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Autore: Mrs C    20/01/2013    5 recensioni
Sono tornato a casa con una spalla distrutta e l'anima a pezzi, trovando mia sorella alcolizzata, con un matrimonio ormai naufragato e mio padre in un letto d'ospedale.
Prenditi cura di te, mi disse.
E per mantenere fede alla promessa, semplicemente non potevo più restare.
[Specie di Crossover multiplo Sherlock/Miyazaki]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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Cross II
II










Mi piacciono i cani.

È sempre stato così, e non credo che cambierà da un giorno all’altro.
Ne avevo uno, da bambino. Lo consideravo il mio migliore amico e passai sei mesi davvero splendidi in sua compagnia. Finché mio padre non lo investì facendo retromarcia e giurai a me stesso di non prenderne un secondo.
Troppo dolore da sopportare per un bambino così piccolo - e in un certo senso, quello fu l’inizio di tutto ciò che sarebbe avvenuto in seguito, ma a quel tempo ancora non lo sapevo.
Si chiamava Sylvia [1] - mia sorella non si era accorta che era un maschio, quando lo prese da canile - ed era un cucciolo di beagle dal pelo chiaro e fulvo, rispetto alla sua razza.
Mi piaceva Sylvia, e non perdonai mai mio padre per averlo ucciso - nonostante tutti cercassero di spiegarmi che era stato un incidente: a me non interessava -.
Ripensadoci adesso, col senno di poi, posso dire che quello fu l’inizio del punto di rottura con tutta la mia famiglia.
Comunque, dico questo per far capire che io non ho alcun tipo di pregiudizio verso animali di sorta.
Eppure - fradicio da capo a piedi, con un accenno di febbre e l’influenza che non aspettava altro che un mio passo falso per farsi avanti - continuavo a ripetermi quanto fossi stupido nel seguire un cane qualunque, diretto chissà dove, in una città che non conoscevo, e senza nessun motivo apparente.
Prima di rendermene conto, percorsi quasi un chilometro e ciò costrinse sia me che il cane a una sosta di cinque minuti sotto l’acqua battente.
Faceva freddo, e la pioggia si era un po’ affievolita, ma tutto quel tempo sotto la tempesta non aveva giovato di certo al mio sistema immunitario.
Mi sentivo stupido, senza speranza e incredibilmente solo. Polegate era una cittadina di mare, ma era pur sempre non troppo lontana da Londra per cui, in un periodo dove la pesca non è florida e gli hotel sono semi deserti, ci sono davvero poche anime a sostare lungo le vie. Ero solo, anche in quel frangente ed era la consapevolezza che mi colpiva al petto e che faceva più male. Molto più della situazione in cui mi trovava.
Camminavo, camminavo, poi uno stop, e il pensiero tormentato; ero ancora in tempo per fare marcia indietro, prendere la macchina e ritornare a Londra, poi però il cane si fermava insieme a me, invece di proseguire per la sua strada, lanciandomi’occhiata di traverso e un abbaiare fastidio e continuo.
Beh? N’altra volta, ti sei fermato? Non ho tutto il giorno, seguimi senza fare storie.
Avevo accettato, ormai, di avere qualche tipo di disturbo psicofisico a causa dello stress post-traumatico della guerra, ma in quel momento - con lo sguardo del cane puntato addosso, e la sua possibile voce spuntata da chissà dove - mi sentivo in gabbia come un animale.
Sbuffai, riprendendo a camminare, perché alla fine non avevo alcuna alternativa e di tornare a casa non se ne parlava nemmeno.
Il cane parve soddisfatto di questa scelta - più felice del fatto che potesse riprendere la camminata, rispetto al fatto che avessi messo a tacere il mio buon senso - e continuò a trotterellare felice.
Le nubi si diradarono pian piano, mentre iniziavo la mia lenta salita verso l’ignoto. La parte alta della città non contava che poche case, abitazioni per lo più vecchie, sull'orlo della distruzione, e mi stupii non poco nel constatare che effettivamente, poche macchine trafficavano quella zona, come avevo già intuito poco prima.
La vista da lassù, tuttavia, era spettacolare. Zona d’ombra e colore si univano, formando anelli e giochi di luce particolari. L’arancione sfumava in un giallo soffocato oltre il mare, cristallino e immobile, in attesa di un vento che scuotesse le onde, portando la brezza marina oltre i confini della spiaggia e del porto, ma dentro le case in mezzo alle persone.
Mi fermai per un po’. Inspirai, espirai. Sembrava di essere in tutt'altro pianeta, e questo mi convinse, almeno in parte, che il mio viaggio di ricerca a cui mi ero sottoposto volontariamente non era stato del tutto inutile.
In questo tempo di riflessione che reclamai per me, il cane parve quasi comprenderlo e non abbaiò. Io ripresi a camminare di mia volontà con il cuore un po’ più leggero, e rinvigorito di una nuova energia inaspetata.

