Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: Amy Tennant    17/01/2013    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rose aveva cercato di aiutare per i preparativi della festa ed ormai era tutto pronto.  
Pete aveva invitato molti membri del Torchwood e purtroppo a casa ci sarebbe stata molta gente. Avrebbe voluto qualcosa di più intimo, vista anche la situazione, ma purtroppo i ricevimenti a casa di Pete si trasformavano spesso in riunioni di lavoro e occasioni di pubbliche relazioni. Rose sapeva che per il Torchwood era molto importante. Per questo non si era meravigliata del fatto che nella lista degli invitati comparisse quel nome che le faceva venire i brividi. Suo padre non poteva permettersi di non averlo come ospite, visto che si trattava di un rappresentante del Governo e la struttura dipendeva in certa misura da esso. Eppure la cosa le sembrava sbagliata. Come sbagliata l’idea di utilizzare il Tardis per scopi diversi da quelli per cui era stato allevato. Ma il Torchwood ignorava quanto fosse diverso da una semplice macchina e quanto dipendesse dal signore del Tempo con cui accettava di viaggiare. Su certe cose John era sempre stato evasivo con tutti e Rose aveva compreso il motivo solo tardi.
-          Sta per aprirsi – ripeté a mente le parole di John.
Il Tardis stava per arrivare a prenderlo. A prenderli entrambi.
Più si avvicinava il momento più l’angoscia e il senso di colpa aumentavano. Non poteva essere altrimenti ma per qualche ora era riuscita a mettere da parte quel pensiero per poi iniziare a concentrarsi su qualcosa che l’aveva fatta agitare ancora una volta: Catherine Lane.  Perché la innervosiva tanto? Perché la tristezza e la paura aumentavano, quando pensava a lei? Si chiese se sapesse qualcosa in più, se davvero fosse a parte del marcio che si nascondeva dentro il Torchwood.
Ormai era pomeriggio inoltrato e Rose si era decisa ad andare da John per vedere cosa stesse facendo. Si era chiuso in camera loro. Sapeva che doveva finire quel lavoro e quindi non si era meravigliata di non vederlo uscire da lì per ore. Si chiese a che punto fosse, ormai.
Bussò e poi aprì, senza aspettare risposta, come faceva sempre.
Non c’era.
Stupita e inquietata, fece le scale correndo e lo cercò nello studio e in tutte le stanze al piano di sotto.
Jackie e Pete erano ancora impegnati e badarono a lei relativamente. Incrociò lo sguardo di suo padre ma non gli chiese dove fosse John, l’istinto le diceva che non sarebbe stato il caso. Era tornato ai laboratori, lo sentiva.
E non l’aveva voluta portare con sé. Non poteva più chiuderla dentro il Tardis ma dentro la sua casa sarebbe stata al sicuro. Rose si fermò tremante vicino alla finestra guardando il cielo del tramonto. Aveva fatto in modo che non potesse raggiungerlo, per l’ennesima volta.
E per l’ennesima volta non poteva fare altro che aspettarlo.
 
L’oscurità calava sulla città come un manto spesso e solo le luci delle feste sembravano tenere fuori dalle finestre e le porte delle case i sospiri dolorosi degli spettri dell’inverno. Il freddo bussava sui vetri ed ogni legno scricchiolava come qualcuno che vi camminasse sopra, indeciso.
Natale. A metà, prima della luce. A metà nel buio.
Proprio come lui. Si era diretto verso quello che pareva un vicolo cieco e lurido, quello che aveva già percorso. Il passo lento, elegante ma sicuro. L’odore nauseante impregnava le pareti della strada come nessuno poteva sentire, tranne lui. L’indifferenza attorno ne era una prova. 
Non aveva lasciato indifferente invece il suo passaggio per la strada. Più di qualcuno aveva guardato passare quell’uomo giovane che sembrava una lama di vento. Sebbene i lineamenti del suo viso fossero belli a più di qualcuno aveva fatto anche più paura, per questo.
Nessuno lo aveva fissato negli occhi.
Stringeva tra le dita qualcosa che brillava di una luce freddissima, irrealmente blu. Non era un’arma ma sembrava tale in quel momento.
La luce stava abbandonando il cielo ma dentro John Smith era calata la notte prima che nel mondo. Solo una parola, un nome, tratteneva quell’angelo nero dall’abbattersi su di loro con tutta la sua forza.
Rose.
Nella sua testa, nel suo cuore, lo ripeteva all’infinito.
Rose.
Le sue mani, la sua pelle, le sue labbra. Il suo respiro dolce tra le sue braccia.
