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Autore: afterhour    10/01/2013    6 recensioni
E' possibile convincere Sasuke Uchiha a tornare a casa?
Perchè la guerra è finita da pochi mesi, e lui, ovviamente, non è tornato.
Intanto Sakura si arrabatta tra lavoro, genitori, nonna impicciona, e un grosso...grosso problema frutto del loro ultimo incontro, ormai convinta che a lei il lieto fine sia precluso...
Ma non bisogna mai perdere la speranza!
Sasusaku
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Nuovo Personaggio, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ecco il secondo capitolo, mi sono divertita molto a scriverlo, spero sia divertente anche leggerlo, almeno un po'.
Il prossimo dovrebbe essere per lunedì.



2.
SASUKE


I bambini che correvano festanti per le strade indicavano eccitati alcuni sporadici fiocchi di neve volteggianti nel cielo, un’occorrenza rara da quelle parti.
Sasuke camminava lentamente per le vie di Konoha, il cappuccio del mantello che gli nascondeva il volto, l’abilità acquisita in tanti anni di latitanza che celava la sua presenza agli abitanti della città.
Era stato facile eludere la sorveglianza ed entrare nel suo vecchio villaggio (lui era in grado di maneggiare le illusioni come nessun altro, nessuno che fosse ancora in vita almeno), ma non sapeva bene cosa ci facesse lì, non aveva uno scopo preciso, un perché.
Era da un po’ che non aveva più uno scopo, una meta.
Dopo la guerra aveva vagato e vagato ininterrottamente, senza fermarsi in nessun luogo per quanto lo attirasse se non per pochi giorni, o al massimo, una volta, per una settimana; aveva raggiunto i territori più lontani che era riuscito ad immaginare, ed aveva visitato regioni e città che non aveva mai sentito nominare, a volte piene di vita, colori ed allegria, a volte desolatamente impervie e disabitate, a loro modo magnifiche.
Non aveva mai pensato di tornare a casa (...no, non a casa, a Konoha, semplicemente Konoha), ma si era ritrovato a passare non distante da lì, e senza sviscerare bene il perché di quell’impulso, aveva deciso di dare un’occhiata a quel posto che una volta chiamava casa.
 In fondo era l’unico luogo che aveva considerato tale, un tempo, e mentre camminava si rendeva conto di cercare qualcuno, un volto tra la folla.
Qualcuno che in qualche modo associava alla parola casa.
Qualcuno che lo aspettava.

Lo aspettavano ancora?
Lo aspettava ancora?

L’ultima volte che l’aveva vista gli aveva ripetuto che lo amava, e gli aveva dato tutta se stessa, ma c’era la guerra, c’era la paura di non avere un domani, la voglia di cogliere l’attimo senza pensare alle conseguenze, mentre ora…
Cacciò quel pensiero futile.
Non voleva adagiarsi su nuove illusioni, non voleva aspettarsi niente, da nessuno, e non aveva bisogno di niente, di nessuno.

Ma forse era per ritrovare un’ombra di quello che era stata Konoha per lui, che aveva cercato il vecchio distretto degli Uchiha: per risentire un’ eco di quel calore, di quel senso di appartenenza che lo aveva fatto sentire meno solo, anche se si trattava di una falsa sicurezza.

Aveva scoperto che non ce n’era rimasta traccia.
Probabilmente il quartiere era andato distrutto durante l’invasione di Pain, ed ora al suo posto sorgevano già altre case, abitate da altre persone: un nuovo luogo che non aveva alcun legame con il passato.
Quel terreno avrebbe dovuto essere suo di diritto, come tutto ciò che era appartenuto agli Uchiha, ma non aveva più diritti a Konoha, se mai li aveva avuti.
E poi non era il fatto in sé che lo aveva disorientato, o deluso, in fondo non si aspettava di riavere indietro niente, era l’assordante segnale che quel fatto emetteva a colpirlo: abbiamo cancellato gli Uchiha, finalmente, come volevamo, ed ora di loro non esiste più niente, neppure il ricordo.
Ecco. Mentre camminava per quelle vie, circondato da quelle persone tranquille, da quelle famiglie allegre, spensierate, pensava che quell’innocenza, quella spensieratezza, era una facciata che nascondeva i morti, il sangue, il marciume, eppure a tutti andava bene così, perché se il marciume non si mostrava, se non veniva riconosciuto, allora non esisteva.
Ed era proprio questo il punto, se non esisteva, se gli Uchiha non esistevano più, lui cos’era?
 Chi era?

