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Autore: Amy Tennant    03/01/2013    8 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rose sentì arrivare una macchina nel viale e scese di corsa le scale per raggiungere il giardino. Non mise neanche una giacca, per la fretta. Anche se era uscito a piedi e aveva preso i mezzi, e lui continuava a trovarlo divertente nonostante contrattempi e ritardi, aveva l’impressione che fosse di ritorno con quell’auto.
La piccola utilitaria bianca si fermò un po’ distante.
John uscì da lì e lo vide salutare qualcuno al volante. Intravide una donna ma era troppo lontana per capire chi fosse. Pensò istintivamente alla dottoressa Lane e senza rendersene conto, si ritrovò a correre più veloce verso di lui. Non fece in tempo. La macchina andò via, seguita dallo sguardo di John, fino al limite della strada. Rose gli fu accanto e fu molto colpita dal fatto che quasi parve non badare a lei, tanto era distratto. Era alle sue spalle e vedeva solo il suo profilo ma vide che era pallido. Non poteva essere diversamente, visto quel che aveva passato appena qualche ora prima. Sarebbe dovuto restare al caldo, a casa.
Sarebbe rimasta tutto il tempo con lui, avrebbero trascorso una giornata insieme. Invece era uscito e non aveva chiamato. Cacciò via la tentazione di fargli una sfuriata degna di Jackie. La tendenza era quella e la spaventava. Certo non voleva trasformarsi in una bisbetica.
-          Forse non avresti dovuto fare quella passeggiata, Dottore – gli disse quasi con tono di rimprovero ma appena si voltò verso di lei gli fece un sorriso. Che lui ricambiò. Rose gli si avvicinò di più e portò una mano alla sua fronte. Sentì subito che aveva di nuovo la febbre ma non era alta. Scosse il capo e lo prese per mano, conducendolo verso la casa. Taceva e non era da lui. Rose strinse più forte la sua mano – sei stato via praticamente tutta la giornata…
-          Avevo voglia di prendere un po’ d’aria…
-          Mamma si è molto arrabbiata della cosa – John accennò ad un sorriso sarcastico – e te la sei svignata mentre dormivo.
-          Ma sono passato a salutarti – Rose e lui si guardarono un lungo momento. Uno di quei momenti in cui non c’era bisogno di dire altro e le parole riempivano solo i vuoti tra un battito di ciglia e l’altro.
-          Stai… bene? – gli chiese direttamente.
-          Mi sento meglio – le rispose ma indeciso.
-          Stai tranquillo, mi prenderò cura di te e passerà anche questa.
-          Tu ti prendi cura di me sempre, Rose.
-          Chi… ti ha accompagnato a casa? – era la prima cosa che avrebbe voluto chiedergli ma non doveva sembrare quel che era: gelosa, terribilmente gelosa di lui.  Quel qualcosa che sentiva in quel momento aumentò quando lui non le rifilò la solita battuta al proposito e non tentò neanche di rassicurarla. Continuava a tacere  – John…
-          Devo… dirti alcune cose importanti – lo sussurrò ma quello sguardo la colpì dentro. Rose pensò che le volte che aveva visto i suoi occhi a quel modo era stato in momenti difficili. Addirittura le venne in mente quel momento, il peggiore della sua vita. Ebbe un brivido, un vero e proprio brivido di paura. Lui la circondò teneramente con un braccio e strinse a sé mentre camminavano  – non dovevi uscire di casa coperta così poco, Rose. C’è freddo, dicono.
-          Dicono?
-          Sì… lo dicono tutti…  – ripeté con voce atona, rivolgendo lo sguardo al cielo che già si scuriva.
Rose capì che lui aveva pienamente compreso il senso del suo tremare e sapeva che non era di freddo. Non l’aveva stretta per farle caldo ma coraggio.
 
Non aveva mangiato nulla. Neanche vi aveva provato. Gli odori erano disgustosi, la consistenza delle cose, semplicemente orrenda. La fame era molta e ne era inquietato ma non riusciva a buttare giù un boccone. Neanche l’insistenza di Jackie al proposito era riuscito a spingerlo a provare almeno con un brodo. L’acqua era amara ma la beveva lo stesso. Aveva una sete terribile. Aveva mangiato due dolcetti alla banana che Rose gli aveva preparato ma per farle piacere. E poi si era ritrovato in bagno a rimettere, di nuovo. Era passato velocemente, per fortuna. E ora riposava su una poltrona dello studio ad affilare i molteplici pensieri che gli venivano in mente.
