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Autore: Jane The Angel    21/07/2007    11 recensioni
[Notre-Dame de Paris] "Dona questo gioiello a colei la cui via è segnata dal sangue…grazie ad esso, troverà la sua strada…" la mia prima ff di questo genere, basata sul libro, sul musical e anche un pochino sul Gobbo di Notre Dame. Personaggi: Clopin, Nuovo personaggio
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LIBRO SECONDO

Capitolo I

Passarono due giorni, e Regine ed Enrique uscirono nuovamente, stavolta accompagnati da Jean-Louise, Serge, Gabrielle, Antoniette, Simon e Charlotte.

Il cielo era oscurato da cupe nubi, e la stessa coltre scura avvolgeva il cuore di Regine, impedendole ogni sorriso. Era inquieta, e ad ogni passo un lieve tremito la scuoteva. Sentiva nel suo cuore che quello sarebbe stato un giorno differente, anche se non capiva il motivo di quella sensazione.

Arrivarono a Notre Dame, e la calca della folla era molto aumentata rispetto alle precedenti giornate. Regine si guardò attorno, e al suo occhi non sfuggirono numerosi zingari che giravano attenti, con l’aria di chi attende qualcosa, di chi ha uno scopo preciso per trovarsi in un luogo.

-Cosa fa il vostro parente?- domandò Serge a Jean-Louise. L’arcidiacono Claude Frollo, che era per amor della precisione parente di Pierre e non di Jean-Louise, salì sul patibolo di legno montato accanto alla cattedrale, scortato da quattro guardie armate di tutti punto.

-Cosa succede, per l’amor del cielo? Un’impiccagione?- domandò Charlotte, notando anche lei che molta gente nella piazza era agitata. Simon le fece segno di tacere, e rivolse come tutti la sua attenzione all’arcidiacono, su cui erano puntati gli occhi di tutti i gitani.

Uno squillo di tromba bloccò ogni mormorio, nella piazza regnò il silenzio.

Un fulmine squarciò il cielo scuro, preannunciando un acquazzone.

Claude Frollo parlò con voce chiara e potente –Allo scopo di salvaguardare la quiete del buon popolo di Parigi… da questo momento il diritto d’asilo è negato.- respiri trattenuti come se tutta la popolazione, svegliatasi da un orrendo sogno, si fosse resa conto che l’incubo aveva invaso la realtà –Da oggi in poi, ai soldati è permesso di entrare a Notre Dame, e stanare i topi di fogna che vi si rifugiano.- aggiunse questa frase con voce diversa, stentata e raccapricciante come se venisse dalle più profonde viscere del suo essere.

Il silenzio totale che accolse la notizia fece presto a trasformarsi in un’onda di bisbigli concitati.

-Ma cosa… perché?- mormorò Regine.

-Si scatenerà un inferno.- commentò Simon pronto ad estrarre la spada: non era che una sottoguardia, ma aveva il compito di combattere in caso fosse stato necessario.

-Ha avuto un’illuminazione saggia.- commentò invece Enrique –Ora riusciremo più facilmente a liberare la città da quel sudiciume.-

Una voce si levò sul brusio. Un’invocazione, cantata da una voce potente, chiara e decisa.

-Asilo! Asilo! Asilo! Asilo! Asilo!-

Una voce che Regine riconobbe. Spostò, come molti altri, lo sguardo verso la cattedrale. Sulla scalinata principale l’agile figura di Clopin stava dritta in piedi, scandendo quella parola come se ne andasse della sua vita, cosa che forse era la realtà.

-Ho detto che il diritto è negato!- si sgolò Dom Frollo, rosso in volto per l’ira.

Clopin batteva a terra il suo bastone, sulla cui punta aveva fissato una lama, come a tenere il ritmo di quel disperato ritornello. Con un brivido, Regine comprese che avrebbe lottato per difendere quel diritto, anche solo contro tutti se fosse stato necessario.

Ogni zingaro, per tutta la piazza, iniziò a scandire quella stessa parola.

-Asilo! Asilo! Asilo!-

E continuarono, mentre Clopin iniziava a cantare quello che doveva essere un canto gitano degli stranieri giunti a Parigi…

-Noi siamo gli stranieri

I clandestini.

Noi uomini e donne, soltanto vivi.

Oh Notre Dame e noi ti domandiamo asilo…

Asilo!

Noi siamo gli stranieri

I clandestini

Noi uomini e donne, di povertà.

Oh Notre Dame e noi ti domandiamo asilo…

Asilo!-

La sua voce era forte, solida, ma amara e disperata, e fece sì che qualcosa si spezzasse nell’animo di Regine. Avrebbe desiderato correre da lui, essergli accanto…

-Simon, porta via le donne.- ordinò Jean-Louise estraendo la spada dal fodero nello stesso istante in cui lo fecero Serge ed Enrique. Il ragazzo annuì e, sfoderando a sua volta la sua lama, si voltò verso le tre donne –Venite.- disse, prendendo la mano di Regine.

-No… no, vi prego, aspettate!- cercò di controbattere Regine. Il cuore le batteva come impazzito mentre Simon la trascinava via e la figura di Clopin scompariva lentamente dal suo campo visivo.

I soldati si radunarono in formazione. Le donne fuggivano dalla piazza, trascinando via con sé i bambini urlanti. Gli zingari estrassero le loro povere armi.

-Vi do io il diritto, soldati! Entrate, entrate con la coscienza pulita, e scovate chiunque si nasconda nella casa del Signore!-

Enrique seguendo il comando del capitano Febo si unì al gruppo del padre.

-Asilo… asilo… asilo…- l’invocazione continuava a diffondersi, ogni zingaro cantava, finché i soldati non attaccarono.

Simon trascinò Regine, recalcitrante, fino a una vecchia casa il cui portone di legno si affacciava su Notre Dame, e iniziò a bussare con forza. Una vecchia signora aprì la porta, spaventata –Cosa volete da una povera vecchia?-

-Potete dare rifugio a queste donne? È rivolta nella pizza!- spiegò Simon con voce allarmata. A un cenno della donna, Regine si trovò spinta nella casa, seguita da Charlotte, Gabrielle e Antoniette. Poi, Simon uscì, la spada in mano.

