F r a m m e n t i
Act 4.
Name.
Why wouldst thou be a breeder of
sinners?
La prima volta che lei l’aveva
portato a casa, lui era rimasto in quella stanza che puzzava di sangue. Le
braccia, quasi dritte, rimasero strette a stringere le ginocchia ancora troppo
ossute al petto incavato. L’intera volto infossato contornato da una stopposa
massa di capelli d’oro opaco.
Aveva dondolato su sé stesso, un
po’, contro la porta. Gli occhi, finalmente provvisti di palpebre ma privi di
ciglia, erano rimasti fissi sul buio del muro di fronte. Quella cosa non era
ancora abituata a chiuderli, dopotutto.
Era rimasto lì, ad ascoltare,
sibilando appena. Denti affilati appena scoperti da labbra presenti, ma tirate
indietro come quelle di una belva che ringhia.
“Siete incantevole come sempre,
Dante. Mi chiedo come possa, una giovane donna come voi, rassegnarsi ad essere
vedova.”
“Di grazia, Thomas. Con queste
vostre lusinghe, finirete per viziarmi.”
“Le mie labbra pronunciano solo la
verità, dovreste saperlo ormai. Vostro marito non ve lo ripeteva, forse,
strenuamente?”
“Non lo ripeteva da tempo, ormai.”
“Me ne rammarico. Siete stupenda,
e la vostra casa vi si addice non poco: una villa davvero ben arredata. Ma non
è scomodo, così lontano dal villaggio?”
“Non troppo, non troppo.”
“E’ arredato con buongusto.”
“Grazie.”
Chiacchiere frivole, chiacchiere
frivole.
Poteva sentire, distrattamente i
due cuori battere mentre quei passi si portavano vicino alla porta chiusa.
La sorpassarono.
Quella mano ossuta e pallida si
posò distrattamente sul petto, artigliando la carne. Lì, però nessun cuore
batteva.
Ancora un altro sibilo, questa
volta più stizzito.
Dondolò, ancora un po’, battendo
ripetutamente la testa contro il legno della porta. Aveva fame. Aveva fame.
La mamma ha preparato da mangiare.
Le dita si flessero appena, affondando unghie troppo simili ad artigli nella pelle malaticcia.
“Siete una donna molto forte,
Dante. Prima vostro figlio, poi vostro marito. Eppure, trovate la presenza di
spirito di sorridere.”
“Ah, ma solitamente gli uomini non
amano avere donne forti al loro fianco. Si sentono minacciati, temo.”
“Eppure si dice che dietro ogni
grande uomo si celi una grande donna, Dante.”
“Oh, su questo avete indubbiamente
ragione. Thomas, vi andrebbe un po’ di te? Ho dei nuovi biscotti al burro.”
“Rifiutare sarebbe una
maleducazione troppo grande, suppongo.”
“Supponete bene.”
“Tre zollette di zucchero,
allora.”
Quelle unghie passarono a
graffiare la porta. Accanitamente, quasi a volere aprirsi un varco nel legno ed
andare via, via, via, via da quell’uomo che rubava ogni attenzione, via
contro quell’uomo che lei, lei lei lei…
Un sibilo, un rantolo. Il battere di quelle ossa contro la porta. Tuttavia, non ricevette alcuna attenzione.
Avrebbe voluto parlare, ma non
conosceva le parole. La sua lingua immatura non sapeva pronunciarle.
Cessò di muoversi, e rimase lì,
contro la porta. Insieme di carne messo insieme alla meno peggio.
Imitazione mal riuscita di un
essere umano.
Rimase lì, contro la porta, ed
attese. Cercando di saziare la sua fame di vita con quel rancore che, da quando
era nato – per la seconda volta, anche se non se ne rendeva conto – era l’unica
cosa che era riuscito a provare.
Attese.
Thomas Rutherford era un uomo elegantemente impeccabile. Un eterno viveur
alla soglia dei suoi ventotto anni, con alle spalle milioni di storie d’amore
con donne più giovani di lui, e all’orizzonte alcuna prospettiva di matrimonio.