Non feci molta strada, comunque. Sylvia - perché in attesa di sapere il suo vero nome, non potevo continuare a chiamarlo cane - si era fermato davanti a un piccolo negozio. La porta in legno intarsiato era di un verde particolare e fosforescente, attorniata da fiori e erbe di un po’ ogni genere. Era vecchiotta, ma l’intero edificio lo era. Niente ristrutturazione, almeno all’esterno.
Mi chiesi chi fosse il proprietario, da quanto tempo abitasse lì... se aveva conosciuto Nonno John.
Mi riscoprii curioso come quando, quello stesso pomeriggio nel pub di Mrs Hudson, avevo conosciuto Sherlock Holmes.

Il cane rimase fermo davanti all’ingresso fuori dal cancello, per qualche minuto, finché si rese conto che nessuno sarebbe venuto ad aprire - come evidentemente facevano di solito -, decise di fare da sé.
Grattò la porta con le unghiette corte e affilate, convinto quantomeno di trovarla socchiusa. Anche quel tentativo non ebbe successo, così decise di ricorrere a misure drastiche: spostò il tappeto blu dell’ingresso con un colpo di naso, rivelando la chiave di riserva proprio lì sotto.

Poi mi guardò. E io lo guardai.
- Te lo puoi scordare. È inutile che mi guardi così, non c’è un solo motivo al mondo per cui io dovrei rischiare un arresto per violazione della proprietà privata solo per permettere a te di entrare in casa.
Sylvia mi guardò, abbassando le orecchie.
- Ho detto di no. C’è un parapetto qui, sarai riparato. Il tuo padrone tornerà presto.
Spinse la chiave vicino ai miei piedi, e si accucciò a terra, nascondendo la coda sotto le zampe.
Ero un ex soldato, uno con le palle. Avevo rischiato la vita per portare via i miei commilitoni feriti dai campi di battaglia. Non potevo farmi incantare dagli occhi di un cane. Era fuori discussione.
Assolutamente.
Non lo avrei fatto.
- Ti apro la porta e poi la richiudo, capito? La apro e basta.


Il negozio era un antiquariato; per lo più orologi, specchi e mobili. Il camino crepitava allegro, e il calore delle fiamme rinvigorì piano le mie ossa stanche e doloranti. Avevo promesso a me stesso che sarei uscito non appena il cane si fosse deciso ad entrare, ed ero più che convinto a seguire questa via: se me ne fossi andato subito, nessuno mi avrebbe visto e non ci sarebbero stati problemi. Era questa, la mia idea.
Poi, però, il mio sguardo era caduto su una strana targhetta appesa al muro di fronte all’ingresso e la mia curiosità aveva prevalso su tutto. Sul buon senso, in modo particolare.

