era freddo, in quel momento.
La finestra era spalancata sul giardino, le tende bianche alzate dal vento. La sala aveva un pavimento di marmo così lucido che gli pareva di camminare sull’acqua. La stanza era grande ma attorno tante altre porte  spalancate su altre stanze, forse altrettanto grandi. Ciò che però l’attraeva in quel momento era fuori. Il sole tramontava e i suoi occhi diventarono tristi.
Il cielo era limpido e quindi attese quel momento in cui si accendeva di arancio scuro, di quel tono esatto, nell’inconsapevole coincidenza con un altro cielo ormai distrutto. Quando accadeva, gli occhi gli si inumidivano di lacrime e se era solo, piangeva. Chi più non c’era.
Finì quell’attimo, in un battito di ciglia umido, in un pianto trattenuto. John allora riguardò la stanza dove si trovava. C’era una luce innaturale, là dentro, come fosse in pieno sole ed invece non lo era. Sembrava il mattino, dentro, mentre tutto fuori si scuriva.
Si accorse che nelle stanze di cui vedeva la soglia, la luce era molto diversa.
Varie stanze e vari momenti del giorno, forse.
Del medesimo e per le stesse persone?
Non era detto.
Incuriosito mise le mani in tasca ed avanzò verso il centro della sala poi fece un giro su sé stesso. Apparentemente sembrava aperta su tre lati e la serie di porte sembrava molto numerosa.
Ad un tratto sentì qualcosa vibrare.
Non comprese subito perché la vibrazione la sentirono appena i vetri delle finestre e poi lui, provenire come dalle pareti della stanza. Si concentrò sul suono e sforzandosi sentì qualcosa.
Qualcuno… stava cantando…
Non riusciva a sentire la melodia ma solo che si trattava di qualcosa di basso, note lunghissime, quasi un richiamo. Il suo sguardo si fece più attento, come in attesa di altro. Quella nota inquietante lo toccava dentro.
Una risata femminile spezzò quell’incanto negativo, una risata che conosceva bene.
Nella stanza accanto la vide.
Rose Tyler…
D’istinto fece per andare verso di lei ma si accorse che era altrove.
La luce di un pomeriggio dorato nella vecchia casa di Rose…
Disordine ovunque in una camera da letto che conosceva. Su quel letto era stato sdraiato per un tempo che non ricordava del tutto. Rose incredibilmente era lì. Stava scherzando con qualcuno, con qualcuno che la stava stringendo tra le braccia e dal quale fingeva di volersi divincolare. John non riuscì ad avvicinarsi di più alla soglia, qualcosa lo spingeva a restare dov’era mentre l’abbraccio tra Rose e quell’uomo era diventato più stretto, più intimo. Ad un tratto lei lo aveva afferrato per la giacca di pelle scura che lui indossava e l’aveva baciato furiosamente, ricambiata allo stesso modo. Lui l’aveva circondata con le braccia e afferrata per la maglia, sotto la quale aveva infilato le mani per toccarla, accarezzarle i fianchi. Lei allora l’aveva lasciato, quasi scostandolo e con sguardo lucido, piegando le labbra umide in un sorriso di sfida, se l’era tolta e lui, ridendo, aveva buttato a terra la giacca. Vide Rose gettarsi addosso a lui e l’uomo prenderla in braccio rivoltandola sul letto. Li vide spogliarsi del resto di fretta, con urgenza. Lo vide chino su di lei che lo aspettava con ansia, gli occhi bellissimi che conosceva incollati a quelli chiari di lui.
Una scintilla di dolore intenso colpì John quando sentì il gemito di piacere di lei appena lui le fu dentro.
I loro respiri erano quasi furiosi, i loro corpi uniti in quella che quasi sembrava una violenza reciproca di cui entrambi si lamentavano in modo insopportabile.
..Lui.
Smarrito, incapace di muoversi, John si ritrovò a fissare chi era prima, mentre faceva l’amore con Rose.
Non era mai accaduto, non era mai stato.