-Come possiamo restare qui ad attendere mentre là fuori… quanta gente morirà! Perché?- Regine era disperata, si contorceva le mani, tremava e camminava avanti e indietro da mezz’ora, ormai, e Gabrielle iniziava a preoccuparsi. Era giusto che Regine si preoccupasse del futuro sposo, ma Enrique era un soldato e non poteva certo ridursi in quelle condizioni a ogni battaglia, a ogni sollevazione popolare.

Fu un inferno, l’attesa quasi quanto la lotta che fuori si stava svolgendo. Clangori di spade, colpi, grida, gemiti giungevano alle orecchie delle donne. Osarono affacciarsi alla finestra per un solo istante, quando un boato assordante sovrastò ogni altro rumore, seguito da grida e lamenti più forti di prima. Dall’alto di Notre Dame, due cascate ardenti, come brillante lava di un mostruoso ed imponente vulcano, si riversavano sulla folla. Accattoni e soldati si allontanavano gridando dai punti in cui quella lava toccava il terreno, ma non tutti lo fecero abbastanza velocemente e vi era appena il tempo di avvertire i lamenti dei condannati che già essi scomparivano sotto il liquido denso.

-Venite dentro.- Madeline e Gabrielle trascinarono Regine e Charlotte lontano dalla finestra, le obbligarono a sedersi, e le due ragazze obbedirono. I rumori, i clangori, aumentarono a dismisura, e diminuirono d’improvviso a un certo punto.

-Cosa…- mormorò Charlotte.

In quel momento la porta della casa si aprì, ed entrarono gli uomini. Gabrielle, Antoniette e Charlotte corsero verso i loro sposi, abbracciandoli, e Charlotte baciò Simon, davanti a tutti, sollevata che suo marito fosse salvo.

Regine non si mosse. Teneva le braccia strette al petto nel tentativo di frenare i tremiti, e Simon ed Enrique le si avvicinarono.

-Regine, non temete, è finita, và tutto bene…-la tranquillizzò Enrique.

-O almeno, noi siamo vivi.- commentò Simon –L’arcidiacono Claude Frollo è morto. Lo si è visto cadere dalla cattedrale.-

-E alcuni zingari ci sono sfuggiti. Ma abbiamo riportato una vittoria, questo è certo. La piazza è piena di corpi, e non sono molti i soldati deceduti.- aggiunse Enrique.

Senza una parola, Regine corse fuori dalla casa.

Lo spettacolo che le si presentò era inquietante e macabro: qua e là giacevano corpi senza vita, accasciati al suolo, sanguinanti, calpestati dagli zoccoli dei cavalli. Alcuni feriti si trascinavano a fatica lontano da quella valle di morte. Donne e bambini cercavano tra i corpi i loro padri, mariti e fratelli.

Regine si muoveva tra i corpi come in un incubo, i rumori giungevano alle sue orecchie attutiti e confusi, e come in una visione mostruosa i suoi occhi intercettarono un colore che attirò la sua attenzione. Blu notte, poco distante dal capestro di legno. Corse in quella direzione, inciampando sui corpi e sui suoi stessi piedi, il cuore martellante, le tempie pulsanti. Raggiunse il punto avvistato e cadde in ginocchio accanto al corpo riverso sulla strada.

I capelli neri erano sporchi di terra, da sotto l’occhio un taglio percorreva la guancia. Sulla camicia blu notte, da una ferita aperta nel costato dell’uomo, si allargava una macchia rossa.

Regine respirava affannosamente, ogni muscolo contratto da spasmi involontari, il cuore palpitante. Mosse la mano tremante verso quella di Clopin e la accarezzò –No…- esalò, disperata.

-Re… gine…- esalò l’uomo tossendo e aprendo gli occhi a fatica.

-Clopin… no, non parlare…-

-Vattene…- la mano di Clopin si scostò da quella di Regine. L’uomo parlava a fatica –Non mi hai voluto nella vita… non fingerti vicina nella morte…-

-Morte? Che dici… No, no… non morirai, sta tranquillo, non…- gli occhi di Clopin si chiusero e le lacrime iniziarono a percorrere le guance di Regine. Prese la mano dello zingaro, ma d’improvviso venne spinta a terra –Stai lontana!- vociò una voce femminile. L’Esmeralda aiutò un altro uomo, che non pareva uno zingaro e che indossava una lunga palandrana azzurra, a sollevare il corpo di Clopin, e in breve scomparvero dalla vista di Regine.

-Regine!- Simon ed Enrique raggiunsero la ragazza e Simon si inginocchiò accanto a lei –Cosa ti viene in mente? È pericoloso.- sussurrò Simon, e la abbracciò. Regine, aggrappandosi a quell’abbraccio, pianse amaramente, mentre anche il cielo iniziava a versare le sue lacrime.

I giorni passarono, e Regine non seppe nulla di Clopin. Si tennero i funerali dei soldati deceduti, a Notre Dame, e separatamente quelli dell’arcidiacono, che avvennero con grande solennità e a cui accorsero studiosi da ogni dove. L’arcidiacono aveva molte conoscenze ed era considerato un colto in molti campi.

Regine passò molto tempo sola, nella sua stanza, lo sguardo fisso sulla finestra, nel cuore la speranza di vedere Clopin entrare e baciarla nuovamente, come quella sera in cui lei l’aveva allontanato da sé. Se chiudeva gli occhi sognava di trovarsi tra le sue braccia, ma anche il suo inconscio pareva influenzato dalla sua tristezza, e in breve si trovava a stringere il corpo senza vita dello zingaro e si svegliava con le lacrime agli occhi. La notte si rigirava nel letto, le pareva di vederlo davanti a sé, tra la vita e la morte, in preda alla febbre, a volte invocando il suo nome, più spesso maledicendolo.

Nessuno in famiglia comprendeva cosa le fosse capitato. Enrique andava a trovarla ogni giorno, ma lei rimaneva chiusa nel suo silenzio e lui se ne andava dopo poco, sbattendo la porta. Simon cercava di parlarle, ma lei gli ripeteva che andava tutto bene. Passarono sette giorni, e tutti si erano convinti che si fosse ammalata. E lei lasciava che ne fossero persuasi, così da non dover spiegare la sua angoscia. Solo Simon pareva essere consapevole che qualcos’altro non andava, ma Regine non aveva alcuna intenzione di rivelare quel che provava. Sapeva che anche per lui sarebbe stata una vergogna, che l’avrebbe disprezzata, proprio come avrebbe fatto tutta la famiglia.

