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«E
questo cosa sarebbe?» domandò provocatoriamente Leon Simmons,
direttore e tesoriere della sede degli Hunter di Whitechapel,
mostrando ad Eric un foglio di quelli contenuti nel suo rapporto sulla missione
«Non si vede?» replicò il giovane con assoluta
sufficienza «Una richiesta di rimborso spese.»
«Certo che si vede. Sto solo cercando di
capire come hai fatto a spendere 4500 sterline per un lavoro all’apparenza
tanto semplice.»
«L’esca ha dovuto dire di no a parecchi
potenziali clienti durante l’appostamento, ed eravamo d’accorso che le avrei
rimborsato tutti i mancati guadagni.»
«Non credo che il saldo degli appuntamenti
mancati di una squillo di alto borgo possa andare sotto la dicitura “spese di
lavoro”.
Questa è la quarta richiesta di rimborso spese
al di fuori della copertura finanziaria specificata nel tuo contratto che mi
porti in meno di due mesi. Hai forse deciso di mandare all’aria questa sede?».
Eric non commentò, e alla fine, come al
solito, Simmons cedette, staccando un assegno da
cinquemila sterline per il suo hunter apprendista. Leon a volte era una vera
testa di legno, scorbutico e pedante come un vero cinquantenne inglese, ma
sapeva fare il suo lavoro, e soprattutto riconosceva il talento quando lo
vedeva.
Nonostante considerasse Eric un aggressivo e
superficiale ragazzino, ancora immaturo e privo di un vero scopo nella vita, ne
riconosceva ed apprezzava il talento, e se i capi avevano voluto mandarlo in
una città da sempre problematica come Londra voleva dire che erano anche altri
a pensarla così.
«D’accordo, non pensiamoci più.» mugugnò
aprendo un cassetto «Ma ora preparati, hai già un nuovo incarico.»
«Ancora!? Ma di licenza non si parla neanche
da queste parti?»
«Forse in Giappone, Corea e Cina potete
lavorare cinque giorni a settimana con quindici giorni di ferie pagate l’anno,
ma qui in Europa le regole sono diverse.
Qui l’Associazione è nata, e qui ha dovuto
venire a patti con governi, potentati e dittatori vari che si sono succeduti
nel corso dei secoli per poter continuare a fare il suo lavoro.
Nel caso della Gran Bretagna, in base
all’accordo stipulato con la famiglia reale e il governo inglese, oltre agli
incarichi convenzionali accettiamo anche lavori che ci vengono commissionati da
alcune figure selezionate».
Eric, che era relativamente nuovo della sede
inglese, e non conosceva molto bene le regole a cui l’Associazione doveva
sottostare in un contesto così difficile e sfaccettato come quello europeo, non
mancò di trovare la cosa alquanto poco lusinghiera.
«Cosa siamo, dei mercenari?»
«Proprio tu parli, che tra poco ci manderai
tutti in bancarotta? Di certo non facciamo tutto quello che ci viene richiesto,
e sicuramente non lo facciamo gratis. I nostri servigi costano cari, e
mantenere in piena efficienza questa nostra organizzazione ha dei costi
talvolta molto elevanti, come tu stesso hai più volte dimostrato.
Ad ogni modo, la sede centrale nazionale ha
approvato l’incarico, quindi non puoi farci niente. Tra l’altro, cosa che non
riesco a capire, il cliente ha chiesto espressamente di te per questo lavoro.
Quindi, seduto e ubbidire».
Eric respirò tra i denti, visibilmente
contrariato, e recuperò il foglietto strappandolo di mano al suo superiore.
C’era riportato solo un indirizzo.
«Il cliente ha pagato un extra per la priorità
uno. Recati al luogo segnato immediatamente.»
«Ho capito, ho capito.» mugugnò il ragazzo
girando i tacchi
«Aspetta.» lo intercettò Leon prima che
potesse lasciare lo studio «Fai attenzione, e cerca di ben figurare. È un cliente… molto importante.»
