ATTENZIONE SPOILER…
Questa
fan fiction è dedicata a tutti coloro che hanno
pianto,
quelli che
hanno pianto tanto come me quando hanno letto di Dora e Remus…
Perché
la loro morte è stata tremenda e inaspettata,
e se Jo ha saputo regalarci un libro bellissimo
allo stesso modo ci ha
dato un dolore immenso.
In
particolare queste righe sono per
due delle migliori amiche
che si possano desiderare.
Per la
nostra bella vacanza e il countdown a Londra…
CUORE
DI AUROR
“Mamma, dov’è Remus?”
La domanda era inutile,
Ninfadora Tonks ne conosceva già la risposta. Ma
era affiorata sulle sue labbra improvvisamente, allo stesso modo in cui la
paura le aveva attanagliato lo stomaco.
Andromeda, il volto stanco e preoccupato, e da
qualche mese tremendamente invecchiato, si limitò a fissarla in silenzio, gli
occhi neri della madre in quelli chiarissimi della figlia. Tutto il suo lato
Black emerse in quel momento.
Tonks sostenne il suo sguardo, all’inizio, ma
poi lo abbassò di fronte a tanta intensità, si morse ferocemente un labbro.
Sua madre non aveva parlato ma lei aveva
capito perfettamente tutte le risposte.
Dora,
non seguirlo. Tuo figlio ha bisogno di te qui, conosci bene il dolore che si
prova a perdere un genitore. Non fare in modo che Teddy debba piangerlo tutta
la vita, e doppiamente.
Le voltò le spalle in silenzio, con passo
spedito, per la prima volta in vita sua senza inciampare nel grosso tappeto che
occupava il corridoio, raggiunse la sua vecchia cameretta, quella dove aveva
strascorso la su infanzia, la sua adolescenza. Lei, bambina felice, con un
padre e una madre fantastici.
Le avevano insegnato tanto,
le avevano insegnato tutto. Era diventata forte, aveva
due modelli fantastici. Ninfadora Tonks amava profondamente i suoi genitori.
E perdere suo padre era
stato come perdere una parte di sé stessa. Il dolore più grande della sua vita.
Non era nemmeno riuscito a vedere il suo primo e unico nipote…
Aprì silenziosamente
la porta, la camera non era cambiata, coloratissima, piena di fotografie,
poster, giocattoli e peluches. Solo il nome sulla porta era cambiato. Sopra una
targhetta consunta che riportava la scritta “Dora” pendeva quella nuova
fiammante con scritto “Teddy”.
E Teddy dormiva
tranquillo nel lettino che era stato di sua madre, sorvegliato costantemente da
un enorme pupazzo a forma di pinguino.
I suoi radi capelli erano rossi come il fuoco.
Quando lo vide, i capelli della madre divennero
istantaneamente dello stesso colore.
Un sorriso deliziato si disegnò sul volto
stanco di Ninfadora, addolcendola.
Si sedette accanto al
fagottino, era bellissimo. Tutti i bambini erano stupendi agli occhi
delle proprie madri, ma lui lo era di più, ne era
certa. In qualche modo le ricordava tantissimo Remus. Forse era il sorriso
beato mentre dormiva, l’espressione tranquilla.
Il
nostro bambino, Rem…
Il sorriso svanì dal suo volto non appena il
pensiero tornò al marito.
Che cosa devo fare?
Come in risposta alla
sua disperata domanda, Andromeda comparve sulla soglia della stanza.
“Resta con tuo figlio, Dora…”
Non aveva mai sentito sua madre parlare in
quel modo. Non l’aveva mai sentita supplicare… C’era anche una nota di pianto
in quelle parole e l’unica volta in cui aveva potuto vedere sua madre piangere
(a parte il pianto di gioia quando era riuscita a diplomarsi come Auror) era
stato poche settimane prima, quando la dolorosa
notizia della morte di suo padre era arrivata.
Come poteva darle un altro dolore, ora?
Tornò a guardare il
suo bambino, lo accarezzò dolcemente con il dorso della mano, lungo una
guancia morbida e paffuta. Teddy non si svegliò ma allungò una manina per
afferrare quella più grande e forte della mamma.
Era il primo, il più grande e il più doloroso
dilemma della sua vita.
“Dora,
io devo essere là. Devo fare qualcosa perché tu e Teddy possiate
vivere un mondo in cui non sarete discriminati… discriminati per colpa mia. Non
mi succederà niente, dai. Non piangere, Dora, non è da te… Guarda, ti si stanno sbiadendo i capelli…”
Erano le ultime parole che Remus le aveva detto, sorridendo. Aveva messo Teddy, che si era
addormentato tra le sue braccia, nel lettino, poi l’aveva baciata, e i capelli
erano tornati di un vivace color rosa fluorescente.
