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Autore: Dian87    31/07/2007    0 recensioni
Cosa vi è di più normale di una ragazza che passeggia in città, persa nei proprio pensieri? Eppure qualca di innaturale vi è...
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.Nika: questo è un semplice raccontino che ho scritto tra ieri ed oggi, ma che ho visto come sogno molto tempo fa. Vorrei dire che le persone e i luoghi citati sono di mia fantasia, ma farei un torto a loro e a quello che rappresentano per me. Alcuni fatti, invece, sono completamente inventati... ma le mie idee sono le mie idee ^.^ buona lettura ^.^

La luna brillava alta nel cielo, luminosa come solo lei sa essere nella limpida notte primaverile.
Tra le silenziose vie cittadine, una figura procedeva ammantata di tristezza e solitudine. Scarpe da ginnastica nere, gonna lunga dello stesso colore, maglia a maniche lunghe completamente nera erano le cose da lei indossate, mentre aveva fluenti capelli biondi trattenuti in una cosa, occhi azzurri e una pelle così chiara da sembrare luce lunare.
Si alzò un po’ d’aria, ma quel manto di tristezza non se ne andò.
“Bora, mia cara amica, che ci faccio ancora per queste amate vie? Perché non sono partita con tutti gli altri?”
Un’auto attraversò il Corso, sfrecciando attraverso la silenziosa piazza della Borsa… ma non riconobbe le parole gridate dall’autoradio.
“Come potrei? Dopotutto è arabo… mi sembra solo ieri quando sono andata a fare la prima comunione… che sia già il loro turno? Dopotutto il cristianesimo è durato poco più di duemila anni… dopotutto… dopotutto… eppure, a pensarci bene, non è così semplice” mentre pensava i negozi del Corso sfilavano sotto ai suoi occhi, con le vetrine, che avevano sempre avuto vestiti all’ultima moda, che mostravano abiti per non suscitare l’irascibilità delle diverse realtà. “Tra un po’ dovrebbe scoppiare la guerra tra cinesi, arabi ed omosessuali… e cos’ho fatto per evitare questo? Cos’ho potuto fare? Nulla… assolutamente nulla è stato permesso agli etero come me…”
Si avvicinava a piazza Goldoni, modificata sotto il sindaco Di Piazza con una scultura il cui significato era stato perso da tempo… o forse non era nemmeno mai stato illustrato…
“Chissà… potrei andare restare: non ho più nulla da perdere, solo la speranza che le cose si sistemino… ma Antonio e Fortunato passeranno a prendermi tra pochi giorni e non voglio che rischino la vita.”
Vide delle luci in lontananza e riconobbe già da lì le musiche del gay pride, manifestazione che aveva accuratamente cercato di evitare. “Non sono altro che malati e persone che cercano di attirare fama ed attenzione… poveracci… ora che li vedo bene mi fanno solo che pena.” a pié sospinto si avvicinava velocemente alla manifestazione di omosessuali, maschi e femmine come animali in un branco di macachi. “Ormai gli esseri umani sono rari in questa città, di questa gente non uno genererà un figlio a meno che non vada contro i principi che dice di avere.”
Attraversò il gay pride non vista e senza tapparsi le orecchie, né la sua ombra riuscì a manifestarsi.
“Vogliono essere uguali agli etero… ma solo nei diritti, dicono che la loro sessualità non deve essere un mezzo di separazione dai normali, ma la manifestano costantemente… pagliacci che non siete altro…”
Continuò a camminare attraversando velocemente la galleria per dirigersi verso la via che era tra le ultime che l’avrebbero condotta a casa.