Anche l’anima ha il suo peso [2], diceva.
Era intagliata a mano, e mi ricordava tanto quando anche Nonno John faceva lavoretti casalinghi che poi sfoggiava - contento e orgoglioso - per mesi e mesi, con i parenti e gli amici; persino per telefono, vantandosi di quanto avesse imparato da solo perché, ai suoi tempi, non c'era nessuno che t'insegnava come fare e dovevi arrangiarti.
- Pensavo che il cartello all’ingresso dicesse chiuso e fosse piuttosto esplicito.
Una voce cristallina e vagamente divertita mi solleticò il collo. Trattenni il fiato tanto da farmi venire la tosse e inciampai nei miei stessi piedi cercando di allontanarmi dalla presenza alle mie spalle, avendo come risultato solo lo sbattere contro la parete di fronte.
Il ragazzo dietro di me si lasciò scappare uno sbuffo. Un mezzo sorriso o una risata, non saprei proprio dirlo.
- Gesù Cristo! M-mi dispiace, mi dispiace tanto, io, non volevo entrare, è Sylvia, cioè... è il cane che mi ha detto di aprire.
Era in penombra, e mentre cercavo di riprendere il controllo sulle mie gambe, non riuscii a scorgere che un ciuffo di capelli del suo viso, prima che mi voltasse le spalle per aprire le imposte e far filtrare un po’ di luce in più.
Rise piano, mentre il tipiedo tramonto illuminava i suoi tratti spigolosi e particolari. Aveva gli occhi dell’azzurro più chiaro del cielo in tempesta. Parevano quasi grigi, con scaglie di colore strappate direttamente dal cielo.
- Il cane ti ha detto di aprire la porta del negozio? Teoria interessante. Suppongo che molti studiosi venderebbero la propria madre per poter fare esperimenti su Baron. [3]
- Il cane... Baron?
Il ragazzo mi fissò per un secondo di troppo. Adesso che questa storia riesco a raccontarla senza coinvolgimento emotivo - beh... non come all’inizio, comunque - mi rendo conto che quello fu l’esatto momento in cui lui iniziò a studiarmi. I suoi occhi, fin dal principio, avevano la capacità di inchiodarmi sul posto, senza paura, senza timore di risultare inopportuno.
Scandagliava ogni centimetro del mio corpo, ogni ruga e ogni espressione delle mie labbra.
Ricordo ancora, nonostante gli anni, i brividi che mi percorrevano il corpo quando s’incantava a fissarmi, magari davanti a una tazza di thé e io continuavo a parlare perché non mi accorgevo di niente.
- In realtà si chiama Gladstone. Mio Nonno non ha mai avuto buon gusto per i nomi, a partire da quelli dei suoi figli. Ho scoperto che uno degli antenati di questo sacco di pulci è morto annegato durante l’incidente della Baron Gautsch nel 1914. [4] Così...
- Particolare.
Lui annuì; sembrava soddisfatto della mia risposta. Preparò il thé senza chiedermi niente, nemmeno il mio nome, senza cacciarmi dalla sua proprietà minacciandomi di denuncia, nonostante mi fossi introdotto illegalmente e con una scusa idiota come il cane mi ha detto di aprire. Che idiota.
Era un tipo eccentrico e m’incuriosiva come aveva fatto anche Baron, nemmeno un’ora prima. Mi permise di sedermi sulla poltrona davanti al fuoco, mentre lui continuava a gironzolare per la stanza, spostando cose, toccandone altre e aspettando con impazienta che l’acqua arrivasse alla temperatura giusta.
Sembrava non riuscisse a stare fermo, e i suoi boccoli scuri ballavano sul suo viso una danza senza tregua.
Affascinante.
Non sono gay, non mi piacciono gli uomini. Ma al ricordo dei suoi occhi, così chiari e splendidi sotto la luce della sera, non mi viene in mente altra parola per descriverlo.
Affascinante. Una di quelle bellezze rare, che ti capita d’incontrare rare volte nella vita.
In quel momento non ci badai troppo - e non me ne accorsi subito - ma questi pensieri accompagnarono gran parte del mio tempo, per molte settimane a venire portandomi dove sono ora.
- Mrs Hudson avrebbe dovuto darti un ombrello. Nel retrobottega ne custisce a decine perché i suoi clienti non si distinguono per intelligenza e li dimenticano. Senza offesa.
La tazza quasi mi cadde dalle mani. Lui sembrava non essersi accorto del mio sgomento, e io non sapevo come farglielo capire. Deglutii, cacciando indietro il cuore al suo posto con una lunga sorsata di thé bollente, articolando nella mente ciò che avrei voluto dirgli senza incappare nell’ennesima gaffe.
- Come fai a sapere che ero al pub? Sono appena arrivato.
- Il colletto della camicia. Ci sono delle briciole di torta, sono recenti e se fossi stato più tempo sotto la pioggia sarebbero già state spazzate via. Le scarpe sono bagnate sotto e sopra, ma non nei lati: hai camminato poco e senza fretta. E poi... Baron non si allontana mai troppo dal locale di Mrs Hudson perché gli da i dolcetti avanzati dalla giornata prima.
Non so per quanto tempo rimasi a guardarlo. Probabilmente pochi secondi, ma in quei pochi secondi capii con certezza, ciò che avevo già intuito: speciale. Era una persona non comune, una di quelle che incontri per strada e che stuzzicano il tuo io interiore alla ricerca di parole e fatti che prima non avresti mai considerato.
- Strabiliante. Tu sei... strabiliante, dico sul serio!
Lui mi guardò, forse considerando la possibilità che lo stessi denigrando ma, che Dio mi sia testimone, la mia era pura meraviglia. Ammirazione. Non so cosa trasparisse dal mio volto, ma ricordo bene il mio stesso cuore graffiare con forza contro lo sterno, e i suoi occhi di diamante puntati dritti nei miei, alla ricerca di una bugia di cui non c’era la minima traccia.
- È troppa fatica dire “sì” o almeno “grazie”? [5]
Ridacchiò piano. La tensione svanì com’era arrivata.
- Non sono abituato a certe... espressioni di apprezzamento.
Fece una pausa, sorseggiando la sua bevanda. Dall’odore doveva essere davvero molto zuccherata - avrei scoperto in seguito che ne metteva sempre quattro cucchiaini - ma non mi diede fastidio, piuttosto contribuì a stimolare la mia curiosità verso quel ragazzo eccentrico e, dal mio punto di vista, spettacolare.
- Non ho una personalità semplice ma nessuno ha mai il coraggio di dire ciò che pensa, direttamente alla mia persona. Sai come si dice... quando bisogna uccidere un dio, è meglio che lo faccia qualcun altro. [6]
- Hai molta fiducia in te stesso.
- Ho molta fiducia nella mia intelligenza.
Mi piaceva parlare con quel ragazzo, mi sentivo in pace come non lo ero da tempo, e non mi accorsi così che il buio era calato fuori dalla finestra e che il fuoco aveva ormai finito di emanare calore: era tempo per me di congedarmi, per quanto non ne avessi alcuna voglia.
Il cane mugolò quando gli diedi una grattatina dietro le orecchie perché, anche se in maniera del tutto casuale, mi aveva fatto conoscere una persona tanto accattivante quanto incredibile.
Il freddo pungente dell’inverno m’investii come un calcio in pieno stomaco, e rimasi impalato all’ingresso per abiturmi al cambio di temperatura. Il padrone di casa non mi invitò ad uscire né mi mise alcun tipo di fretta.
Volevo rivederlo. Era inutile negarlo. L’unica persona riuscita a farmi dimenticare il dolore, l’abbandono, ogni problema che pendeva sulla mia testa come una Spada di Damocle dalla punta acuminata.
Non potevo permettere che mi sfuggisse via dalle dita, e non m’importava se poteva suonare equivoco. Non importava se era un uomo. Se era lui, andava bene.
- Posso tornare?
Il ragazzo mi guardò, come aveva fatto per tutto il tempo passato assieme. Ricordo ancora adesso il brivido freddo che mi percorse la schiena e che non aveva niente a che fare con la temperatura esterna.
Ghignò; un sorriso sghembo che mi tagliò il fiato in gola.
- Se vuoi...
- È una promessa?
Rise piano, rientrando in casa a passo verso e mi permisi di sorridere a mia volta, come non mi succedeva da fin troppo tempo senza mentire.
- I demoni non fanno promesse, John. [7]
Prima che potessi chiedergli spiegazioni, chiuse la porta e le imposte, e io rimasi solo fuori casa, osservando una lieve candela tremolante allontanarsi verso l’interno.
Volevo tornare. Sarei tornato per rivederlo.
E non gli avevo nemmeno chiesto il suo nome, anche se lui sapeva il mio.








