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Autore: Amy Tennant    12/01/2013    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rose cercava di sorridere ma quel che la circondava la riempiva di amara tristezza perché aveva il senso di una fine ed ancora nessuno lo sapeva. I preparativi della festa, la casa piena di gente che sistemava le decorazioni floreali, altri che mettevano luci in giro; sua madre che stava letteralmente impazzendo per la confusione e Pete che per una volta sembrava così allegro, le ricordavano che quella forse sarebbe stata l’ultima volta che erano tutti insieme. Eppure non aveva preso neanche in considerazione per un attimo l’eventualità di non partire con lui. Non avrebbe mai potuto.
Si ripeté per l’ennesima volta che Jackie avrebbe capito. E così Pete.
Sarebbe stata con lui per sempre, glielo aveva detto molto tempo prima. Era più vero di allora. Non poteva essere diversamente. Il pensiero però le pesava addosso perché se non fossero potuti tornare indietro, avrebbe avuto per sempre parte del suo cuore, per l’ennesima volta, oltre un muro invalicabile.
Ma stavolta non sarebbe morta.
Rose prese in mano la lista che gli era stata data da sua madre ed iniziò a guardare che c’era da fare. A partire dalla cucina. Alzando gli occhi verso la porta della stanza, vide John. La guardava assorto, i grandi occhi fissi su di lei come molte altre volte; eppure ogni volta incrociarli era come la prima volta per lei. Aveva in braccio Liz che finalmente sembrava tranquilla.
Lei gli sorrise luminosa e lui la ricambiò allo stesso modo.
Non fece caso al fatto che più di qualcuno si era distratto per guardarli.
 
La donna bionda e bella era molto sciupata e questo lo notò più di qualcuno. Pete Tyler la intravide ma non poté avvicinarsi a lei, anche se avrebbe voluto. Sicuramente era venuta per John ma il congegno era in laboratorio, così gli era stato confermato. Non aveva compreso che la natura dell’interesse di lei per John fosse di un certo tipo fin quando lui non aveva avuto quel malessere in laboratorio. Gli occhi di lei, i suoi gesti, l’avevano tradita. Ormai era più che mai evidente che Catherine Lane fosse anche troppo legata a John. Era lì per lui, a prescindere dal lavoro.  Poteva essere un problema ma non sapeva fino a che punto visto che il ruolo di Catherine era parziale nella cosa, come il suo.
Quel che John gli aveva chiesto infatti, lo aveva profondamente turbato. Non sapeva di prigioni e camere di tortura.  Il Torchwood era un mistero anche per chi vi lavorava e di fatto si era tenuti al corrente della piccola parte che riguardava i propri compiti. Le incongruenze, le stranezze, erano davvero insopportabili a volte ma si potevano quasi ignorare evitando di farsi troppe domande. Pete, per un certo periodo, lo aveva fatto; ma non era più così sicuro di riuscirci. Avrebbe voluto parlare a Catherine, anche solo per un confronto, ma non era il momento giusto, visto che Jackie stava avendo l’ennesima crisi organizzativa e ora toccava a lui badare un po' alla bambina.
Liz continuava a piangere disperatamente. Solo con John era rimasta quieta, poi aveva ripreso a lamentarsi.
-          Lo ami anche tu?  – gli sussurrò esasperato – pare davvero, da come strilli se non sta con te! – in braccio a lui invece non stava calma. Pete era indispettito dalla cosa oltremodo.
Liz continuava ad urlare, senza sosta. Jackie si avvicinò a lui scuotendo il capo e con gli occhi sgranati dalla stanchezza.
-          Speriamo si calmi, non so che fare! – gemette porgendogli il ciuccio rosa.
La bambina, appena l’ebbe in bocca, lo sputò a terra. Jackie e Pete si guardarono con esausta rassegnazione.
 
Catherine conosceva la casa, vi era stata ospite varie volte e quindi fu anche salutata da qualcuno della servitù che si ricordava di lei. Ricambiò velocemente chi la riconosceva e con passo svelto, avvolta in un lungo cappotto nero e con la borsa scura stretta quasi al petto, si diresse sicura verso lo studio, che dava sul giardino. Era in ansia. Un’ansia che aveva un doppio fondo. Il suo cuore aveva accelerato, vedendo la portafinestra della stanza. In ogni caso sarebbe passata da lì e poi in salotto, visto che sulla porta d’ingresso principale si accalcava troppa gente.
