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Autore: Alex e Finger    14/01/2013    2 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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ingraziò e pagò generosamente il traghettatore, come se quel gesto di altruismo potesse riscattarlo da un torto che stava facendo a se stesso. L’uomo ammiccò con l’espressione di chi ha appena visto uno zoppo gettare il bastone e scappare di corsa, ma non disse nulla e tornò sulla sua barca.

Yusuf lo guardò allontanarsi a remate lente e immaginò di essere ancora seduto davanti al traghettatore, di non aver messo piede su quella banchina e di aver gridato ancora in tempo “No, fermo! Pagherò il doppio, ma riportami indietro!”

Il dolore alle braccia per il lavoretto nella locanda di Damla gli ricordò che oltre il Corno d’Oro c’erano solo sacchi di farina da spostare e molliche da raccogliere. Quindi si voltò con convinzione, lasciò la banchina, attraversò la piazza che ospitava alcune bancarelle e poi imboccò un largo viale in salita.

Camminò per tutto il tempo con il naso all’insù, nella speranza di riconoscere un tetto o una sporgenza usata da Yalìm il giorno in cui lo aveva portato a cavalcioni sino al Covo degli Assassini. Dopo aver lasciato Bursa ed essersi stabilito di nuovo a Costantinopoli, non si era mai spinto più in là del quartiere Imperiale per paura di essere risucchiato dal dolore, finendo per visitare quella zona della città solo negli incubi: vedeva sua madre morire e poi si svegliava nel bel mezzo della notte, tremando, aggrappato alla coperta con le unghie e zuppo di sudore… Quei pensieri rievocarono nella sua mente solo immagini sconnesse e sensazioni orribili, così Yusuf li ricacciò in fondo all’anima prima che sopraggiungessero le lacrime. Ciononostante si concesse un po’ di finto smarrimento per raggiungere, riuscendo quasi a stupirsene, la casa della sua infanzia.

Riconobbe le vecchie imposte scricchiolanti della finestra del secondo piano, in quel piccolo abbaino ritagliato nel tetto della sua soffitta dove riusciva ad affacciarsi solo lui, perché un adulto ci si sarebbe incastrato per non uscirne più. Ora, pensò con una smorfia, gli sarebbe toccato lo stesso amaro destino.

Quando l’ingresso si aprì ebbe un tuffo al cuore, come quelle volte che la voce di sua madre saliva le scale fin dalla cucina, rimproverandolo perché la smettesse di infastidire i passanti…

In strada uscì una donna di mezza età dal viso color caffè che gli lanciò un’occhiata fugace prima di tornarsene in casa, come delusa, chiudendo la porta lentamente e senza rumore.

Doveva averlo scambiato per qualcun altro.

E Yusuf, per un brevissimo istante, si era illuso non di meno.
 

Le luci calde del tramonto arricchivano l’atmosfera di contrasti pittoreschi e si era già diffuso per le strade il profumo di cucinato. Aveva appena pagato al fornaio di quartiere un simit quando Yusuf si voltò a guardare il sole calante e poi il grande tetto conico, lontano, spuntare oltre quel labirinto di bassi edifici. Si accorse di essere in ritardo e cominciò a correre, masticando a grandi bocconi.

Le case, arroccate ad arte sul pendio, si erano moltiplicate negli anni fino a dare l’impressione di reggersi l’una all’altra in un equilibrio precario, tra scalette e passerelle coperte, porte e botteghe ritagliate nella pietra. Al vertice di quella fortezza urbana i genovesi avevano costruito un secolo prima il simbolo del loro dominio sulla città, un gigante di mattoni alto più di sessanta metri. La Galata Kulesi troneggiava sul distretto, visibile da ogni luogo e ancora incollata a brandelli delle vecchie mura possenti. Tutto il complesso, quando vi batteva il sole, metteva in ombra metà del quartiere.

Una folata di vento lo travolse con prepotenza e Yusuf capì di essere arrivato: si era lasciato alle spalle l’agglomerato di case e aveva raggiunto il punto più alto del distretto, dove un largo piazzale ad anello circondava la base della Torre. Superò il medico e l’ingresso del cimitero per trovare riposo e buona visibilità su una panchina contro le vecchie mura, accanto ad una bancarella di spezie. La venditrice, una piccola donna avvolta in un lungo burqa azzurro, lo fissò per un po’ e poi tornò a chiudere il sacco di kimyon che aveva tra le ginocchia.