Se n’era accorto.
I suoi sensi si stavano velocemente affievolendo.
Le carezze di Rose erano fredde, non riusciva a sentire il suo corpo se non attraverso una sorta di lenzuolo spesso. Aveva bisogno di lei e lei sembrava fisicamente distante anche se non lo era.
Sentiva vicinissima invece Lei, ancora in attesa. La sentiva perché il giovane Tardis poteva raggiungerlo dentro. La rivide per un attimo bambina, tendergli la mano con gli occhi chiusi. Doveva sbrigarsi, doveva farlo ad ogni costo.
Qualunque cosa significasse stare a quel modo, era uno stato più semplice, fisicamente. Non sentiva più la testa friggere, le mani diventare rigide, i muscoli tendersi dolorosamente. Solo un senso di oppressione al petto, qualcosa di sfumato ma cupo. Si sentiva meglio, sicuramente. Ma stava peggio e lo sapeva. Non c’era tempo.
L’incontro con Donna l’aveva distratto. No, di più; l’aveva stordito, sconvolto.
Ma il pensiero di Lei nascente era un sussurro nell’animo, il rumore di fondo ai suoi pensieri dispiegati su un universo diverso da quello in cui si trovava. I suo sentire la trama del Tempo i suoi nodi, le tracce, la percezione di tutto…
non era cambiato.
Tutti davano per scontato che diventando umano avesse perso qualcosa. Ma era una logica molto riduttiva. E come nel caso degli spazi più profondi internamente piuttosto che all’esterno, la metacrisi era stata in un senso particolare: non aveva a che fare con la quantità di qualcosa che era stato diviso ma con la qualità di quello che era stato messo insieme. Il Dottore e Donna lo sapevano entrambi.
Diventare simili era stato un azzardo senza precedenti ma un azzardo deciso dall’universo. Donna non era diventata meno umana toccandolo ma aveva avuto parte della sua mente senza che questa cambiasse o diventasse più lenta. Lui invece aveva avuto da lei ogni cosa ma in un corpo umano che era quello mortale di quel momento: il suo. Un uomo che invece di perdersi nel nulla, avrebbe potuto vivere la sua vita con qualcuno, fino alla fine.
Era stato molto più fortunato di lei, John lo pensava spesso.
-          Sei un signore del Tempo, mortale – gli aveva detto in sogno Lei.
… lo era.
Il giovane Tardis lo sapeva. Più di chiunque altro. Per questo aveva accettato di stare con lui, di aiutarlo. Lei arrivava per salvarlo, per unire la sua vita, la sua mente, alla sua.
Arrivava per viaggiare, per esplorare nuovi mondi.
Al pensiero John tremava di paura e desiderio insieme.
Una cosa straordinariamente simile a come era stato innamorarsi di Rose Tyler e finalmente poterla toccare come aveva voluto già da quella volta che si erano distesi sull’erba mela insieme, a guardare il cielo meno di quanto si guardassero negli occhi con ansia.
Per questo forse i signori del Tempo aspiravano a liberarsi del corpo, del desiderio, di tutto. Per questo diventare un uomo era stata la cosa migliore che potesse accadergli. Ma umano lo era fino ad un incerto punto.
Era quello che Donna aveva sentito ascoltando il suo cuore? Non poteva saperlo, non del tutto.
Rose arrivò in camera con una teiera fumante. Lui le sorrise. L’odore lo colpì subito. Tè al limone. Quel sentore acido gli diede stranamente sollievo.
-          Stai attento, è bollente – gli sussurrò allungandogli la tazza. Lui la prese nel modo peggiore possibile e lo fece scientemente. Come sospettava gli parve appena tiepida. Rose lo guardò perplessa.
-          Credevo che ora ti scottassi… come tutti!
-          Infatti – disse piano – ma… per me non è mai stato molto diverso che per voi, non questo – le sorrise brevemente. Ma Rose guardava ancora la sua mano stringere una sottilissima tazza di tè incandescente.