Rose e lui non avevano mai…
Un urlo atroce lo fece voltare in un’altra direzione. In un’altra stanza stava accadendo qualcos’altro. John si girò un momento ancora verso gli amanti impossibili, ma quel che stava accadendo nella stanza vicina lo preoccupava d’istinto. Uomini vestiti di scuro attorno a qualcosa, qualcuno, mentre un pianto urlato sul fondo sembrava poter graffiare l’aria. Poca luce. E non era una stanza era una strada di notte…
 Ancora una volta sentì che non poteva avvicinarsi oltre. Vide solo la pozza di sangue allargata sotto il corpo a terra. Quando uno degli uomini si chinò su di esso, John vide un uomo dai lineamenti severi ma belli, giacere nel suo sangue. I grandi occhi verdi spalancati sul nulla, la giacca vittoriana inzuppata da una profonda ferita.
Lo riconobbe e ancora una volta non comprese.
Quando era stato lui non era accaduto. Di tutto quella volta, anche non ricordare chi fosse dopo che era cambiato, ma… non una cosa del genere. Lui poi non moriva a quel modo.
John era confuso. Poi lo vide.
Il cane.
Il cane che ricordava vagamente lo stava guardando da un’altra stanza.
John lasciò la soglia della stanza che guardava prima e si avvicinò a quella. Il cane era lì, immobile che lo fissava in un luogo vuoto, una sala spoglia. Lampi di luce attraversavano il pelo fulvo, come se delle scintille percorressero il corpo dell’animale. John lo fissava senza ansia, non era ostile e lo sentiva. Il cane ad un tratto si girò e lui vide che dal fondo, un’onda di oscurità stava passando velocemente, come correndo; le luci delle stanze più profonde stavano spegnendosi nel nulla e sentiva ogni porta chiudersi rumorosamente alle spalle del buio.
John si irrigidì e si accorse che il cane era sparito.
Tutte le porte che aveva attorno si chiusero di colpo. Poi, da fuori…
Qualcuno iniziò a bussare furiosamente.
Ad ognuna di esse e contemporaneamente.
John vide che sotto ciascuna, una lingua oscura tentava di penetrare nella luce della stanza. Anche fuori dalle finestre, sembrava che non vi fosse più il cielo.
John si girò ovunque.
Bussavano, bussavano a tutte le porte chiuse…
… chi c’era dietro le porte?
… cosa…?
Dove era…?
CHI ERA?
Il rumore si fece insopportabile, confuso, come qualcosa di spaventoso graffiasse fuori impaziente di entrare. Immaginò artigli, mani mostruose. Continuavano a battere ed ogni colpo lo sentiva dentro.
John sentì che il rumore stava diventando più regolare ed infatti divenne ritmico, i battiti del suo cuore.
Colpi violenti ad ogni porta, sempre più veloci, sempre più veloci, come tamburi impazziti.
Si portò le mani alle orecchie perché nonostante tutto, sopra ogni cosa, ancora, riusciva a sentire quella nota lunga, sorda, impressionante. Gli faceva vibrare le ossa, era una nota nera, una voce che mormorava in un pozzo di angoscia. Gli parve di precipitare in un abisso di dolore e iniziò ad urlare, perché sembrava che tutto dovesse schiacciarlo, che qualcosa potesse farlo esplodere da dentro. Era un buio nell’anima, l’orrore…
Il dubbio.
Sentì allora la rabbia impossessarsi di lui, salire dal più profondo del suo essere, spalancare il suo unico cuore fino alle sue labbra. Strinse i denti per il dolore ma questo divenne qualcosa di diverso.
-          ORA BASTA!!! – gridò con tutte le sue forze e gli occhi gli brillarono come cristalli splendenti.
Sopra ogni cosa; sarebbe stato in piedi davanti a qualunque cosa, anche alla tempesta, al mare immobile, al cielo che stava per crollare su tutto, non importava. Lui l’avrebbe fatto.
Perché lui sapeva essere terribile.
Come fosse stato un ordine, tutto tacque di colpo.
John con espressione tesa restava immobile quasi al centro della stanza.
Ad un tratto sentì dei colpi sul pavimento.
Non erano passi ma proprio colpetti, leggeri.
Si voltò, abbassò lo sguardo e rimase interdetto.