Il tempo continuava ad essere pessimo. Ogni giorno almeno due temporali scrosciavano sulle strade di Parigi, accompagnati da tuoni e lampi, e anche quando il cielo si calmava per alcuni attimi la città continuava ad essere bagnata da una pioggerella insistente e costante.

-Regine… ci sono Enrique e i suoi genitori.- annunciò Simon entrando con metà del suo busto nella stanza della sorella, che rimase semisdraiata sul letto –Vorrebbero fissare una data certa per le nozze, e ci domandavamo quando uscirai da questa condizione… poiché so che non sei malata, potresti dirmi quando intendi smetterla con questa farsa?-

Regine fissò il fratello provando per la prima volta verso di lui un’improvvisa ondata di odio –Farsa? Non puoi comprendere, Simon.-

L’uomo uscì dalla stanza sbattendo la porta. Avrebbe voluto che la sorella gli parlasse, come aveva sempre fatto… come poteva Regine non capire che comportandosi a quel modo faceva preoccupare tutti, come poteva essere così ottusa?

Regine strinse nella mano il medaglione che Clopin le aveva donato. Lo osservava spesso, in quei giorni. La mattina, quando si svegliava, si trovava a stringerlo tra le dita, e ogni volta che la sua mente si allontanava per qualche attimo dall’immagine dello zingaro, la sua mano cercava spontaneamente il medaglione, ricordandole nuovamente l’uomo.

Il suo sguardo, com’era abitudine ormai, si posò sul medaglione, e d’improvviso un particolare le saltò agli occhi, nitido come se fosse sempre stato lì, davanti a lei. Le linee curve, che le erano parse casuali, si muovevano in realtà in un senso preciso, in particolare attorno ai due rubini. Attorno a quello piccolo formavano una specie di stella, mentre formavano, ai due lati della pietra di maggiori dimensioni, due lettere piuttosto riconoscibili. Una N e una D.

Clopin probabilmente non le aveva mai notate poiché, come lui stesso le aveva detto, non sapeva leggere, ma… era possibile che il rubino rappresentasse Notre Dame, e che le linee rosse fossero… le vie di Parigi? E se era così… che l’altra pietra indicasse nientemeno che il luogo in cui era nascosta la Corte dei Miracoli? Se le supposizioni di Regine erano giuste… allora avrebbe potuto raggiungere la Corte, e se Clopin era lì…

Certo, numerosi fattori erano contro quell’idea. Era notte, e aveva sperimentato su di sé quanto le vie della città potessero essere pericolose nel buio. Non era certa che Clopin fosse vivo, anche se cercava insensatamente di convincersi del contrario, e in ogni caso non poteva sapere se l’avessero portato proprio alla Corte. Dopo ciò che era accaduto, gli zingari avrebbero verosimilmente potuto decidere di lasciare la città per andare chissà dove. Inoltre non sapeva l’età di quel ciondolo, con gli anni le strade di Parigi potevano essere cambiate… oppure, se quel ciondolo la madre di Clopin l’avesse rubato, il secondo rubino poteva indicare un luogo differente, caro al precedente possessore.

Nonostante tutti questi dubbi, Regine si trovò quasi senza rendersene conto ad avvolgersi in uno scuro mantello di velluto, allacciato sopra la camiciola e la gonna bianche che aveva indossato quel giorno, e ad uscire da quella stessa finestra che aveva fatto passare Clopin giorni prima, quel giorno che sembrava lontano secoli e vicino secondi.

Andò nella piazza di Notre Dame con il cappuccio calato sulla testa, e percorse con il dito le linee del medaglione per comprendere quale direzione prendere. Una volta trovata, si incamminò. Ci vollero pochi minuti prima che si trovasse in luoghi da lei inesplorati, seguendo quella mappa che forse esisteva solo nella sua immaginazione.

In un vicolo buio e nebbioso, dopo aver camminato mezz’ora almeno, incrociò uno zoppo avvolto in un mantello marrone e sdrucito, che allungo verso di lei la mano coperta di vesciche con il palmo rivolto verso l’alto –La carità, vi prego, la carità…- disse con voce stentata.

-Mi dispiace, non ho soldi con me.- rispose con sincerità Regine, e superò l’uomo. Non fece molti passi che venne avvicinata da un cieco vestito di un sacco di iuta che camminava aiutandosi con un bastone –La carità, vostra grazia, la carità…- Regine ripeté le sue scuse e continuò a camminare. Un terzo uomo, malconcio al pari degli altri due, le si avvicinò, ma lei non gli lasciò il tempo di dire nulla e lo superò. Davanti a sé vide un altro mendicante, e poi un altro, e un altro paio più avanti. Il suo mantello di velluto stonava nell’ambiente in cui era venuta trovarsi, e non fu l’unica ad accorgersene. Vide un uomo avvicinarsi, vestito di stracci ma né zoppo né guercio, anzi piuttosto robusto, che Regine sospettò essere un tagliaborse, o un tagliagole, forse.

Il passo di Regine si fece più rapido, ma l’uomo si slanciò verso di lei e la ragazza si trovò a correre. Dietro di lei, vide il cieco e lo zoppo correrle dietro, i loro impedimenti fisici svaniti d’improvviso, e corse ancora più rapida, ma non bastò. La gonna la impicciava, il mantello era pesante e la corda delle suole delle scarpe iniziò a sfilacciarsi, facendola inciampare nei suoi stessi piedi. Il tagliaborse la afferrò per primo, e immediatamente anche gli altri due le furono addosso. Tentò di gridare, ma la voce le morì in gola. Tentò di dibattersi, liberarsi, ma i tre continuarono a trascinarla senza sforzo e in breve il tagliaborse, stanco dei suoi tentativi di fuga, se la caricò di peso su una spalla, tenendola per le gambe. Il cappuccio del mantello le impediva la visuale, e riuscì a vedere qualcosa solo nel momento in cui l’uomo la gettò senza delicatezza a terra, scoprendole il capo.