Si guardò intorno pensando che queste persone cui non importava niente degli Uchiha, cui non importava niente del fato che li aveva avvolti, dell’oblio che pareva averli ingoiati, questi individui che godevano del privilegio di essere ancora lì, insieme, felici, erano Konoha, un villaggio che si arrogava il diritto di essere considerato più giusto, più grande degli altri, un insieme di tutti coloro che col loro silenzio, col loro ostracismo, con la prepotenza, l’inganno, con la presunzione di essere i giusti, i ‘buoni’, e di avere per questo diritto di vita e di morte, avevano fatto sterminare un intero clan ad un ragazzo, ed ora ridevano senza preoccupazioni, senza problemi.
Senza neppure ricordare.
Era stanco, così stanco di odio, di vendetta, ma… adesso, ancora adesso, quelle morti chiedevano un segno, uno straccio di riconoscimento, qualcosa, qualsiasi cosa che somigliasse alla giustizia, e alla verità, perché così sepolta, negata, quest’ingiustizia rimaneva sospesa.
Un peso atroce nel suo cuore.

Cosa avrebbe dovuto fare?
Avrebbe dovuto chinare il capo, accettare tutto questo, fregarsene e implicitamente dire sì, avete fatto bene, meritavamo tutto, meritiamo tutto ed ero io l’esiliato, il pazzo, l’assassino… un Uchiha di nome e di fatto che merita di finire schiacciato come un moscerino, massacrato come un cane rabbioso, perché noi non abbiamo diritti, dobbiamo solo chinare il capo e crepare?

In fondo era ciò che Konoha e i suoi abitanti avrebbero voluto, e l’ipocrisia e la crudeltà di tutto questo non sfiorava nemmeno i loro pensieri.

Non sapeva cos’avesse cercato, di cosa si fosse illuso: non c’era niente lì, per lui, non rimaneva più niente.

Si fermò per scansare un paio di ragazzini che si rincorrevano eccitati e si chiese cosa accidenti era venuto veramente a fare a Konoha.
Faceva meglio ad andarsene al più presto, era già troppo tempo che vagava lì dentro, ed ogni secondo in più era pericoloso.

Seguì con lo sguardo i mocciosi che scappavano dopo avere spinto a lato un’anziana donna che aveva stretto a sé la borsa, e li aveva minacciati con il bastone da passeggio.

 - Giovanotto! – lo chiamò poi puntandogli contro il bastone.

Non era molto alta, ossuta, vestita modestamente a parte uno strano cappellino rosa, di piume, appoggiato ai capelli candidi tagliati a caschetto, e lo guardava arcigna.

Involontariamente si accorse di essersi messo in difesa, tutti i sensi all’erta, e la guardò infastidito sotto l’ombra del cappuccio.

 – Dico a te, non t’illudere! – lo apostrofò burbera - Dammi una mano con questa valigia tu che sei giovane e forte! – gli intimò bacchettando un’enorme valigia che poggiava a terra, di fianco a lei.

Un campanello di allarme gli suonava da qualche parte e ormai da tempo aveva imparato a fidarsi del suo istinto.
Si guardò intorno con l’intenzione di andarsene senza neppure rispondere, non era nato per prendere ordini, lui, ma la gente attorno a loro si affrettava senza nemmeno badargli o degnare di uno sguardo la donna ferma in mezzo alla strada, la valigia sembrava davvero pesante e quella vecchia appariva davvero fragile, anche se le apparenze spesso ingannavano.

Benché avesse imparato a diffidare di tutto e di tutti, non vedeva quale minaccia o trappola potesse rappresentare una vecchia per lui, e comunque, se davvero si fosse trattato di una inganno, ormai era già coinvolto e tanto valeva reggere il gioco, se ne sarebbe tirato fuori in qualche modo; non era presunzione la sua, era un dato di fatto: il mondo era pieno di persone deboli e stupide, ed in pochi potevano impensierirlo, anche se si dava il caso che uno di questi fosse il nuovo hokage di questo cesso di villaggio.

Si avvicinò e sollevò l’enorme valigia, che pesava davvero molto (cosa c’era dentro? armi?) il volto sempre nascosto dal cappuccio.

 - Bravo ragazzo - gracchiò la vecchia – piace constatare che esiste ancora qualcuno di ben educato e di buon cuore in questo posto –

Non hai la più pallida idea di quello che stai dicendo, e sicuramente non hai la più pallida idea di chi sia la persona con cui hai a che fare, pensò lui, un sorriso amaro che suo malgrado gli incurvava le labbra.

La seguì fino a casa, ascoltando distrattamente le sue farneticazioni (parlava quasi ininterrottamente), e non vedeva l’ora di mollare la vecchia e la valigia, che ora sapeva contenere tutti i suoi vestiti ed un certo numero di ricordi (sapeva anche che quello zuccone di suo figlio parlava troppo e non combinava niente, che la nuora era insensibile e incapace, mentre la carissima nipotina – l’unica persona degna dell’intera famiglia – per colpa del nuovo hokage era troppo impegnata e non poteva dedicarle troppo tempo… ah, e che la borsa che la donna sbatacchiava di qua e di là in realtà era un trasportino che conteneva un grosso gatto, il quale pareva miracolosamente dormire).

