Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: Amy Tennant    05/01/2013    9 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
John aveva riposato qualche ora, poi durante la notte, Rose aveva preso la macchina e insieme si erano recati ai laboratori del Torchwood, sperando che Pete non si accorgesse della loro assenza. Rose si sentiva molto a disagio per quella situazione ma cercava di mantenere la calma e soprattutto si fidava di John ciecamente e persino l’istinto le diceva che in fondo era meglio non mettere il padre a parte di ogni cosa.
Il palazzo era custodito e molte telecamere controllavano l’entrata e l’uscita del personale. Parecchi lavoravano al Torchwood nei turni di notte di alcuni laboratori, ma John aveva studiato la cosa da un po’ perché evidentemente aveva intenzione di fare qualche indagine notturna ai piani inferiori. Rose non si meravigliò del fatto che avesse pensato ad un dispositivo che disturbasse le telecamere. Le conosceva bene e sapeva anche le loro posizioni sul percorso. Un vero stratega.
Per uscire di casa, Rose aveva preso la vecchia jeep di Pete, quella con la quale erano partiti per la Norvegia quel dannato giorno. Odiava quella macchina ma per la prima volta dopo tempo, non vi fece caso. Lui era con lei, seduto accanto a lei. Semplicemente non ci pensò.
Durante il percorso, mentre Rose faceva attenzione a non schiantasi contro un albero o un’altra macchina, John era stato impegnato a fare qualcosa con il suo cacciavite sonico. Le era sembrato che stesse modificando al volo delle batterie di un orologio che poi aveva messo in tasca.
Lasciata la macchina ad una certa distanza avevano preso una via che si incrociava a nord con delle entrate secondarie dell’edificio. Non si trattava di un accesso pratico ma certamente era il meno controllato. Il Torchwood gestiva al suo interno il programma dei pasti e del riciclo degli avanzi secondo le stringenti direttive imposte dal Governo agli uffici sottoposti al suo controllo più o meno diretto. Una questione lodevole ma decisamente complessa da gestire. Il Torchwood chiaramente se la cavava benissimo e per questo aveva una struttura interna attrezzata a questo scopo. Loro dovevano entrare dalla prima porta disponibile poiché ascensori e montacarichi si dipartivano capillarmente da quel piano.
Era intanto finiti nella zona rifiuti e Rose non poté fare a meno di lamentarsi del puzzo. Cosa che sembrava non urtare minimamente John, immerso invece una riflessione sull’effettiva qualità del pasti serviti dalle varie mense del Torchwood.
-          Possibile che ti venga in mente di parlare di cibo qui e ora! – protestò lei sottovoce. Lui non le disse che era stata un’associazione d’idee spontanea, visto che l’odore dei rifiuti e quello della zuppa di Jackie erano molto simili per lui, al momento. O forse in assoluto.
Continuò a chiederselo mentre la luce blu del cacciavite sonico e il familiare ronzio, precedevano di qualche istante il click di ogni serratura sulla loro strada.
Nonostante la situazione fosse difficile e più pericolosa di quanto lui non le avesse detto, più di una volta John e Rose si erano guardati complici negli occhi, sorridendo. Strisciare per cunicoli bui e poi correre insieme, per mano, alla ricerca della porta giusta, in quel labirinto, era per loro naturale. Erano eccitati e spaventati insieme.
Arrivati nel laboratorio, John attivò le luci ausiliari staccando momentaneamente i contatti elettrici con il resto dell’edificio. Erano giunti lì nell’oscurità e dovevano, per quanto possibile, rimanerci.
Qualche minuto dopo, lui era già a lavoro mentre Rose fissava il complesso congegno sul tavolo, avvolto da fili lucidi e vischiosi. Era parzialmente ricoperto da lastre di metallo che però al contatto le parvero straordinariamente morbide. Lui la guardava sorridendo con la coda dell’occhio, continuando ad armeggiare con quel che aveva tra le mani.
-          È… un oggetto strano – disse Rose.
-          Se ti riferisci alla copertura di metallo morbido… sappi che sono rimasto stupito di averne avuta di questo tipo. Ovviamente è aliena.
-          Ovviamente!
-          E’ di un tipo che non conosco.
-          Davvero?
