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Autore: Noth    16/01/2013    10 recensioni
Sette audiocassette contenenti le tredici ragioni per le quali Blaine Anderson si è suicidato. E queste cassette stanno facendo il giro delle tredici persone colpevoli di aver distrutto la vita di Blaine. Quando arrivano a Kurt, però, lui non sa cosa aspettarsi e non capisce cosa possa c'entrare. Eppure è in una di quelle cassette, e prima o poi verrà il suo turno. Ascoltandole, Kurt comincerà un viaggio che lo porterà ad una nuova consapevolezza, ad una scoperta di emozioni e sentimenti che aveva dato per scontate e che, invece, non avrebbe dovuto.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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13 Reasons Why
Cassetta D Lato 7.









Mi sembrava impossibile poter continuare la scoperta alla quale portavano quelle maledette cassette, era la millesima volta che lo pensavo e, più avanzavo, più mi chiedevo in quale fossi io. Finn tamburellava nervosamente le mani sul volante ed io, non trovando le parole e non riuscendo a tirarle fuori dalla gola, estrassi la cassetta con le mani tremanti ed inserii la seguente, rischiando di non riuscire ad incastrarla nel meccanismo.
Non riuscii però a premere play nonostante, allo stesso tempo, non fossi in grado di sopportare il silenzio.

« Andando avanti va peggio o meglio? » domandai, mente un brivido mi percorreva la schiena e mi faceva tremare fino alle gambe. Finn arricciò le labbra ed il naso.

« Non credo che saperlo ti farebbe differenza. » rispose, e decisi che non era poi così interessante parlargli. E poi chiedere informazioni agli altri non mi pareva poi così giusto. Quindi trattenni il fiato, chiusi gli occhi e premetti quel maledetto tasto.

Play.

Siamo già qua, wow, mi sembra di non aver fatto altro che parlare. Non è poi così eccitante come pensavo e, che ci crediate o no, non mi sto divertendo. Lasciate un attimo che dia un’occhiata a chi tocca ora. Una pausa ed il solito lamentoso fruscio. Ehi, siamo a metà, questa cosa finirà ben prima del previsto. Tocca a… oh. Quella nota fu come una caduta libera, ed il cuore mi affondò nelle costole. Credo sia il tuo turno, Cooper.

Cooper? Chi era? Non c’era nessuno che conoscessi, a scuola, con quel nome. O forse non lo avevo mai sentito.

 Te l’aspettavi, fratellone? Forse no, non so nemmeno se, nel tuo stato, ti renderai conto che sto parlando con te. Spero di sì, magari faccio ancora in tempo a salvare te.

Dalla mia espressione doveva probabilmente capirsi tutto, perché Finn fece un sorriso di circostanza. Non sapevo nemmeno avesse un fratello, ma forse ricevere un duro colpo da lui era stata una delle cose peggiori e, per la millesima volta in quella serata, mi domandai se davvero volessi sapere.

Sono Blaine, Cooper, nel caso non lo avessi capito dalle cassette precedenti che so per certo non avrai ascoltato. Sì, ovvio che so bene che avrai cercato tutto il tempo la tua. Non sono sicuro di essere abbastanza importante da valere parte del tuo tempo. Questa volta potresti ascoltarmi, credo. Come stai? Spero meglio dell’ultima volta che mi sei venuto a trovare. Spero davvero. Se le cose vanno peggio ho comunque la sensazione che ci rivedremo presto, non credi anche tu? Hai spesso di rubare? Di vendere e compare roba? Di scappare da gente alla quale devi dei soldi e vederti per averne? Te ne sei rimasto nel paese dove abitavamo prima di trasferirci a Lima – piccola informazione di servizio – quindi ho sempre sentito la tua mancanza. Ma pensavo fossi diventato un grand’uomo nel frattempo, una persona alla quale ispirarsi che un giorno, non lo so, mi avrebbe portato via. Eppure, di quel passo, sarei stato io a dover portare via te. Sognavo spesso di venire a trovarti, o che fossi tu a passare per casa nostra a raccontarmi della tua splendida vita, però gli anni passavano e tu non… sembravi voler venire. Forse ti eri dimenticato, ma non ci si dimentica la famiglia. Semplicemente non volevi che ti vedessimo, credo. O forse non ti rendevi conto del tuo stato, dei soldi che sperperavi e di come ti stessi riducendo. Sei passato per di qua qualche mese fa, e pensai di toccare il cielo con un dito quando ti vidi. Poi mi resi conto delle tue occhiaie e del rossore dei tuoi occhi e capii che qualcosa non andava. Sentivo già il futuro che mi ero costruito con te, lontano, vacillare.

«Ehi, Blainey. » dicesti con voce stanca. Cercavi di apparire giocoso come una volta ma, per quanto potessi ricordarmi il fratello che eri stato, ne eri una versione sbiadita ed insoddisfacente.