Sperò di trovarlo meglio, di trovarlo in piedi. Sperò che quel che aveva fatto fosse giusto e che gli servisse.
Quando entrò lo vide. Su una poltrona, con gli occhi chiusi. Esitò un attimo che le parve lunghissimo.
Sembrava addormentato ma non lo era. Le lunghe dita delle sue mani tormentavano i braccioli tamburellando e lui sembrava concentrato in qualcosa di complicato, qualcosa di fastidioso. Le parve in quel momento un ragazzino, molto più giovane. Smise di sembrarle tale quando spalancò i suoi occhi scuri e profondi su di lei.
Per l’ennesima volta Catherine ebbe un brivido davanti a quell’abisso di tempo e al piegarsi della sua volontà davanti a lui. Se avesse voluto qualunque cosa da lei, lei avrebbe detto “sì”. E questo le faceva paura.
John si alzò subito e le venne incontro, mentre timidamente Catherine restava con la mano stretta alla maniglia della portafinestra.
-          Catherine…  – la tensione o il colore che nella sua mente aveva assunto quella voce, le fecero pizzicare gli occhi come fosse per la rincorsa del pianto. Si sforzò di controllarsi e si avvicinò a lui, che restava immobile quasi al centro della stanza.
-          John, ciao…
-          Ciao – le sorrise e lei abbassò lo sguardo d’istinto.
-          Stai meglio, vedo – lui annuì.
-          E tu, come stai?
-          Bene, John – lo disse esitante. Con un lungo sospiro nervoso, Catherine aprì la borsa scura e preso dentro l’oggetto glielo porse, ansiosa. Lui lo guardò e guardò lei stupito, poi lo prese tra le mani delicatamente iniziando ad esaminarlo – io… spero di non aver fatto errori e di non averlo rovinato…
-          È assolutamente perfetto – mormorò lui e la guardò davvero impressionato – sei riuscita a…
-          I tuoi appunti e quel che mi avevi detto. Ho trovato una logica e tutto si è come… incastrato alla perfezione. Avevo i dati e ho fatto dei calcoli. Io spero siano giusti – John mise il cilindro controluce e annuì, poi sorrise e sorrise anche Catherine.
-          Tu sei eccezionale! Sono sinceramente ammirato…
-          Tu? – rise piano Catherine.
-          Sì, io – disse in tono fermo – sei un genio.
-          Non credo sia stata l’intelligenza a guidarmi – Catherine lo guardò e i suoi occhi erano chiari come il cielo fuori dalla finestra ma lucidi – tu sapevi che avrei provato a finirlo ad ogni costo, per te – mormorò e lui la guardò con comprensione.
-          Catherine…
-          Lo so… non dirlo. Lo so – alzò appena una mano verso di lui. Ma tremava perché non lo voleva lontano.  Nei suoi occhi lei vide il dolore profondo, per il suo. Sapeva, quel vecchio gentile, che ciò che provava non era un capriccio o un sentimento superficiale. Aveva perfettamente compreso e soffriva sinceramente per lei. E questo aumentava il suo dolore perché lui era incapace anche di quell’odiosa indifferenza che gli uomini potevano avere verso una donna che non ricambiavano – adesso… assemblerai tutto qui? – disse con un filo di voce senza guardarlo. Lui continuava a fissarla immobile – John…
-          Sì. Ho finito il resto. Manca solo una cosa ma è fondamentale.
-          Che cosa?
-          Qualcosa che già esiste. Meravigliosamente perfetta  – la voce di lui ebbe un accento dolce ma allo stesso tempo terribilmente malinconico.
-          Sai già cosa fare, quindi? – lui annuì – io posso…?
-          Devo farlo da solo. A questo punto dipende da me.
-          Va bene – disse in un sussurro.
Catherine lo seguì con lo sguardo mentre poggiava il congegno sul tavolino vicino alla poltrona. Si accorse di un suo momento di indecisione e vide che si era appena sostenuto alla spalliera facendo un lungo respiro. Andò verso di lui per sostenerlo ma John si era già messo dritto.
-          Ti gira la testa…? - lui annuì.
-          Una cosa da poco, è già passato  – d’istinto Catherine tese una mano verso il suo viso e lo accarezzò.