Si trovava, scoprì guardandosi attorno, in quella che poteva essere scambiata per una normale taverna, non fosse stato per alcuni particolari, il primo dei quali era senza dubbio la spettabile clientela, che molto spettabile non era: che fossero gitani o meno, si vedeva da un miglio che erano tutti ladri, tagliaborse, tagliagole, marioli e donne di malaffare. Le finestre erano chiuse da assi inchiodati e coperte inoltre da pesanti tendaggi, e la luce della luna non penetrava nel locale, illuminato unicamente da candele sparse qua e là. Una delle pareti era fatta di pietra, e pareva che il tutto fosse costruito direttamente sulle mura della città.

-Siete una fanciulla, ma ciò non fa differenza alcuna, quant’è vero che il mio nome è Jared Anehi!- disse l’uomo che l’aveva portata in spalla fin lì –Come voi là fuori non fate differenza tra uomini, donne e bambini, ebbene noi ci comportiamo allo stesso modo.-

-Alla forca, alla forca!-incitò una voce maschile. Era un uomo dalla pelle molto scura, con la barba lunga e bianca e un bambino che sgambettava attorno alla sua sedia. L’uomo fissava Regine con odio.

-Vi prego… aspettate…- cercò di dire la ragazza.

-Non così in fretta, compagno Aster.- disse quell’uomo che nel vicolo poco prima si fingeva cieco –Vi è una legge da rispettare…-

-Un passaggio che possiamo saltare, Jaques.-

-Affatto!- ribattè l’uomo –Se un uomo la vorrà, sarà salva e si unirà al reame d’argot… allora!- esclamò Jaques rivolto a tutti –Qualche uomo si prende questa damigella?- le risposte che ottenne furono tutte varianti di "No" o di "Alla forca!", così si voltò verso Regine –Ebbene, vi sarà riservato lo stesso trattamento che voi riservate a noi.- si rivolse poi ad un giovinetto dal volto sporco di terra –Và a chiamare il re, tu, così che possa assistere a questa vendetta… gli farà piacere, dopo ciò che ha subito.- Mentre il bambino correva fuori dalla stanza, Jared fece alzare Regine strattonandola per un braccio, e Jaques le legò le mani tra loro. Regine si trovò sbattuta su un palchetto di legno marcio su cui facevano bela mostra di sé una sedia e, sopra essa, una corda. Abbassò lo sguardo, tentando di reprimere le lacrime e di regolare il respiro. Una porta sbattè. Passi, di almeno tre paia di piedi.

-Sire, abbiamo un ricordo da lasciare alla città prima della nostra partenza!- esclamò Jared in tono allegro –Una fanciulla da sacrificare a quel demonio che secondo loro adoriamo!-

Regine sentì passi rapidi, e avvertendo qualcun altro vicino sentì l’amaro in bocca, vide l’ombra della morte accanto a sé, pronta a balzarle addosso.

-Slegatela.-

Regine sbarrò gli occhi incredula nell’avvertire il brivido che solo una voce riusciva a procurarle. Con lentezza alzò lo sguardo, che percorse un paio di pantaloni bianchi strappati al ginocchio, uno scamiciato grigio che ricadeva largo su un petto agile e su due spalle robuste, un mento con un accenno di barba, una guancia solcata da una cicatrice ancora un poco aperta, capelli neri lunghi fino alle spalle e due occhi neri come la pece che la osservavano carichi di stupore e, forse, di apprensione.

Gli occhi di Regine si inumidirono e per qualche attimo il suo cuore smise di pulsare. Poco distante da Clopin, stava Esmeralda, sul viso una smorfietta stupita, e accanto a lei quell’uomo dalla palandrana azzurra che aveva portato via il corpo di Clopin tempo prima, il quale la fissava con incerti occhi azzurri, luminosi e intelligenti.

-Sle… slegarla? Ma…- balbettò Jaques mentre con lo sguardo vagava da Regine a Clopin a Esmeralda in cerca di spiegazioni. Con un verso d’impazienza, Clopin si chinò su di lei, estrasse un pugnale dalla sua cinta e tagliò la corda che incatenava i polsi della ragazza –Siete libera, andatevene.- disse ad alta voce, ma ciò scatenò un nugolo di proteste colleriche –La nostra legge non è questa!- berciò rabbioso Aster, l’uomo con il bambino –Sposata con un accattone, o con la corda!-

-Esmeralda ha sposate Gringoire, ma se non l’avesse fatto il nostro poeta non sarebbe certo tra noi, in questo momento. Così è, e così dev’essere!- concordò Jaques, e aggiunse –Ho domandato, e nessun uomo la vuole, perciò la prenderà la corda!-

Clopin fissò qualche secondo Regine con lo sguardo lucido, fremendo di inquietudine, e infine disse in tono deciso –Non sono forse un uomo, io?-

-Co… cosa?- balbettò Jaques, mentre lo sguardo di Esmeralda virava di scatto verso il re dei gitani, e Gringoire, che era per l’appunto l’uomo con la palandrana azzurra, studiava con curiosità quell’inaspettata scena.

-La prendo in sposa.- annunciò Clopin, ma con tono stavolta un poco meno deciso. Regine non riuscì a spostare lo sguardo da quell’uomo, commossa, felice, tremante e chissà che altro ancora.

-Perché?- domandò una voce di donna dal fondo della sala, esprimendo così la domanda che tutti, compresa la stessa condannata, si ponevano.

Clopin parve riflettere intensamente, ed infine trovò l’ispirazione –Questa damigella mi ha nascosto dalle guardie, poco tempo fa. Non lascerò che muoia per mano della mia gente, perciò la sposerò.-

La tensione parve sciogliersi, e gli sguardi rivolti alla ragazza si fecero d’improvviso un poco più benevoli, nonostante la vicenda non fosse andata precisamente come Clopin aveva riferito. Un uomo si alzò da un tavolo poco lontano per raggiungere il patibolo. Era alto e robusto, con le spalle larghe, la pelle scura e i capelli neri stretti da un laccio dietro la nuca. Teneva per mano una bimbetta sui cinque anni con i capelli castani, la pelle chiara e un pupazzo di stracci stretto in mano.