-          Ricordi che sono nuovo di questo universo? – Rose abbassò lo sguardo - le lastre che sto usando per la copertura, facevano parte della grande collezione di rottami spaziali in possesso del Torchwood – lei colse nella sua voce una certa indecisione.
-          Provengono dal reparto medico, vero?
-          Sì. I materiali vengono testati ed esaminati in modo da determinare che siano innocui per gli esseri umani.
-          Nel reparto medico ho visto quei contenitori gialli e…
-          Tanto materiale isolante, sì. Troppo. E della peggior specie, per giunta – aggiunse piano.
-          Che intendi dire? – lui si fermò e la guardò fisso un lungo istante.
-          Prodotto dagli umani ma su modello alieno. Fabbricazione contemporanea, questo sicuramente. Quel materiale mi riporta alla memoria qualcosa di terribile.
-          Cosa ti ricordano?
-          Le prigioni, Rose. E’ il materiale con il quale si isolano le prigioni da qualunque contatto esterno, fisico e telepatico. Sono delle vere e proprie spugne psichiche.
-          Ma qui non ci sono prigioni… - Rose si fermò e impallidì. Lui la fissava senza dire una parola – tu… pensi…?
-          Non lo so. Ma… quel materiale è davvero… tanto, troppo – fece una smorfia che parve quasi di dolore. Rose non poteva sapere cosa stava ricordando in quel momento. E lui non glielo avrebbe raccontato perché era qualcosa di lontano e doloroso.
Una delle sue tante guerre, forse. Una delle avventure avute molto prima che lei esistesse.
-          Ora mi spiego la tua espressione davanti a quei rotoli per i corridoi. Temevi ne parlassi con mio padre?
-          Sarebbe stato normale. E non ero sicuro.
-          Ora lo sei.
-          Devo… accertarmene. Ma fosse come temo… ah, Rose Tyler… questo posto diventerebbe l’inferno sulla Terra perché lo ridurrei in cenere – i suoi occhi brillarono d’ira. Vi intravide un lampo di ferocia impressionante. Ma tutto si spense rapidamente, come non succedeva quasi mai. Qualcosa lo tratteneva e lei cercava di comprendere cosa fosse. Forse l’urgenza di quel che erano venuti a fare durante la notte. Forse il suo non stare bene.
-          Come ti senti?
-          Strano  – lei lo guardò con ansia – ma anche molto eccitato – le rivolse un sorriso luminoso, anche se in quella penombra.  
Adorava quando sorrideva. Anche se c’era tristezza e preoccupazione dentro di lui e lei li vedeva limpidamente.
-          Quando avevi gli occhi azzurri era più facile – disse. Lui la guardò stupito – intendo… cambiavano colore quando cambiavi umore, dopo un po’ mi ero abituata alle tue sfumature. Ed erano belli… - lui rise.
-          Belli, eh?
-          Sì… eri sexy – mormorò con voce calda. Lo sguardo di John si fermò sulle sue lunghe ciglia e la sua bocca ma per un attimo.
-          Non è il caso che tu mi distragga ora, Rose Tyler.
-          Perché, ne sono ancora capace?
-          Ah, come nessun’altra cosa nell’universo – sorrise ma non la guardò assumere quell’aria soddisfatta e pungente che gli piaceva da morire – sai, di recente ho pensato molto a lui.
-          Intendi al Dottore…?
-          Intendo al Dottore di cui dicevi prima, quello… sexy. Finisco per farmi troppe domande strane, al momento.
-          Davvero ancora ti chiedi se io…? – lo vide sorridere.
-          A volte. Ma poi ricordo i tuoi occhi quando mi hai detto “non morire”. E smetto di farmi domande – Rose sorrise intenerita.
-          Tu non sei mai stato così bello, Dottore – gli disse. Lui la guardò con finta noncuranza.
-          Ah, lo so! – gli strizzò l’occhiolino e le rivolse un sorriso assassino. Uno di quelli che Rose definiva così. Peccato la situazione, sicuramente inopportuna.
-          Ora sei tu che distrai me – gli sussurrò.
-          Bene. Mi fa piacere di riuscirci, nonostante io sia sprovvisto di meravigliosi occhi chiari.
-          Ti odio… !
