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Autore: Deb    25/07/2007    1 recensioni
Come avrei fatto se non ci fossi stato tu?
Sarei sprofondata in un buco nero.
Ma tu, tu sei la mia ancora di salvezza, colui che riesce a non farmi cadere.
Grazie a te, riesco a pensare meno a lui
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Provare dei Sentimenti

Il viaggio in treno terminò a breve, durò troppo poco per i miei gusti. Non avevo voglia di tornare di a casa e di dover guardare in faccia quella famiglia che mi stava lentamente allontanando da loro. Poi perché si dovevano comportare così? Era una cosa stupida e una perdita di tempo.

«Se non vuoi tornare a casa, possiamo rimanere un altro po’ fuori.»

«Grazie, ma non credo sia il caso. Andrò a casa e semmai mi butto sotto le coperte.»

«Riesci a dormire?» mi domandò dubbioso Simone, sapeva dei miei “problemi” con il sonno, ma non mi chiedeva più se riuscissi a dormire bene o meno ed io, d’altro canto, non gli dicevo che avevo trovato la soluzione per la mia insonnia.

«Sì, finalmente. Non ti sei mai accorto che non ho più quelle bruttissime occhiaie?»

«Veramente, non ci avevo mai fatto caso alle tue… occhiaie.»

«Beh… comunque riesco a dormire. Le gocce di Morfeo sono miracolose.»

Simone accigliò un sopracciglio «E che sarebbero?»

Alzai le spalle come per dire che non avrebbe dovuto prendersela con me «Il sonnifero.»

Il mio amico rimase un attimo in silenzio «Sicura di far bene a prendere il sonnifero?»

«Spero che quando non ne avrò più bisogno riuscirò a smettere di prenderlo. La ricetta me l’ha fatta il dottore, ero assieme a mia madre. Mi ero stancata di dovermi svegliare.» spiegai guardandola cupa. «Devo solo dimenticare. Per me, Roberto è vivo, sta bene. Mi ha lasciato perché si è trasferito in un’altra città e non aveva voglia di instaurare una relazione a distanza. Devo pensare questo per non cadere in un buco nero.»

«Insomma, vuoi ingannare te stessa.»

Annuii, che altro avrei potuto fare?

«Sei una stupida. L’unica cosa devi fare è andare avanti e basta. Non puoi pensare che lui sia ancora vivo, non puoi ingannare te stessa perché la verità la conosci e non puoi cambiarla. Se fossi riuscita a farlo adesso staresti ridendo, saresti ironica come sempre, avresti trovato un altro ragazzo al quale donare il tuo cuore.» si aprì serrando i pugni lungo i suoi fianchi.

Sgranai gli occhi a quelle parole, era stato duro come non lo era mai stato fino a quel momento. Cosa gli era successo? Perché si era arrabbiato.

«D-Devo andare a-a cas-casa!» balbettai prima di scappare verso la direzione opposta dalla quale venivamo, dovevo andare a casa, chiudermi a chiave in camera e buttarmi pesantemente sul letto per dormire in pace. Per dimenticare.

Quelle parole mi avevano ferito, e non pensavo che lui riuscisse a farlo, però aveva espresso una pura e semplice verità.

Inserii la chiave nella serratura e la girai fino ad aprire il portone che mi portava a casa. Chiamai l’ascensore che arrivò dopo qualche istante, entrai dentro e mi appoggiai con la schiena al muro dove ansimai irregolarmente. Ero scappata dal mio migliore amico, avevo corso talmente veloce che ora non riuscivo quasi a respirare.

L’ascensore arrivò al mio piano e dopo aver aperto la porta di casa vi entrai dentro. Credevo che non ci fosse nessuno a quell’ora ma mi sbagliavo. Mio padre mi stava attendendo seduto sulla sua poltrona di pelle bianca che aveva voltato verso la porta d’entrata apposta per aspettare me.

Mi osservava con lo sguardo truce, aveva le mani unite tra loro e batteva un piede a terra nervosamente. Probabilmente mi avrebbe detto qualcosa che mi avrebbe fatto star male. Quando mi guardava in quel modo era sempre così, anche se, a pensarci bene, non accadeva da tanti mesi ormai.

«Che c’è?» domandai appoggiando la mia borsa a tracolla sull’appendiabiti.

«Presto comincerà la scuola, non pensi che dovresti studiare un po’?»

«Papà, sono in vacanza. Non ho da studiare.»

Mio padre si alzò in piedi e avanzò verso di me «Lo so, ma lo scorso anno ti hanno fatto passare senza debiti solo perché è successo quello che è successo al tuo ragazzo!» esclamò. «Ti avrebbero bocciato.»

«Lo so.» risposi guardandolo un po’ male, cosa che a mio padre dette fastidio.