« Coop? » mormorai.

« Proprio io, fratellino. » dicesti, e mi abbracciasti, ma avevi un odore strano. Non sapevo bene cosa, era come polvere dolciastra.

« Chiama mamma e papà, staro qui per qualche giorno. » dichiarasti, e ricordo che l’idea mi rese così felice che avrei potuto morire. Eri a casa, eri tu, ed avevo qualche giorno da passare con te.

Eri tornato a prendermi.

« Non li hai avvisati? » domandai, e tu scrollasti le spalle.

« Sorpresa? » azzardasti sorridendo e, per la prima volta da tanto tempo, anche il mio viso si tese in una smorfia felice.

Ero felice, ero tanto felice, dovevo ammetterlo. Ma tutto questo non sarebbe durato. Perché non poteva esserci qualcosa, una sola dannata cosa bella nella mia vita? Prendetelo pure come un pensiero esagerato, se volete, ma credete davvero che una persona triste e soprattutto sola riesca ad essere razionale? No, ogni piccola cosa è la fine del suo mondo egocentrico ed egoistico. Il mio piccolo pianeta era già andato in pezzi così tante volte che credevo prima o poi non sarei più nemmeno riuscito a contare i cocci. E non ne avevo più neanche tanta voglia. Per chi lo facevo a fare? Me? Nah. I miei? Forse.

Respirai profondamente, ma mi si chiuse la gola mentre fuori cominciava a piovere.

Quando ti presentasti a mamma e papà, quella domenica, loro ti abbracciarono e mamma, per la prima volta, si mise a cucinare qualcosa di genuino e non surgelato per via della fretta. Sembrava il pranzo di Natale, ma c’era qualcosa di marcio.

Quella notte venni in camera tua, come quando eravamo piccoli ma, diversamente da quelle volte, tu non stavi dormendo. E forse mi hai sempre creduto un idiota, Cooper, non lo so, ma pensavi davvero che non me ne sarei accorto? Che, oltretutto, fossi lo stesso ragazzino di un tempo? Oh, se solo avessi saputo cosa mi era successo nel frattempo…

Mi parve, per la prima volta da quando ascoltavo quelle cassette, di percepire la sua voce rompersi. Quanto doveva fare male sentirsi abbandonati dal proprio fratello? Ma forse non si trattava di questo.

Quando entrai eri seduto accanto al letto, in modo che dalla porta non ti si potesse vedere, ma forse – preso com’eri dalla tua roba – non ti eri accorto di non avere chiuso a chiave. Eri bianco cadaverico, respiravi a rantoli e, non appena ti voltasti a guardarmi, vidi la siringa infilzata nell’incavo del tuo gomito. Ti stavi iniettando qualcosa, e non ero così stupido da non capire che stavi avendo una crisi d’astinenza.

« Blaine… » dicesti, ed io rimasi dalla porta con gli occhi sbarrati. Probabilmente non ti ricordavi nemmeno più del mio rito di venire da te.

« Io non… » diventasti verde. « non sto molto bene e mamma mi ha dato una medicina da prendere via endovena e… »

Mi chiusi la porta alle spalle. Mi voltai e mi ricordo molto, molto bene che facevo fatica a trovare le parole da dirti.
« Cooper rispondi a una domanda, sii sincero. » ti dissi, e tu annuisti. « Credi… credi davvero che sia così… stupido? Non ho più sette anni, nel caso te lo stessi chiedendo e… pensi che non sappia cosa stai facendo? » domandai, le braccia mi tremavano per la rabbia. Mi sentivo così bollente dentro che temetti che, se non avessi parlato, sarei imploso e sarei morto.

Perché che tutti mi credessero un fesso andava bene, ma non tu.

« Io non sto facendo niente, Blaine. Che stai dicendo? » balbettasti, la bocca impastata. Strinsi i pugni e la mascella per non urlare.

« Cooper… ti prego smettila. » sussurrai, cercando di restare calmo, ma era come se il mondo che avevo sostenuto fino ad allora fosse improvvisamente diventato infinitamente pesante e sentivo tutte le ossa del mio corpo spezzarsi ed il mio cuore rimanerne schiacciato.

« Davvero, non capisco a cosa… »

La miccia si accese.

« Cazzo, Cooper, lo so cosa vuol dire quella faccia, quegli occhi, quella cazzo di siringa e la tua stupida parlata! Fanno anche delle… conferenze a scuola a riguardo! Ti stai iniettando qualche droga nel sangue, Dio! » cercai di trattenermi dal gridare e per quello probabilmente ero rosso come il sangue. Mi sentivo ribollire.

Tu non rispondesti, ma alzasti le mani in segno di resa.