Ed era semplicemente
uscito dalla stanzetta, chiudendo la porta dietro di sé.
Ninfadora non aveva risposto. Una parte di lei voleva implorarlo di non andare, di non
rischiare, di restare con lei e con Teddy. L’altra fremeva per seguirlo, per
essere con lui e per battersi per tutte le cose in cui le avevano insegnato a credere.
E quella battaglia non
si era placata una volta chiusa quella porta. Era cresciuta, e al momento la
stava facendo impazzire.
“Che cos’è un bambino
senza i suoi genitori?” le domandò la madre, sempre immobile sulla soglia della
stanza, le braccia strette davanti al petto e lo sguardo, supplicante ma
deciso, fisso in quello incerto e preoccupato della figlia.
“Mamma, non succederà niente…”
“Non mentire a te stessa e a tua madre, Dora.”
Per la seconda volta, Ninfadora dovette
abbassare lo sguardo. Stava mentendo, lo sapeva
benissimo.
“Mamma io… non ce la faccio!
Devo andare… Remus a quest’ora potrebbe…. Potrebbe essere… Non voglio saperlo…”
…morto…
La sua bocca si rifiutò di pronunciare quella
parola ma non riuscì ad impedire alla propria mente di elaborarla. Di
conseguenza, lacrime di dolore scesero dagli occhi, dalle palpebre inutilmente
serrate. A rigare il viso contratto dalla preoccupazione, dalla paura, dal
dilemma.
Prese tra le braccia il
suo bambino. Teddy era così tranquillo, così inconsapevole, che nemmeno si
svegliò. Lui si sentiva al sicuro tra le braccia della sua mamma.
“Mamma, io ti voglio bene. Tu sei sempre stata
un modello per me, tu e papà siete sempre stati
stupendi e grandi ai miei occhi. Che cosa potrei essere io
agli occhi di mio figlio se ora me ne stessi qui a piangere, sapendo mio marito
e i miei amici a battersi. Sapendo che si sta giocando
la battaglia più importante di tutta la storia, quella che deciderà le sorti di
tutti. Magari non potrei fare la differenza, magari sì. Ma non posso…
Mamma, io non posso stare qui… Cosa penserà –”
“Penserà che sei una madre responsabile!” la
interruppe, alzando appena la voce, Andromeda.
Tonks scosse la testa. “Anche
tu hai sacrificato tanto, una volta. Anche tu ti sei
battuta per le cose in cui credevi, mamma. Cerca di capirmi ora…”
La madre scosse la testa, i
lunghi capelli scuri scivolarono dalle spalle “E’ diverso, Dora. E tu lo sai. Metti da parte l’orgoglio,
per questa volta, foglia mia!” la implorò nuovamente.
“Non è una questione di orgoglio.
E’ più una questione di dovere e responsabilità. Ho un figlio adesso… e sono
responsabile di lui e del suo futuro. E se qualcosa
non va devo impiegare tutta me stessa per migliorarla, per fare in modo che lui
possa essere felice. Per fare in modo che possa essere fiero di
essere mio figlio, foglio di Remus.”
Ninfadora si asciugò le lacrime con la manica
della felpa. Si chinò sul suo bambino, che stringeva tra le braccia. Lo cullò
dolcemente, accennando appena alla melodia di una vecchia ninnananna. Gli passò
leggermente le labbra rosate sulla fronte fresca, accarezzò i suoi capelli e
strinse forte le sue manine.
Teddy era il regalo più grande che la vita avesse donato loro. Se fosse stata un po’ più egoista sarebbe rimasta a casa con suo figlio, avrebbe
pregato Remus di non andare, di restare con loro, nella loro casa protetti e al
sicuro, e lui la avrebbe ascoltata perché, Dora lo sapeva, lui li amava più di
qualsiasi altra cosa.
Ma così facendo,
qualsiasi sarebbe stato il futuro che li attendeva, come avrebbero più potuto
amarsi, come avrebbero più potuto essere fieri di essere una famiglia? Che
cosa, per Merlino, avrebbero trasmesso al loro figlio?
Lei aveva avuto così tanto dai suoi genitori
che non poteva immaginare una simile situazione.
E in un attimo il
dilemma fu risolto.
Dopo un interminabile abbraccio rimise Teddy
al caldo delle copertine del suo vecchio letto. Un ultimo bacio sulle labbra
piccole e rosse del bambino e si alzò in piedi.
Stavano una di fronte all’altra,
ora. Madre e figlia.
“Non mi ascolterai, dunque…” comprese la
madre.