La sensazione di allarme era come attutita adesso, ma non del tutto scomparsa, e non vedeva l’ora di andarsene via di lì.
La vecchia abitava in una bassa casetta singola con un microscopico giardino davanti, e dopo aver appoggiato il trasportino e avere armeggiato per un’eternità prima nella borsetta che aveva a tracolla, poi nelle innumerevoli tasche che nascondeva qua e là, aveva finalmente aperto la porta e lo aveva fatto entrare. Non contenta gli aveva intimato di mollare il bagaglio accanto al tavolo, e mentre se ne stava spaparanzata in poltrona (per riposare le sue stanche membra diceva), gli aveva ordinato di aprire il trasportino. Infine, non ancora soddisfatta, gli aveva comunicato che dato che lei era stanca e non ci vedeva bene, doveva aiutarla a svuotare l’enorme valigia.

 - Sistemi le cose in cima al tavolo, dopo le porto io di là, ma almeno non devo piegare questa vecchia schiena –

Col cavolo, pensò subito… ancora un minuto, si disse irritato dopo aver lanciato un’occhiata alla donna che ora sembrava mezza addormentata: gli ricordava una sua anziana zia (brontolava uguale), che era morta come tutti quella notte. Rammentava che suo fratello ogni tanto sbrigava qualche commissione per lei, ‘è una buona donna’ gli aveva detto una volta.

Forse perché gli ricordava quella vecchia zia, forse perché gli aveva risvegliato quel ricordo di Itachi, o solo per poter indugiare ancora un poco in quel frammento di normalità, così raro, ormai, per lui, aprì l’enorme valigia ed iniziò a tirare fuori le cose per sistemarle in cima al tavolo come gli spiegava quella tiranna, deciso a filarsela il prima possibile.
Nel frattempo si era tolto il mantello, tanto dubitava che quella potesse riconoscerlo, e poi non ci vedeva neppure tanto bene.

   Piazzò tutti gli oggetti ‘che non erano dei vestiti’ in un angolo, come gli aveva detto lei, ed iniziò a seguire le istruzioni sempre più seccato e all’erta…dove cavolo stava perdendo tempo, con il rischio di venire scoperto da un momento all’altro!
Nel frattempo il gatto, davvero ciccione, era sceso dal grembo della vecchia e stiracchiandosi aveva iniziato a studiarlo, per nulla intimidito.

La vecchia se ne stava sempre seduta in poltrona ed ora lo squadrava attentamente mentre gli indicava cosa fare, sempre con quel c… di bastone.

 - Dovresti tagliarti i capelli, ti vanno sugli occhi, come fai a vederci bene? Però sei proprio un bel giovanotto – borbottava nel frattempo – dovrei presentarti mia nipote –

Gli ci mancava.
Nel frattempo la sensazione di allarme era come un continuo pizzicore sulla nuca, e sapeva di dover andare, presto, subito.

 - Quanti anni hai? –

 - Diciassette…e mezzo.. – rispose distrattamente.

 - E mezzo! – ridacchiò lei - Sei proprio un mocciosetto… anche mia nipote ha la tua età, è una bella ragazza sai, ma è ancora zitella…hai la ragazza? –

Silenzio.

 - Allora? –

 - Allora? –

 - No – fu costretto a rispondere dopo un po’, innervosito, i sensi sempre più all’erta.
 
Sistemò un altro paio di maglie tra quelle scure (la vecchia voleva che tutto venisse allineato per colore) mentre tentava di concentrarsi per riuscire a recepire un’ eventuale minaccia.

 - Scommetto che hai un bel po’ di ragazze in giro, eh?! Ma prima o poi ti stancherai anche tu e vorrai sistemarti…vorrei presentarti la mia nipotina, è un fiore, davvero, e intelligentissima, ha chiesto libri di medicina per Natale…così coscienziosa! Però è sola, pensa ancora a quello là…ha ancora quella vecchia foto, e ogni tanto si intristisce…eh…non è stata mai più spensierata da allora… – la sensazione di pericolo era ora un ronzio incessante, pressante…se solo fosse riuscito a concentrarsi, ma quella continuava a parlare e per qualche motivo non riusciva a non ascoltare.
Iniziò a sudare.
Sentiva che doveva andarsene.
Il gatto gli saltò in braccio mentre se ne stava chinato per frugare ancora nella valigia e gli fece fare un salto.
Gli ci volle tutto il suo sangue freddo per non attivare lo sharingan.
Doveva andarsene di lì.
Ora.