Non particolarmente benestante, ognuna delle donne con cui si era fatto
vedere, era stata scelta per inequivocabile vocazione estetica e dopo una
strenua ed estenuante ricerca sulle finanze della famiglia di lei.
Dante, vedova, era una donna che spesso si era vantata di essere attrice.
Ed era anche la prima donna più anziana di lui che Thomas avesse mai provato a
corteggiare. Girava voce, nel villaggio, che Dante fosse una strega. Lui,
tuttavia, la ricordava sempre meravigliosamente radiosa, e meravigliosamente
bella.
Giovanile.
Caratterialmente forte.
Ostinata.
Ricca.
E vedova.
Lei sembrava cosciente del suo costante riempirla di attenzioni, delle
sue lusinghe non tanto velate e dei troppo arditi inviti che lui osava
rivolgerle, giorno dopo giorno, notte dopo notte. Sembrava anche cosciente che
la ricchezza aveva riscosso su di lui un particolare fascino, e Thomas se ne
rese conto quando lei gli donò un meraviglioso stallone pezzato per il suo
ventottesimo compleanno. Thomas le aveva promesso che l’avrebbe così
accompagnata nelle passeggiate autunnali, e Dante aveva asserito che quella
promessa era ringraziamento più che esauriente.
In pochi mesi, Thomas era riuscito a farsi strada nel letto della vedova.
L’aveva posseduta, e lei – prima di addormentarsi – aveva riso ancora
come una ragazzina.
Tuttavia, la mattina dopo, Thomas non era riuscito a domandarle cosa
fossero quei rumori costanti – quei rumori di spettri, di fantasmi - che
l’avevano tenuto sveglio tutta la notte, fra le braccia nude di lei.
( Di notte, la
cosa rimaneva sveglia perché non aveva affatto bisogno di dormire.
Ascoltava.
Ascoltava e si avventava contro la
porta. La graffiava.
Con la voce che non gli era stata
concessa, tentava di chiamare la donna.
Voleva uscire.
Che lo lasciasse uscire!
La stanza puzzava di sangue rappreso,
quell’odore metallico ormai impregnato nei muri e nel pavimento.
Da tre giorni, quella donna non tornava
più.
Non aveva forse trovato un nuovo
giocattolo?
Aveva fame, fame, fame fame! Di vita!
[Fammi vivere! Fammi vivere. Fammi
vivere, fammi vivere fammivivere!]
Non
se n’era dimenticata. In fondo, nel profondo della sua non-coscienza, lo
sapeva.
Eppure, sentendo quelle risate intime, non poteva fare a
meno di provare invidia.
Smodata, misurata, innata, recondita, insita, bestiale
invidia.
[Perché non ci sono IO al suo posto?
Io!
Io, io, ioioio!
Perché lui?
Cosa c’entra, lui?
Cosa c’entra?
Non c’entra niente!
Nientenienteniente!]
[… papà… ]
Ma la sua non-coscienza non cercava neppure di capire quei
pensieri, che attraversavano incomprensibili un cervello troppo semplice.
Alla fine, la cosa poteva solo provare rancore.
Che cosa tremendamente sbagliata.)
Non accadde solo la prima notte
che passarono insieme.
Ma anche la seconda.
E la terza.
Ogni notte, i rumori erano più
violenti della notte prima.
E la quinta mattina Thomas vide Dante sveglia, accanto a lui, intenta a fissare
il vuoto del soffitto.
“I fantasmi di questa casa sono agitati.” spiegò lei, con il solito tono delle
chiacchiere da tè. Quel tono tranquillo, vagamente innocente. “Non ti vogliono
qui.”
Thomas rimase in silenzio, prima
di chinarsi su di lei e rubarle un veloce bacio a fior di labbra. Lei si lasciò
derubare, ma sembrava pensierosa. Pensierosa e distante.
E Thomas ricordò che, secondo il
villaggio, Dante era una strega.