-          No, non è vero. Tu mi ami! – lei gli diede un colpetto sulla spalla con un sorriso. John non lo sentì quasi e si irrigidì per un attimo. Ma lei non doveva accorgersi della cosa e quindi rivolse lo sguardo a quello che aveva tra le mani e senza guardarla le tese la mano – ora… vediamo di sistemare questo azzardo senza precedenti. Dammi il giocattolo di Liz… - Rose cercò nelle tasche e tirò fuori un oggetto grande quanto il palmo della sua mano. Lo porse a John che lo prese senza guardarlo per poi quasi scattare come lo avessero colpito con un filo scoperto – cosa…? – disse piano e la guardò quasi sconvolto – cooosaaa? – ripeté stridulo.
-          È questo…
-          Ah, divertente! Tra tutti i giochini di tua sorella… mi hai rifilato giusto questo!
-          È l’unico piccolo carillon, John – mormorò lei acidamente ma in fondo divertita dalla cosa.
-          Una testa di papero con il cappello da marinaio…! Una… testa di papero con… - le rivolse uno sguardo spalancato - mi appresto ad usare un oggetto simile per chiamare un glorioso Tardis… !
-          Non ci farà caso, vedrai. E poi… non ho potuto fare diversamente. Io lo trovo carino, però.
-          È un osceno papero con il becco lungo come una proboscide!
-          Qui, Donald Duck ha avuto successo così… ah, no. Si chiama Jeff Duck ,dimenticavo.
-          Fondamentale davvero, Rose – disse già preso dallo smontare il giocattolo con il cacciavite sonico. Era stupefacente come riuscisse a venire a capo dei piccolissimi pezzi in pochi istanti. Era impressionante davvero, anche conoscendolo bene, vederlo lavorare. E lavorare in silenzio. Qualcosa non andava. Lo conosceva. E aveva anche intuito il problema.
-          Tu sapevi dall’inizio che il Torchwood avrebbe tentato di mettere le mani sul Tardis, vero?
-          Un Tardis è una tentazione terribile per tutti anche per me, il primo… l’ho preso in prestito, come sai.
-          Per altri scopi!
-          Oh sì. E il Tardis era d’accordo, questo è scontato. Ma fu un vero e proprio furto. Non mi aspetto quindi che qualcosa del genere non interessi delle persone più limitate – Rose annuì un po’ disturbata dal termine che aveva usato ma comprendeva il senso delle sue parole.
-          Allevarlo altrove?
-          No. Qui ci sono i mezzi e non sarebbe cresciuto, in un altro luogo. Quando mi è stato affidato, dovevo dargli la possibilità di esistere e…
-          Darti la possibilità di viaggiare ancora, vero? – negli occhi di John quella luce profonda. Qualcosa che quando vedeva la eccitava, anche se non era il momento. Lui era sempre lo stesso e illudersi di una vita normale, con lui, sarebbe stato stupido. Neanche l’avrebbe voluta lei, ormai – cosa pensi, Dottore…? – chiese spontaneamente.
-          Penso che Tashen sia la punta dell’iceberg, un pericolosissimo iceberg. E che si tratti di qualcosa di decisamente peggiore di quanto non appaia ma spero di sbagliarmi.
-          Sbagliarti tu?
-          Fortunatamente, capita. Ma non dirlo troppo in giro, ho una reputazione da salvaguardare – aggiunse piano con un breve sorriso.
-          È già pessima – osservò Rose.
-          E tale deve restare.
-          Però… io non credo sia possibile sbagliarsi sul conto di quel ripugnante individuo. E’ un uomo viscido, senza scrupoli. Non si sforza neanche di apparire diverso da come sia. Mi meraviglia il suo ruolo di supervisore del lavoro svolto dal Torchwood.
Rose voleva chiederglielo dall’inizio e sicuramente John l’aveva capito. Si fece coraggio.
-          Cosa pensi che sappia, mio padre? – lo vide restare impassibile alle sue parole – tu credi…?
-          Probabilmente Pete sa meno di quel che pensa – disse freddamente – ed è così anche per altri – si girò pensieroso verso dove restava abbandonato il dispositivo cui lavorava. Rose ancora si chiedeva come mai non si fosse neanche avvicinato ad esso  – ad ogni modo ora so come indicare la strada alla mia giovane amica…
-          La tua giovane amica?  - Rose alzò un sopracciglio –ma bene!
-          Il Tardis mi appare nei sogni sotto forma umana – lei fece un mezzo sorriso ironico.
-          E di giovane femmina, guarda caso!
