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Autore: aniasolary    12/01/2013    17 recensioni
(Storia da revisionare)
Young Adult con elementi sovrannaturali e di Mistero.
In un pomeriggio assolato, le urla di una bambina oscurano il cielo; lei è un'arma, lei non potrà mai vivere, lei non può fare altro che nascondersi.
Anni dopo, un ragazzo trova la sua fotografia fra i documenti di suo padre. Un padre assente, troppo lontano da tutto e da tutti, così preso dai documenti fra cui c'è quella fotografia.
Sei appena venuto a conoscenza della presenza di un burrone. Vai a vederlo. Non ti aspetti che ci cadrai dentro.
Quella ragazza.
Quell'arma.
Quel ragazzo.
Il suo mondo.
Sogni spezzati.
L'amore difficile.
Vite in sospeso.
Amicizie distanti.
Vite rimaste indietro.
Vite in pericolo.
Buio.
Speranza.
Ed un uomo nell'ombra.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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until 4

 

4. Paura

Una settimana dopo.

 

 

Sarah è il nome che ho scritto all’interno della mano, con la penna rossa. Ci passo il dito sopra, e adesso sembra sangue, una bella ferita, anche profonda. La campanella suona ma io sono già in classe, come sempre. Quarto banco, né troppo avanti né troppo dietro. Dal lato interno, in modo che nessuno si rivolga a me per aprire o chiudere la finestra. Con lo zaino fra le gambe, per non impedire il passaggio a nessuno. Testa bassa, mani in grembo, occhi fissi a leggere il quaderno aperto davanti a me. Nemmeno una parola. Il suono della mia voce inquina l’aria, ne basta l’indispensabile.

La porta si apre. «Buongiorno.»

«Buongiorno,» rispondo. Il professor Morgan, i capelli brizzolati e l'espressione gentile, poggia la borsa sulla cattedra, mentre altri studenti si affrettano ad entrare. L’unica cosa che mi dà sollievo, adesso, è che presto nessuno penserà a me. Il vocio dei ragazzi mi mantiene ben ferma, qui sulla Terra. Ho la mente leggera, spesso la sento volare via dal corpo… forse sono più di là che di qua. Anche da piccola ero così… anche prima… prima…

«Ragazzi, silenzio… per favore,» dice il professore. Solo adesso mi guardo un po’ intorno. Nessuno lo ascolta, non prima che lui «Ma avete intenzione di continuare così per tutta la lezione? No, perché mi piacerebbe molto riempire il registro con una bella nota.»

Silenzio.

Il professor Morgan fa un colpetto di tosse. «Oggi continueremo con la realizzazione dei vostri elaborati, li valuterò alla fine del quadrimestre, come ho già detto. E controllerò che stiate lavorando diligentemente. Prima di continuare, vi informo che si è iscritto al corso di artigianato anche Martin Scott dell’ultimo anno, fra i pochi studenti che si apprestano a questa disciplina. Bene, dividetevi in gruppi. Martin, oggi puoi guardati un po’ intorno, vedere come lavorano gli altri…»

Tutti cominciano ad alzarsi, lo faccio anch'io solo quando la maggior parte si è allontanata. Mi avvicino all’armadietto, prendo il grembiule bianco, lo infilo. Mentre cammino verso il mio tavolo da lavoro, mi sistemo i capelli che sono finiti dentro il grembiule. 

Vado a sbattere contro qualcosa.

Qualcuno.

«Ciao.»

Alzo lo sguardo e perdo il respiro. Occhi verdi, capelli leggermente lunghi che gli sfiorano le guance, alto.

Stai bene? Sento ancora la sua voce rimbombarmi nella testa.

La luce del sole che filtra dalla finestra gli illumina i capelli biondi.

Riprendo a respirare. «Ciao.» La mia voce è appena accennata.

Si stringe nelle spalle, inclina la testa e riesco a scorgere quello che deve essere un sorriso sulla sua mascella pronunciata.

È il ragazzo del bus.

Quello che era anche al Cinema.

Lo sorpasso e raggiungo il mio tavolo. Mi abbasso, sotto c’è la scatola con le cose da finire, quelle per la lezione, insieme alla spago e agli strumenti di plastica e ferro. Metto la scatola sul tavolo.

«Tu sei Sarah, non è così?» È ancora lui.

