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Autore: Kim NaNa    19/01/2013    7 recensioni
Alla ricerca di una preziosa e misteriosa collezione di opere d'arte, Michiru si imbatte in Haruka, bella, seducente e sfrontata.
Un conflitto tra senso del dovere e sentimento, un mistero intorno ad una missione ed uno strano segreto...
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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NdA: Torna, su richiesta, questa mia vecchia fanfiction su Haruka e Michiru! Non so in quanti la ricorderanno, ma avendola revisionata e corretta qualcosa potrebbe essere cambiata... spero solo sia di vostro gradimento. Detto questo, non posso che augurarvi buona lettura e se avete consigli, rimproveri da fare... scrivete pure!
Con affetto,

Kim NaNà




Il ritratto della Princess.


 
Capitolo 1.
 
L’aria settembrina riscaldava il cielo azzurro circondato da candidi nuvoloni bianchi, mentre tiepidi raggi di sole rischiararono la fluente capigliatura di Michiru Kaioh.
Com’era sua abitudine, afferrò il primo libro che le passò sotto gli occhi, facendolo scivolare nella borsa gonfia di cartelle e dossier e chiuse a chiave la porta.
Con passo deciso si diresse verso l’ascensore e raggiunse la hall.
I pochi clienti in attesa, seduti su eleganti poltrone di velluto rosso, si voltarono ad osservare quella donna raffinata e sensuale dai grandi occhi occhi blu.
«Buongiorno, signorina Kaioh. Ha dormito bene?»
Un uomo anziano, con indosso un’uniforme blu notte, si tolse il berretto e accennò un lieve inchino sorridendo a Michiru.
«Buongiorno Sautome! Ho dormito molto bene questa notte, ti ringrazio. »
L’uomo venne fuori dal suo bancone e si avvicinò lentamente alla ragazza, parlando con la sua caratteristica lentezza.
«Siamo veramente molto lieti di averla ancora come nostra ospite, signorina.»
«E per me è sempre un piacere alloggiare al Planetarium.»
Il vecchio Sautome continuò a guardare Michiru e sottovoce aggiunse: «Per noi è un piacere particolare accogliere un’ospite così graziosa.»
Michiru scoppiò a ridere stando attenta a non disturbare i clienti immersi nella lettura di qualche quotidiano.
«Ah, Sautome… lei non riesce a non riempirmi di complimenti, ogni volta…»
Un sorriso malizioso fece sbocciare una rete di rughe sul volto dell’anziano.
«Nel mese di settembre è raro vedere delle belle donne… qui in albergo restano solo le vecchie clienti… Vecchie come me intendo e allora, capisce…»
Michiru sorrise ancora a quell’uomo dal fare paterno e simpatico, accompagnandolo nel suo discorso.
«Sono certa che, tempo addietro, fossero belle anche loro…»
Il volto di Sautome parve perdersi in qualche lontano ricordo e con gli occhi rivolti verso la grande vetrata proseguì.
«Belle? Straordinarie direi. Ma adesso non le rubo altro tempo signorina Kaioh. La sto annoiando con le mie storie da povero vecchio. Venga, l’accompagno alla porta.»
«Lei non mi annoia per niente, Sautome. E poi io adoro le sue vecchie storie… in fondo, io mi occupo proprio del passato!»
Con un sorriso la giovane donna prese congedo dal vecchio signore.
Sautome era un tipo al quanto curioso. Parlava perfettamente tre lingue, conosceva tutti e sapeva tutto. Chiacchierava anche per ore e sembrava avere una curiosità insaziabile. Ma era adorabile con quella sua cortesia d’altri tempi, fatta di leggeri inchini, sorrisi e attenzioni deliziose.
Sautome era come il Planetarium, quel vecchio hotel tutto fronzoli, segnato dal tempo, ma sempre là ad offrire i resti grandiosi del suo splendore ormai passato.
La bella Michiru Kaioh si voltò ad osservare l’albergo che frequentava assiduamente da qualche tempo ed ebbe l’impressione di vederlo, improvvisamente, troppo grande e troppo lussuoso.
Spinta da un impulso irrefrenabile rientrò nella hall e rimase immobile a contemplare la bellezza di quel luogo.
I grandi saloni in stile liberty con le poltrone dalle linee eleganti, pieni di strani arabeschi, i lunghi corridoi che sembrava non dovessero mai finire, gli appartamenti lussuosi e sconfinati, i soffitti a cassonetto di legno lavorato e laccato.