Finito il simit Yusuf si pulì le dita sui pantaloni; poi distese le gambe e fece un respiro profondo.

Eccola, si disse, altra maledetta attesa…
 

Il sole era scomparso lasciando un vago chiarore all’orizzonte. Il medico e la venditrice di spezie avevano preso insieme la via del rientro, chiacchierando. Il silenzio nel piazzale era rotto solo dai passi di una piccola pattuglia ottomana che non fece neanche caso a lui, mentre due omuncoli uscivano e attizzavano i bracieri all’ingresso del cimitero; poi tornarono dentro e, una per una, accesero le fiaccole accanto alle tombe.

Presto avrebbe fatto completamente buio.

E freddo.

Sei in ritardo. —

Yusuf sobbalzò e guardò alla sua sinistra, dove era comparso il simpatico Assassino di quella mattina. L’imbrunire aveva addensato l’ombra del cappuccio sul suo viso, che ora vi scompariva per intero. Yusuf notò che aveva alleggerito l’equipaggiamento: al fianco portava legato solo il fodero con la lunga sciabola.

Lo aveva riconosciuto dalla voce. O meglio, dal tono di voce.

Vuoi scherzare? Sono già un paio d’ore che aspetto, — puntualizzò Yusuf contrariato. Si alzò e sgranchendosi la schiena constatò: — Mi si è anche addormentato il sedere. —

Non credevo che saresti venuto. —

Ci avrei giurato… ma questo non ti dà il diritto di arrivare quando ti pare. —

Ero qui da prima di te. —

Ma davvero? — domandò Yusuf, scettico.

Ti ho osservato. —

E da dove? —

Lui indicò la cima della Torre e Yusuf scoppiò in una risata nervosa.

Mi prendi in giro. —

L’altro scosse appena la testa.

         — E perché diavolo mi hai fatto aspettare, allora? —

Non credevo che saresti rimasto. —

Uomo di poca fede, eh? — borbottò Yusuf. — Be’, sono venuto e sono anche rimasto! Ora dovrò camminare sull’acqua? —

Seguimi. —

L’Assassino lo superò, i passi così silenziosi da dare l’impressione che piuttosto stesse levitando, e Yusuf s’incamminò dietro di lui tenendosi ad una distanza giusto sufficiente per distinguere la sua sagoma, e il perché non c’era neanche bisogno di chiederselo: quel tipo era irritante.


 

Dopo aver girato attorno alla torre, presero una strada capillare e raggiunsero un piccolo cortile. Si fermarono qui, di fronte ad una piccola basilica costruita sullo stile romanico, la cui struttura originale, massiccia e in laterizio, appariva trasandata, provata dal peso di due piani e consumata dai secoli. Il tetto a spiovente e il campanile, aggiunti più tardi, la vestivano secondo la moda italiana che si era diffusa nel quartiere con l’arrivo dei genovesi. Alla facciata era stato aggiunto nello stile locale, invece, un baldacchino di legno divorato dai rampicanti, che si aprivano come tende solo in prossimità delle finestre e dell’ingresso. Una lanterna illuminava la porta e un braciere riscaldava il cortile, dove stavano prosperando una famiglia di tulipani e due giovani palme. Nulla di più comune.

L’Assassino che lo guidava si fermò sotto la lanterna, dove nell’unico punto in ombra accanto alla porta era rimasta nascosta e immobile la sagoma di una donna. I due si dissero qualcosa a voce troppo bassa perché Yusuf potesse sentirli, ma ad un tratto l’Assassina si voltò verso di lui e lo fissò intensamente, a lungo. Dopodiché si congedò con un piccolo inchino ed entrò, scomparendo all’interno e lasciando accostata la porta.

La sua guida si voltò. Alla luce della lanterna la curva delle labbra era appena decifrabile nell’oscurità del cappuccio. — Il Maestro può riceverti. Comportati bene. —

E io che pensavo che mi avresti bendato, — commentò Yusuf divertito.

L’altro rimase in silenzio.

No, infatti: sei più il tipo che dà la botta in testa, vero? —

Entra. —

Varcò la soglia con un groppo al cuore e non mosse mezzo passo oltre, mentre l’Assassino richiudeva la porta alle loro spalle. Quando quello lo superò, Yusuf si sentì come strattonato da una corda comparsa improvvisamente ad unirli, e che gli lasciava neanche un metro di indipendenza.