-          Che cosa ti sta succedendo?
-          Non lo so. Non del tutto.
-          Che vuol dire non del tutto? – la voce allarmata di Rose. Stranamente gli portò alla mente, per un secondo, tutte le volte che gli aveva rivolto domande simili. Qualche volta era stato in momenti elettrizzanti. Non quello.
-          Rose… sta succedendo qualcosa che io non avevo previsto. Qualcosa di molto strano – lei si avvicinò già preoccupata. Gli occhi scuri di lei lo fissavano inquietamente – la mia rigenerazione…
-          Intendi la sua…? – lui annuì. Era sempre difficile fare la differenza. Non ce n’era, non come pensavano tutti.
-          La rigenerazione ha avuto effetto su di me ma non solo momentaneo. Il mio corpo si sta… scompensando – Rose impallidì di colpo.
-          Cosa…?
-          La fine della mia decima vita… ha generato in me una sorta di squilibrio perché per la prima volta la persona che io sono non è andata perduta per sempre ed è rimasta viva – vide che Rose aveva accennato ad un sorriso senza rendersene conto. Lo ricambiò appena ma quel che doveva dirle era drammatico – Rose, la metacrisi ha avuto origine dall’altra parte e tramite il contatto con un umano dell’altro universo ed evidentemente questo non mi consente di trattenere uno stato fisico stabile. Non qui. Non dopo che lui è cambiato.
-          Ma dell’altro universo sono anche io, anche mamma! E Liz è figlia di due persone che …
-          Di due esseri umani, Rose – disse piano lui con un breve sorriso – per voi è diverso.
-          E non sei umano, tu?
-          In parte! E la rigenerazione mi ha come… sfasato. Perché questo corpo evidentemente era legato al suo. Ora io devo riuscire a metterlo in relazione con lo spazio nel quale ha avuto origine tutto e poi… - esitò un attimo ma si fece forza – poi, cercare di tornare indietro, qui. Eventualmente.
-          Perché dici eventualmente?
-          Perché ci sono molti aspetti da considerare. Dolorosamente contemporanei, Rose.
-          Tu… tu vorresti tornare dall’altra parte per riprendere a viaggiare per i mondi, vero? – sussurrò con un velo di voce Rose.
Lui la guardò con occhi lucidi un lunghissimo momento. Fece un lungo respiro.
-          No – le rispose piano ma sicuro, con un triste sorriso – riprendere i miei viaggi qui sarebbe anche più bello per me. Non conosco questi luoghi, non così…
-          Sarebbero nuove avventure! – disse con un sorriso Rose.
-          Già…
-          Ma allora che intendevi per tornare eventualmente? Tu… il Dottore ha detto che questi mondi sono chiusi e non si possono più aprire! Tutto crollerebbe!
-          Sì, sì, lo so  – John scosse il capo infastidito – crepe, fessure, crolli, sfondamenti … ho considerato tutto. E devo dire che certe volte sembra di parlare di mattoni veri e propri – aggiunse con un ghigno divertito - ma i muri che ci dividono dall’altra parte sono come porosi, Rose – lei lo guardò interrogativamente – qualcosa passa, qualcosa impregna le parti equivalenti in tutti i luoghi. Ne hai avuta diretta prova con Pete. Questo universo non è isolato dall’altro in modo così netto come pensavo e per me… in senso diverso che per chiunque altro ed oggi l’ho compreso  – John abbassò lo sguardo e gli occhi scuri di Rose si fecero più attenti.
-          Parli della donna che ti ha accompagnato oggi pomeriggio?
-          Sì… lei. Incontrarla è stato come perdere l’orientamento, in tanti sensi. Molti più di quelli che tu possa anche solo immaginare – aggiunse pensieroso. Rose si irrigidì.
-          La pensi davvero così, signore del Tempo? – John la guardò stupito - proverò ad immaginarlo, se mi dici come quella donna ti ha distratto. Ti ha distratto tanto da dimenticarti di me per quasi una giornata! – John la guardò con le labbra schiuse per lo stupore.
Cosa c’entrava quel tono di voce in quel momento? La sua Rose aveva gli occhi lucidi, sembrava offesa. Comprese e ne fu turbato.