-Ebbene.- disse l’uomo, che era Mathias Hungadi Spicali, duca d’Egitto e di Boemia –Se il mio fratello Clopin ha deciso così, così sarà.-

-Sposaci, Mathias.- lo incitò Clopin porgendo la mano a Regine per aiutarla ad alzarsi. Lei lo fece, confusa e tremante come se non fosse certa di trovarsi nella realtà o in un’allucinazione. Il duca d’Egitto posò le mani sulle loro fronti –Qual è il tuo nome, bambina?- domandò a Regine, che con voce stentata si affrettò a rispondere –Regine Dubois, sire.-

-Ebbene, Regine Dubois è data oggi in sposa a Clopin Trouillefou, re di Thunes, successore del Gran Coësre e sire supremo del reame d’argot. Fratello, questa donna è tua. Regine, sei legata a lui, da oggi.- detto ciò, una brocca venne consegnata a Clopin, che la lasciò cadere tra sé stesso e Regine. Non appena la brocca si infranse, cinque gitane, tra cui la Esmeralda, si avvicinarono a Regine, mentre Mathias Hungadi Spicali quasi trascinava Clopin verso un tavolo rotondo dove un uomo corpulento con un turbate giallo li attendeva con tre boccali di quello che doveva essere vino. Le donne portarono Regine in una stanzetta dalle pareti di legno arredata con un letto, un armadietto e vari tavolinetti, su uno dei quali stavano poggiate tre candele, l’unica fonte di illuminazione della stanza a parte una piccola finestra.

-Cosa dobbiamo fare?-

-Ci libereremo delle tue vesti…- rispose la Esmeralda -Sono troppo suntuose per il reame d’argot, ormai sei una di noi. Spogliati, noi ti troveremo qualcosa da indossare finché Clopin non sarà qui.-

Regine arrossì, e un tremito la percorse all’idea di essersi trovata, così d’improvviso, sposata: cos’avrebbero pensato suo padre e suo fratello, nel vederla andare in sposa non solo a un accattone, ma a colui che ne era il sire supremo?

-Isabeau, trova qualcosa da far indossare a Regine.- disse Esmeralda, e una giovane dalla pelle candida e i capelli biondi si avviò verso l’armadietto accompagnata da un’altra delle ragazze, una gitana di tredici, forse quattordici anni, che teneva i capelli neri tagliati corti.

-Colette, tu aiutami a slegarle i capelli… avete quest’abitudine di tenerli sempre nascosti…- commentò Esmeralda rivolgendo un sorriso a Regine –Sei preoccupata?- Regine fece un cenno di negazione, ma Esmeralda indovinò la realtà senza difficoltà –Non temere, mio fratello è un gentiluomo, a suo modo.- la tranquillizzò –Non sai come tutte queste donne, e tutte le altre non ancora maritate del nostro reame, t’invidiano.-

-Oh, puoi ben dirlo.- confermò Isabeau tornando con alcuni indumenti –Clopin Trouillefou è un partito onorevole, quaggiù, o almeno lo era fino a pochi minuti fa. Persino la piccola Mathurine Girorou gradirebbe essere al vostro posto, ora.- aggiunse con un accenno alla ragazzina che la seguiva.

-Hai detto che è tuo fratello?- domandò ad Esmeralda –Ma… lo è anche dell’uomo che ci ha sposati? Non vi è somiglianza tra voi tre…-

-Fratelli non di sangue, infatti. Ma Clopin è un fratello per molti di noi.- spiegò la zingara con un sorriso mentre l’ultima ciocca ricadeva sulla schiena di Regine –Indossate questi abiti.- non appena Regine si fu cambiata, le donne presero i suoi abiti e le sue scarpe e uscirono –Ti mandiamo tuo marito, starà festeggiando con i suoi compari.- sorrise Esmeralda, e si chiuse la porta alle spalle. Il pavimento era freddo, ma Regine si disse che avrebbe dovuto abituarsi a camminare scalza, probabilmente. Una corrente d’aria la infastidiva, e notò sopra uno dei tavolinetti che la finestrella era aperta, pur se coperta da assi. Salì sul tavolinetto e cercò di chiuderla.

-Cercate di fuggire?-

Regine si voltò di scatto e la finestra si chiuse con un botto proprio mentre Clopin si chiudeva la porta alle spalle.

-No, io… sentivo freddo.-

-Certo, capisco.- Regine comprese che l’uomo non le credeva –Ve lo giuro, non intendevo andarmene.- Clopin non disse alcunché, si avvicinò, le prese le mani e la aiutò a scendere dal tavolino per poi ritrarsi da ogni contatto con un rapido passo indietro –Mi dispiace che siate costretta in questa situazione, legata a me, ma non avevo altro modo per risparmiarvi la forca, abbiamo avuto molte morti, sette giorni fa.-

-Vi devo anzi ringraziare per ciò che avete fatto. Mi avete nuovamente salvato la vita.- Clopin rimase un attimo in silenzio, distogliendo lo sguardo –Non occorre che il vostro valoroso cavaliere sappia della nostra unione, non è valida per la vostra chiesa e non lo sarà per il vostro corpo, il vostro promesso non avrà motivo di dubitare della vostra… purezza, quando io e la mia gente smetteremo di insudiciare le strade di Parigi.- la voce di Clopin, dura e aspra, unita alle sue parole, tolsero il respiro a Regine –Che dite?-

-Tra pochi giorni, la corte d’argot viaggerà verso un luogo più sicuro, se ancora esiste, così potrete tornare al vostro bel soldato e al vostro matrimonio.- spiegò il re dei gitani sentendo il cuore stretto in una morsa crudele.

-Sono la vostra sposa, non appartengo ad altri che a voi!- ribatté Regine, e la sua mano si mossa a sfiorare il medaglione, che ancora portava al collo –Voi stesso mi avete detto di seguire la strada che questo medaglione mi avrebbe indicato. L’ho fatto, ed è qui che sono stata condotta.-

-Un gioiello è un oggetto assai poco saggio, a cui non conviene affidare la propria sorte.- commentò Clopin, imponendosi di non porre alcuna speranza nelle parole della giovane –Conviene affidare alle persone il proprio destino.-

-Ed io l’affido a voi, allora.- Regine, trepidante, si avvicinò d’un passo a Clopin, che tuttavia ribatté –E se io non lo accettasi, questo vincolo?-

-Se non volete vostra moglie accanto, che sia.- la voce di Regine era rotta dal pianto trattenuto –Ma non chiedetemi di tornare alla vita, perché non ne avrei più una.-

-Ne avrete una, tra le braccia del vostro cavaliere.- ribattè Clopin.