Scesero due rampe di scale e poi oltrepassarono un arco a sesto acuto sull’imbocco di una passerella di tavole. Qui li accolsero le fondamenta della basilica originaria, tripartita in ampie navate scavate nella pietra sotto il livello della città attuale. Alzando lo sguardo Yusuf poté ammirare le ampie volte a crociera nel gioco modulare tipico dell’architettura romanica, che respirava come un gigante tra le colonne slanciate di granito.

Il percorso era segnalato da un lungo drappo rosso, sospeso sopra la passerella e appoggiato a travi di legno, e che ondeggiava come la coda di un dragone lungo le volte. Alle due estremità, lasciate pendere verso il basso, spifferi di correnti impercettibili cullavano un simbolo a forma triangolare ricamato in oro.

Superata la passerella si alzava un mezzopiano ampio come una piazza e bello come un palco, tra la tappezzeria e le architetture arabeggianti. Tutto il piano era avvolto da un piacevole torpore e invaso dai fumi degli incensi, che si disperdevano in una giungla di tappeti appesi alle travi delle colonne, più basse e sottili, dove giacevano con la stessa indolenza di un animale sopito. L’oscurità era attenuata dal chiarore di alcune pigre candele e il camino era spento. I cuscini e la mobilia erano distribuiti prevalentemente ai lati del grande salone, dal quale si accedeva a tre diverse stanze. C’era un silenzio innaturale e forzato in quel luogo che Yusuf aveva sempre immaginato pieno di movimento e di vita, ora deserto.

La sua guida si era allontanata e la corda invisibile che li legava costrinse con uno strattone il giovane ospite ad accelerare il passo: per raggiungere l’Assassino, Yusuf cominciò a correre…

In un istante ricordò quel luogo che era stato teatro della tragedia più grande della sua vita. I suoi occhi si riempirono di immagini e le sue orecchie fischiarono affollate da centinaia di suoni, finché l’eco dei suoi stessi passi sulla passerella non si confuse a quelli di suo padre...

I ricordi ruppero la diga nella sua mente e gli si riversarono davanti come un fiume in piena. Si rivide seduto tra quei cuscini mentre ascoltava suo padre e il Mentore scambiarsi le ultime stoccate sul destino di entrambi; il sapore amaro del caffè, le cure e il volto sfocato di una donna. Infine Yalìm, fragile che avrebbe potuto spezzarsi, cadere su quella panca con la testa tra le mani.

Da questa parte. —

Yusuf sobbalzò.

L’Assassino lo stava aspettando, immobile come una colonna, sotto l’arco che dei tre conduceva alla biblioteca. L’espressione indecifrabile per via del cappuccio ancora calato sul volto.

Non sono certo qui perché avevo un po’ di nostalgia, si disse Yusuf raggiungendolo. In vista del suo colloquio con il Gran Maestro s’impose di mettere un freno a quelle emozioni, che lo travolgevano anche adesso, mentre la sua guida si annunciava con una formula di rito e lo presentava a qualcuno oltre la soglia.

Una voce dall’interno rispose: — Grazie, lasciaci soli. —

L’Assassino fece un inchino e lasciò la biblioteca, mentre Yusuf entrava come per rubarvi: allungando la testa di qua e di là, controllò se c’era qualcuno nei paraggi che avrebbe potuto denunciare il suo misfatto. Dopodiché il bagaglio gli scivolò dalle braccia fino a terra, dove si posò con un tonfo che rimbombò nel silenzio della sala. Vide un giovane Apprendista chiudere la copertina di una raccolta persiana e un’Assassina riporre un trattato di matematica sullo scaffale; qualcuno doveva averli avvertiti in precedenza, perché appena si accorsero di lui lasciarono la stanza.

Ishak gli dava le spalle, seduto su una comoda poltrona imbottita a compilare uno spesso volume. Il gomito viaggiava senza sfiorare il piano d’appoggio, la scrittura era fluida e ordinata, il polso deciso, e due candele gli illuminavano la strada. Con la mano libera si portava alla bocca la pipa della šīša, aspirava con calma e poi liberava il fumo dal naso.

Sto aspettando, — disse d’un tratto tra una boccata e l’altra.

Yusuf sentì le orecchie arrossarsi per l’imbarazzo di essere rimasto in silenzio fino a quel momento. Quanto tempo era già trascorso? Uno? Due? Tre minuti, forse.

