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Autore: Emmie90    07/01/2013    2 recensioni
Una bambina con dei rossi capelli, occhioni verdi e il carattere giusto per mandare in crisi un timido e riservato ragazzo di otto anni più grande di lei.
"Il fogliame iniziò a scricchiolare sotto il leggero tocco di un paio di stivaletti rossi di gomma, la loro proprietaria era infatti sgattaiolata in giardino, senza farsene accorgere e, ancora in camicia da notte, puntava decisa verso il grosso albero del giardino."
La storia è ambientata nel mondo di Harry Potter, anche se i due protagonisti sono stati creati prendendo spunto dai personaggi di Doctor Who: Amy Pond per lei, Eleven (e un po' Rory Williams caratterialmente) per lui. Gli sviluppi della trama e i loro caratteri si evolvono poi in maniera differente, ma lo scheletro dei loro personaggi e storie è stato attinto da questa serie tv che amo particolarmente. Una specie di tributo, insomma.
Ringrazio inoltre NadyaTompsett che mi ha concesso di usare il suo personaggio (Steven) per questa storia.
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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La storia è ambientata nel mondo di Harry Potter, anche se i due protagonisti sono stati creati prendendo spunto dai personaggi di Doctor Who: Amy Pond per lei, Eleven (un po' anche Rory caratterialmente) per lui. Gli sviluppi della trama e i loro caratteri si evolvono poi in maniera differente, ma lo scheletro dei loro personaggi e storie è stato attinto da questa serie tv che amo particolarmente. Una specie di tributo, insomma.
Ringrazio inoltre NadyaTompsett che mi ha concesso di usare il suo personaggio (Steven) per questa storia.


There we sat in the snow

 

1.Un nuovo vicino.

 