« Quando… quando è cominciata? Perché sei in astinenza se sei qua da… mezza giornata? » respirai un paio di volte. « Cosa è successo a mio fratello? » domandai, con il cuore a pezzi ed un sasso dritto in mezzo al petto.

« La vita. » rispondesti, e facesti per alzarti ma era come se avessi le braccia molli.

« Cosa? »

« Mi è successa la vita, Blaine, e nessuno sa perché succede. » dicesti, e mi parve quasi che fossi sul punto di vomitare. Era come trovarsi di fronte a un incubo e non riuscivo a trovare le parole per rispondere, così tu continuasti.

« Quando ve ne siete andati ero così felice di poter stare con lo zio qualche anno e cominciare la mia vita indipendente. Avevo sempre sognato di diventare un attore, così appena finii la scuola mi buttai di audizione in audizione così, alla rinfusa, finchè non fui preso in un paio di spot pubblicitari locali che mi introdussero nell’ambiente. Non in quello del cinema, ma in quello dei locali alti. I miei guadagni non erano male, così potevo permettermi una donna diversa quasi ogni sera e mi convinsero prima a prendere ogni tanto qualcosa di leggero, però non so come successe – giuro non lo so – alla fine quelle non bastarono più e mi trovai invischiato in giri che non avrei mai pensato. »

Poggiasti la siringa, non ancora svuotata, sopra al comodino dove tenevi una garza sterile non so più quanto sterile. Tremavi e la tua
astinenza era probabilmente più acuta di quanto avessi creduto.


« E così eccomi a non avere più tempo per fare audizioni, sempre a caccia di roba, anche di bassa qualità, e a dovere più soldi di quanti ne avrei mai potuti guadagnare alla gente sbagliata. Passai da un bell’appartamento ad uno stanzino, finchè un paio di giorni fa il proprietario mi ha sbattuto fuori e, con gli ultimi soldi rimasti, ho comprato un po’ di roba, solo quanto basta e ovviamente mezza a credito, e ho fatto autostop fino qui. Non sapevo dove andare. » dicesti, ed il tuo tremore andava aumentando così, malgrado tutto, mi avvicinai.

« Perché non hai smesso finchè eri in tempo? » domandai, trattenendo le lacrime di rabbia e tristezza che mi salivano guardandoti.

« Non… non lo so? » esalasti, serrando gli occhi di colpo. Ti afferrai una mano istintivamente.

« Puoi smettere adesso? » ti chiesi e, solo per qualche secondo, riuscisti ad aprire di nuovo le palpebre ed esalare, con occhi tristi, un flebile: « No. »

Mi misi a piangere un po’ per tutto. Per cos’era successo, per te, per i tuoi sogni, per me e per i miei. Tirai su col naso mentre la tua mascella si irrigidiva al punto da chiedermi quanto dovesse farti male l’astinenza. Il tuo colorito andava peggiorando e di lì a qualche minuto avresti vomitato. Non potevo permettere a mamma di svegliarsi e trovarti così. Per questo presi la siringa dal comodino.

« No. » fiatasti. « Dammi, faccio io, non voglio che impari come si fa. » dicesti, e te la cedetti. « Inoltre è rischioso che lo faccia tu. »

Dovetti mordermi due volte le guance per non singhiozzare mentre ti mettesti il laccio emostatico e mancasti due volte la vena per colpa del tremore alle mani ed, infine, ti premetti la dose nel sangue. Era come assistere a un suicidio e ad un omicidio contemporaneamente, mi sentivo come se fossi io quello che stava per vomitare.

Aspettai che andasse un po’ meglio e che smettessi di tremare.

« Cos’hai detto a mamma e papà? » domandai, seduto a gambe incrociate accanto al tuo letto che profumava di pulito. Un pulito quasi strano.

« Ferie. » rispondesti, dopo un po’. « Ma gliene parlerò domani, eri tu che non volevo sapessi, loro… ho bisogno che mi prestino dei soldi per saldare i debiti perché non so cosa fare. » ammettesti.

Mi sentii usato, o meglio, mi sentii così per i miei, perché non eri mai venuto a trovarci prima ed era troppo strano che, improvvisamente, volessi vederci. Chiedesti soldi anche a me, e te li diedi. Il resto della storia è tutto un gridare e piangere di mio padre e mia madre una delle poche volte che erano a casa e questo, lo so, non interessa a nessuno.

Stop.

Smontai dalla macchina e mi sedetti sul marciapiede sotto la pioggia. Mi ficcai la testa tra le mani e lasciai che lacrime di rabbia mi rigassero il volto. Finn non intervenne. Avevo sempre pensato che il mondo fosse ingiusto, ma non avevo mai riflettuto su quanto lo fosse con le persone che non lo meritavano affatto. Di sicuro Blaine non era stato un santo, ma era stato indifeso ed attaccato tutta la sua vita. Era come se essa amasse prendersela con i cuccioli sbattuti nello scatolone ed abbandonati piuttosto che con quelli ben nutriti, con un tetto sulla testa e dei padroni che gli volevano bene.