“Ormai ci sono, manca poco…” pensò con un sospiro e le ali ancora ai piedi. “e questa è la parte più dura da affrontare perché più carica di silenzio e di ricordi… come nonna bis, sepolta al cimitero di Sant’Anna da mesi… o piazzal Valmaura, luogo d’incontro per molte gite dalle elementari alle medie… e anche per andare al cinema un paio di volte al mercoledì, quando i biglietti costavano meno… ecco il Grezar, finalmente hanno finito di ricostruirlo, ci stavo sempre con Alex quando papà andava a correre… la palestra, l’ex-cinema Lumiére, tra i film che vedevo da bambina con asilo ed elementari e quando Mauri prese l’edificio per farci la palestra, ci ho passato un’intera vita… ma oramai anche questa è vuota e nella mia mente soltanto risuonano le voci e le risa degli insegnanti e dei bambini… i miei allievi ormai sono al sicuro, lontano da qui… anche se amo la mia città, spero che loro non ci tornino per molto tempo…”
I piedi continuavano a muoversi uno dietro all’altro, per dirigersi prima a piazzal De Cagni e poi in via Flavia.
“L’amore… ho amato tanto la mia città e gli animali che non ne ho avuto per il primo che è stato davvero importante per me… certo, Antonio e Fortunato mi hanno aiutato molto, ma volevo davvero esser aiutata? Volevo ricominciare daccapo come se nulla fosse mai successo?” portò la mano al petto, abbassando il capo e continuando a camminare. “Non credo, da dopo di allora, da dopo che gli scrissi “una sola parola: addio” non riuscii più a prendere sonno né mai potrò farlo ancora senza piangere qualche lacrima per quello che mi è successo… ma anche gli altri soffrono così tanto quando lasciano le persone che hanno amato? O per loro è più semplice… non sono mai riuscita ad accettare totalmente il fatto che tra me e Giuseppe fosse finita così… che per mesi non si sia fatto vivo in nessun modo neppure per sapere come stavo o se fossi viva e stessi bene… eccomi in via Flavia… oddei, ricordo ancora quando portai a casa per la prima volta il motorino… era troppo per me ed era la prima volta che guidavo un veicolo che non fosse la mia bicicletta…” sorrise amaramente, giungendo all’incrocio tra via Benussi, via Flavia e via di Vittorio… l’ultima era quella presa, proprio per andare di fronte alla chiesa, nel condominio che si ergeva ancora. “Eccomi a casa… è tutto come l’ho lasciato e mi fa piacere, anche se ormai molte cose sono cambiate…”
Entrò in casa, come aveva sempre fatto e si diresse verso la veranda, senza guardare lo scatolone sul tavolo di legno che era stato sostituito da quello precedente quando la sua famiglia se n’era andata ed un’altra ne aveva preso possesso, senza guardare neppure il fascicolo che era stato lasciato aperto, con visibili le foto di un corpo ed il referto dell’autopsia.
“La mia morte avverrà solo quando anche l’ultima scintilla di speranza avrà smesso di brillare.” pensò, prima di cominciare a cantare in triestino, con una voce eterea, ma deliziosa e melodiosa come era raramente stato prima. «Co son lontan de ti, Trieste mia, mi sento un gran dolor, un gran dolor… e più lo zerco de pararlo via, più me se ingropa el cuor. Le lagrime me scori zo pel viso e digo tra de mi e tra de mi che no ghe esisti un altro paradiso più splendido de ti…
Ogni notte cantava ed al sentire il canto tutti gli abitanti si tranquillizzavano, dormendo finalmente sogni tranquilli.
Il referto medico parlava di quella ragazza: Nicole, 20 anni, caucasica, morta in incidente stradale mentre tornava a casa, per colpa di un autista ubriaco che aveva centrato in pieno la sua Uno di colore grigio dal lato del conducente, morte istantanea.
Quello che il referto non diceva era: spirito errante che non potrà mai raggiungere la pace…

*traduzione: Quando sono lontano da te, Trieste mia, sento un grande dolore, un grande dolore… e più cerco di mandarlo via, più mi si stringe il cuore. Le lacrime mi scorrono giù per il viso e dico tra me e me che non esiste un altro paradiso più splendido di te…
  
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