«Pensi di studiare quest’anno o no?»

«Ci proverò..» risposi andando verso camera mia.

«Non abbiamo finito di parlare!»

«Sì, abbiamo finito.» entrai in camera e mi chiusi a chiave dentro. Mi gettai a peso morto nel letto e presi dalla mia tasca il cellulare. In quello stesso momento mi arrivò uno squillo. Era Sabrina.

Sorrisi, era da tanto che non la sentivo, era la mia migliore amica ma ci eravamo un po’ perse per dei motivi a tutte e due noti.

Pochi minuti dopo ricevetti un SMS che lessi velocemente. «Ehy, come stai? Scusami se non mi sono fatta sentire. Baci»

«Non preoccuparti. Io sto ok. Tu?»

«Tutto bene, ho sentito che ti vedi spesso con Simone.»

«Sì.» Dove voleva andare a parare? Cosa avrebbe voluto chiedermi? Simone, lei lo conosceva? Ci pensai su un attimo e mi ricordai che ero stata io a farglielo conoscere. Un pomeriggio, ero uscita con Roberto e incontrammo per caso Sabry che era in giro da sola, così ci unimmo a lei e la portammo dal nostro gruppo, dove parlò soprattutto con Simone. Che gli piacesse?

«Avevo proprio l’impressione che fosse un ragazzo gentile! ;-)»

«Che è quella faccina?»

«Ma come, non te ne sei ancora accorta? Riesce davvero a reprime i suoi sentimenti! È un grande!»

«Continuo a non capire Sabry.»

«Ma niente, solo mie supposizioni. :-) Ci vediamo a scuola! Se arrivi prima tienimi un posto vicino a te, come tutti gli anni!»

«Ok… Ciao! Baci!»

Guardai verso il muro dove vi erano appese le foto dei miei amici, lui non c’era più, avevo tolto tutte le cose che potevano ricordarmelo.

Osservai una foto nella quale c’eravamo io, Sabry e Simone. Sapevo chi ce l’aveva scattata, era stato lui. In quella fotografia avevamo tutti le braccia intorno ai fianchi dell’altro. Simone stava in mezzo e sorrideva. Quel giorno non aveva messo il gel ed aveva fatto un sacco di storie per non farsi fare una foto, ma alla fine aveva accettato. Senza il gel si notava di più di quanto i suoi capelli fossero chiari. I suoi occhi erano come trasparenti, azzurri. Un azzurro fantastico.

Sabry stava alla sua destra e gli cingeva le spalle, anche lei sorrideva, sembravamo davvero felici in quella foto. Nel momento nel quale Roberto scattò la foto ci fu una folata di vento che fece volare verso destra i suoi capelli corvini. I suoi occhi castani erano molto espressivi, troppe volte le avevo detto che sarebbe dovuta diventare un’attrice, ma ai nostri tempi non importa saper recitare o meno. Bisogna darla via, come diceva lei.

Tra sette giorni sarebbe ricominciata la scuola, non mi andava, per niente. Simone veniva in classe con noi, ma fino a che non avevamo incontrato Sabry, quel giorno, lei non gli aveva mai parlato. Forse le faceva paura prima. D’altro canto, nemmeno io in classe gli parlavo molto. Ora però sarebbe stata una figura costante con la quale avrei passato la maggior parte del tempo.

Il telefono mi squillò facendomi sussultare. Risposi senza nemmeno leggere sul display chi fosse. «Pronto?»

«Pensavo non mi avresti risposto.» Quando ascoltai la sua voce mi tornò in mente cosa era successo poco prima. In effetti per oggi non gli avrei voluto più parlare, ma ormai gli avevo risposto e sarebbe stato da maleducati riattaccargli la cornetta in faccia.

«Ero soprapensiero, se avessi letto il display probabilmente non ti avrei risposto.» risposi freddamente portandomi dietro le spalle i capelli che erano davanti ad esse. «Dimmi.»

«Volevo chiederti scusa. Sono stato brutale e sgarbato.»

«Non importa, hai detto ciò che pensavi no?! Lo accetto.»

«Non sei arrabbiata?»

«Sì che sono arrabbiata. Che razza di domande.»

«Bene!»

«Eh?!»

«Beh, sai… in questo periodo sei sempre stata indifferente a tutto. Sei fredda, come se fossi vuota. Ora invece sei arrabbiata. È una bella cosa!»

Voleva farmi arrabbiare, voleva farmi provare un qualche sentimento che da tanto, da troppo tempo, non provavo. Mi ero arrabbiata, non ci avevo pensato. Mi ero ferita da quelle parole. Avevo provato due diversi sentimenti. Se ero ferita ed arrabbiata avrei potuto provare tutte le emozioni di questo mondo.

«Non ci avevo pensato.»

