I
can’t pretend
to
know how you feel,
But
know that I’m here,
know
that I’m real.
Reach
form my hand
‘cause
it’s held out for you
My
shoulders are small
but
you can cry on them too.
-More than a band-
Ormai erano due
settimane che facevo la strada per la scuola con Niall, due settimane che
passavo tutti i pomeriggi con Emily, due settimane che a scuola pranzavo con i
miei nuovi amici, due settimane che ero tornata a vivere, qualora avessi mai
iniziato.
Il mio presente si
stava presentando limpido e felice, e ora dovevo pensare solo a quello. Niente
sguardi al passato e niente pensieri al futuro.
«Giorno bellezza! Sei
stata a zappare la terra so hai fatto Party Hard tutta la notte?» mi disse Zayn
notando la mia espressione da indemoniata stampata in viso.
«Party Hard zappando
la terra. Emozionante.» risposi sarcastica.
«No, seriamente.
Sembra che ti sia passato un camion sopra.»
«Peggio. Stanotte non ho chiuso occhio, ho guardato tre film, mangiato
due pacchi di popcorn e pulito tutta la cucina. Potrei addormentarmi in
qualsiasi istante.»
«So io quello che ti serve.» mi disse Zayn. Nel corso della settimana,
insieme ai suoi amici, si era rivelato non tanto sano di mente, quindi
probabilmente avrei dovuto avere paura. Sparì dalla mia vista nel giro di due
secondi e visto che non avevo nemmeno la forza di sforzare la mia mente a
pensare cosa stesse facendo, lasciai perdere. Poco dopo, mentre stavo
pacificamente sistemando i libri nell’armadietto, sentii qualcuno che con la
mano mi stava letteralmente martellando la schiena.
«Ti stavo quasi dando per dispers… Zaaaaaaayn!» gli urlai trovandomi
fradicia dalla testa ai piedi.
«Sveglia ora?» mi disse con un sorriso da ebete in volto.
«Ma dovevi per forza tirarmi la bottiglia d’acqua in faccia?»
«No, ma era d’effetto.»
«Fottiti bastardo.»
Mi si avvicinò all’orecchio e mi sussurrò: «Ci stanno guardando tutti.
Fai la brava…»
Se la rideva, il moro.
«Se tu non mi aiuti a evadere da qui prima che mi veda qualche
insegnante o, peggio, il preside, te ne pentirai.» gli dissi cercando di essere
seria, purtroppo senza avere successo.
Così mi prese a mo’ di sacco di patate e iniziò a camminare verso
l’uscita della scuola, come se quello che stava facendo fosse del tutto
normale. Intanto io mi dimenavo, ma le risate erano più forti di me. Arrivati
fuori dal cortile mi mise giù.
«Ma ti rendi conto che se ci vedeva qualcuno eravamo finiti?»
«Ci hanno visti?»
«No.»
«Problema risolto.»
«Sei impossibile, Malik.» sospirai lasciandomi andare alle risate, alle
quali si unì anche lui subito dopo. «Adesso cosa avresti intenzione di fare?»
Si tolse la sua giacca varsity e me la mise sulle spalle. «Prima di
tutto coprirti o ti prenderai una broncopolmonite. –io gli sorrisi– E poi
andare a casa a prendere qualche vestito pulito.»
«Zayn, casa mia dista più di mezz’ora da qui, e per il prossimo pullman
dobbiamo aspettare almeno venti minuti, se ci va bene.» gli feci notare ovvia.
«Ok, allora andiamo a casa mia che è più vicina.»
«Devo fare una doccia, asciugare i capelli e indossare vestiti
possibilmente femminili.»
«Ma mi vedi come uno scimmione degradato che nemmeno si lava? Guarda che
una doccia ce l’ho pure io, e per i vestiti ne prenderemo alcuni in prestito da
mia sorella…»
Lo guardai insicura, così mi disse: «Allora, cammini con le tue gambe o
dobbiamo fare il secondo round?»
«Mmh, direi che il secondo round non mi dispiacerebbe…» scherzai. Ma lui
mi prese sul serio e mi sollevò da terra, adagiandomi tra le sue braccia.
«Idiota, scherzavo!»
«Io non scherzo mai invece, sai?» disse sorridendo.
Così mi godetti il viaggio tra le sue braccia muscolose. Poggiai le mani
sui suoi pettorali che sembravano quasi scolpiti, aveva un fisico da urlo.
«Sai, secondo me non ti nutri a sufficienza.» mi disse scherzando.
Io risi, un po’imbarazzata. «In che senso?»
«Nel senso che anche il mio gatto pesa più di te.»