Una bambina di una decina d’anni era lì, davanti a lui, con gli occhi chiusi. Vestita di bianco lucido, scarpette dello stesso colore. Aveva i capelli lunghi, castano chiaro, fermati da un cerchietto elegante. Sembrava stesse andando ad una festa. John la fissò un lungo momento.
Il suo sguardo si fece più chiaro poi lentamente si avvicinò a lei che tese verso di lui la mano ma senza aprire gli occhi.
-          Voglio toccarti! – disse lei con tono deciso. John sorrise appena e si inginocchiò davanti a lei. I suoi occhi si erano fatti attenti ma dolci. La mano della bambina lo raggiunse. Era calda, gentile. Gli accarezzò il viso con attenzione, le labbra, e poi mise una mano sul suo petto ed inclinò un po’ il capo, come ascoltasse con attenzione qualcosa.
-          Dove sei? – le chiese lui sottovoce.
-          Non lo so – gli rispose la piccola accarezzandolo sul cuore. Il suo cuore era per lei una calamita - non ci vedo…!
-          Lo so – mormorò John. Mise la mano su quella della bambina – qui siamo…?
-          In un luogo che ho trovato nella tua mente.
-          Sto dormendo allora…
-          Sì.
-          È tanti posti insieme e tutti immaginari – mormorò – un mondo senza tempi e pareti ma con tanti tempi ed infiniti muri. Stupefacente.
-          È tutto dentro di te – disse la bambina – hai sentito dolore perché…
-          Perché ho avuto paura, lo so. Non è colpa tua – le sorrise.
-          Hai paura di me?
-          No, non ho paura di te. Tu sei meravigliosa – le accarezzò il viso e i capelli. Aveva un profumo delicato, che conosceva e non poteva dimenticare – ma dimmi, cosa c’è dietro quelle porte? Cosa ho visto?
-          Hai visto cose.
-          Quali cose?
-          Cose – ripeté la piccola. John chinò lo sguardo pensieroso -  tu sai da dove vengo?
-          Sei parte di Uno di un altro mondo. Non so molto altro e non ho conosciuto qualcuno che sapesse di più. Ma so che tu non hai tempo. Io lo sento dentro, lo vedo; ma non posso dominarlo.
-          Io posso, invece.
-          Sì, tu puoi – lei sorrise divertita.
-          Sai chi sono? – le chiese.
-          Sì. Sei un signore del Tempo. Mortale… - aggiunse piano.
-          Alla mia ultima vita – disse John.
-          Invecchierai.
-          Sì.
-          Morirai – John fece un respiro più lungo.
-          Sì, morirò.
-          E mi lascerai morire?
-          NO. Te lo prometto. Saprò cosa fare, quando sarà il mio momento.
-          Il tuo momento è già venuto eppure non lo è.
-          Ma io lo sento vicino – disse John. Finalmente lo ammetteva.
Nel silenzio aveva ascoltato qualcosa risuonargli dentro, qualcosa che davvero gli era parsa la nota sorda e buia che aveva generato la paura in quel luogo. Cacciava quel pensiero ma continuava a tornare, come quel suono in grado di scuotere il suo animo. 
-          È la morte che temi?
-          Di lasciare lei, sola – i suoi occhi si fecero lucidi. La bambina lo accarezzò piano.
-          Sento che devo arrivare ma non so dove sei.
-          Ed io non so dove tu sia, anche se ti sento.
-          Non posso vedere.
-          Ti guiderò io.
-          Come?
-          Sto cercando il modo, tu però abbi fiducia in me.
-          E sai che dovrai fare, non è vero? – John abbassò il capo e annuì.
-          Lo farai?
-          Sì…
-          Allora fammi arrivare da te, fammi arrivare e svegliami – gli sussurrò.
-          Accetti di stare con me? – le chiese John con tutta la speranza, il dolore e la dolcezza che aveva dentro.
La bambina con gli occhi chiusi era sparita nel nulla.
Al suo posto una ragazza vestita di bianco, i capelli chiari con scintille dentro; in ginocchio davanti a lui. Non poteva aprire gli occhi.
John sorrise emozionato. Timidamente cercò le sue labbra e le diede un lunghissimo bacio.
  
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