Era come se Blaine avesse avuto un cartello con scritto “adottatemi” sul davanti e, invece, la gente lo avesse alternatamente ignorato e preso a calci.

Mi venne naturale pensare a quella volta che ci eravamo incontrati al parco. Quella volte che era disteso sulla panchina che pensavo di conoscere praticamente solo io, a qualche isolato da casa mia, ma all’epoca non sapevo abitassimo vicini. Andavo a studiare lì a volte, se avevo tempo, perché casa era spesso occupata da Finn e Rachel o Finn e Quinn o i ragazzi del football con i quali non avevo poi così tante cose in comune. Quel giorno era stato strano vederlo disteso su quella panchina, una gamba piegata e un braccio che gli copriva gli occhi. All’inizio non l’avevo nemmeno riconosciuto. Mi ero avvicinato e lui mi aveva sentito, così aveva sollevato il braccio dalle palpebre, mi aveva visto e si era alzato a sedere con aria mortificata.

« Non ti preoccupare, posso trovare un’altra panchina. » gli dissi, scuotendo la testa, ed era dopo la festa, però sapevo che probabilmente non si ricordava della nostra chiacchierata.

« No, non ho bisogno di tutto questo spazio. » disse. « Se ti va puoi restare, Kurt. »

Quando pronunciò il mio nome il cuore mi salì in gola e pulsò nelle tempie. Sapeva chi ero, per me era già abbastanza così. Era assurdo che mi stessi stupendo, poteva tranquillamente saperlo.

Comunque speravo che me lo chiedesse, avevo sempre voluto provare a passare del tempo con lui. Non sapevo nemmeno bene perché, forse avevo semplicemente la sindrome della crocerossina.

« Se per te è okay. » dissi, sedendomi accanto a lui e stringendomi i libri al petto. Lui si passò due dita sugli occhi stanchi.

« Studi? » domandò, sospirando e spalancando quegli enormi occhi tristi che mi smuovevano qualcosa dentro. Perché era sempre così maledettamente infelice? Avrei dovuto saperlo, dovevo capirlo.

« Francese mi sta dando del filo da torcere. » ammisi, e lui rise quasi in obbligo. Rise in maniera pesante. Il mio animo gentile, o forse la mia curiosità, ebbe la meglio.

« Blaine… » mormorai, e lui si voltò verso di me. « Tutto bene? »

« Uh? » lui assunse un’aria confusa.

« Non so, sembri triste. D’altra parte non sono affari miei, me lo chiedevo e basta. »

« Te lo chiedevi e basta? »

Rispondeva alle domande con domande. Pessimo segno.

« Mh. »

Mi squadrò a lungo.

« Per un qualche nuovo pettegolezzo? » chiese, ed io scoppiai a ridere.

« Lo chiedi a tutti quelli che ti domandano se va tutto bene? » domandai, curioso.

Lui non rise.

« Di solito non lo chiedono. » rispose semplicemente. Mi si bloccò la risata in gola davanti alla semplicità della sua risposta. Non era arrogante, non era un’accusa, era un dato di fatto.

« Posso chiedertelo? » domandai.

Lui guardò per terra.

« Se vuoi, ma non so cosa risponderti. » ammise. « Credo vada tutto bene. » disse dopo un po’, voltandosi verso di me e abbozzando una smorfia indecifrabile.

« Bene, meglio così. » avevo risposto, perché non mi sentivo abbastanza in confidenza da insistere. « Comunque sai, i problemi a quest’età sembrano assurdamente enormi, non trovi anche tu? Poi li guardi qualche anno dopo e non era affatto così. » dissi.

Lui si alzò in piedi e si stiracchiò.

« Non credo che funzioni proprio così, il cervello umano, dico. » commentò, poi si voltò verso di me. « Devo tornare a studiare, ora, ma grazie comunque per esserti interessato, non capita spesso. » sorrise. Era ancora un sorriso strano.

« Quando vuoi. » risposi, alzando le spalle e tornando al mio libro.

Lui si avviò.

« Ci conto. » disse, ed alzai lo sguardo per vedere che si stava allontanando. Osservai la sua schiena finchè non sparì.

Avrei dovuto capire, e che ora mi stesse piovendo addosso era l’ultimo dei miei problemi.
















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Spazio Autrice:

Lo so che aggiorno tardi, ma troppa roba da fare ed il capitolo è piuttosto lungo.

Amo Cooper, è stato terribile scriverlo così.

Voi che ne pensate?

Noth
   
 
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