 - Anche a Miao piaci! – che nome del… - E’ un segno, non gli piacciono gli estranei! E sicuramente fareste dei bambini molto belli…con quei begli occhioni neri lì…eh…mi ricordi proprio la gente di quel clan, gli Uchiha… - Sasuke si era sollevato di scatto, irrigidito, un’assurda ondata di panico che lo paralizzava – c’era quel bel ragazzo, ma così bello…io lo vedevo passare ogni giorno dalla finestra, e gli sorridevo, e lui a volte mi guardava…ero bellina eh!? da giovane… ma lui era di quel clan importante ed io non ero niente…però ancora lo ricordo… che brutta fine hanno fatto! Ho pianto per giorni anche se erano anni che non lo vedevo più ed ero già vedova da un po’…e ho sempre pensato che ci fosse qualcosa sotto, perché la versione ufficiale non era granché…un ragazzino che impazzisce e riesce a sterminare tutti da solo…e chi era mai? E poi c’era quel Danzo che a me non l’ha mai raccontata giusta, che ometto antipatico che era… a tanta gente non piacevano, te lo dico io, per invidia, e paura perché erano così forti…-

 - Devo andare – interruppe quel soliloquio sciogliendosi finalmente da quell’incantesimo.

 - No…aspetta…ti faccio una cioccolata calda! –

 - No grazie, non mi piace – rispose brusco afferrando il mantello.

 - Non si dice non mi piace, si dice non ho fame! E poi è impossibile che non ti piaccia – blaterò quella tentando a fatica di alzarsi.

 - Non ho tempo, devo andare – chiuse il discorso infilandosi il mantello mentre si dirigeva alla porta.

 - Almeno finisci di svuotare la valigia, la mia povera vecchia schiena non si piega più come una volta! -

In fretta tornò indietro, prese quello che era rimasto in quel c… di valigia, sempre più nervoso, e lo gettò in malo modo in cima alle altre cose prima di ritornare all’uscio.

 - Passa uno dei prossimi giorni e ti preparo una buona cioccolata, compro anche la panna… e non nascondere quel bel musetto sotto al cappuccio, o come fanno a vederti le ragazze! –
 - A presto, mi raccomando! – si accomiatò ancora mentre lui apriva quel c…di porta, ormai esasperato.

 - Beccato! – lo accolse Naruto che lo aspettava lì fuori a braccia conserte, un ghigno gigantesco, e lo stupido cappello da hokage di sghimbescio sulla testa.
Merda, lo sapeva.

 - Non puoi fermarmi – gli sibilò.

 - Oh, posso sì! -

Sasuke fece un solo passo indietro, sulle difensive, tentando di capire cosa gli conveniva fare: come un animale in trappola calcolò che l’hokage non avrebbe permesso che qualcuno si facesse male, forse poteva sfruttare quella debolezza.

In quel momento la vecchia gli si era parata di fronte ed aveva picchiato in testa Naruto con il suo bastone.
Lo diceva che era un’arma.

 - Non minacciare il mio ospite! – lo redarguì.

 - Ma nonnina, sono l’hokage! – si era messo a piagnucolare l’altro massaggiandosi il bernoccolo.

 - Me ne infischio! Kizachi! – aveva esclamato poi alla volta di un tizio con i capelli…rosa? che stava sopraggiungendo – fa qualcosa, lo vogliono arrestare! –

 - Chi? Cosa? –

 - Non voglio arrestarlo! –

 - Non raccontare frottole a me, giovanotto! –

 - Mamma, metti giù il bastone! – si intromise l’uomo.

 - Che c’è? – si era aggiunta un’altra voce femminile.

E lui avrebbe dovuto approfittare di tutto il trambusto e svanire, ma il suono di quella voce lo aveva bloccato lì sulla soglia, ed era stupido, non aveva senso sprecare quei secondi preziosi solo per vedere se lei…

 - Sakura, la nonna nascondeva in casa un crimi… -

 - Sasuke! –

Sakura lo aveva guardato un momento stupefatta prima di farsi largo a spintoni e buttarsi al suo collo, cogliendolo di sorpresa e facendolo cadere ignominiosamente a terra con lei sopra.

 - Sei tu! – esclamava in lacrime stringendolo e baciandolo un po’ dove le capitava – Naruto ti ha sentito un attimo oggi ma poi sei svanito! Era dalla fine della guerra che non ti sentiva, pensavo…temevo che…Sasuke…ti abbiamo cercato tanto…avevo tanta paura  – e poi gli aveva afferrato il volto per baciargli ancora il naso, e le guance, in lacrime – ma sei tu! Sei vivo!– e per finire gli aveva baciato le labbra, con violenza.

 - Sakura! – li aveva riscossi la vecchia – non si fanno queste cose in pubblico! –

Lui aveva sentito una puntura al collo e aveva perso conoscenza.

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Solo un appunto: non so bene quale sia la loro età, ora, nel manga, avrei voluto scrivere diciotto ma ho messo diciassette, e potrebbe essere sedici...vabbè...dettagli.
   
 
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