Ishak continuava a scrivere e fumare assieme, senza voltarsi.

Coraggio ragazzo, chiedimelo. —

Il tono tranquillo dell’uomo lo spiazzava. Yusuf balbettò qualcosa ma rinunciò in fretta.

Ishak posò la penna e si appoggiò completamente allo schienale, voltandosi a guardarlo con aria serena. Aspirò un altro po’ di tabacco e poi, dopo aver fatto un piccolo anello di fumo, disse: — Non sei qui per questo? —

Solo allora Yusuf parve capire e fu scosso da un brivido.

Non so cosa quel… merlo ombroso ti abbia detto, ma credo sia ovvio perché sono qui. —

Il Greco aggrottò la fronte pensieroso, riempiendola di tante nuove rughe che Yusuf non gli aveva mai visto. Dal loro incontro nella locanda dei mercanti di sale notò che la barba si era allungata e fatta più ispida, i baffoni ispessiti e nella chioma pettinata ordinatamente all’indietro erano comparsi già parecchi capelli bianchi. Non indossava la sfolgorante armatura della sera in cui aveva cercato di vincerlo a dadi, ma le stoffe più comuni di cui un Assassino potesse coprirsi. Non il Gran Maestro, ma uno tra i tanti.

Ah! — scoppiò l’uomo, — Parli di Amir? — Con il beccuccio del narghilè indicò l’ingresso della biblioteca alle sue spalle e Yusuf si voltò, ma fortunatamente non vide nessuno.

Sì, certo. Mi ha detto che volevi entrare nella Confraternita e che hai… insistito per chiedermelo personalmente. — Ishak rimise la pipa al suo posto e girò la poltrona, sistemandosi di fronte a lui con i gomiti poggiati sui braccioli e le mani giunte sopra al cinturone.

Ebbene, sto aspettando, — disse.

Yusuf scoppiò in una risata sommessa. — Non capisco mai un cavolo di quello che succede qui, vero? Mi sfugge sempre qualcosa. E questo uccide la mia pazienza, Ishak. Quel tipo mi ha fatto aspettare le ore per essere condotto da te. —

Amir è molto ingegnoso: voleva accertarsi che fossi motivato. —

Lo sono, ma... Amir, giusto? Si da troppe arie! E se io fossi stato una persona qualunque, dopo averlo conosciuto avrei preferito farmi monaco, piuttosto. —

Nonostante la battuta di spirito, il volto del Mentore fu attraversato da un’ombra di tristezza.

Quel ragazzo ha sofferto molto. —

Anche io! — sbottò Yusuf, di colpo, piantando gli occhi in quelli del Visir.

Ishak ingoiò le sue parole con la faccia di chi è stato colpito due volte nello stesso punto. Dopo un lungo silenzio si alzò e venne verso di lui.

Yusuf si scansò, ma non seppe dire se per rispetto della sua carica o per paura della sua persona. Immaginò Ishak afferrarlo per le orecchie come avrebbe fatto suo padre e la sola idea gli rivoltò lo stomaco dalla vergogna. Sentiva di dover chiedere perdono di tanta sfrontatezza e per le offese ingiustificate, ma non lo fece.

Contro ogni aspettativa, Ishak lo superò con la sua mole imponente e si trascinò fino alla libreria. Mentre passava in rassegna le copertine recitò: — Tu e quel merlo ombroso avete in comune più di quanto immagini. —

Ma non mi dire… — assentì Yusuf distrattamente. Lanciò un’occhiata alle pagine che il Maestro stava compilando, ma non riuscì a leggervi nulla.

È il figlio di Saad. —

Yusuf ci pensò un attimo.

Questo spiega tutto. —

Ishak tornò seduto sulla sua poltrona con un sorriso contagioso e, fissando un punto nel vuoto davanti a sé, disse: — La sola cosa che accomunava i vostri padri era il grande senso dell’onore e del sacrificio. Tutto il resto poteva marcire nella fossa più profonda assieme al corpo dell’altro. Quando Saad morì, poco tempo dopo averti fatto visita a Bursa, Amir aveva sedici anni e già una grande dedizione per l’Ordine. Suo padre non gli ha lasciato altro, mentre sua madre gli ha insegnato la difficile arte della diplomazia. —

Con me non è stato molto diplomatico, — obiettò Yusuf.

Ishak si strinse nelle spalle. — Solo perché non lo riteneva giusto per se stesso. Col tempo imparerai a conoscerlo, — gli assicurò.