Lei che lo accoglieva dentro di sé, nel calore più intimo e profondo del suo corpo, che era capace di mettersi tra lui e l’abisso e trattenerlo dal precipitarvi dentro e trascinare con sé tutto il resto, come aveva già fatto prima che lei esistesse.
Lei, gentile, capace d’amore incondizionato, che aveva dita che stringevano le sue con la tenerezza di una bambina; le stesse mani che facevano di lui un uomo appassionato perché lei era parte della sua anima da molto tempo ma ora anche della sua carne e la sentiva addosso anche se non c’era. Lei, capace di eccitarlo e placarlo con uno sguardo. Molto più forte di quanto credeva di essere e per questo anche più di lui, fino ad un certo punto.
Umana, meravigliosa.
In questo senso, come lei, doveva essere "umano". Ricordare di esserlo, in quel momento.
Ma in fondo non lo era. Non del tutto.
 
Rifece la strada a ritroso, la ricordava alla perfezione. La fece velocemente, muovendosi con prudenza ma con meno timore perché da solo.
Rose.
La sentiva vicina, anche se era altrove e al sicuro, la sentiva vicina perché ne aveva bisogno e sentiva la sua mano sul suo cuore, come per tranquillizzarlo e ricordargli insieme chi era. Sentiva la sua mano stretta nella sua perché lei non l’avrebbe mai lasciato. Non lo lasciava mai.
Dentro gli era esploso l’inferno, quel che aveva portato il Dottore a definirlo pericoloso.
Lo era. Senza di lei lo era più di quanto non lo fosse mai stato prima, ma Rose l’amava e questo lo salvava da sé stesso. E poi salvava gli altri.
Notò che stava meglio. L’aver diluito il farmaco gli aveva fatto recuperare una certa sensibilità ma purtroppo anche quella al freddo. C’era un freddo terribile.
Quando giunse al piano medico si guardò attorno accendendo il dispositivo che confondeva le telecamere. Di fatto i suoi segni vitali, sostanzialmente umani, erano più facili da occultare.
I corridoi erano illuminati poco e tutto aveva un’aria viscida e sinistra.
Era leggermente disorientato, una nuova sensazione che trovava interessante e inquietante insieme. Sentiva qualcosa ma non riusciva a capire esattamente cosa e quel gelo si stava facendo più forte. 
Il suo corpo ad un tratto si tese d’istinto, come non gli era mai accaduto.
Pensò che era la prima volta che percepiva delle sensazioni simili, così intense, ed era diverso da come ricordava. Più profondo. La cosa lo stupì perché avrebbe creduto il contrario, per un umano.
Con prudenza mise una mano sulla parete vicina, quella dalla quale sentiva provenire l’impressione più forte. Chiuse piano gli occhi. Una vibrazione, una vibrazione profondissima. Non era come quella del sogno ma somigliava a quella del sogno come una nota vicina a quella giusta.
Si accorse che la sua pelle si era increspata e il suo cuore aveva accelerato.
Seguì per un tratto di corridoio quella sensazione strana, poi qualcosa lo colpì dentro all’improvviso e si lasciò sfuggire un gemito di dolore staccando la mano dal muro con gli occhi spalancati.
Urla. Urla terribili.
Ma qualcosa non tornava, non capiva.
Sembravano aver impregnato i muri come all’esterno sentiva gli odori farlo con i mattoni dei vicoli ma non sarebbe stato possibile neanche per creature mentalmente superiori. Era altro che non comprendeva.
Sentì dei rumori sul fondo del corridoio, stava arrivando gente. Un gruppo di almeno tre persone, a giudicare dai passi. Cercò la prima porta vicina e con il cacciavite la aprì velocemente per infilarsi nella stanza buia e socchiudere abbastanza da guardare chi passava.
Quattro uomini in camici bianchi spingevano un carrello sul quale era adagiato un contenitore giallo, uno di quelli che gli era capitato di notare varie volte per i corridoi, quando si recava nel reparto medico. Vide che appariva parzialmente ricoperto da qualcosa e comprese subito di che si trattava: il materiale isolante.
Il respiro di John si fece più veloce, sentì un profondo dolore al petto così forte che d’istinto si portò la mano al cuore perché sembrava voler scoppiare. Poi, come qualcosa di tagliente nella carne, sentì limpidamente quella cosa e i suoi occhi si aprirono sconvolti, le sue orecchie fischiarono quasi e cadde in ginocchio dietro quella porta. Di colpo, come dal nulla, la sua testa si riempì di voci, gemiti, la percezione chiarissima, fisica, di un dolore furioso, incredulo.