Alzo lo sguardo, ora è accanto a me, con i gomiti poggiati sul bancone come a guardarmi dal basso verso l’alto.

Smettila.

«Non sei Sarah?» continua.

Annuisco, veloce. Non lo guardo. I capelli mi finiscono sugli occhi, li scosto, mi sento sudare. Sta parlando con me. Tiro fuori la creta e la carta del giornale.

Sta parlando con me.

Infilo i guanti, mentre la ragione comincia ad andare in circolo.

Bene, ora che hai visto meglio il mostro da vicino puoi andare via.

«Io sono Martin, comunque.» Mi porge la mano ed io alzo gli occhi verso di lui. 

Cosa vuoi da me? Le sue sopracciglia si inarcano, come se avesse percepito la mia domanda. Abbassa lo sguardo per un secondo, vuoi che ti faccia male, è così?

O forse no.

Forse è semplicemente un ragazzo normale. Forse non ha letto nessun articolo di giornale su di me. Forse non ha cercato il mio nome su internet. Forse le persone non sono tutte dei robot programmati a ferire e ad andare in contro circuito a causa mia.

Forse lui è solo carne e cuore e sentimenti.

Respiro. Cerco di articolare qualche parola. Sì, no, ciao... 

«Scott di cognome,» aggiunge. Mi stringe la mano. Mano aperta, poi chiusa, stretta sulle mie dita. Mi sfiora il polso con il pollice, ha le dita ruvide e fredde. Tremo, forse trema anche lui.

Ho paura. 

Ma lui sorride.

Cerco di lasciare la sua mano. Cerchiamo di farlo entrambi ma...

«Oddio… scusa.» Non so come, ma della colla liquida è sul mio guanto e ora fila fra il tessuto di plastica e le dita di Martin. Accade così, e poi mi rendo conto di aver parlato. La mia voce è venuta fuori graffiata, come se fossi un involucro di metallo. 

Ride. «No, non è niente. Ora ce la faccio, aspetta.»

La colla è densa e appiccicosa, quando butto un occhio alla scatola capisco come faccia ad essere finita qui. Il barattolo della colla si è rovesciato nella scatola, ed io mi sono infilata i guanti così velocemente, da ignorare che un po’ di liquido me li avesse sporcati. 

Sta ridendo.

Ha una risata simile ad una folata di vento calda, di quelle che non ti aspetti, che ti fanno anche sentire il ruvido dei granelli di sabbia della spiaggia.

«Sicuro che…»

«Credo che il tuo guanto si sia preso una cotta per la mia mano.» Sento ancora le sue dita. Con l’altra mano mi sfiora la pelle fra il guanto e il maglioncino. Tira il guanto e la colla si sfalda, una parte gli rimane attaccata al palmo, l’altra resta sul mio guanto di gomma. «Hai un guanto molto disinibito. Gli si è appiccicato al primo sguardo.» Sorride.

Campanelli di cristallo.

Li ho visti sul mobile del soggiorno, basta un piccolo sfioro per farli suonare insieme alle palline d’ottone.

È questo, il suono che sento.

E viene da me.

Martin si stacca la colla dal palmo, anche se avrà le mani sporche e appiccicose fin quando non se le laverà con il sapone.

Nel mio silenzio c’è qualcosa di diverso.

Ho sorriso e il mio fiato ha fatto rumore.

Mi porto le mani al viso. Non posso credere che sia successo. È una specie di modo per nascondermi, per toccarmi, per sentire, palpare le labbra e i denti.

Sto sorridendo.

«Dai, non importa, tanto adesso ti sporchi di nuovo,» riesco a dire. Faccio un respiro profondo e lui si sfrega le mani, la felpa blu gli fa sembrare gli fa gli occhi ancora più chiari.

«Giusto,» dice. Prende una palla di creta e se la rigira fra le mani. «Allora, che facciamo?»

Posso parlare. Posso farcela. «Io continuo la mia rappresentazione di frutta, tu... non lo so.»

«Non mi va di stare con le mani in mano.»

«Allora devi metterti il grembiule.»

Martin aggrotta la fronte e si guarda intorno, seguo il suo sguardo. Tutti stanno facendo qualcosa: modellano, disegnano, tagliano, incollano… tutti indossano un grembiule.

«Ma è obbligatorio?» chiede ancora.

«Direi di sì.»