Era una domenica mattina autunnale fredda ma luminosa, un sole pallido faceva capolino rischiarando l’atmosfera e regalando una tenera aurea fiabesca alla campagna scozzese. Nel paesino di Pittenweem sembravano tutti ancora a casa: erano solamente le sette di mattina e quel 3 ottobre la stradina sembrava deserta. Le case erano silenziose, una accanto all’altra, con i giardini che mostravano colori autunnali e foglie cadute. Il fogliame iniziò a scricchiolare sotto il leggero tocco di un paio di stivaletti rossi di gomma, la loro proprietaria era infatti sgattaiolata in giardino, senza farsene accorgere e, ancora in camicia da notte, puntava decisa verso il grosso albero del giardino.
Aveva due verdi occhioni vispi e una massa di capelli rossi, leggermente spettinati ma lisci e lucenti. Aveva suppergiù sui sette, otto anni e dal suo sguardo si capiva che avrebbe dato del filo da torcere a quelli di venti, se solo avesse potuto. La bambina si era velocemente arrampicata sull’albero per poi sedersi su un ramo piuttosto robusto: aveva preso il vizio di nascondersi lì il più delle volte, come se quella posizione potesse renderla tranquilla e protetta.
La sua attenzione venne colpita da un movimento sospetto nel giardino accanto: quella casa era chiusa e disabitata da anni, e adesso? Un ragazzino era seduto sulla scala della casetta intento a leggere qualcosa, all’improvviso una signora si affacciò dalla finestra del piano superiore:
“Steven, tesoro, ricordati di darmi una mano con le lenzuola dopo.”
Il ragazzo annuì vistosamente, continuando a tenere il capo chino sul libro e la donna rientrò nella casa.
La bimba strabuzzò gli occhi, chi erano? E quel ragazzo? Le sembrava così strano, era diverso dai ragazzini che si vedevano nel paese, lui era silenzioso e, non vedeva bene, ma sembrava avere uno sguardo particolare.
Amelia McKenzie non era una bambina tranquilla, per niente, e mentre si faceva quelle domande era già scesa dall’albero, non prima di aver tirato una castagna sulla testa del povero malcapitato lettore. Il ragazzo si portò una mano alla testa, lamentandosi, per poi cercare la fonte di quel disturbo: ma l’unica cosa che vide fu una macchia rossa sfuggente. Forse se le era solo immaginata.
La bambina aveva fatto il giro del tronco fino ad avvicinarsi alla staccionata tra i due giardini, era nascosta tra le piante che osservava il suo nuovo vicino. Tra le fronde si intravedeva solo un occhio e la punta rossa di uno stivaletto: stava valutando la situazione.
Steven alzò leggermente lo sguardo dal libro puntandolo verso le siepi e la bambina fece un guizzo veloce per nascondersi, scaturendo però un leggero rumore. Il ragazzo scosse la testa, credendo fosse un soffio di vento, anche se … ma no, non c’era proprio nessuno: la strada sembrava decisamente deserta, eppure aveva lo strano sentore di essere spiato.
Passarono una quindicina di minuti: il ragazzo era sempre lì tutto preso dal suo libro e la bambina era ormai corsa nel giardino dei vicini, con fare silenzioso, senza farsi notare. Era ferma a qualche passo dal lettore, lo squadrava dalla testa ai piedi, chiedendosi da dove fosse sbucato: il giorno prima era certa che non ci fosse, e poi … aveva dei vestiti strani, non sembrava uguale agli altri; forse arrivava da molto lontano: lei non aveva mai potuto viaggiare, i suoi zii erano un po’ anziani e il massimo che facevano era andare fino al centro commerciale che distava qualche kilometro dal piccolo paese.
Amelia roteò gli occhi, vedendo che non veniva assolutamente notata, si avvicinò sporgendo la testa e cercando di vedere cosa c’era scritto sul libro.
“Cosa leggi?”
La bambina colse del tutto alla sprovvista il ragazzo che diede in un urlo spaventato e cadde all’indietro, quasi sbattendo la testa contro la porta della casa.
“Volevo solo sapere cosa leggevi.”
Continuò la piccola, alzando un sopracciglio alla vista della reazione di Steven.
“Sei strano.”
Continuò poi, aveva la lingua lunga, parlava tanto, forse troppo, ma in fondo nel paesino la adoravano tutti: era molto difficile non prenderla in simpatia.
Il ragazzo cercò di rimettersi in una posizione rispettabile, recuperando il libro e chiudendolo sulle ginocchia, per poi alzare lo sguardo sulla sua interlocutrice, grattandosi la testa leggermente in imbarazzo per essersi fatto vedere in quella maniera da una bambina. La piccola rossa lo guardava ancora in attesa, teneva gli occhi ben fissi e svegli su di lui.
“Da quanto tempo mi spii, piccoletta?”
Domandò facendo una smorfia sentendosi dare dello strano, era successo praticamente tutta la sua infanzia, la gente era solita trovarlo strano, sfigato, solitario, patetico; ma quella bambina sembrava averlo detto con aria curiosa, come se quella cosa non facesse altro che renderlo più interessante ai suoi occhi.
 “Penso che questa sia tua.”
Continuò allungando una mano e aprendola rivelò nel palmo la castagna che poco prima Amelia gli aveva tirato.
“Mi era caduta per sbaglio.”
Si giustificò lei, anche se la sua espressione tradiva un’aria furbetta, per poi sedersi senza tanti complimenti al suo fianco, sulla scalinata della casetta: era piccola e si teneva le ginocchia con le mani mentre continuava a spiare la copertina del libro.
“Io sono Amelia McKenzie.”
Disse come se quella fosse una questione fondamentale del discorso, poi si girò verso di lui, gli occhietti verdi che lo squadravano interessata.
“Steven McIntosh, piacere di conoscerti Amelia. Tu … abiti lì?”
Le domandò indicando con un cenno del capo la casa accanto alla sua e la piccola annuì.
“Con i miei zii, adesso stanno dormendo, io sono uscita fuori, mi annoio a stare la domenica mattina nel letto. Preferisco uscire e fare qualcosa … poi ho visto te da sopra all’albero. Tu non c’eri ieri.”
Il ragazzo la guardò esterrefatto, ma anche divertito, ma quanto parlava? Nemmeno si conoscevano. Però era buffa, con quei capelli così rossi e quell’aria da birba.
“Lo so che non c’ero, sono arrivato stamattina presto. Stiamo ancora mettendo la nostra roba a posto.”
Le spiegò voltandosi verso di lei sul gradino, lui era magrolino e già piuttosto alto anche se doveva compiere appena sedici anni alla fine del mese. Lei giocherellava con la sua camicia da notte a fiorellini e finì poi per tornare a guardare il libro.
“Chi è Sherlock Holmes? Ha un nome strano. C’è scritta la sua vita qui dentro? Vedi? Anche tu spii la gente, anche se non da dietro un cespuglio.”
Incrociò le braccia sul petto, gonfiando leggermente le guanciotte rosse per il leggero fresco del mattino.
“In un certo senso c’è scritta la sua vita, si. Ci sono le sue avventure, era un detective. Sai che cosa vuol dire, Amelia?”
Chiese lui gentilmente, osservando quella piccola creaturina che faceva delle domande tanto impudenti.
“Certo che lo so. Mi piacciono le avventure, anche io voglio viverne una un giorno.”
Poi abbassò la voce, prima di guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa o qualcuno che potesse sentire quello che stava per dire.
“Dentro al mio armadio penso ci sia qualcosa di strano.”
Disse con aria seria e per certi versi quasi preoccupante.
“Se ti piacciono le avventure dovresti venire a vedere prima o poi, forse tu puoi aiutarmi.”
Il suo sguardo faceva benissimo capire che non avrebbe accettato un no in risposta, poi sorrise convinta che quella frase avesse reso lei e la sua storia molto interessante.
Steven stava per rispondere qualcosa, probabilmente rassicurarla sul fatto che non ci fosse niente di strano nella sua camera, ma fu interrotto da una voce di donna che chiamava la bambina.
“Penso di dover andare.”
Fece una smorfia, per poi guardarlo.
“Non devi dire a nessuno che ero qui, capito?”
Lui annuì con aria grave, promettendo, mentre lei dopo un’altra occhiata si alzava dal gradino camminando verso il cancelletto, corse via svoltando e probabilmente imboccò il vialetto di casa sua.
Il ragazzo sorrise tra sé e sé per quella buffa conoscenza per poi venire nuovamente colpito da qualcosa sulla testa. “Dannazione, di nuovo?” si lamentò alzando lo sguardo verso l’albero dei vicini.
La bambina era lì sopra con un’aria divertita.
“Non dovevi andare a casa, tu?”
Domandò lui, rimproverandola leggermente con lo sguardo.
“Adesso vado, volevo solo dirti che hai proprio la faccia da scemo quando qualcuno ti lancia una castagna in testa.”
Ridacchiò divertita e poi in un batter d’occhio scomparve, scendendo dall’albero.
Steven rimase a bocca aperta, incapace di replicare a quella frase, guardando il punto dove poco prima si trovava la bambina.

  
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