Dora, questa volta, sostenne il suo sguardo
carico di mille emozioni contrastanti.
“Non fare l’eroina, Dora” provò, senza
speranze in merito, a dissuaderla un’ultima volta.
“Non si tratta di questo, lo
sai. Non so perché lo faccio, ma so che è giusto così. Potrei
sbagliarmi, ma non riesco a concepire altra soluzione.
Mamma, io voglio che mio figlio abbia una vita meravigliosa. Voglio che possa
sentirsi orgoglioso di avere una madre come me e un padre come Remus. Voglio
che possa rendersi conto che tutto quello che hanno
fatto i suoi genitori lo hanno fatto solo a fin di bene.”
Ninfadora cercò di spiegarsi come meglio potè,
ma il fiume di sensazioni, di paure, di angosce, di
esitazioni, di ripensamenti anche, che le scorreva dentro non era traducibile.
“Vuoi essere una madre di cui andare fieri…”
puntualizzò la più anziana delle due.
Ninfadora si morse un
labbro, esitante “Detto così, sembra egoistico…”
Cadde il silenzio tra le due donne, un silenzio
in cui per un attimo la più grande comprese le intenzioni della figlia e
l’altra ebbe dei ripensamenti riguardo la propria
decisione. Per un attimo desiderò davvero fermamente riportare indietro Remus,
chiudersi nella sua casina assieme a loro figlio ed
attendere un futuro migliore.
“Ho capito… è giusto
così, Dora, non ti tratterrò più. Ti voglio bene…” le disse
solo la madre, prima di abbracciarla come aveva fatto tante volte in vita sua,
solo stringendola, se possibile, ancora più forte.
“Mamma, voglio che tu e Teddy sappiate chiaramente che non scelgo di fare quello che sto
per fare ma che devo farlo, qualsiasi saranno le conseguenze… Non chiederei
niente di più di una vita intera assieme a mio marito e a mio figlio. O forse, solo una vita serena e senza difficoltà per lui…”
Come una bambina, Dora pianse stretta
nell’abbraccio della madre. Aveva paura, non ne aveva
mai provata tanta in vita sua. Paura di scoprire qualcosa di brutto una volta
arrivata là, paura che qualcosa potesse finire male, paura per un avvenire
uguale a quell’ultimo anno, per suo figlio, paura di non poter più
riabbracciare chi tanto amava.
Alla fine si slegò dal suo abbraccio e si
asciugò gli occhi. La madre fece lo stesso.
Ninfadora rivolse un ultimo
amorevole sguardo al suo bambino “Andrà tutto bene, vedrai. Dopotutto sono un’Auror eccezionale, no?” scherzò con un sorriso.
La madre annuì abbozzando un mezzo sorriso. Si
avvicinò al lettino e prese Teddy tra le braccia, il bambino si agitò ma solo
per un attimo “Noi vi aspettiamo qui.”
L’altra annuì. “Presto tutto questo sarà
finito. E allora potremo solo sorridere ed essere
felici… Ci vediamo, mamma… Ciao pulcino mio…”
Un ultimo bacio al suo bambino ed uscì dalla
stanza risoluta, per la seconda volta in tutta la sua vita senza inciampare nel
tappeto del corridoio…
Contrariamente a quanto aveva appena pensato,
il dilemma dentro di sé non si era minimamente risolto, ma quella era l’unica
cosa da fare…
Rem, sto arrivando anche
io… tieni duro!
Fine!
Ly tira fuori un fazzoletto grande come una
vela e si soffia il naso e si asciuga gli occhi… Se ripenso a cosa è stato per
me leggere, buttata lì tra le righe, la notizia della loro morte. E’
assolutamente ingiusto, ho capito le giustificazioni di Jo,
ma non riesco a tollerarlo…
Tonks e Lupin sono così… meravigliosi! E ora che c’era Teddy… bè, sono molto arrabbiata e
dispiaciuta per questo…
Ad ogni modo, spero che questa
breve one shot vi possa piacere. Chiunque
arriverà a leggerà, se vuole, mi potrà lasciare una
recensione e io ne sarò immensamente felice!!!
Secondo la mia opinione, questi sono stati i
pensieri contrastanti di Tonks prima di recarsi ad
Hogwarts, una mamma ma anche e soprattutto una donna coraggiosa… Oh, povera la
mia amata Tonks!!!
Colgo l’occasione per ringraziare (e farmi
anche pubblicità, perché no!!) chi ha recensito l’altra mia
one shot, The
final dance, e anche chi continua a seguire Everything goes on, che presto sarà aggiornata!
A presto allora, un
bacio, la vostra Ly