4.In smoke with all our memories
So maybe I'm a masochist
I try to run but I don't wanna ever leave
Una borsa,
poi un’altra, ormai era tutto pronto per l’imminente partenza che non poteva
essere più rimandata; non c’era stata grande scelta a dire il vero, sia perché
le era rimasto ben poco di suo e sia perché quel poco che aveva, doveva
portarlo tutto, dal momento che non avrebbe più messo piede a Palazzo. Lo
sapeva anche lei. Sarebbe partita molto presto il giorno dopo, in compagnia di
un gran numero di dame e servitori ad ogni modo, e quella sarebbe stata la sua
ultima notte come Regina, senza il Re al suo fianco naturalmente.
“Vostra
Maestà!” la richiamò la sua fidata Elizabeth.
Caterina
arrestò il passo e si voltò lentamente, non se ne era quasi accorta ma aveva
raggiunto la porta, con tutta l’intenzione di lasciare i suoi appartamenti.
“E’ notte…
Non dovreste girare per il Palazzo, è buio” l’ammonì la dama in tono
apprensivo.
“Allora,
vorrà dire che la prossima notte
resterò nei miei appartamenti di Regina” ribattè
prontamente la Regina con più asprezza di quanta ne avesse voluta usare.
Non ci
sarebbe stata una prossima notte e quella sarebbe stata la prima e anche
l’ultima notte che lei avrebbe infranto il protocollo reale.
Elizabeth Darrell chinò la testa a quell’amara ironia, per poi
avvicinarsi alla sedia a dondolo e afferrare rapidamente una mantellina verde.
“Prendete
questa almeno… Fa freddo” disse accennando un sorriso e poggiando la stoffa
sulle spalle della donna più anziana.
Quest’ultima
sorrise di rimando e mormorando un ringraziamento, riprese la sua strada verso
l’ignoto.
Perché
questo era il Palazzo di notte per lei: ignoto. Qualsiasi tipo di
intrattenimento, cui lei ad ogni modo non aveva partecipato, era finito da un
pezzo e tutto sembrava immerso nel silenzio. Aveva ragione Elizabeth: era buio
e faceva freddo, davvero troppo. Strinse di più la mantellina e spostò la
candela per fare più luce per indicarle la via: quel palazzo era un vero
labirinto e l’ avervi abitato per quasi vent’anni non aveva aiutato a renderlo
meno complicato.
“Chissà cosa
starà facendo Enrico” si ritrovò a pensare mentre avanzava a passi incerti;
sfiorava con il palmo della mano il muro, osservava attenta le scale e le
stanze davanti cui passava, sorrideva perfino alle guardie e i pochi servitori
notturni che incontrava, cercando avidamente di costruire ultimi ricordi,
finché ogni senso andava a perdersi lontano, nei ricordi che già aveva. Finchè all’improvviso la candela non andò a fare luce su
una figura familiare, seduta a terra con la schiena appoggiata al muro; forse
era una mera allucinazione, eppure ad ogni passo sembrava sempre più reale.
Doveva essere reale.
“Enrico!” si
riscoprì a chiamare, colta dalla sorpresa di quell’apparizione.
“Caterina…” mormorò la figura, apparendo più
disperata che sorpresa.
Fu così che
la Regina vide il Re, come un fantasma alla luce di una candela.
Fu così che
il Re vide la Regina, come un angelo nel buio.
“Enrico…” lo
chiamò nuovamente lei coprendo la distanza tra loro e abbassandosi accanto a
lui, per quanto l’ingombrante vestito consentisse “pensavo che tu fossi…”
“A caccia?”
completò lui con un ironico sorriso “Sono tornato poco fa e nessuno ancora ne è
a conoscenza… non volevo svegliare la Corte”
“Non
volevate svegliare la Corte o non volevate farlo sapere a me?” chiese lei
amaramente, comprendendo immediatamente il reale significato delle sue parole.
Enrico
sorrise semplicemente, senza dire nulla, senza neppure tentare di sostenere
quella scusa che suonava falsa pure a lui.
Til the walls are goin'
up
in smoke with all our memories
E poi
all’improvviso si udì un singhiozzo, frammento di un pianto soffocato e non si
capiva a chi dei due sovrani fosse sfuggito. Forse erano stati entrambi o forse
nessuno e quel lamento era esistito solo nelle loro menti, memore di pianti
lontani. La morte del primo figlio il piccolo Enrico, e poi via via tutti gli altri uno dopo l’altro, le amanti del Re e la
spinosa questione del divorzio. Ma non era questo quello che volevano
ricordare: non era il dolore quello che Enrico voleva lasciarle, non era il
rimpianto quello che Caterina voleva portare con sé.
“Il giorno
del nostro matrimonio, com’eravate bella…” sussurrò Enrico mentre un sorriso si
formava sulle sue labbra “Le passeggiate, i balli e la nascita di Maria… E le
tendine della giostra, ve lo ricordate?”
Una lacrima
non vista scese sulla guancia della Regina e un singhiozzo le uscì stavolta per
davvero: “Eravamo felici”.
“Non voglio
che partiate…” mormorò il Re precipitosamente, allungando una mano nel semibuio
e trovando immediatamente quella della moglie.
“Siete voi a
volermi mandare via” fu la dura risposta di lei.
Enrico si
mosse e si fece più vicino, fino a stringerla in un delicato abbraccio, come se
avesse paura di farle del male, come se non gliene avesse già fatto fin troppo.
“Cosa devo
fare? Io vi amo, Catalina, come il primo giorno e il
pensiero che siete stata di mio fratello mi ha fatto impazzire per tutti questi
anni… Non voglio che partiate, restate con me…”
Le lacrime
scendevano copiose sul suo volto e le parole gli erano uscite dritte dal cuore,
prima che il cervello ne desse il consenso. Perché era questo che gli succedeva
quando ce l’aveva di fronte: tutte le accuse che le rivolgeva contro
evaporavano nel cielo dei suoi occhi e l’unica cosa che provava era amore e
paura, paura di vivere senza di lei.
“Anche io vi
amo..” mormorò lei in risposta, suonando vagamente incerta e non per i suoi
sentimenti, ma perché sapeva che le belle parole che sentiva adesso nel buio,
con la luce del giorno sarebbero sparite di nuovo.
“Restate con
me stanotte” le sussurrò con voce carica di desiderio, iniziando a baciarla e
facendo perdere le sue mani sul corpo di lei coperto dai vestiti, che dopo
vent’anni restava ancora sempre misterioso.
“Come ultima
notte?” chiese lei bloccandogli le mani per un attimo e fissandolo negli occhi.
Enrico non
rispose e Caterina non chiese altro, lasciandosi ingannare ancora e ancora.