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Autore: Maria_Black    27/12/2012    4 recensioni
Un nuovo personagio che sconvolgerà le vite dei protagonisti della Saga, prima ancora che tutto abbia inizio. Un nuovo personaggio che farà parte della vita dei Quileutes, che cambierà le carte in tavola, dando un finale diverso dalla Saga, dove non ci sono contentini per uno dei protagonisti principali. Dedicata a chi non è andata proprio tanto giù la storia dell'imprinting con Renesmee.
Dal prologo:
"Ah, dimenticavo!
Mi presento.
Piacere, Karen Clearwater"
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black, Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Quileute, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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28~ Le lacrime del cielo

«Acosta Miriam.»
«Presente.»
«Ateara Quil.»
«Presente.»
«Ayala Leela.»
«Presente.»
«Black Jacob.»
«Assente, professore.»
Assente, cazzo. Assente.
Erano ormai cinque giorni che Jake non si faceva né vedere né sentire. Il giorno dopo l’uscita al cinema, avevo chiamato a casa sua, per sapere se stesse bene o meno. Mi aveva risposto Billy e con un confuso no, sta ancora male, non può ricevere visite aveva chiuso la chiamata.
Avevo provato a chiamare in altri orari, nei giorni seguenti, ma ogni volta che chiedevo di passarmi Jake per parlargli la risposta era sempre stata la stessa, ovvero che non poteva passarmelo perché in quel momento stava riposando. Uno, due, tre giorni, poi la scusa non resse più e capii che c’era qualcosa dietro. Ma Jacob non si faceva sentire, e più che chiamarlo dieci volte al giorno, io non sapevo che fare.
«Call Embry.»
«Assente anche oggi, professore.»
Qualcuno, una o due file dietro di me, rispose al posto di Embry. Da quando era entrato in quella specie di setta veniva a scuola un giorno no e l’altro neanche. Saltava lezioni su lezioni e lo stesso valeva per Jared Cameron e Paul Lahote.
Che cose succedeva in quel gruppo? Nessuno ne sapeva nulla, solo che tra di loro si chiamassero con qualcosa di simile a “i Protetti” o “i Protettori”- non ricordavo esattamente quale dei due- eppure tutti giravano alla larga da loro e nessuno si azzardava mai a contraddirli. Forse per la loro corporatura: erano tutti alti sul metro novanta e in fatto di muscoli non avevano nulla da invidiare a degli atleti professionisti, anzi.
«Clearwater Karen.»
La mancanza di Jacob vicino a me, nel banco vuoto che avevo accanto e che nessuno aveva occupato, si sentiva davvero tanto. La cosa che più mi martellava il cervello, però, non era tanto la sua assenza, quanto il fatto che non mi avesse telefonato e che non mi avesse mandato neanche un misero messaggio sul cellulare. Non riuscivo a capire perché non mi richiamasse almeno per farmi sapere che era ancora vivo. Insomma, lui sapeva meglio di chiunque altro quanto fossi apprensiva nei confronti di chi amavo e delle persone a cui volevo bene.
«Clearwater Karen.»
E poi, dopo quasi un anno di conoscenza, non avevo mai visto Jacob a letto per più di due giorni contati, soprattutto a causa di Billy che lo spediva a scuola il prima possibile. Non mandarlo a scuola per tre giorni di seguito, quindi, non era affatto nella norma e non avere notizie non aiutava di certo a tranquillizzarmi.
«Clearwater Karen.»
«Karen, tocca a te!» Il sussurro di Quil- e in particolare la gomitata che mi riservò- interruppe il mio filo di pensieri e, in automatico, alzai la mano, recitando la solita formula.
«Presente.»
«Si svegli, Clearwater, la mattinata scolastica è già iniziata. Drown Mikael.»
L’appello continuò e finito quello, il professore iniziò la lezione, mentre la mia mente vagava in un mondo tutto suo, dove dubbi e domande mi assalivano.

 
« Questo materiale vi servirà per la ricerca che mi dovete consegnare entro la settimana prossima. Chiaro a tutti?» Annuimmo in sincrono, come delle marionette programmate per fare solo quello.

«Bene. Chi è che può dare queste fotocopie agli assenti?»

Quarta ora, professore Hewen, biologia. Mancavano poco più di cinque minuti al suono della campanella e io non vedevo l’ora di uscire da quella classe per andare a mangiare qualcosa e soprattutto per smettere di sentire le spiegazioni dell’insegnante. Dire che fosse noioso era fargli un complimento.

«Vedo che ci sono molti volontari per la consegna delle schede… Allora faremo così: i compagni di banco degli assenti- Black, Call, Douglas e Ward- devono dare loro il materiale. Chiaro? Quindi Acosta, Clearwater, Tallish e Ateara venite a prendere le fotocopie.»