-Se mi lascerete, schiverò le braccia di Enrique, per gettarmi nell’abbraccio eterno delle mura della Buca dei Ratti.- disse Regine faticando a respirare, cosa che accadeva anche al re d’argot, il quale aveva ormai perduto quella freddezza che era abituato a possedere –Cosa dovrei fare dunque per impedirvi un tanto amaro destino?- domandò avvicinandosi un poco, primo lieve segno di cedimento che Regine colse –Capire che sono qui per voi, che per sette giorni non ho vissuto temendo che foste morto, e decidere di portarmi con voi, perché so che la macchia di sangue che avete letto sulla mia mano altro non è che il vostro sangue, versato sulla piazza di Notre Dame sette giorni or sono.- disse d’un fiato.

Clopin rimase in silenzio, lo sguardo nero in quello di lei, lottando con le parole di Regine che entravano in lui spezzando ogni sua certezza –Non ho cuore di obbligarvi a una vita di povertà, tra malfattori e meretrici.-

-Obbligarmi?- lo interruppe Regine –Sono io che vi supplico di portarmi con voi.-

-Le fughe, i soldati… non sapete che vita vi attende se imboccherete questa via.-

Spinta dalla decisione, che vinse l’innocenza, Regine si avvicinò all’uomo, prese una delle sue mani ruvide tra le sue e se la portò alla vita, si alzò sulla punta dei piedi scalzi per raggiungere l’orecchio di Clopin poggiandosi sulle sue spalle solide e, in un sussurro, disse –Non m’importa, poiché ho un ottimo motivo che mi spinge ad abbandonare la vecchia via per imboccare questa.- sentì la stretta di Clopin farsi d’improvviso più decisa sulla sua vita, e avvertì il suo fiato sulla pelle nuda tra il collo e le spalle quando lui domandò, riducendo quella sua ammaliante voce roca ad un sussurro –E quale sarebbe questo motivo?- Regine alzò lo sguardo verso gli occhi neri del gitano, che continuò –Posso osare sperare che il mio amore sia almeno un poco corrisposto?-

A queste parole, al contatto dei loro sguardi, gli occhi di Regine si inumidirono di lacrime troppo a lungo trattenute, lacrime di felicità –Dunque voi mi amate?- domandò con voce tremante in un mormorio a malapena percepibile.

-Io non ho mai nascosto il mio amore. Ma tu… come posso conoscere il tuo cuore, se lo nascondi con tanta rapidità? Come posso sapere se vi sono io, o quel soldato con cui passeggiavi al mercato?-

-Solo tu, nessun altro.- sussurrò Regine, e un nuovo brivido la percorse quando la mano di Clopin, lieve ma decisa, quasi bisognosa, si insinuò sotto la sua gonna percorrendole la gamba, quando l’uomo le slacciò la camiciola e la scostò dalle sue spalle, coprendole la pelle di baci appassionati mentre lei inarcava la schiena stringendosi a lui, che d’improvviso la sollevò portandola, senza smettere di percorrerle il collo con le labbra, fino al letto, che fu quella notte la loro alcova.

Capitolo II

Una lieve luce riusciva a trapassare la barriera degli assi posti alla finestra, e solo tali flebili barlumi illuminavano la stanza, rendendo appena visibile ogni forma, ma lasciandone i contorni e i particolari sbiaditi, confusi tra loro. Regine si svegliò e per un secondo rimase sconcertata nell’avvertire qualcuno steso sul suo stesso letto. Ma non appena aprì gli occhi, un sorriso nacque spontaneo sul suo volto mentre si accorgeva di non essere mai stata tanto felice come in quel momento. Clopin, ancora addormentato, teneva un braccio stretto attorno al suo corpo, quasi temesse di lasciarla andare, e sul suo volto solcato dalla ferita non era difficile indovinare un’espressione di serenità. Muovendosi lentamente, Regine portò la mano alla cicatrice che percorreva il petto dell’uomo, sfiorandola con delicatezza, sentendosi in pace stretta contro il corpo agile dell’uomo, le gambe che sfioravano quelle di lui a ogni movimento. Dopo qualche minuto, Clopin si svegliò e i suoi occhi cercarono subito quelli di Regine.

-Salve, mio sposo.- lo salutò lei con un lieve sorriso, ma lui non rispose e le sfiorò i capelli mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione cupa –Che succede?- domandò preoccupata Regine.

-Domani… ce ne andremo da Parigi, questo lo sai.-

-Lo so, certo, e come ti ho già detto desidero seguirti, con tutto il mio…-

-Si, questo lo so.- la interruppe Clopin con un sorriso, che tuttavia scomparve immediatamente al ritorno dei pensieri che già poco prima l’avevano incupito –Ma non puoi scomparire così, cosa penserà la tua famiglia?-

-Tu sei la mia famiglia.- Clopin la guardò senza potersi impedire un sorriso, ma nonostante ciò disse –Si, ma non solo. Devi dire qualcosa, almeno a tuo fratello.- scostò lo sguardo da quello di lei, posandolo sul soffitto continuando tuttavia a tenerle un braccio attorno al corpo –Ciò che è accaduto ad Esmeralda, con quel capitano… non ne sapevo nulla, e quando è scomparsa ho temuto per molto tempo per la sua vita. Non sottoporre tuo fratello a una simile tortura.- Regine, commossa, si sollevò su un gomito e lo baciò, accarezzandogli la cicatrice sulla guancia –Lo farò.- Clopin la attirò a sé, stringendola con entrambe le braccia –Vuoi che io venga con te?-

-Lo faresti?-

-Solo se lo vuoi.-

-Grazie.- un bacio, profondo, accompagnato da carezze e sussurri, e Clopin si alzò dal letto, rivestendosi –Devo andare, ora… tornerò tardi. Non… non voglio che tu esca, oggi.- disse raccogliendo la gonna della ragazza, caduta a terra durante la notte, e poggiandola sul letto –Ti staranno cercando, e se ti trovassero…-

-Non uscirò.- assicurò lei –Resterò qui ad attendere il tuo ritorno.-

-Non intendevo di non uscire dalla stanza.- rise Clopin sedendosi accanto a lei –Ma dalla Corte. Nemmeno Esmeralda deve uscire, potrà farti compagnia, se lo desideri.- l’uomo parve riflettere un secondo –Ma se tenta di convincerti ad uscire, ti prego, non ascoltarla… tra voi due, pare facciate a gara per farmi impazzire.- commentò sorridendole.