La gelosia. Diversa dalle altre frecciatine con le quali lo colpiva ogni volta che una donna gli era vicino. Stavolta vedeva nei suoi occhi una sincera preoccupazione. Qualcosa in grado di distrarla dalle parole che gli stava dicendo. Ed era assurdo. Ma molto umano.
-          Rose…
-          Adesso sei un uomo e quindi devo pensare che potresti… - John poggiò la tazza sul tavolino e le rivolse uno sguardo strano.
-          Tu pensi davvero che io…?
-          Mio padre faceva così, con mia madre. Anche se diceva di amarla – aggiunse Rose. John si alzò, le venne vicino e si inginocchiò davanti alla poltrona dove si era seduta. La fissò dritta negli occhi.
-          Io ho più di novecento anni. E mi sono innamorato di te. Pensi davvero che possa essere come per chiunque altro? – le prese una mano e la strinse tra le sue. Non la sentì quasi ma si sforzò di non pensarci – Rose, tu hai paura di quel che ti sto per dire. Hai paura e quindi…
-          John, dimmi chi ti ha accompagnato a casa – la voce di Rose, ebbe un accento quasi metallico.
-          Non è la cosa più importante in questo momento…! – protestò.
-          Per me lo è!
-          Più del fatto che io debba fare una scelta che potrebbe essere definitiva? Potrebbe essere un viaggio senza ritorno – la lasciò e si alzò in piedi.
Rivolse gli occhi alla tazza fumante sul tavolo, pur di non incrociare i suoi. Sapeva di averle fatto male, dicendolo a quel modo. Non la vide rivolgergli uno sguardo disperato.
Era terribilmente difficile spingerla di nuovo ad una scelta, spezzarle il cuore. Per un attimo pensò di non dirle tutto, di non farlo. Ma era Rose, aveva bisogno di lei, aveva assoluto bisogno della sua piccola, dolce, Rose Tyler. Che lo fermasse, che lo trattenesse.
Che lo consolasse del terribile presentimento che lo scuoteva; e lo facesse anche se non glielo avrebbe mai confessato e tenuto per sé. Le avrebbe nascosto solo quello e non altro. Non poteva nasconderle altro.
-          Il Tardis si sta aprendo, si sta aprendo così velocemente perché io ho bisogno che venga da me. Viene a prendermi, Rose.
-          A… prenderti? – lui annuì.
-          Non sto male per questo, come qualcuno sostiene e lo so. Io sto male e… per questo succede – Rose lo sapeva. Sapeva che non poteva essere colpa del Tardis. Ma la cosa faceva paura allo stesso modo. Si alzò e si avvicinò a lui.
-          Cosa può fare per te?
-          Devo sincronizzarmi con l’universo d’origine. Il Tardis si stava sviluppando lentamente, com’era giusto che fosse ma dopo che lui è cambiato, ha accelerato la crescita e questo sta causando un grosso problema: non si orienta perché sta usando la sua energia per esistere fisicamente al più presto e in più è in condizioni spazio dimensionali che lo rendono esistente in senso ibrido.
-          Ibrido?
-          Proviene dall’universo parallelo ma è cresciuto qui. Un qualcosa che non è mai accaduto. Mai. E’ un Tardis nuovo, un… essere capace di trascendere ogni spazio, ogni tempo e tutte le dimensioni possibili. Diversamente da ogni altro mezzo per passare da un universo all’altro, il nuovo Tardis non apre fessure, non danneggia i muri dei mondi. E’ una porta eterna su tutto, ogni cosa in ogni momento e in ogni sua parte, ovunque - abbassò lo sguardo. Rose comprese che esitava a dirgli qualcosa. Lo accarezzò per confortarlo ma lui non la guardava, come indifferente.
-          Cosa non mi dici?
-          Che sono certo riuscirà a passare nell’altro universo ma non so se potrà ritornare qui.
-          Non hai appena detto che si tratta di una porta perenne! – lui le rivolse uno sguardo sofferto. Rose capì.
-          Tu hai paura che il Tardis cada in pessime mani, qui.
-          Temo questo. Temo… Torchwood – Rose abbassò il capo.
Di nuovo.