-          Suppongo che sia un modo di adattarsi a me
-          Ma brava…!
-          È una bambina… – disse piano dolcemente e lei lo guardò sorpresa – e…una ragazza, una ragazza molto giovane, questo dopo … - aggiunse con noncuranza gustandosi l’espressione di Rose.
-          Dopo? Dopo che cosa, Dottore…?
-          Niente di quel che stai pensando. Vuoi discutere dei sogni, Rose? – la vide perplessa ed era divertente – oh, sai che mi piace parlare di viaggi immaginari ma ora non è il momento. In ogni caso… il Tardis non ci vede, ma mi sente. Comunichiamo così e per immagini.
-          Telepaticamente, suppongo – annuì.
-          È la forma più delicata nei miei confronti, soprattutto per ora – disse piano John – la stranezza è che quando ci incontriamo vedo… cose strane. Irreali, impossibili… Sono davvero strani sogni.
-          Strani sogni, dici? – la vide dubbiosa e poi cambiare espressione. Una cosa da nulla ma lui conosceva bene Rose Tyler.
-          Che cosa hai sognato di recente? – le chiese interessato.
-          Ah, no… nulla di speciale, niente che abbia a che vedere con la cosa, insomma …  – Rose arrossì e lui le rivolse un’occhiata dubbiosa. A proposito di sogni strani e della sua precedente vita, uno l’aveva lasciata davvero perplessa ma non era necessario che glielo raccontasse. E neanche sapesse che le era piaciuto.
Vide però che lui già cercava una connessione con qualcos’altro, si era distaccato da quel pensiero per andare altrove. I suoi occhi scorrevano immagini che lei non vedeva.
-          Devo finire il congegno – mormorò – e l’ultima volta ero così stordito che non ricordo esattamente a che punto fossi arrivato.
-          Puoi guardare, è lì…
-          No… no – mormorò lui mettendo una mano sul viso.
-          La tua bella dottoressa mi ha intimato di farti lavorare alla cosa al più presto e ad ogni costo – Rose marcò le parole risentita. Lui non la guardò ma i suoi occhi si fecero ancora più scuri.
-          Sì, lei… oh, Povera Catherine … – mormorò con un velo di voce. Rose si irrigidì e lui fece un lungo sospiro lasciando le cose che aveva sul tavolo per un momento – è … difficile, per lei e anche per me… - esitò.
-          Non la biasimo per esserti innamorata di te, è una cosa che capisco più di chiunque altro – Rose lo guardò accennare ad un sorriso che però era anche triste - succede spesso a chi ti sta vicino – gli sussurrò. Il suo sguardo lucido la colpì – tutti coloro che sono stati con te alla fine ti hanno spezzato il cuore, come si vede… a volte  – non glielo disse. Lo pensò mentre lo vedeva riprendersi un po’.
La testa in plastica del carillon era aperta, le batterie collegate a dei fili che aveva preso in un cassetto del laboratorio. Qualunque cosa fosse aveva già un volume doppio a quello di partenza e Rose pensò che per qualche motivo quell’oggetto faceva impressione. Forse più della faccia del papero dal becco lungo chiamato Jeff Duck.
-          Quando sei stato male e sono venuta qui… io e lei ci siamo parlate – lui la guardò un attimo – io e la dottoressa Lane, intendo.
-          E che vi siete dette?
-          Solo poco, a parole – mormorò Rose – lei però mi aveva detto che ti avrebbe portato il lavoro a casa, io invece lo vedo qui – Rose indicò il congegno sul tavolo vicino.
-          Quindi non è venuta…
-          No. E mi sono meravigliata della cosa. L’ho anche detto a mio padre – John le rivolse un’occhiata lucida e silenziosa. Rose capì – ma lei… aspetta… quindi lei sapeva, vero? Sapeva quando io…
-          Sapeva, sì. Le ho chiesto di aiutarmi.
-          Ma tu hai me!
-          E tu fai tutto il resto, Rose! Ma lei è una scienziata. E quando ha iniziato a succedere lei ha compreso che c’era qualcosa che non quadrava perché è intelligente. E lo dicevano i dati – Rose non poteva farne a meno. La confidenza tra i due la urtava istintivamente.
E sebbene avesse la certezza dei sentimenti di John, il fatto che un’altra donna a lui vicina ne fosse attratta, la innervosiva. Poi le venne in mente un ricordo, improvvisamente.