Che abita una
casa infestata – completò
mentalmente, lasciandosi sfuggire un sospiro nel vedere la schiena nuda e
pallida di lei sollevarsi dal letto, sfuggire alle coperte candide. Bella.
Bella, bella, bella.
Era malato di lei, probabilmente.
“Continuano a vivere in questa
casa, i fantasmi?”
“A loro la morte non piace. Come
biasimarli? Non vorresti vivere per sempre, tu?”
E Thomas aveva deglutito, senza
riuscire a nascondere l’implicazione che quelle parole avevano avuto su di lui.
Dante la Strega cercava forse un
compagno per la sua eterna giovinezza?
Voleva lui, fra tutti?
Avrebbe condiviso con lui
l’eternità ed ogni ricchezza e conoscenza che suo marito le aveva lasciato in
eredità?
Ogni stregoneria?
Non fece in tempo a rispondere.
Sentiva il petto troppo pesante alla prospettiva, ed una piccola parte di lui
tentava ancora di convincerlo che Dante non era affatto una strega.
Dante stava al gioco, e lo stava
prendendo in giro.
Scoppiò discretamente a ridere.
“Colazione?” cinguettò lei,
dedicandogli un sorriso. Lui, sornione, annuì.
E, mentre lei si vestiva – affatto
frettolosa di nascondere il suo corpo – a Thomas parve di scorgere una macchia
scura dietro l’incavo del ginocchio. Un livido?
Non riuscì ad indagare oltre,
perché l’ampia gonna scese a coprire la visuale.
E Dante collegò quello sguardo
imbronciato a tutt’altro tipo di delusione.
Lui, tranquillamente, glielo lasciò credere.
Quando Dante aprì la porta della Stanza, non si stupì affatto nel
ritrovarsi gettata a terra dal peso della Cosa.
“Che c’è?” domandò, con un dolce sussurro. “Ti sono mancata?”
Due occhi dorati la fissarono dall’alto, adombrati dalla massa informe di
capelli del medesimo colore.
La donna pensò che mai prima d’ora la cosa aveva rassomigliato in tal
modo suo figlio. Il volto scarno e scheletrico deformato dalla smorfia di
rabbia. Smodata. Incontrollata.
Le labbra tirate a scoprire i denti lievemente appuntiti. Il corpo nudo,
ancora un po’ deforme, ma definitivamente umano. “La mamma è stata occupata.”
Il sorriso di scusa era tanto falso quanto mellifluo.
Una piccola opera d’arte.
E la cosa rantolò.
Dante aveva voglia di vomitare, eppure una piccola parte di lei le
ricordava che era sempre stata una donna forte.
“Lasciami andare.” Ordinò, semplicemente, con agognata disinvoltura.
Venne ignorata.
“Devi capire che non posso passare tutto il mio tempo con te. Ho una mia
vita. E tu, in questa mia vita, non sei nessuno. Un fantasma. Sei un fantasma,
di grazia, che tuo padre mi ha lasciato come testimone. Comportati da tale. Sii
invisibile. Non esistere.”
La frustrazione crebbe e scemò sotto il peso di quegli occhi umani pieni
di luce selvatica. Il viso scarno si era raddolcito nei lineamenti affilati, e
non era più una maschera di rabbia. Era una maschera di infantile curiosità.
Capiva le parole di lei, ma non capiva cosa stesse dicendo. Dante, calmatasi,
non lo biasimò.
Non lo capiva neanche lei.
“Scendi.” Per farsi intendere, si limitò a porre entrambi le mani sulle
spalle sottili della Cosa, spingendola appena all’indietro. Quasi spaventata,
la Cosa saltò giù da lei, liberandola dalla presa.
Si rifugiò nell’angolino opposto della stanza, scoprendo i denti e ringhiando
appena.
Dante la ignorò, dirigendosi verso quella che era stata la scrivania di
lavoro di suo marito.
E che ormai era soltanto ricoperta da un cumulo di cocci di vetro.
Sospirò, lasciando passare il ringhio in secondo piano e sfogliando
distrattamente le pagine del libro aperto sul ripiano. Alcune erano state
violentemente strappate, probabilmente per opera della Cosa.