John percepì limpidamente la tenerezza che quella donna provava verso di lui e persino il timore di toccarlo ma si chiese perché il suo cuore stesse accelerando. Quando la mano di lei scese sulla sua spalla e il braccio, appena fu sul dorso della sua, John le strinse piano le dita. Lei schiuse le labbra per la sorpresa ma nel momento dell’incanto, vicina a lui come non era mai stata, poggiò il suo corpo contro il suo. Una vampata di calore la attraversò, come avesse potuto toccare la sua pelle oltre tutto quello che li divideva. Lui restava immobile, la guardava come da una distanza infinita ma con dolcezza.
Fece per allontanarsi da lui ma John la prese tra le braccia e la strinse forte. Catherine poggiò il capo sul suo petto e non riuscì più a trattenere le lacrime. Ma le sembrava di piangere sulle fiamme perché lui era quello, per lei. Sentì la sua mano accarezzarle con delicatezza la schiena e per un momento le parve di potersi abbandonare, ma sapeva che non era vero.
Non vide che John l’aveva come ascoltata e poi chiuso gli occhi con forza, spaventato; come davanti ad un abisso.
Con un lungo respiro per farsi coraggio Catherine si sciolse dal suo abbraccio e guardandolo vide l’angoscia di lui, forse davanti alle lacrime che lei non riusciva più a trattenere.
-          Oh, mi dispiace… mi dispiace, Catherine…  – mormorò lui con gli occhi umidi. Lei scosse il capo e in un impeto di coraggio si sollevò verso il suo viso e sfiorò dolcemente le sue labbra con le sue.
Non fu un bacio ma più simile ad una carezza.
La sentì tremare e tremò anche lui. La guardò smarrito e addolorato insieme.
Catherine gli rivolse un sorriso sofferto.
Si allontanò guardandolo un ultima volta ma senza dire altro. Poi si voltò e uscì da dove era entrata.
John si avvicinò alla portafinestra e la vide attraversare il viale a testa bassa, stringendosi il cappotto scuro sul petto per darsi un minimo di conforto. Si era alzato un po’ di vento che le aveva scompigliato i capelli biondi, come quella volta…
… su quella spiaggia in Norvegia?...
Non era lei. Non lo era.
Eppure aveva il profumo di lei addosso, lo sentiva chiaramente.
Un profumo dolce, delicato, sottile. Inconfondibile. Un profumo che non poteva essere di due persone ed invece lo era.
Aveva reagito a lei d’istinto. Non del tutto e fino ad un certo punto ma il suo corpo l’aveva riconosciuta subito e sulle sue labbra era parsa lei…
…Rose. La sua Rose.
Avesse chiuso gli occhi l’avrebbe baciata. L’incongruenza di tutto era dilaniante.
Qualcosa di terribile, una cosa davvero spaventosa. Sapeva cosa significava.
Quel che avevano fatto, che stavano facendo, trascendeva i suoi peggiori sospetti ed ancora non sapeva fino a che punto si fossero spinti. Il Torchwood nascondeva delle mostruosità, ora ne era certo.
Lei non sarebbe dovuta riuscire a montare del tutto quel congegno. Le aveva chiesto di tenerlo e portarglielo, non di montarlo.
Avrebbe potuto capire fino ad un certo punto ed invece aveva completato tutto in un giorno appena.  Catherine era geniale ma quello era davvero troppo per una mente umana.
Non avrebbe voluto ingannarla ma aveva dovuto.
Chinandosi per poggiare l’oggetto sul tavolo, non gli era girata la testa ma sapeva che un attimo di debolezza l’avrebbe fatta avvicinare di più. Voleva sincerarsi del suo tremendo sospetto ma per farlo doveva poterla toccare senza farle male.  
Sentire la sua dolcezza era stato penoso per il suo cuore. L’aveva scosso profondamente.
Non avrebbe mai creduto che potessero arrivare a tanto pur di raggiungere i loro scopi.
-          Era la sua vita… – sussurrò con tristezza e rabbia insieme – la vita di una persona!  - si trattenne dall’urlare, dallo scaraventare qualcosa a terra per avere il sollievo di un brevissimo attimo ma era inutile. L’ira aveva già passato quella soglia ed ora bruciava in lui come fiamma silenziosa, fredda.
Umano non si sentiva debole;  non era più debole. Si sbagliava chi lo credeva.
Nei suoi occhi vi era un’immensa collera. Stava per abbattersi su di loro. 
Era la tempesta imminente.
  
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