Ps. I’m a Serial Addicted


Forza. Dai. Lo so che volete linciarmi - e ne avete tutti i motivi -, mi merito ogni colpo e schiaffo che mi vorrete tirare. Purtroppo, come ho già detto in altra sede, ho scritto in questo periodo ciò che mi sentivo di scrivere. Non posso forzarmi a fare ciò che non voglio, per cui abbiate pietà e perdonatemi, se potete. Oggi ero ispirata, ed è uscito esattamente così come doveva uscire. Spero solo che sia valsa l’attesa.

[1] Non riesco a togliermi dalla testa che il nome di battesimo di Anderson è Sylvia... perdonatemi.
[2] Citazione di Il castello errante di Howl.
[3] Baron è la statuetta del gatto presente nel negozio di antiquariato in I sospiri del mio cuore. Diciamo che non ho resistito e dovevo per forza mettercelo, come nome, è troppo figo quel gatto X°D
[4] Mi riferisco a questo.
[5] Citazione di La città incantata.
[6] Citazione di Principessa Mononoke.
[7] Di nuovo una citazione di Il castello errante di Howl.

Eh insomma, ecco qua il nuovo capitolo. In tutta onestà, spero che non vi faccia del tutto schifo. Io mi sono divertita da matti a scriverlo, e penso che alla fine l'importante sia questo u_u *viene picchiata* vi mando come sempre tanto amore <3



Jess
   
 
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