Stava accadendo di nuovo. Ancora una volta di fronte alla medesima scelta. La sua famiglia ormai era nel mondo in cui lui l’aveva portata e lasciata con se stesso umano ma se John tornava indietro…
Avrebbe potuto rivedere il Dottore…
Il pensiero colpì Rose improvvisamente. Sperò che John non si accorgesse dell’esitazione, del momento di confusione e di quella scintilla di qualcosa che le era brillato dentro a tradimento.
Tornare indietro di nuovo. Al nulla.
Ma con John. Rose capì che l’avrebbe fatto. Lo avrebbe fatto di nuovo, per lui.
…e anche per il Dottore, Rose Tyler?...
Rabbrividì a quel pensiero. Lo avrebbe fatto anche per cercare un uomo di cui ormai non conosceva neanche il viso?
Rose guardò fisso John, l’espressione assorta che conosceva bene, quel suo tenere gli occhi perennemente spalancati su cose invisibili mentre i suoi pensieri strani diventavano assurde parole e umorismo imprevisto. Lui.
Ma prima di lui c’era stato un altro di cui lei rivedeva a volte l’ombra, in colui che amava.
Un uomo dal carattere più chiuso, dagli occhi chiari ma profondi come precipizi nel mare, che spesso sorrideva inquietamente e faceva anche paura, quando sorrideva. Era intriso di dolore, quando l’aveva incontrato. Di un dolore solitario. Era l’uomo che la teneva per mano con forza, che la proteggeva. Un uomo del quale si era già innamorata, tanto da voler tornare da lui nonostante tutto e che poi era sparito nella luce abbagliante della sua distruzione, il sacrificio estremo per salvarle la vita.
Dopo tutto, sorta come dalle fiamme, era arrivata una persona molto diversa.
Lui l’aveva amata subito e dolcemente.
… e l’avrebbe fatto per sempre.
Rose ripeté quel per sempre a sé stessa e al tempo. Senza ripensamenti e senza rimpianti. Non c’erano, non c’erano mai stati. Ma quell’indecisione imprevista allora? Era timore?
Si vergognò di pensare più a quello che all’eventualità di lasciare la sua famiglia. Ma prima o poi si cresce, gli aveva detto una volta. Prima o poi si lasciano i genitori e si va per la propria strada.
… lontanissimo…
-          Se dovrai andare, io verrò con te – gli disse fermamente.
-          Rose…
-          Se andremo via, sarà insieme. Promettimelo, promettimi che non mi lascerai qui da sola! Non di nuovo, non più!
-          Non posso … che giurartelo – le disse e la prese tra le braccia stringendola forte. Lei chiuse gli occhi contro il suo corpo e ricambiò la stretta.
Non vide gli occhi smarriti di John.
Non la sentiva. Non sentiva quasi nulla. Era terribile. Percepiva il suo profumo e il suo peso. Ma la sua pelle delicata, le sue labbra che in quel momento lo cercavano con tanta dolcezza, erano lontane da lui, come il suo calore. La baciò e anche quello parve l’ombra della sensazione che avrebbe dovuto sentire anche se il suo desiderio per lei era forte come sempre. Lei sembrava un sogno del dormiveglia.
E quando le sue mani cercarono come sempre il suo cuore, John chiuse gli occhi come gli avesse fatto del male perché quel senso di schiacciamento era feroce, rabbioso. Si staccò da lei con delicatezza, per non farle rendere conto della cosa.
Rose lo guardò. Era teso e febbricitante. Sicuramente stanco.
-          Dovresti riposare.
-          No. Non posso. Devo… finire il mio lavoro. Credo che stanotte tornerò al laboratorio.
-          Stanotte? Ma tu non…
-          Il tempo stringe. Non ho i dati ma sento che sta per arrivare il momento ed io devo finire.
-          E qui non puoi fare nulla …?
-          Ho bisogno di qualcosa che è al Torchwood.
-          Il congegno…?
-          No, non il congegno … - mormorò John – mi chiedevo… se fosse possibile prendere in prestito un giocattolo di Liz, sarebbe divertente partire da lì – Rose lo guardò a bocca aperta. Lui rispose con un sorriso disarmante – ah, ragazza! Ho in mente qualcosa di complicato e ho bisogno… di un carillon.
  
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