Martin fa una smorfia. Fa per passarsi una mano fra i capelli e poi sembra che ci ripensi – per la colla –, abbassa il braccio e si incammina verso l’armadietto. Lo guardo. Apre le ante.

«Qualche problema, Scott? » Sento la voce del professor Morgan.

«Prof… questo grembiule è troppo piccolo, posso non metterlo?»

Sento lo sbuffo del professore. «No, Scott, mi dispiace. »

«Non è la mia taglia.»

«Ma le regole sono regole.» Martin sbuffa. Prende il grembiule dall’armadietto, lo chiude, ed io mi affretto a guardare fisso sul tavolo, mentre lui si avvicina.

«Non ridere,» mi dice, mentre si infila una manica.

«Non rido.»

Non lo so fare.

«Ti aiuto?» Incurva le labbra in quello che sembra un sorriso timido, anche se presto si trasforma in un’espressione interrogativa. «Sono una frana in tutto però...»

«E' facile, vedrai.»

Martin comincia a mettere le mani in quella pasta dura e bagnata. Io stendo la creta, prendo uno stuzzicadenti e comincio ritagliarne delle forme. Ogni tanto alzo il viso e Martin si lecca le labbra, mentre stende la creta con il palmo. Sembra concentrato. Ha gli occhi socchiusi, respira piano, e a un centimetro da lui posso sentire un odore fresco di aghi di pino, succo aspro e caffè.

Quando il professor Morgan esce dalla classe, Martin alza lo sguardo e si toglie il grembiule. Non gli dico niente. Sono troppo persa a sentirmi.

«Sarah… che ti è successo al Cinema l’altra volta? Stavi male… hai…»

Mi fermo.

Sbaglio a tagliare la forma di un ricciolo che avrebbe fatto da cestino alla mia natura morta. Lascio cadere lo stuzzicadente.

«Non mi piaceva quella scena del film.»

«Era solo una sparatoria.»

«Non sopporto il dolore.»

Non riesco a fermare le parole che mi scivolano sulla lingua e vengono fuori dalla mia bocca. Martin mi guarda. Martin, Martin che fa un passo avanti e io uno indietro, verso l’armadietto. Martin che socchiude le labbra e sospira, io tengo chiusi i polmoni.

E poi sorride.

«Sai una cosa? Io non sopporto i piselli.»

Mi sento stordita. Forse perché è tutto assurdo, forse perché sono assurda io perché… perché forse è solo un secondo ma lo sto facendo. Avevo paura di te, sai?

«Che cosa ridi?»

Avevo paura del mondo, sai? Di non riuscire a nascondere la rabbia, la tristezza, la delusione. Di mandarla fuori facendo del male alle persone, perché è questo che so fare. Io sono un mostro. Era scritto ovunque. Mostro.

Forse mi hanno dato dei sedativi o del veleno per farmi spegnere a poco a poco.

«Niente.» Ma ora è diverso. Ora sto ridendo.

Lo so perché mi avvicino di nuovo al tavolo e riprendo a ritagliare ma Martin mi spintona leggermente, con la spalla. Puoi farlo ancora. Sorride. Puoi farlo ancora. «Scusa, non volevo.» Puoi farlo ancora. Mi tocca e uno strano stridore mi si annida dove mi batte il cuore, perché la mano mi trema e so che non riuscirò a far nulla, nemmeno a respirare o a far funzionare il cervello. Si è spento improvvisamente, mentre tutto il resto è acceso.

Quando suona la campanella non riesco a muovermi. Posso sentire i passi di tutti, le scarpe da ginnastica che picchiettano sul pavimento, le ante dell’armadietto che sbattono. Martin mi guarda ed io guardo lui.

So solo una cosa.

Per un istante, la paura non c’è più.

*

*

*

*

Lettori carissimi <3 Mi scuso per l'immenso ritardo, ma davvero non ho potuto postare prima. Lo studio ultimamente sta prendendo il tempo di tutte le mie giornate, mi scuso con tutti voi. Non potete immaginare quanto mi dispiace. Non ho ancora risposto alle recensioni, spero di farlo presto ma vi dico già da qua QUANTO SIETE FANTASTICI E MERAVIGLIOSI *-* Grazie per il vostro sostegno, non saprei come fare senza di voi, grazie, grazie, grazie *-*

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nel frattempo spero di poter aggiornare presto, farò il possibile <3 <3 <3


Un bacio

Ania

   
 
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