«Ci proverò.» rispose sufficiente Eric.
Fuori dell’ufficio lo attendeva Nagisa, seduta
ad un divanetto accanto alla porta, silenziosa e appartata; per tutto il tempo,
la gente che andava e veniva lungo il corridoio le aveva rivolto strani sguardi
e maliziosi ammiccamenti che l’avevano fatta arrossire ed imbarazzare.
Malgrado fossero nel luogo teoricamente più
inaccessibile al mondo per qualcuno come lei, nessuno sembrava quasi fare caso
al fatto che fosse una vampira.
O non se ne rendevano conto, cosa assai
improbabile, o forse non la temevano, reputandola troppo giovane ed inesperta
per poter essere una minaccia. Ciò nonostante quei suoi tratti gentili e quella
corporatura piacevolmente minuta la rendevano molto attraente, e a ben pensarci
doveva essere proprio questo il motivo di tanto interessamento.
Proprio mentre Eric usciva, poi, passò di lì Misha Loredale, un’altra
aspirante Hunter, una tipa briosa ed estroversa che, oltretutto, aveva una
passione sfrenata per tutto ciò che, dal suo punto di vista, potesse risultare
carino.
E carina Nagisa lo era di sicuro: non a caso,
ogni volta che si incontravano il copione era sempre lo stesso.
«La mia Nagiccina!»
esclamò la giovane nordirlandese buttandosi sulla mini-vampira e sommergendola
di baci ed abbracci «Ogni volta che ti vedo mi viene voglia di portarti via!»
«B… buongiorno,
signorina Loredale.» rispose lei imbarazzata e
confusa
«Eric, me la devi prestare! Assolutamente!
Conosco una boutique in centro e ce la voglio portare!»
«Quante volte te lo devo dire?» domandò il
ragazzo tirandola su di peso per la collottola come fosse stata un gatto «Non è
un giocattolo.»
«N… no.» disse
Nagisa, pur tutta rossa e confusa «Non… non c’è problema…»
«Hai sentito? E dai, Eric. Non è mica giusto
che te la tieni solo per te.»
«Non hai del lavoro da fare?»
«Sei un egoista!» e detto questo Misha se ne andò sbattendo i piedi.
Eric guardò fuori dalla finestra più vicina,
le cui tende erano tirate; il sole era già alto, malgrado fosse giorno solo da
poco. Nulla di impossibile per lui, che in quanto mezzo umano poteva sopportare
la luce molto meglio degli altri suoi simili, ma per la sua succube il sole era
ormai diventato un acerrimo nemico, al quale accostarsi con molta attenzione.
Non c’era ragione di costringerla ad
imbacuccarsi, tanto più che doveva solo recarsi da un cliente.
«Nagisa, tu aspettami qui.» le disse «Non è il
caso che tu esca con tutto questo sole».
Nagisa abbassò gli occhi, mortificata e
rassegnata.
Una ulteriore prova di quanto la sua vita
fosse cambiata.
Da quasi sei mesi non vedeva la luce del
giorno, se non al crepuscolo o durante giorni di pioggia, e mai più l’avrebbe
potuta vedere, almeno come un tempo.
I vestiti neri che indossava continuamente non
erano solo un addobbo estetico volto a darle quell’aria piacevolmente goth; il nero del tessuto assorbiva i raggi ultravioletti,
evitandole di doversi rinchiudere in ingombranti cappotti ogni volta che
metteva il naso fuori dall’oscurità, un rimedio che però risultava inutile se
la luce del sole, come quel giorno, era troppo forte.
A dire il vero poteva ancora camminare sotto
il sole se lo avesse voluto, ma per farlo era costretta a ricoprirsi da capo a
piedi di una specie di olio schermante viscido e fastidioso, e piuttosto che
farlo preferiva evitare di uscire.
Aveva scelto la via delle ombre per avere
salva la vita, e ora doveva fare i conti con quello che era diventata.
«Sì, mio signore.» disse mestamente.