Michiru proprio non riusciva a resistere al fascino di quel luogo che la portava in alto con la fantasia, facendola viaggiare nei diversi posti del mondo che aveva visitato per incontrare le molteplici culture e conoscere le tante meraviglie ancora sconosciute ai suoi occhi insaziabili di bellezza.
Fu così che decise di restare lì ancora per un po’, di perdersi in tutto quello splendore e concedersi un momento tutto per sé, prima di dare inizio ad una nuova giornata.
Entrò nella sala da pranzo più piccola e si sedette al primo tavolino piccolo e mentre spiegava il tovagliolo un cameriere le si avvicinò con un inchino: «Come al solito, signorina?»
«Sì, grazie. Tè verde. »
Si guardò intorno: tutto come sempre. Vicino  alla finestra due vecchie signore conversavano a bassa voce con aria di intesa, preoccupate di non farsi sentire. Al tavolo vicino un gruppo di uomini d’affari americani, riconoscibili per i loro completi con gilet e le ventiquattro ore troppo nuove.
Nei due tavoli all’angolo due signori anziani leggevano silenziosamente il giornale del giorno.
Due mani dai guanti bianchi interruppe quella sua attenta osservazione. Un sottile e pungente aroma si sprigionò dalla teiera appena portata, il liquido ambrato sgorgò dal beccuccio e scese in una tazza di porcellana bianca orlata d’oro.
Un cestino di dolci  Wagashi (*) si offriva, intanto, alla sua golosità.
«La signorina è servita!»
Un inchino appena accennato e il cameriere si allontanò sorridendo alla piacente donna che aveva dinanzi.
Michiru si lasciò sfuggire un sospiro di beatitudine.
«È questo il momento migliore della giornata.» pensò mentre portava alle labbra la tazza e mordeva un dolcetto ancora tiepido.
Chiuse gli occhi per gustare meglio quella ghiottoneria che si era appena concessa e, quando li riaprì, alzò stupita un sopracciglio.
Era sorprendente. Non c’erano solamente vecchi clienti al Planetarium. Proprio di fronte a lei era seduta una donna. Una donna giovane… e bella.
Aveva una massa di capelli biondo sole, corti, sormontati da due occhi verdi come l’edera. Un profilo da medaglia e uno sguardo fiero e coraggioso. Guardava fuori dalla finestra persa in chissà quali pensieri.
Indossava un completo, dal taglio maschile, molto elegante. I pantaloni a coste di velluto blu disegnavano perfettamente la linea sinuosa delle sue lunghe gambe, mentre la camicetta di seta bianca non riusciva a nascondere le rotondità del suo generoso seno.
In un’altra epoca, Michiru l’avrebbe vista bene come piratessa o una brigante.
Un’espressione di sicurezza quasi solenne, distaccata, che sembrava voler sfidare il mondo intero.
All’avvicinarsi del cameriere la sconosciuta donna uscì dai suoi pensieri diede la sua ordinazione.
Michiru ne rimase colpita.
Chi poteva essere? Nessuna guida turistica sul tavolo, niente valigetta, nessun segno… solo un libro.
Michiru piegò la testa cercando di leggerne il titolo.
Gli fu servita una grande tazza di cioccolata, ricoperta da una montagnola di panna montata e lei restò a guardarla con discreta attenzione.
Gli uomini d’affari si alzarono con un grande strepito di sedie e si allontanarono in gruppo serrato mentre Michiru mandava un’esclamazione soffocata dopo aver dato un’occhiata all’orologio.
Entro mezz’ora avrebbe dovuto essere al Museo nazionale e lei se ne stava lì a fantasticare sulla bella e misteriosa donna dallo sguardo magnetico... ecco, appunto, una donna!
«Ancora un po’ di tè, signorina?»
«No, la ringrazio.»
Sollevando la pesante borsa, Michiru si alzò e si diresse verso l’uscita.
All’altezza della sconosciuta ne incrociò lo sguardo cupo per una frazione di secondo. Una impercettibile corrente magnetica li unì isolandoli dal resto del mondo. Fu come se tutto si fermasse: i rumori sparirono e tutto divenne sfocato. Michiru non vedeva altro che un bel volto dai tratti cesellati e decisi, delle labbra piene aperte in un sorriso appena accennato.
