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Autore: MarchesaVanzetta    01/01/2013    0 recensioni
Avventura fuori porta e grandi atti d'amicizia.
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Linguaggio un po' volgare. Niente di che, normale amministrazione tra ragazzi, ma meglio segnalarlo :D
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A tutti i miei amici, sperando che il 2013 sia strepitoso :)
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sotto casa sua sentì un clacson suonare impazzito e, nonostante il mal di testa che la sbronza della notte precedente gli aveva regalato, si alzò dal letto per mandare a quel paese l’idiota che faceva casino all’alba.
Alzò la tapparella della sua camera e stava per inveire contro il tizio in auto, quando vide una macchina nota davanti a casa sua e un viso ancora più noto orgogliosamente appoggiato a quella Panda vecchissima e lercia.
“Alberto, che cazzo ci fai a quest’ora davanti a casa mia a far casino?” domandò irritato e cercando di capire se il suo migliore amico fosse del tutto impazzito.
“Leggi il cartello sulla macchina” rispose sintetico l’amico, dando prova a Marco di aver davvero perso l’uso della ragione. Tuttavia cercò il cartello –che altro non era se non un paio di fogli attaccati sui finestrino del passeggero- e lo lesse a mezza voce: “Espresso per Hogwarts”.
Come un lampo, gli venne in mente il motivo della festa a cui si era ubriacato: la fine di agosto e l’inizio di settembre, portatore di autunno e doveri scolastici. Ricordò anche a cosa fosse legato il primo settembre, nell’universo di Harry Potter, amato da entrambi e motivo per cui si erano conosciuti lui e Alberto.
Non poteva essere…
“Marco, vestiti,  prendi il baule e il tuo rospo, o arriveremo davvero in ritardo al banchetto di benvenuto. Vuoi farti sgridare dalla McGranitt?” lo esortò, un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Il ragazzo afferrò al volo un paio di jeans, il portafogli e il cellulare e stava per uscire di casa, quando si ricordò di Oscar. Tornò in casa, mise il rospo nel suo trasportino da viaggio, e uscì di casa.
“Finalmente” sbuffò Alberto, mettendosi alla guida. Marco salì in macchina, posò Oscar sul sedile dietro dove vide anche il trasportino di Crosta e un piccolo baule. Allacciò la cintura che Alberto già stava guidando.
“Buongiorno eh” cercò di intavolare la discussione e di distrarre Alberto da quell’espressione che aveva dipinta in viso, a metà tra il determinato e il folle.
“Buongiorno. Questa puzza di alcol significa che sei andato alla festa di Mari, ieri sera?” domandò Alberto, girandosi un attimo a guardare le pessime condizioni dell’amico.
“Esatto, e saresti dovuto venire anche tu! Ci siamo divertiti un casino, la vodka scorreva a fiumi e Giò ha portato l’erba in onore della padrona di casa… e invece tu te ne sei stato a casa ammazzandoti di seghe, idiota dei miei stivali” lo prese in giro, come al solito. Adorava stuzzicarlo.
“Ero al cineforum, e lo sai benissimo! Il film era toccante, anche se i sottotitoli erano un po’ fastidiosi” lo corresse, assumendo l’aria da intellettuale ferito che a Marco seccava tanto.
“I sottotitoli?” chiese scandalizzato Marco, pensando alla noia mortale che doveva essere vedere un film senza capire niente.
“Sì, era in afrikaans e non è stato tradotto per motivi economici. Gianpiero l’ha sottotitolato tutto però, e quindi avevamo i sottotitoli e le note di traduzione. È seguita una discussione molto interessante” spiegò Alberto, ricordando la piacevole serata che aveva trascorso.
“Bha, contento te contenti tutti. Ma dove stiamo andando?” domandò, accoccolandosi meglio sul sedile, aspettandosi un viaggio ancora lungo.
“Vedrai!” rispose Alberto, misterioso “Siamo quasi arrivati, comunque” lo informò, tirandogli un pizzicotto sul braccio nudo e abbronzato.
“Ma che palle, volevo dormire!” protestò Marco, ancora all’oscuro dei piani dell’amico e infastidito per questo.