Inforcati
gli occhiali da sole, sì da proteggere l’unica parte del suo corpo che
nonostante tutto non sopportava troppo a lungo la luce del giorno, Eric lasciò
la sede per recarsi all’appuntamento con il suo misterioso committente.
Al sole di aprile, Londra era più viva che
mai.
Le strade erano piene di gente, anche di più
visto tutti i turisti che stavano convergendo nella City per il ponte di
pasqua; certo, nessuno poteva immaginare che quell’apparentemente ordinario e
anonimo pub in una vietta laterale a due passi dalla
cappella bianca che dava il nome al quartiere fosse in realtà la sede di una
potente e silenziosa organizzazione che da secoli proteggeva la città dai
vampiri che la riempivano.
Guardò l’indirizzo: SW1A, London. Per qualche
motivo gli sembrava famigliare, il che stava a significare che almeno una volta
doveva esserci già stato, ma proprio non riusciva a ricordare a cosa
corrispondesse.
Poco male. Lo avrebbe scoperto presto.
Raggiunse la strada e alzò un braccio,
fermando il primo taxi che gli capitò sotto mano.
«Mi porti qui, per favore.» disse mostrando
l’indirizzo all’autista «Ho un appuntamento di lavoro.»
L’anziano lo lesse, restandone stranamente di
sasso.
«Ma…» disse «Ne è
sicuro?»
«Certo che ne sono sicuro. Avanti, ho fretta.»
«D’… d’accordo…».
Il tassista a quel punto, pur
comprensibilmente incredulo, partì; non era certo la prima volta che qualcuno
gli chiedeva di recarsi a quell’indirizzo, ma era di sicuro la prima volta che
qualcuno gli diceva di doverci andare per un colloquio di lavoro. In verità
Eric non riusciva a capire il perché di un tale stupore, ma arrivò infine a
comprenderne la ragione quando, dopo una buona mezz’ora di viaggio, il taxi si
fermò all’ingresso secondario di un edificio che tutti i londinesi e non solo
ben conoscevano.
Ora capiva perché quell’indirizzo gli era così
famigliare.
Non era certo la prima volta che visitava Buckingam Palace: suo nonno, che lì dentro aveva da sempre
molti amici, ce lo aveva portato parecchie volte, durante l’infelice periodo
che era stato costretto a trascorrere al suo fianco.
«È proprio sicuro che sia questo l’indirizzo?»
domandò il tassista quasi provocatorio
«Ora anche di più.» rispose il ragazzo tenendo
gli occhi fissi sul palazzo «Grazie.» e pagata la corsa scese dalla macchina.
Con passo deciso ma rispettoso, sicuro di sé,
Eric si approssimò al cancello di servizio, quello usato dagli ospiti che
volevano arrivare in sordina e senza scalpore, sorvegliato da un cordone di
guardie reali e agenti di polizia.
Uno di loro gli si fece incontro, e lui senza
timore esibì il distintivo dell’Associazione; tutti coloro che lavoravano nel
campo della Sicurezza alla Famiglia Reale Britannica conoscevano bene quel
simbolo, e avevano fatto voto di segretezza.
«Sono Eric Flyer. Ho un appuntamento».
Le guardie erano già state informate, e
confermata l’identità del giovane lo lasciarono passare. Attraversati i
giardini ed entrato nel palazzo, Eric si defilò rapidamente nell’ala interdetta
ai turisti su indicazione di un attendente, ma una volta qui si imbatté in un
secondo cordone di sicurezza, piazzato proprio nel centro del vasto e
lussureggiante corridoio che immetteva direttamente negli appartamenti reali.
«Deponga le armi, per cortesia.» gli fu
richiesto.
Non che la cosa lo entusiasmasse, ma il
ragazzo si rimise alle disposizioni, lasciando nelle mani di una guardia il suo
Mateba Modello 6, revolver automatico con caricatore
modificato ad otto colpi e proiettili antivampiro, e il coltello da guerra che
portava dietro la cintura, quindici centimetri di lama laminata d’argento.