«Beh.. ti vengo a prendere domani allora. Ti porto in un posto.»

«Dove?»

«Non so… ancora.»

«Bugiardo!» esclamai ridendo. «Tu non me lo vuoi dire!! Sei cattivo!»

«Contenta di ritornare a scuola?»

«E non cambiare argomento, stupido!»

«A domani!» disse chiudendo la comunicazione. Sbuffai, chissà dove mi avrebbe portato domani? Certo che era strano, pur di farmi provare qualcosa mi aveva fatto arrabbiare, mi aveva trattato male pur di farmi provare qualcosa.

Sorrisi lievemente, ripensando a ciò che mi aveva detto Sabry e a quello che invece mi aveva trasmesso Simone.

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Quella mattina avevo optato per vestiti diversi, basta con il nero, dovevo continuare a vivere, e non l’avrei potuto fare se avessi continuato a vestirmi con quel colore smorto. Certo snellisce, ma non potevo continuare sempre a mettere quel colore, e poi il nero era diventato il mio colore; ma ora volevo cambiare.

Quella notte avevo dormito senza prendere il sonnifero, e non avevo sognato niente, anzi non mi ricordavo ciò che avessi visto in sogno.

Indossai una maglietta bianca a maniche corte e sopra una salopette di jeans e scarpe da tennis bianche e blu.

Con una pinzetta portai la mia frangia, ormai lunga, dietro l’orecchia. Avrei dovuto chiare la parrucchiera e prenotare un appuntamento. Se non l’avessi tagliata i miei occhi sarebbero diventati storti.

Mi truccai a malapena, anche se eravamo a settembre era molto caldo e con il sudore il trucco sarebbe colato tutto per cui optai per un lucidalabbra rosa chiaro e un po’ di matita per gli occhi. Niente mascara, ombretto o fondotinta.

Quell’estate non avevo preso quasi per niente il sole e mi venne a pensare all’estate precedente nella quale tutti i giorni andavo al mare con lui, ci tuffavamo in acqua e facevamo delle specie di lotte. Risi nel pensare a tutto quello. Quanto mi divertivo. Oltre a ridere però, nel pensare a lui, non potevo fare a meno di provare un dolore al cuore.

Stamattina, però, mi ero svegliata lucida e avevo capito che lui avrebbe voluto che continuassi a vivere, che continuassi a sorridere, che continuassi a correre per ottenere la vita che mi merito.

Avevo capito che anche se non l’avessi mai dimenticato io sarei potuta essere felice lo stesso.

Fu un sogno, secondo me, che mi indicò la strada. Forse avevo sognato Roby che me lo diceva. Chissà.

Sentii suonare il campanello e feci salire Simone che mi guardò un po’ stupefatto per questo cambiamento repentino nel mio look. Era abituato a vedermi vestita sempre di nero, come se ogni giorno dovessi andare ad un funerale.

«Beh?! Non va bene?» domandai ingenuamente.

«No, è perfetto…» rispose senza pormi ulteriori domande.

«Bene. Allora, dove mi porti? Sono curiosa.»

«Ed io sono… sbalordito!»

«Perché?» domandai stringendomi nelle spalle, non credevo potessi fare una tale impressione, forse pensava che non mi sarei mai ripresa, ed infatti, ancora, Roberto è una presenza costante nella mia mente, ma non posso continuare a piangermi addosso per come sono andati i fatti.

Dovevo andare avanti, e per cominciare dovevo cercare di cambiare il mio look, magari avrebbe cambiato anche il mio umore.

Oggi, il mio umore era sereno, se così si può dire, non ero triste o vuota come i giorni passati ero normale. Normale, che sentimento è? Non lo so; però dovevo sentire qualcosa di diverso dalla tristezza perché quel sentimento non mi avrebbe portato lontano, anzi non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte, ed era stato anche lui a farmi prendere la decisione di dover cercare di reagire. Era anche merito di Simone se avevo preso quella decisione, il giorno precedente, facendomi arrabbiare, aveva dato il via a quel cambiamento che avrei dovuto portare avanti nel tempo. Magari non avrebbe cambiato il mio umore in pochi giorni, probabilmente avrei dovuto combattere per trovare davvero la serenità che credo di meritare. Ci sarei riuscita, comunque, avrei fatto di tutto pur di tornare serena come un tempo, anche meno, ma volevo poter essere almeno la metà di come ero un tempo, di come ero prima dell’incidente.

«Perché… beh… perché è da tanto che non ti vedo così!» si avvicinò a me e mi stampò un bacio sulla guancia sinistra.

«Ne deduco che tu sia contento di questo mio cambiamento!» certo era tutto un po’ forzato ma cercavo ero fermamente convinta di ciò che stavo facendo.

«Mh…» mugugnò sorridendo «Non mi dispiace.»

   
 
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