Le sembrava di esserle tanti vicina da sedersi di fronte a lei, posargli una mano sul braccio e restare così a lungo, persa in quello sguardo profondo.
Le parve di avvertire l’odore del vento.
Fu solo un attimo, il tempo di passarle davanti e già superava la soglia, la testa alta nel suo abituale portamento.
La misteriosa donna la seguì con lo sguardo. Aveva veramente stile, con quei tacchi alti, il tailleur verde mare con la vita sottolineata da una cintura alta di cuoio nero. I capelli le danzavano morbidi sulla schiena e rilucevano dei colori dell’oceano.
La colse una voglia improvvisa di alzarsi e raggiungerla, di affondare le dita in quella morbida chioma e restare così in silenzio, solo per il piacere di sentirsela vicina, con quell’ombra di sorriso agli angoli della bocca.
Non si mosse e continuò a bere la sua cioccolata, distratta. Poi ripiegò il giornale e lo posò sulla tavola… prima di levarsi di scatto e attraversare la sala correndo.
Si sentiva un’idiota.
Attraversò di corsa la hall e si fermò solo sul marciapiede davanti all’albergo, gli occhi socchiusi per il sole.
Rivolse lo sguardo ovunque prima di scorgere il tailleur verde che scompariva in un tram a qualche metro di distanza.
«Aspetti!»
Il suo grido si perse nel rumore della ferraglia del tram che partiva e l’ultima immagine fu quella dell’ondulata capigliatura che la giovane donna fece scivolare sul petto mentre prendeva posto sul sedile. Lei restò là, il braccio alzato in un utile richiamo.
Abbassò il braccio e alzò le spalle: peggio per lei che aveva perso il momento favorevole. Forse era meglio così. Non era il momento di abbordare sconosciute per quanto seducenti fossero.
Rischiava di mandare tutto all’aria.
Haruka Tenou ritornò verso l’albergo a passi lenti, pensierosa.
Una leggera brezza le scompigliava i capelli dorati e i raggi del sole illuminarono gli occhi verdi attirando l’attenzione dei passanti verso quella donna in maniche di camicia che arrotolava un giornale con aria distratta.
Ripensò a quegli occhi grandi e blu e sorrise.
«La sua giacca, signorina!» esclamò il portiere, andandole incontro con aria di disapprovazione.
«Ah sì, grazie.»
Afferrò la sua giacca continuando a guardare nella direzione dove aveva visto sparire il tram.
«Devo chiamarle un taxi?»
«No, non mi serve, grazie. Stavo rientrando. Io… avevo giusto voglia di sgranchirmi un po’ le gambe.»
L’aria di biasimo del portiere si fece ancora più profonda: davvero credeva di non averla vista buttarsi dietro a quella ragazza? Una ragazza, appunto!
Haruka salì lentamente i  gradini e si fermò sotto il baldacchino rosso, le cui  falde venivano mosse dal vento che inspirò a pieni polmoni. Poi si rivolse al portiere:
«Mi dica Toryo, non ci sono molti clienti in albergo in questi giorni, vero?»
«Siamo alla fine della stagione, ormai…»
Tirato in ballo direttamente, Toryo aveva ripreso la sua aria impassibile di sempre e il tono cerimonioso che gli era consueto. Haruka mise una mano in tasca e ne uscì con un fascio di banconote.
«Avrei bisogno di qualche informazione su di un’ospite…»
Toryo si accigliò e con aria seria rispose:
«Ma… signorina! Non posso proprio farlo!»
Un biglietto cambiò di mano, poi un altro. Toryo tirò un lungo respiro e si dipinse sul volto un’aria da vittima, accompagnata da una smorfia rassegnata.
«Non abbia timore Toryo, non mi interessano né gli uomini d’affari, né le vecchie signore con i loro gioielli…» precisò Haruka.
«Sono falsi, comunque, signorina. Quelli veri sono nella cassaforte.»
Sulle labbra di Haruka Tenou si increspò un sorriso sincero e, dando una pacca sulla spalla del giovane portiere disse:
«Molto bene, caro Toryo! Sento che andremo senz’altro d’accordo, noi due… »
E rientrò in albergo accompagnata da un leggero filo di vento che, parve all’uomo, le danzasse intorno una magica e misteriosa sinfonia.
 
 
Note: Wagashi, tradizionale dolce giapponese spesso servito con il tè.
   
 
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