Com’è morto Saad? — chiese d’istinto.

Ishak fece un respiro profondo. — Durante la missione tuo padre tentò di fasciargli una ferita, ma quella si era già infettata. Ha vissuto il tempo necessario per viaggiare fino a Bursa e vedere suo figlio un’ultima volta, qui, a Costantinopoli. —

Yusuf meditò qualche secondo. Ricordava bene di aver visto quell’uomo zoppicare, ma anche imporsi di non farlo mentre lo lasciava solo nella fucina a meditare sulle proprie scelte.

Quindi quando ho detto ad Amir chi ero…—

Ishak annuì mestamente. — Deve essergli passata davanti la vita intera, povero figlio; come sarà successo anche a te entrando in queste mura, — osservò con una punta di sarcasmo. Dopodiché, notando il moto di stizza con cui Yusuf sembrò scacciare i ricordi, si fece oscuro e parlò a voce più bassa: — Sapevo che sarebbe potuto accadere qualcosa e non mancai di avvertirlo di questo rischio. La missione per cui chiamai tuo padre era molto importante. Ciononostante lo lasciai libero di scegliere, e Yalìm scelse il bene che credeva migliore. Tu eri suo figlio, Yusuf, ma nel momento del bisogno tuo padre vedeva l’Ordine come un bambino inesperto che muove i suoi primi passi, che ogni tanto cade gattoni e deve essere rialzato. Amava la sua causa, ma non quanto amava te. Voglio che lo rammenti. —

Il ragazzo piantò lo sguardo a terra e non rispose. Sentiva gli occhi pizzicargli e lo stomaco indurirsi. Era arrivato fin lì imponendosi un certo rigore, ma adesso un’altra parola avrebbe potuto farlo scoppiare.

Ishak si protese verso di lui dalla sedia, come intuendo i suoi pensieri.

Non bisogna dimenticare, Yusuf, ma accettare il dolore, — disse. — Tuo padre questo lo sapeva bene. —

Improvvisamente un’Assassina entrò nella biblioteca, togliendosi il cappuccio e la maschera dal volto. Un attimo dopo Yusuf era avvolto nella morsa dolce delle sue braccia.

Il Maestro si lasciò cadere sullo schienale e roteò gli occhi. — Donne…—

Non era molto alta, ma allungandosi sulle punte arrivò a baciare Yusuf sulla fronte. — Per la miseria, Ishak. Potresti pur mostrare un minimo di umanità! — Quando la donna tornò a terra e lo fissò con più attenzione, Yusuf poté guardarla meglio e cercare di capire chi diavolo fosse… ma la risposta alla sua domanda non tardò ad arrivare.

Zuhre, dovresti essere di guardia alla Bayezid Camii, — la canzonò il Maestro.

Ho lasciato due dei miei. Sono venuta prima che ho potuto, — rispose lei senza distogliere lo sguardo dalla faccia del ragazzo.

Yusuf arrossì.

Ha il naso di Yalìm! — esplose lei.

Il Maestro, con un sorriso divertito, tamburellava le dita sul tavolo. — Qualcosa nel suo sguardo di estremo smarrimento mi dice che non ti ha riconosciuta. —

La donna esibì una smorfia offesa, dando al ragazzo un pugnetto sulla spalla.

Yusuf la squadrò da capo a piedi e pensò che era invecchiata, anche lei, ma erano state le sue le uniche mani che lo avevano accarezzato con dolcezza, fino a farlo addormentare, la notte della tragedia. Quando il ragazzo cominciò a brillare della luce di chi sta rivivendo un ricordo felice, nessuno non poté non accorgersene.

Zuhre si gettò ad abbracciarlo di nuovo e questa volta Yusuf ricambiò, riuscendo ad avvolgerla pur sommersa dall’equipaggiamento. Oltre la spalla della donna, il ragazzo scambiò un’occhiata d’intesa con il Maestro, che si alzò e scomparve dietro la libreria, lasciando aperto sul tavolo il registro giornaliero.


 

Jumâda Al-Awwal 892,

Salı 21

Inviate le lettere a Damasco e Atene.

Incontro con il mercante Kamuran Izer al Gran Bazar.

Incontro con lo scriba imperiale al Topkapi.

                                    Entrate: 1245 Akçe

Spese: 440 Akçe

Annotazioni varie: arruolamento del Novizio Yusuf da Istanbul

  
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