A quel punto, Eric fu ammesso da un
maggiordomo in una stanza d’attesa, nella fattispecie un elegante studio
privato pieno di libri e pregevolmente ammobiliato, con un’ampia finestra che dava
sul cortile dalle finestre già parzialmente e rispettosamente oscurate.
«Prego.» disse l’attendente facendolo
accomodare «Il suo cliente sarà qui il prima possibile».
Eric restò solo, a guardarsi attorno.
Non era la prima volta che entrava in quello studio,
dove il suo cliente, che ora immaginava chi dovesse essere, usava per
accogliere i suoi ospiti riservati; e a distanza di anni, tutto era proprio
come un tempo.
Tra tutte le cose che riempivano la stanza, il
ragazzo notò una pregevole e riccamente decorata scatola di legno finemente
lavorata, in realtà un carillon, opera sicuramente di un grande maestro;
sollevò il coperchio, lentamente, e dall’interno emerse la buffa statuetta di
un orso ballerino che girava su sé stesso sulle note di una piacevole melodia.
Era proprio tutto come un tempo; Eric riuscì
perfino a trovare la forza di sorridere, proprio come aveva fatto la prima
volta che l’aveva aperto, in un’epoca ormai lontana in cui di ragioni per
sorridere ne aveva davvero poche.
Stava ascoltando la musica del carillon,
lasciandosi trasportare dai ricordi, quando questa venne sormontata da un
curioso ticchettio, come un qualcosa che batteva ritmicamente sul pregiato
parquet della stanza.
Il ragazzo si volse, trovandosi a tu per tu
con una elegante e raffinata nobildonna di età palesemente avanzata, occhi
azzurri piccoli e penetranti nascosti dalle rughe che le dominavano il viso,
mani ossute ma ancora forti nascoste in un paio di guanti bianchi e fisico reso
asciutto dall’impietosità della vecchiaia; si aiutava
a camminare sorreggendosi ad un raffinato bastone di faggio e avorio e vestiva
in maniera ricercata, come ricercata era l’acconciatura dei capelli bianco
argentati che contornavano il viso.
«Quel carillon ti era sempre piaciuto.» disse
sorridendo e con voce roca, quasi affaticata.
Eric si diede un contegno, consapevole
dell’importanza della persona che aveva di fronte.
«Vostra Maestà.» disse rispettosamente
«Suvvia, non essere così formale. Ti conosco
da quando eri un ragazzino.» poi gli andò incontro, e i due si guardarono a
lungo «Ne è passato di tempo, giovane vampiro.»
«Abbastanza.»
«Quando ci siamo conosciuti, tu eri un bambino
con l’età di un adulto, e io una ragazza a cui era stato imposto di crescere in
fretta.
Certo, guardandoti non si direbbe quasi che tu
ed io abbiamo meno di vent’anni di differenza. Tu, giovane e atletico, nell’età
più bella della vita, e io, un corpo rugoso che scricchiola sotto il peso degli
anni.»
«Voi siete la stessa di cinquant’anni fa, mia
regina.» rispose Eric ricordando la prima volta che si erano visti «Bella oggi
come allora.»
«Non tentare di adularmi.» disse lei
ridacchiando divertita «La bellezza se n’è andata tempo fa.» poi volle tagliare
corto «Comunque, non siamo certo qui per rivangare il passato.»
«Mi è stato detto che avete un incarico da
affidarmi.»
«È così. Ho fatto molti favori
all’Associazione nel corso degli anni, e ho pensato fosse giunto il momento di
ripagare il debito.»
«Per quale motivo avete chiamato proprio me?»
«Beh, prima di tutto per i nostri trascorsi.»
disse, poi lo guardò enigmatica «E mi fido del tuo giudizio. Un vampiro con il
cuore di un umano è il migliore alleato che gli esseri umani potrebbero avere.»
«I vampiri sono delle bestie. Cacciano e
predano come animali, e non conoscono i sentimenti.»
«Ma tu sei uno di loro. E la prima volta che
ci siamo visti, non mi era parso che tu odiassi la tua condizione.»