“Sei davvero arrabbiato?”
Anche Ed lo sarebbe stato, se Dante avesse iniziato a vedere un altro
uomo.
Ed sarebbe stato furioso, e le avrebbe fatto passare l’Inferno. Perché Ed
aveva sempre idolatrato suo padre.
Con o senza le sue attenzioni. Era stato fiero di essere suo figlio.
E triste, tremendamente triste, perché suo padre non era stato ugualmente
fiero di lui.
Dante cacciò via questi pensieri, dirigendo ogni fibra della rabbia che
aveva in corpo verso Hohemheim.
Perché, caro? Perché l’unica cosa che mi
hai lasciato è lui?
Un errore?
E’ una cosa tremendamente crudele, caro.
Potrei anche odiarti.
Ma tutta quella rabbia non era abbastanza da soffocare la completa
devozione e l’amore che provava per lui.
Che cosa terribile, essere una donna innamorata.
Trasalì quando due braccia storte la cinsero da dietro.
Nello stesso identico modo in cui Thomas l’aveva abbracciata, quattro
giorni prima, davanti a quella porta.
Deglutì.
Sei invidioso di tutte le attenzioni che
dedico a quell’uomo?
Eri invidioso da vivo delle attenzioni che lui dedicava agli altri.
E persino ora, tu… vorresti tutte le
attenzioni per te? Le mie?
Le hai sempre avute. Ed, le hai…
Ma non era davvero Ed, per quanto gli assomigliasse.
L’invidia era un peccato capitale.
Lo sapeva. Lei era vissuta durante l’età del Dio della Croce.
Sua madre era stata una fervente devota, e lei stessa aveva passato tutte le
Domeniche in chiesa.
“Hai così tanta invidia, tu. Non ti lascia in pace neanche dopo la morte.
Penso sia una cosa molto triste.”
L’abbraccio si strinse, automaticamente, a quelle parole.
Dante sospirò, cercando di cacciar via la nausea e riprendendo a sfogliare gli
appunti di suo marito.
Che era stato invidioso di Dio.
Povero Ed.
Aveva vissuto nell’invidia per gli studenti di suo padre.
Era morto per l’invidia di sua madre nei confronti dei libri, che ricevevano
sempre più attenzioni di lei.
Ed era stato strappato dall’eterno riposo dall’invidia che suo padre provava
verso Dio.
Erano stati una famiglia logorata dall’invidia, loro.
Senza dubbio una cosa molto triste.
Dal profondo del suo cuore immortale, Dante provò pena.
“Lasciami andare, Envy.”
Appropriato.
Tuttavia, mai obbediente, l’Invidia seppellì il volto contornato di
dorato nella sua spalla.
Sulle scale, ormai sveglio, Thomas ascoltava diligentemente.
Con orecchio teso e cuore in tumulto.
A/N: Che ci si
creda o meno, sono ancora viva. Di questo non riuscivo a scrivere la prima
parte. Me sorry °_°” Thomas non è in alcun modo un OC. Cribbio. Coff. Ehm,
Dante cristiana. Era appropriato, suppongo. Ha abbandonato la sua religione
dopo che questa è caduta, per amore di Hohem-coso. Il prossimo capitolo sarà: Act
5. Greed. Everything you see
you think you need. In cui, finalmente, il neo-nato Envy acquisisce una
coscienza.
Non mi
piace affrettare troppo le cose. Vedendo com’è cresciuta gradualmente Sloth,
all’inizio era proprio… animalesca, ecco. Personalmente, amo Thomas.
L’intero
capitolo è ispirato da Fma Reflections, parte 5: Sin. Guardatelo. E’
disponibile su youtube.
P.S. Why wouldst thou be a breeder of sinners? È una
citazione dell’Amleto di Shakespear. Amleto parla ad Ophelia, consigliandole di
farsi suora. Perché se avrà figli, saranno certamente peccatori. Perché ogni
uomo lo è, in fondo.