-Oh cielo, ci hai scoperte!- sorrise Regine. Clopin si chinò su di lei per un ultimo bacio, poi uscì dalla stanza e Regine, dopo essersi rivestita, fece lo stesso.

Vista in quel momento, fievolmente rischiarata da deboli raggi che trasparivano da assi e tendaggi, la Corte dei Miracoli le apparve molto differente da ciò che l’aveva accolta la notte precedente. Le pareva di vedere tutto sotto una luce molto più dolce, più calda. Perfino quel tale, Jared, che l’aveva trascinata alla forca, le parve un volto quasi amico, seduto ad un tavolo con accanto una fanciulla d’Egitto dalla pelle scura.

-Salve, sorella.- Regine si voltò e davanti a sé trovò la Esmeralda, con indosso uno scamiciato verde come lo smeraldo che portava al collo, stretto in vita da una cintura dorata –Salve.- rispose Regine.

-Ti senti bene?- domandò l’altra mentre l’uomo dalla palandrana azzurra che Regine aveva visto diverse volte le compariva accanto –Non è semplice, la prima notte dopo le nozze. Io ho dovuto puntare il pugnale contro il mio gentile sposo… conoscete, a proposito, Pierre Gringoire, mio marito?-

-Di vista, e un poco di fama…- rispose Regine –Non siete forse un poeta?- l’uomo si inchinò lievemente a lei e le baciò la mano –Lieto di conoscervi, e che mi abbiate riconosciuto.-

-Frena gli entusiasmi.- lo redarguì la Esmeralda rivolgendogli uno sguardo che parve a Regine carico di dolcezza –Dicevo, che per calmare i suoi bollenti spiriti, dovetti estrarre il mio pugnale, e per quanto conosco Clopin, credo sia molto più… come dire, impetuoso. Hai saputo importi?-

Regine abbassò lo sguardo, le guance rosse e le mani un poco tremanti, e disse –Se così si può dire…- la Esmeralda sorrise -Mi sei simpatica, sorella. È un peccato che le nostre vie debbano dividersi, domani.-

-Rimarrai a Parigi?- domandò confusa Regine.

-Non io, ma tu… o… o no?- domandò Esmeralda curiosa. Regine scosse la testa per negare, e la gitana parve riflettere. D’improvviso, la smorfietta del suo labbro inferiore divenne un sorriso un po’ malizioso –Clopin lascia che tu parta con noi? In quale direzione ti sei imposta, stanotte, se è lecito domandare?-

-Non molto lecito, in effetti.- ammise Regine senza poter impedire alle sue gote di tingersi di rosso allo sguardo brillante dell’Esmeralda –Dunque rimarrai con noi. Ne sono felice… potrei insegnarti a ballare, così potrai guadagnare qualcosa senza esporti troppo.-

-Ti ringrazio davvero… sorella.- disse Regine, commossa dalla calda accoglienza in cui non avrebbe certo sperato la notte precedente.

Regine passò l’intera giornata con la gitana, che le fece visitare la Corte, le presentò qualche persona, alcune delle quali Regine aveva già intravisto agli angoli delle strade di Parigi. Erano sedute ad un tavolo quando, a sera tarda, Clopin tornò e le raggiunse.

Regine sobbalzò e scattò in piedi, vedendo la guancia dell’uomo coperta di sangue –Cos’è accaduto?- domandò preoccupata.

-Una guardia si è accorta del mio tentativo di alleggerire un forestiero illustre e ha pensato bene di menar di spada.- riferì Clopin, guardando stranito e divertito la preoccupazione della ragazza per quel graffio –Non preoccuparti, non è nulla.- la rassicurò, ma lei senza dargli ascolto estrasse un fazzoletto di stoffa dalla scarsella e tamponò la ferita. Esmeralda rivolse a Clopin uno sguardo sorpreso, ma lui si limitò a sorriderle prima di scostare la mano di Regine per attirare a sé la sua sposa in un bacio. Esmeralda sorrise con affetto, ammirando la scena mentre Gringoire la raggiungeva, e lo stesso sorriso le si dipinse sul viso la mattina seguente quando, aprendo i tendaggi attorno al letto in cui, nella stessa stanza in cui dormivano lei e Gringoire, dormivano Regine e Clopin, vide l’uomo stringere a sé la ragazza, un’aria serena sul volto che Esmeralda non ricordava di avergli mai visto.

Così, rifletté, anche il grande sovrano d’argot ha capito che è ingiusto morire senza aver mai amato.

-Fratello, svegliati.- disse –Dovete svegliarvi, o partiremo senza di voi.-

Clopin si svegliò, salutò la Esmeralda con un sorriso e con delicatezza scosse la ragazza distesa accanto a lui, sussurrandole qualcosa per svegliarla.

Tutti, alla Corte, lavorarono per caricare gran parte degli oggetti e dei viveri sui carri di cui disponevano. Non tutti sarebbero partiti, ma anche coloro che sarebbero rimasti a Parigi diedero una mano. Alla fine, non vi era molto che distinguesse la Corte dei Miracoli da una qualsiasi altra taverna.

Regine ed Esmeralda sedettero nella parte coperta di un carro, alla cui guida si collocarono invece Clopin e Gringoire, poggiano tra loro il bastone che Clopin usava come arma, o come appoggio quando si fingeva un mendicante. I carri non avrebbero viaggiato in carovana, ma sarebbero usciti ognuno da una diversa porta per poi trovarsi tutti su un colle poco distante dalla Porta Saint-Antoine. Ma il carro su cui i quattro erano appena saliti avrebbe fatto innanzitutto una deviazione, sperando di incontrare Simon Dubois, dopodichè avrebbe imboccato la strada che l’avrebbe portato all’Università in modo da poter uscire dalla Porta Saint-Michel.