«Perché allora non mi rendevo conto. Non
sapevo quante cose mi fossero state nascoste».
«Il conte tuo nonno non è mai stato un esempio
di moralità. L’atteggiamento tenuto dai suoi confronti è stato solo uno dei
suoi tanti sbagli.
Se non altro, ha contribuito a fare di te
quello che sei.
Ma ora, basta con questi discorsi».
La regina a quel punto prese una foto tra
quelle riposte su di una mensola a destra della scrivania, e la porse ad Eric.
Ritraeva un giovane di bell’aspetto dai capelli rosso scuro e riccioluti ed una
ragazza più o meno della stessa età, bella e sorridente come il sole, con
lunghi capelli castani elegantemente raccolti e scintillanti occhi neri.
«Suo nipote.» disse il ragazzo riconoscendo il
soggetto
«Mio nipote.» replicò la regina quasi
sospirando «Edmund. E la sua fidanzata. Tra una settimana, partiranno per un
viaggio ufficiale negli Stati Uniti, e vorrei che tu facessi parte della
sicurezza.»
«Per quale motivo, se mi è lecito chiedere?»
domandò Eric, stupito da una così strana richiesta
«Come posso spiegare…
diciamo che non mi sento del tutto sicura ad affidarli solo negli mani degli
esseri umani, se capisci cosa voglio dire».
Eric fece due più due ed intuì quale dovesse
essere la preoccupazione della regina; del resto, ne avevano parlato molto
anche i media.
«Caroline».
Sua Maestà fece un cenno di assenso.
«In questa nazione, i vampiri nobili sono
molto potenti ed importanti, ma sono anche tremendamente conservatori. Il loro
ideale di Famiglia Reale è rimasto indietro di alcuni secoli.»
«E immagino non vedano di buon occhio la
presenza di un’americana al fianco del secondo candidato alla successione al
trono».
La regina restò in silenzio, poi si avviò
faticosamente alla finestra scostando leggermente le tende.
«Mio nipote ha creato tanti problemi nel corso
della sua vita. A me come a tutto il casato. Scandali, malevoci,
dicerie, e il cielo sa cos’altro.
Immagino che parte della colpa sia anche mia,
vista la poca considerazione che ho sempre tenuto nei suoi confronti. Non ho
mai fatto mistero della mia scarsa simpatia nei confronti della sua compianta
madre, e credo che questo abbia accresciuto la sua ostilità nei miei
confronti».
Vi fu una nuova pausa, ed Eric notò la mano di
Sua Maestà stringere più forte, e tremando, l’impugnatura del bastone.
«L’altro mio nipote, e mio futuro successore,
non gode di buona salute. Secondo gli ultimi medici che ho consultato, potrebbe
morire prima di arrivare a cinquant’anni. E se così fosse, sarà Edmund a dover
prendere il suo posto».
Poi la regina parve calmarsi, si girò e cercò
di sedersi, ma dovette essere aiutata da Eric.
«Mio nipote ha fatto tante scelte sbagliate in
vita sua.
Ma da quando ha conosciuto questa ragazza,
sembra un’altra persona. Non mi importa da dove venga e se abbia o meno sangue
inglese nelle vene. Se è stata capace di riportare Edmund sulla giusta strada,
allora è la persona più adatta a lui.
Pertanto, voglio che sia protetta e al
sicuro».
Eric ci pensò un momento, e per un attimo
provò quasi una certa invidia nei confronti di quel ragazzo; che lusso, avere
un parente così determinato a fare qualsiasi cosa per la felicità ed il bene
dei propri famigliari.
Quasi voler incentivare ulteriormente
un’approvazione che, oltretutto, Eric non avrebbe potuto comunque negare, la
regina aprì il cassetto della scrivania e ne prese fuori due assegni; il primo,
da 250.000 sterline, era il compenso pattuito per l’associazione, il secondo,
da 25.000, era invece per il suo giovane vampiro preferito.