«Diciamo che le opzioni per il cibo sono sempre state due: o mi cucino
qualcosa sola o vado a prendere qualcosa al fast food. Ma visto che non è molto
salutare, cucino da sola nutrendomi solo di minestrone e pasta al pomodoro.»
Ma mi resi troppo tardi che con quella frase avevo dato troppe
informazioni.
«E tua madre?» mi chiese infatti.
Cosa avrei dovuto rispondergli adesso?
Cercai di mantenermi calma, di non dare spazio alle emozioni, di non
ansimare come ogni volta, ma inevitabilmente una lacrima silenziosa mi rigò la
guancia. E a quella se ne aggiunsero delle altre che cercai di asciugare in
fretta, ma ormai era troppo tardi. Nonostante fossero passati dieci anni, la
morte di mia madre era sempre qualcosa di orribile per me, e parlarne non era
facile. Oltre a questo poi si aggiungeva il fatto che fu proprio da quel
momento che mio padre cominciò a picchiarmi, che la mia vita si riempì di odio,
di paura.
Così mi posò su una panchina del viale che stavamo percorrendo e mi
prese il viso tra le sue mani calde, costringendomi a guardarlo negli occhi.
Per qualche istante cercai di resistere, infondo io ero sempre stata
quel tipo di ragazza che per ore si chiudeva in camera, in bagno a piangere, si
asciugava le lacrime e usciva come se non fosse successo niente, fingendo un
sorriso che per l’abitudine era anche diventato credibile. Ma poi, esausta, lo
abbracciai con tutte le mie forze e mi lasciai andare alle lacrime. Mi fece
sentire subito meglio. Era la prima volta che se stavo male sentivo qualcuno
accanto a me, qualcuno in cui rifugiarmi che non fosse il mio cuscino. Lasciai
tutte le emozioni scivolare fuori, e il mio petto si liberò da quel peso
terribile. Quell’abbraccio, anche se muto, era pieno di conforto, affetto,
amicizia.
«Ehi piccola. Cosa succede?» mi chiese con una voce vellutata, tornando
a guardarmi negli occhi.
«Credo che ormai mentire non serva più…»
«Ti prego, non ci sto capendo niente. Ti puoi fidare di me, e lo sai.»
«È proprio questo il punto. Io per anni non mi sono fidata di nessuno,
non ho potuto farlo; la vita è stata una merda con me, e non credevo si potesse
rinascere così. E in effetti non so ancora se crederci. Mia madre è morta
quando avevo sette anni e da lì è cominciato l’inferno.» dissi di getto, tutto
d’un fiato.
Lui non disse una parola, mi guardò solamente. Forse non sapeva cosa
dire, o forse aspettava solo che continuassi a raccontare.
«Dopo la morte di mia madre mio padre iniziò a trattarmi male. Iniziò a
picchiarmi e a considerarmi la sua schiava e…»
Ripartirono le lacrime e lui mi accolse di nuovo tra le sue braccia.
«E sei qui per questo quindi? Se qui da sola?» mi chiese.
«Si, sono scappata, non ce la facevo più…»
«Sicura di avermi detto tutto?»
«No. Da qualche anno era fidanzata con Jake. All’inizio era il ragazzo
perfetto sai? Poi è diventato arrogante e violento. Abusava di me, e se cercavo
di rifiutarmi le prendevo pure… ha rubato la mia verginità senza che io lo
volessi, mi ha distrutta. Poco tempo fa è morta mia nonna, l’unica persona a
volermi bene, e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso…»
confessai con la voce rotta dal pianto, mentre stringevo la mano che era
intrecciata alla sua. Lui mi guardava con gli occhi pieni di tristezza, come se
fossi un cane bastonato. O forse lo ero.
«Ma ora non devi più pensarci, ora sei qui a Londra, a ricominciare una
nuova vita. E stai sicura che noi non ti abbandoneremo, io non ti abbandonerò.
Ti puoi fidare, so che ora è difficile come non mai, ma fallo. Ti scongiuro.»
Sembrava che anche lui stesse per piangere, per crollare. Per la prima
volta in vita mia sentii delle parole simili.
«Ti posso fare solo una domanda? –mi chiese con un tono un po’insicuro–
Perché non l’hai detto subito? Perché hai mentito?»
«Perché non volevo farvi pena. Volevo cominciare da zero, ma se vi
avessi raccontato la mia vera storia sarei partita… avvantaggiata.»
Mi prese per mano e mi fece cenno di alzarmi.
«Andiamo adesso. Andiamo a casa mia a sistemarti, oggi niente scuola.