Ci misi poco più di due secondi per collegare il fatto che dovergli portare il materiale significava avere una scusa per andare a casa sua. Sorrisi radiosa, mentre mi alzavo e mi avvicinavo alla cattedra per prendere il mio biglietto d’ingresso a casa Black.

 

«Ehi, Quil, che succede? Hai un faccia…!»

Alzò lo sguardo dal panino appoggiato sul vassoio e si girò verso di me, mentre il resto del tavolo continuava la conversazione, ignorandoci.

«Come diavolo faccio a dare questo materiale a Embry? Quando mi vede cambia strada e se ne va con Sam e quegl’altri due…»

Ah. Giusto. Lui doveva dare quelle stupide fotocopie a Embry, proprio come io le dovevo dare a Jacob. Ero stata così presa dall’entusiasmo da aver tralasciato quel piccolo e insignificante particolare.

«Potresti lasciarle a sua madre. Di certo lei non proverà a evitarti.»

Mi guardò sconsolato ed infine annuì.

«Sì, credo farò così…»

Pesava ancora a tutti l’allontanamento di Embry dal gruppo. A Jacob e Quil per primi. Erano migliori amici dall’infanzia, erano sempre stati insieme ed il passare degli anni non li aveva divisi, anzi li aveva uniti ancora di più e il fatto che Embry, da un giorno all’altro avesse iniziato a evitarli, faceva male. Non c’era un perché, Embry non l’aveva saputo dar loro, peggiorando così una situazione già abbastanza critica. E anche io, nonostante li conoscessi da meno di un anno, ci stavo male. Ero molto legata al ragazzino dagli occhi scuri, il sorriso dolce e la perenne disponibilità verso gli amici.

 

Pioveva. Nulla di insolito, insomma.

Mi rifugiai sotto la piccola tettoia che riparava in parte il portone della piccola casetta rossa. Controllai i fogli che tenevo tra le mani. Salvi, per fortuna. C’era qualche goccia di pioggia qua e là, ma nulla di irreparabile.

Bussai alla porta di legno scuro e pochi secondi dopo sentii il familiare cigolio della sedia a rotelle di Billy avvicinarsi. La porta si aprì e davanti a me spuntò Black Senior.

«Ciao Billy.»

«Ciao Karen.» Sembrava sorpreso dalla mia visita, ma era difficile dirlo, con quell’espressione sempre imperturbabile che aveva e l’aria da grande saggio che lo caratterizzava come capo della tribù.

«Ho del materiale per Jacob, posso portarglielo?»

Mi guardò negli occhi a lungo, poi mi sembrò di sentirlo sospirare leggermente, mentre allungava la mano in direzione dei foglio legati dall’elastico verde che tenevo tra le mani io.

«Jacob non può ricevere visite, glieli darò io. Grazie, Karen.»

Delusa, profondamente delusa, diedi il fascio di fogli a Billy, che mi fece un piccolo sorriso, quasi di incoraggiamento, mi salutò e richiuse la porta.

Missione fallita, Clearwater.

Non potevo vederlo, né sentirlo perché il suo cellulare era puntualmente spento- tipico di Jacob- e Billy non mi dava neanche l’opportunità di chiedere e capire qualcosa in più sulla sua situazione.

Sconsolata, mi diressi alla spiaggia, ignorando il fatto che stesse piovendo, che io mi sarei bagnata tutta e che First Beach sarebbe stata deserta. Camminai sotto l’acqua per vari minuti prima di iniziare a calpestare con i piedi la sabbia dal colore indefinito della spiaggia della riserva.

Il rumore della pioggia che cadeva sulla sabbia, sulle rocce, sui tronchi e lo scrosciare dell’acqua nell’aria si confusero col rumore delle mie scarpe sulla sabbia, delle onde e… degli schiamazzi provenienti dalla scogliera. Alzai di scatto la testa per capire da dove e soprattutto da chi provenissero quelle urla e vidi in lontananza dei ragazzi- sicuramente della riserva visto la pelle scura- che si tuffavano a turno nell’oceano e che tornavano a nuoto a riva, per poi risalire e gettarsi in acqua di nuovo.

Mi avvicinai velocemente, cercando di riconoscere meglio le figure che, ora che ero più vicino, riuscivo a distinguere in cinque ragazzi. Avevano tutti dei pantaloncini corti, al ginocchio, nessuna maglietta. Scuri di pelle, molto alti, muscolosi…

No. Non possono essere loro. No. Questi ragazzi sono in cinque. Loro sono in quattro: Sam, Paul Lahote, Jared Cameron e Embry. A meno che…

Il battito del cuore iniziò improvvisamente ad accelerare e si formò nella mia mente un brutto presentimento, accompagnato da un nodo sempre più grande alla gola. Iniziai quasi a correre, attraversando prima la spiaggia e poi risalendo il sentiero per arrivare al punto più alto dell’enorme scogliera. Mentre salivo, sentivo le urla sempre più vicine e riconobbi una voce.

Sam.

No, cazzo, no.