Qualcuno chiedeva pietà e anche se non capiva le parole, sentiva il loro senso chiaramente dentro e gli faceva male fisicamente per quanto era intenso il dolore di altri. Il materiale riusciva ad isolare il campo psichico ma parzialmente, non abbastanza per lui.
Ma quello che sentiva addosso era proprio sofferenza fisica e non gli era mai accaduto. Sembrava un’esperienza empatica superiore e si chiedeva come fosse possibile, visto che ormai era in parte umano.
La sua mano strinse il cacciavite più forte ma vide sconvolto che tremava come non aveva mai visto, come i suoi muscoli non potessero fare altro che scuotersi dolorosamente contro la sua volontà. Dovette fermarla con l’altra, ripiegandosi su sé stesso. Strinse i denti ascoltando parole che non capiva mescolate a gemiti di moribondi. Poi le urla orribili si allontanarono per il corridoio, si allontanarono senza eco. Chiuse in quella scatola. Silenzio.
Oh, Rose…!
Disse il suo nome in un sussurro sfinito. Le chiese quasi aiuto perché era stato terribile.
Mise una mano sulla parete e si tirò su con sforzo e gli occhi umidi di pianto.
Solo centinaia di anni prima aveva ascoltato qualcosa di simile. Ed era più giovane, era diverso. E non aveva un solo cuore purtroppo in sofferenza.  
Ora non poteva più chiedersi cosa ci fosse in quei contenitori, in quel contenitore che quegli uomini stavano portando via con indifferenza.
C’era qualcuno, là dentro. Qualcuno che stava morendo.
Rabbiosamente si guardò attorno nella penombra. La stanza in cui si era introdotto era un magazzino e vide alcuni rotoli accatastati sul fondo. Si avvicinò e li esaminò. La sua bocca si piegò in una smorfia di dolore e orrore insieme. Non si sbagliava. Materiale isolante. Prodotto dal Torchwood ma su modello alieno e si trattava di qualcosa di cui erano entrati in possesso in qualche modo che ignorava. E non solo lui.
-          Torturate e uccidete…  – sussurrò quasi a sé stesso.
Per cosa? Per esperimenti? Per estorcere informazioni, tecnologia? Come avevano catturato quegli alieni?
Si addossò al muro per un momento, chiudendo gli occhi.
Aveva chiuso Rose in un luogo orribile. Lo pensò come l’avesse fatto lui ed infatti era così.
Solo il fatto di averle lasciato sé stesso, sarebbe potuto bastarle?
Avrebbe potuto proteggerla da tutto questo?
Se l’umanità fosse stata davvero quella l’avrebbe lasciata al suo destino molto tempo prima. Ma non poteva essere vero, neanche in un luogo parallelo. Non poteva davvero credere che quell’esistenza fosse solo il negativo dell’universo che conosceva. Non era così, glielo diceva l’istinto. Ma si sentiva ferito, lacerato da quel che aveva percepito.
Come da quel che aveva sentito in Catherine Lane.
Altro dolore, altro terribile dolore inutile. Sentiva il buio calargli dentro, un buio mormorante, quasi come quello del sogno. Forse non esisteva altro lì e davvero lui e Rose camminavano su una sottile passerella luminosa sospesa nel nulla. Si sentiva molto più sconvolto di quanto avrebbe creduto ma all’improvviso qualcosa illuminò le tenebre del suo animo, come fosse un lampo di luce improvvisa.
Donna.
La Donna che aveva incontrato, che era come la Donna che aveva conosciuto. Un’altra ma sempre la stessa. Lei. Se era così allora doveva essere così sempre. Lo era, lo era per tutti e lo era per tutto. Si scosse.
C’era speranza allora, come da qualunque altra parte. C’era speranza!
Ma doveva trovare le prigioni nel Torchwood. Sapeva che non avrebbe trovato solo ostaggi ma peggio.
Si fece forza.
Nonostante il materiale isolante avrebbe sentito il dolore ed ebbe paura perché quel corpo in parte umano che ora era il suo, sentiva più intensamente le cose, in modo più pericoloso. Come in quel momento. In fondo a quei corridoi, scendendo ancora più giù, la vibrazione sorda diventava più forte e glielo dicevano le sue ossa. Il Dottore non aveva idea di quanto un essere umano potesse essere più sensibile in un certo senso. E anche in altri.
-          Se mai riusciremo ad incontrarci, dovrò spiegarti qualcosa in più sugli umani – sorrise amaramente.
Fece un lungo respiro, uscì con attenzione dalla stanza e velocemente si diresse dove l’istinto lo guidava. 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Amy Tennant