Lei e lui, sulla nave Dalek. Prigionieri. Martha Jones che minacciava di spaccare la Terra e poi quella domanda, vedendola lì con il Dottore.
-          E lei chi è?
-          Io sono Rose Tyler – l’espressione di Martha quando aveva detto il suo nome. E poi quegli occhi lucidi guardando lui.
-          L’hai trovata…! - le era parso un triste gemito di sorpresa con l’ombra di un dolore intenso, forse passato ma non del tutto.
Trovata.
…tanto cercata, pur sapendo dove fosse…
Mai cercata in nessun’altra.
Il Dottore l’aveva dimenticata ora che lei era con John Smith nell’universo parallelo?
Ancora quel pensiero ma rivolse gli occhi su chi l’aveva cercata e trovata sicuramente. Lui.
Colui che aveva davanti.
-          Come va con il tuo giocattolo?
-          È… complicato.
-          Lo stai dicendo in continuazione.
-          Oh, più è difficile e più mi piace! – disse con un sorriso.
-          Non mi hai ancora spiegato che cosa stai facendo con quel carillon – disse Rose venendogli ancora più vicino. Lui era assorto tra le parti minute di quell’oggetto. L’espressione del suo viso era adorabile e sorrise – sembri un bambino con un giocattolo nuovo.
-          Questo è un giocattolo nuovo – disse con gli occhi sgranati. Fece un sorriso strano, soddisfatto – guarda e stupisci! - fece fare uno strano click al piccolo congegno che coincise con lo schiocco della sua lingua sul palato. Fu una scintilla abbagliante per un momento e d’istinto Rose si coprì gli occhi. Quando abbassò le mani dal viso vide che il carillon proiettava un complesso schema di rette luminose che ruotavano in vari sensi e si intersecavano in varie direzioni e profondità. Una ragnatela complessa che cercò di seguire ma che si perdeva in ciò che non riusciva più a distinguere come “parte” singola, proprio come si trattasse di scatole di varie forme e dimensioni, chiuse e generate contemporaneamente da altre in vari sensi.
Lui la guardava con un sorriso bellissimo e gli occhi scintillanti. Rose stupefatta guardò quello che le parve una mappa stellare anche se non lo era. Non del tutto.
-          Una mappa, sì – disse John prendendola per mano e tenendola più vicino a sé. Lei lo guardò un po’ stupita.
-          Leggi nel pensiero? Io pensavo proprio a quello.
-          Hai viaggiato nel Tardis e la tua percezione dello spazio e del tempo è cambiata per sempre. Hai potuto percepire che si tratta di una mappa ma non è come credi – avvicinò la mano di Rose ad una delle righe luminose ed essa vibrò, come fosse una corda. Il suono fu dolce, intenso. La attraversò in una vibrazione scintillante e nella sua mente si formò un colore, un colore vivace e poi una sensazione di calore. Rise stupita guardandolo ed anche lui.
-          È meraviglioso…!
-          Una mappa senso-temporale musicale di tipo complesso. Una guida.
-          Un carillon per il Tardis!
-          Ah, sì! Alla fine di ciascuna di quelle che tu vedi come rette, c’è la sua coscienza diffusa.
-          Ma le rette non hanno fine…!
-          Beh, in realtà sì, solo che… se ne discuterà meglio tra qualche tempo – disse con un sorrisetto – è geometria trascendentale superiore, un pizzico di matematica dell’inverosimile e musica!
-          Matematica dell’inverosimile… tu mi stai prendendo in giro! – protestò Rose sorridendo.
-          Giusto un po’ – le strizzò un occhio – in realtà, sappi che tutto è generato da vibrazioni. In piccolo, che poi in questo caso è decisamente in piccolo, immagina che questa sorta di fili che vedi siano stringhe. A seconda del loro modo di vibrare, producono particelle che danno luogo agli infiniti universi paralleli che esistono contemporaneamente e non.
-          Quindi mi stai dicendo che… siamo in un enorme carillon?
-          In un certo senso. Potremmo però descrivere tramite musica superiore la quantità e qualità di qualunque tipo di vibrazione. E la sua durata… il Tempo, Rose.
-          Ma come può una cosa così piccola fare qualcosa del genere?