Accelerai ancora di più il passo e dopo circa cinque minuti- in cui non mi accorsi che era sceso uno strano silenzio- giunsi in cima. Mi stupii nel vederli tutti girati nella mia direzione, come se mi stessero aspettando da tempo. Ma quello mi sembrò niente in confronto al momento in cui il mio sguardo incontrò la figura di Jacob tra quelle di Sam e di Jared. Sgranai gli occhi e non potei evitare che tutti si accorgessero del cambiamento repentino delle mie emozioni: sorpresa, sgomento, attonimento, consapevolezza, tristezza, dolore, rabbia e ancora dolore.

Tutto questo attraversò il mio viso in pochi secondi.

I grandi occhi scuri di Jacob mi guardarono spaventati e al tempo stesso sofferenti.

Che ti è successo? Dove sono i tuoi lunghi capelli scuri? Il tuo sorriso accecante, i tuoi occhi sinceri,la tua risata contagiosa? Che ti hanno fatto? Hanno preso anche te, vero?

Domande mute che gli trasmettevo attraverso lo sguardo e a cui lui non sembrava potermi dare una risposta. Non riuscii a controllare le mie emozioni e, prima che riuscissi impedirlo, i miei occhi si riempirono di lacrime. Il silenzio era surreale, in contrasto con le urla e gli schiamazzi che avevo sentito fino a poco prima. Scacciai via le lacrime con stizza, ma nessuno ebbe il tempo di fare o dire qualcosa perché arrivò Paul Lahote, perfettamente asciutto nonostante fosse appena risalito dopo un tuffo nell’oceano.

«Che succede?»

Un cenno di Sam fu la risposta e, in un battibaleno, tutti tranne Jacob si allontanarono velocemente dallo spiazzo. Embry mi passò accanto e gli diedi una rapida occhiata. Con i suoi occhi color nocciola»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»»» mi restituì lo sguardo, prima di andarsene velocemente insieme a Sam, Paul e Jared.

Io e Jacob rimanemmo soli, occhi negli occhi, muti, senza il coraggio di parlare e di ammettere la verità.

Una goccia sul mio viso.

Forse è un incubo, uno di quelli nascosti nel mio subconscio.

Una goccia tra i suoi capelli cortissimi e nerissimi.

No, non lo è.

Una goccia tra i miei capelli, scivolò giù su una ciocca, pendette dalle punte e atterrò nella terra umida.

È realtà, vita, presente.

Una goccia sulla sua spalla, passò sopra un… tatuaggio nero. Il simbolo di quella setta.

Una pugnalata al mio cuore. Il cuore ferito e consumato da mesi di sentimenti nascosti e repressi.

Una goccia sulle mie labbra. Le schiusi e sentii il sapore amaro della pioggia.

Un ricordo che viene a galla. Un graffio in più sull’anima di una ragazza innamorata. Un parte in più che se ne va.

Le gocce continuavano a scendere, a colpirci, incuranti di noi, di due ragazzi che immobili, si fissavano negli occhi a poco più di un metro di distanza.

I tuoi occhi scuri. Inconfondibili, liquidi, profondi, trasparenti.

Ti vedo, sai? Sì, ti vedo lottare, ma non so per cosa. Vedo le due parti di te che si contendono la vittoria, mentre tu ti sforzi di non farmi notare quanto sei confuso. Se non ti conoscessi così bene, non lo capirei.

Chiusi gli occhi, cercando di capire come invece stessi io. Ero fin troppo brava nel farlo con Jacob, ma troppo poco a capire me stessa, a volte. In quel momento, la mia mente aveva un solo pensiero, predominante su tutto, che come le lampadine al neon, spiccava tra gli altri mille: dovevo capire, dovevo lottare, dovevo fare qualcosa. Per lui e per me. Per un noi, che si stava velocemente frantumando davanti ai nostri occhi e che io dovevo salvare.
~                               ~                           ~                              ~
Angolo Autrice

Ciao a tutti! Lo so, non mi sono fatta vedere per un po', e proprio per questo sono qui, sotto periodo festivo, per farvi un bel regalo di Natale posticipato.
Che dire di questo capitolo? Non molto, solo che Kar sta male, ora più che mai, perchè ha scoperto che quello che Billy e indirettamente Jacob le propinavano era solo una bugia e lei si fidava molto di loro due.
Grazie a Noemi per aver betato il capitolo e aver recensito.
Grazie ad Ania per averlo letto e avermi dato il suo parere e per aver recensito.
Grazie a Lady Lunete per aver recensito lo scorso capitolo.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui e che sono ancora con me nell'aventura di Run, mettendola tra le preferite/seguite/ricordate o anche solo leggendola.
Sperando di riuscire a postare il prima possibile, vi lascio.
Auguri di buon Natale in ritardo e di buon anno in anticipo.
Ci si rivede nel 2013!
Ciao e un bacio

Maria_Black

 

   
 
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