Clopin aveva visto Simon Dubois solo una volta, quella notte in cui lui aveva riportato a casa Regine, temendola in braccio. Tuttavia, quando lo vide, lo identificò all’istante, per gli stessi capelli della sorella, pur se tagliati in modo differente, e lo stesso sguardo. Fece rallentare l’asino, e passò le redini a Gringoire, poi scese con un balzo e continuò a camminare, seguito a passo d’uomo dal carro, e si affrettò a raggiungere Simon non appena si trovarono in una strada isolata, ossia molto vicino alla casa degli zii di Regine –Messere?-

Simon si voltò e si insospettì nel vedersi avvicinato da uno zingaro –Non ho soldi con me, è inutile che mi domandiate elemosina, e assaggereste la mia spada senza possibilità di profitto se tentaste un furto.- ritenne giusto avvertirlo Simon.

-Sarebbe una sfida interessante tra la vostra spada e il mio bastone. Ma non è per soldi che vi ho fermato, ma per via di vostra sorella.-

-L’avete forse vista? Dove?- domandò senza indugio l’uomo.

Ad un cenno di Clopin Gringoire, che aveva nel frattempo fermato il carro, scese e, tenendo il bastone di Clopin in mano, raggiunse il retro del carro, aprì il pesante tendaggio e in pochi secondi ne uscì una ragazza dalla pelle chiara, con indosso una gonna rossa, un corpetto rosso con maniche non abbastanza lunghe da raggiungere il gomito, i piedi scalzi e lunghi capelli castani sciolti sulla schiena. Ci volle qualche attimo perché Simon la riconoscesse, ma quando comprese che la donna era sua sorella l’ira e l’angoscia si riversarono in lui e la sua mano corse alla spada –Liberate immediatamente mia sorella, o io…- minacciò estraendo l’arma, ma Regine corse verso i due –No, fratello, resta calmo, ti prego!- lo scongiurò fermandolo, ponendosi davanti a Clopin.

-Quale stregoneria avete fatto a mia sorella?- ruggì Simon.

-Nessuna stregoneria, messere.- rispose tranquillo Clopin –Non oserei sfiorarla… non per farle del male, almeno.- aggiunse con un sorriso carico di malizia che a Simon non sfuggì. Ringhiando per la collera, Simon afferrò Regine portandola dietro di sé, e fece per sferrare un colpo, ma di nuovo la sorella trattenne il suo braccio –Simon, resta calmo!- lo scongiurò nuovamente la sorella –O dovrò partire senza dirti nulla.- l’uomo si calmò, o comunque tentò di farlo, tenendo tuttavia Clopin sotto tiro –Andartene? Che dici? Nostro padre…-

-Non appartengo a lui.- disse Regine –Sono sua, ora, da due notti ormai, nel corpo e nel cuore, vincolati nel matrimonio.- spiegò accennando a Clopin.

-Villano!- ruggì Simon –Obbligare una donna al matrimonio!- ma Regine si affrettò ad aggiungere –E non potrei essere più felice.- Simon si voltò verso di lei di scatto, le mani tremanti ancora impugnavano la spada –Come puoi dire una simile ingiuria?-

-È la realtà, Simon. Non ho mai desiderato sposare Enrique, e due notti or sono sono fuggita per cercare l’unico uomo a cui potrei donare il mio cuore.- dicendo ciò, Regine andò accanto a Clopin, che la strinse a sé facendole passare le braccia attorno alla vita.

Simon fu dispensato dal replicare a tale affermazione da un ruggito di rabbia potente e improvviso, a cui seguì un rumore di passi in corsa e un sibilo di spada e aria. In un attimo, Clopin spinse Regine dietro di sé, proteggendola col suo corpo dalla spada di Enrique.

Regine non fece in tempo a gridare che l’affondo si era concluso in un clangore metallico, di spada contro spada.

-Chiunque sia disposto a dare la sua vita per mia sorella, zingaro…- disse Simon, la spada sguainata davanti a Clopin a difenderlo dal colpo -…merita la sua mano. Anche se è un accattone.-

Clopin fece un breve inchino col capo all’uomo, in sostituzione alla stretta di mano che non poterono scambiarsi data la circostanza. Uno sguardo ed un sorriso di gratitudine furono l’ultimo abbraccio di Regine al fratello.

Enrique, accecato dalla rabbia, tentò un nuovo affondo, stavolta contro Simon. Tuttavia Gringoire, approfittando di quello scambio di sguardi, aveva lanciato con prontezza inaspettata a Clopin il suo bastone, e il re dei gitani disarmò il soldato con poche mosse.

-Se le nostre strade dovessero incrociarsi e tu avessi bisogno di un sostegno, ci sarà un posto per te nel reame d’argot, fratello.- disse Clopin.

-Mi mancherai, Simon.- disse Regine, e si allontanò, la mano stretta in quella di Clopin, che la fece salire con rapidità nel retro del carro. Gringoire le cedette il suo posto non appena furono fuori dalla città, fuori pericolo e mentre il poeta andava a sedere accanto alla Esmeralda, Regine prese posto al fianco di Clopin. La ragazza si voltò per un secondo ad osservare Parigi.

-Se ti sei pentita, Regine, posso riportarti a casa.- disse lo zingaro. Regine guardò quegli occhi neri, e ogni timore scomparve, come una goccia che, pur continuando ad esistere, viene sommersa dalle potenti onde dell’oceano che erano quei sentimenti che la legavano a Clopin.

-Lo so. Ed è a casa, che stiamo andando. Ovunque essa sia.- sorrise Regine poggiando la mano su quella dell’uomo a cui destino e amore la legavano.

__________Nota di Herm90

ed ecco il secondo chap... per ora non ha riscosso molto successo^^ ma se qualcuno avesse qualcosa da dire... ricordatevi che aspetto recensioni positive e negative che siano!!!

besos!!!

  
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