-          Infatti non deve fare, qualcosa del genere! Qui vengono considerati solo due universi : quello di partenza e quello di arrivo. La terza parte necessaria perché la cosa riesca, l’incognita, è gestita dal Tardis ed è per ora l’unica cosa che sa precisamente.
-          Sa dov’è?
-          No. Sa cos’è, Rose. E questo è fondamentale. Userò la musica per inviare al Tardis le coordinate sia dello spazio che del tempo. Potrò anche segnargli i confini, determinare il dove. Le aprirò gli occhi… e vedrà.
-          Ma… non capisco.
-          Perché  non consideri l’infinità delle note e la loro profondità! Io posso calcolare delle coordinate interdimensionali che coincidano con questo universo nel tempo utile al Tardis per definirsi fisicamente qui ed ora. Mandare una composizione, una sorta di spartito…! Ah, è eccitante, bellissimo!
-          Beethoven ti ha insegnato qualcosa anche in tal senso?
-          È stato Bach, a dire il vero ma… qui non avrebbero saputo dove mettere le mani è mentalmente estremo e per questo… ci vuole il Dottore …! - sorrise soddisfatto. Un attacco di presunzione e megalomania insieme. Da lui. Ma i suoi occhi erano dolci, felici. Le ispirò profonda tenerezza – mi… guardi stranamente, Rose… - osservò un po’ perplesso. Rose rise ancora e strinse più forte la mano di lui, ancora chiusa nella sua.
-          Dimmi, genio… perché ho visto un colore e sentito una sensazione, quando ho toccato la mappa?
-          Perché a questo livello della realtà genera sensazioni complesse e associate. E tu le hai condivise…
-          Con te – disse Rose. Lui abbassò lo sguardo.
-          Sì…
Ma non era esattamente come pensava Rose o come sperava lui. Non sentiva quasi nulla e in quel momento era stata la sua mente ad unirsi a lei, e non qualcosa di fisicamente bello come condividere quel modo di parlare senza parole. La corda univa telepaticamente chi la faceva vibrare a chi ascoltava. Lui aveva potuto sentire solo quel che sentiva Rose e non la somma percettiva di entrambi, come sarebbe dovuto essere.
Rose non poteva percepirlo in quanto umana ma purtroppo lui sì perché non abbastanza umano.
Non altro ma nella sua mente, dopo, aveva ascoltato la nota di coda del vuoto. Un qualcosa che non dovevi poter sentire, se avevi un corpo. Ricordò il nome che alcuni popoli davano a quel “momento”.
Ma non era il luogo adatto a rifletterci sopra.
-          Qui abbiamo finito ora portiamo via questo oggetto.
-          E il dispositivo? – aggiunse Rose. Lui scosse il capo.
-          No, deve restare qui.
-          Ma…
-          Devo lavorarci qui, Rose – ripeté risoluto – per altro c’è un altro problema da risolvere.
-          E sarebbe?
-          Il carillon deve essere accordato – le fece un mezzo sorriso. Lei lo guardò stravolta.
-          Che intendi per…?
-          Ti spiegherò ma ora devo… prendere delle cose - le lasciò la mano e si diresse velocemente ai cassetti di uno dei tavoli da laboratorio, cercandovi qualcosa con impazienza.
-          Hai dimenticato qualcosa?
-          Dove l’ho messo? – mormorò quasi ignorandola. Trovò quel che cercava dopo aver rumorosamente rovistato tra varie cose e Rose lo capì dall’esclamazione costituita per il novanta percento da consonanti. John mise in tasca l’oggetto quasi furtivamente poi si avvicinò a dov’era lei e spense la mappa che si richiuse ripiegandosi su sé stessa ad una velocità impressionante, che la lasciò con espressione stupita e gli occhi spalancati. Anche il carillon finì velocemente nelle tasche del cappotto marrone.
Un po’ stordita si guardò attorno nella poca luce di prima.
Si sentì nuovamente prendere per mano, con delicatezza infinita. Lui la stava guardando con occhi che le parvero immensamente grandi ed eccitati, era fuori di sé ormai lo conosceva. E lui sapeva che lei lo sentiva. Lo vide accennare ad un sorriso.
-          John, ma cosa …?
-          Torniamo a casa  – lei lo strinse forte –  … Allons-y! – Rose sorrise. Inquieta ma sorrise di nuovo; mentre correvano. 
  
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Amy Tennant