Oggi ci divertiamo.» esclamò cercando di mostrarsi allegro, facendo
inevitabilmente spuntare un sorriso sul mio volto.
“Li metto sul cesto” aveva detto, ma io dei vestiti non vedevo neanche
l’ombra.
«Zaaaaayn!» urlai dal piano di sopra, sperando che mi sentisse. Dopo
ripetuti e invani richiami, mi misi l’asciugamano addosso e scesi di sotto
fermandomi sulle scale.
«Zayn, i vestiti.» dissi.
Lui quasi saltò da sul divano dallo spavento, non avendomi sentita
arrivare.
Mi guardò spaesato, con un’espressione strana.
«Se la broncopolmonite non me la sono presa fino adesso, me la prenderò
ora se mi lasci qui a crepare dal freddo.» dissi cercando di togliergli quell’espressione
imbambolata da sul viso.
Si, lo so. Sono un po’ acida. Giusto un pochino.
«Si scusa, me li sono dimenticati. Comunque… credo di aver fatto proprio
bene a non metterli in bagno sai…» mi disse mordendosi il labbro inferiore.
«Smettila idiota» sorrisi mandandolo delicatamente a quel paese.
«Comunque sono sul letto in camera di mia sorella, terza porta del
corridoio sulla destra.»
«Ok, faccio in un attimo.»
Seguii le sue indicazioni, cercando di non perdermi in quell’enorme casa
di cui lo stanzino era il doppio del mio appartamento. Entrai quindi nella
camera della sorella, Waliyha. Più che camera io la definirei “paradiso
terrestre”. Non ve la sto qui a descrivere, voi immaginatevela come meglio
potete, poi raddoppiate le dimensioni e la bellezza. Ecco a voi la camera di
Waliyha Malik. Presi i vestiti (firmati, precisiamo) da sul letto matrimoniale,
li indossai e tornai da Zayn.
Andammo in centro per passeggiare e prendere una cioccolata, la
soluzione migliore per riscaldarsi in quella gelida mattinata di fine gennaio.
«Però che eri ricco non me l’avevi detto…» gli feci notare mentre
camminavamo senza una vera meta.
«Secondo me non è importante. Come tu non vuoi che qualcuno sia tuo
amico solo perché gli fai pena, io non voglio che qualcuno sia mio amico solo
per i soldi, le belle feste e compagnia bella. E poi i soldi non sono tutto,
vivrei benissimo anche se mio padre non fosse un imprenditore di successo. Non credo
di comportarmi come un ricco snob viziato…»
«Non lo sei.» lo interruppi.
Forse era dovuto proprio a questo il fatto che fosse riuscito a capirmi
così bene. Il fatto che nessuno dei due voleva essere visto per quello che gli
altri avevano fatto di lui, ma per quello che era.
Passammo quasi tutto il giorno fuori, e quando tornammo a casa il buio
aveva ormai preso il sopravvento sull’azzurro di poco prima. Non fu una
giornata normale. Per voi può essere niente di speciale passare una giornata
con un tuo amico, ma per me già il fatto di avercelo un amico era qualcosa di
fantastico, mai provato prima.
Era stata davvero una bella giornata, e nonostante le numerose sfide e
difficoltà che sicuramente ci sarebbero state in futuro, l’inizio del mio
cammino si prospettava molto meglio di quanto avessi potuto mai immaginare.
SPAZIO AUTRICE:
Ehi bella gente, Ila è qui presente! (?)
Prima di tutto scusatemi per la grafica
dello scorso capitolo, era orribile, lo so. Ho cercato di informarmi meglio su
come funziona l’html, ma di solito ci metto anni prima di capire una cosa
quindi incrociamo le dita e pregate il Signore per me. No dai, spero che questo
capitolo sia uscito bene invece.
Oltre a questo, ecco qui il terzo
capitolo, spero che vi piaccia.
Cominciamo già a vedere un affiatamento
tra Zayn e Amy, e finalmente lei si è riuscita ad aprire con qualcuno. Questa
volta gli altri personaggi non sono comparsi per niente, perché volevo incentrare
la vicenda su “Zamy”, ma nei capitoli seguenti ovviamente ci saranno, e li
conosceremo meglio.
Niente, credo di scrivere dei capitoli
abbastanza lunghi e di aggiornare abbastanza spesso, poi se volete lasciatemi
una recensione per darmi qualche dritta in modo da poter migliorare, oppure
semplicemente per dirmi cosa ne pensate della storia. Più vedo che siete
interessate, più ho voglia di scrivere, quindi… fatevi sentireee!
Un bacio,
Ila.