“Potresti non andare alle feste dei liceali e andare a letto a ore decenti, e non saresti stanco alle undici e mezza del mattino” lo rimbrottò Alberto.
“Solo perché tu sei vecchio dentro, non vuol dire che il resto del mondo non possa divertirsi” ribatté Marco, iniziando uno dei loro soliti battibecchi sui diversi concetti di divertimento.
“Dai Marco, non farmi dire sempre le stesse cose: hai ventiquattro anni e vai alle stesse serate a cui andavamo al liceo! Santo cielo, a maggio ti laurei e fumi ancora erba nell’angolo di qualche giardino. Dovresti crescere” sbottò Alberto, pentendosene subito dopo: voleva che quella fosse una bella giornata, senza i soliti bisticci.
“E tu dovresti divertirti come si addice alla tua età! Dai, ti prego, sembri mio nonno!” rispose, stizzito. Sarebbe stato meglio dormire che urlarsi sempre le stesse cose.
“Scusa Marco, sono sempre inopportuno. Lasciamo perdere? Siamo arrivati e voglio che tu ti goda la tua sorpresa” disse calmo, sorridendo dell’amico che scuoteva la testa e gli stringeva la mano, già dimentico del diverbio di poco prima.
“Allora, questa sorpresa?” lo incalzò Marco, interrompendo quel momento di silenzio.
“Ti ricordi dov’eri il primo settembre dei tuoi quattordici anni?” domandò Alberto, togliendo dai sedili posteriori baule e trasportino di Crosta e chiudendo la macchina.
“Non ho  neanche idea di dove fossi l’altro giorno! Come posso ricordarmelo?” sbuffò Marco, seguendo l’amico che si incamminava su una collinetta.
“Ti do un indizio: Londra” suggerì Alberto, sorridendo  per la proverbiale smemoratezza dell’amico, in particolare riguardo a date ed eventi.
“Londra? Ci sono stato solo una volta, coi miei… dici che avevo quattordici anni? E come lo sai tu?” domandò, perplesso.
“Per la barba di Merlino Marco, quel  primo settembre ci siamo incontrati per la prima volta alla stazione di King Cross, tra il binario nove e dieci! Ora ti ricordi?” sbuffò Alberto, incredulo. Come si poteva essere così idioti?
“Cazzo, è vero! Scusami, sono un coglione!” esclamò, imbarazzatissimo dal non essersi ricordato una cosa così importante. Quanti anni erano passati? Dieci…!
“Aspetta, ma sono dieci anni che ci conosciamo?” domandò, convinto di aver capito il motivo di quella gita inaspettata e sperando di non sbagliarsi.
“Buongiorno fiorellino!” rispose Alberto, prima di iniziare a ridere, seguito a ruota da Marco.
Risero per alcuni minuti, smozzicando insulti tra le risate, finché Alberto non si fermò, in cima alla collinetta, in uno spiazzo erboso circondato da cipressi.
“Oh, che figata” disse Marco, guardandosi intorno.
“Era la cosa ch più assomigliava al campo dove i Weasly giocano a quidditch” spiegò, un sorriso sulle labbra.
“Sei folle!” esclamò Marco, prima di abbracciarlo. “Grazie, è bellissimo e tu sei il migliore amico che potessi desiderare” disse sottovoce.
“Lo so, lo so” rispose saccente, prima di stringerlo più forte. “Ti voglio bene, casinista” gli soffiò in un orecchio.
“Anch’io” rispose Marco, davvero colpito dal gesto dell’amico.
“Sì ma ora basta sentimentalismi, mangiamo!” fece Alberto, sciogliendo l’abbraccio e aprendo il bauletto, che rivelò il suo contenuto mangereccio.
Passarono tutta la giornata stesi nell’erba, a mangiare e ridere e ricordare tutte i momenti che avevano passato insieme, felici dell’essere ancora lì, dell’essere sempre lì, come se fosse passata solo una manciata di secondi da quando avevano provato a passare nella terza colonna, emulando il loro idolo, solo una manciata di secondi da quando i loro occhi un po’ delusi si erano incontrati e non si erano più lasciati.
  
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