«Consideralo un piccolo omaggio personale.»
disse porgendoglielo, e facendogli capire quindi che quello era tutto suo «In
ringraziamento per quanto la tua famiglia, nonostante tutto, ha fatto per il
Regno Unito».
Tenendo conto anche del fatto che non poteva
comunque tirarsi indietro, Eric accettò l’incarico, ma anche le 25.000
sterline; non era mai stato un tipo venale, ma essere un Hunter aveva dei costi
considerevoli, che spesso l’Associazione non copriva, e vista la tirchieria di Simmons un po’ di soldi per le spese fuori programma erano
un toccasana.
«D’accordo.» furono le sue sole parole
«Ne sono felice. Edmund e la sua fidanzata
partiranno per gli Stati Uniti lunedì. Ho già preso accordi anche con un altro
tuo collega Hunter. Vista la situazione, ho preferito non far cadere tutte le responsabilità
sulle tue spalle.»
«Un altro Hunter? E chi è?»
«Beh» rispose la regina dopo qualche attimo,
quasi con imbarazzo «Diciamo che è un tipo… piuttosto
bizzarro».
Calava
la sera sulla scuola media di Swansea, nell’estremo
sud del Galles, e quasi tutti gli studenti ormai avevano fatto ritorno alle
proprie case.
Solo pochi si attardavano ancora nei cortili
del collegio, che nonostante l’illuminazione pubblica era piuttosto buio e
spettrale, ma c’era chi, come Ashley Harlow, alle storie
dei fantasmi e degli spiriti che si diceva abitassero da quelle parti non ci
aveva mai creduto.
Di tutt’altro parere era la sua migliore
amica, Sarah McNeill, che ogni settimana sudava
freddo al pensiero di dover affrontare le prove di teatro del mercoledì che la
costringevano puntualmente ad andare via quando il sole era già calato da un
pezzo, e il cortile era immerso nell’oscurità.
Quella sera però, una volta tanto, Sarah aveva
altro a cui pensare; il giorno dopo si sarebbero tenute le prove per la
selezione del cast che avrebbe preso parte alla rappresentazione di fine anno,
e la sua testa era piena dei nomi e delle specifiche tecnico-artistiche dei
potenziali candidati.
Proprio per questo, non vedeva di tornare a
casa e mettersi a letto, proprio in previsione della giornata da paura che l’attendeva
il giorno successivo.
«Allora, io vado.» disse alla sua amica,
nonché vicepresidente del gruppo teatrale, appena lasciato l’edificio «Ci
vediamo domani.»
«Ok, a domani.» rispose Ashley mentre la sua
migliore amica si allontanava in tutta fretta lungo il vialetto che portava all’ingresso
secondario, dove c’era la fermata del suo autobus.
Rimasta sola Ashley si diresse invece verso il
cancello principale, passando accanto ai dormitori riservati agli studenti
fuori sede.
C’era un silenzio stranamente inquietante
tutto intorno; non più del solito, eppure per qualche motivo la ragazzina dopo
poco si sentì stranamente a disagio.
La sua passione per i gialli, nonché il suo
spiccato intuito, unito ad una capacità logico-deduttiva assolutamente non
comune per qualcuno della sua età, le permetteva un sesto senso quasi
telepatico, e ora aveva la sensazione assolutamente tangibile che ci fosse
qualcuno alle sue spalle, e che questo qualcuno non fosse armato di buone
intenzioni.
Cercò di calmare i battiti del cuore, e nel
frattempo aumentò sempre più il suo passo di corsa, ma il suo inseguitore parve
fare altrettanto, e allora persino lei non riuscì a restare immune alla paura.
Cercando di non darlo a vedere, prese a
frugare nelle tasche della giacca, alla ricerca del taser
che suo padre, sempre in giro per basi militari e cantieri navali, l’aveva
costretta a portare sempre con sé, e che non avrebbe mai immaginato di dover un
giorno utilizzare per davvero.
Attese a lungo, seguitando a camminare nella
speranza che l’inseguitore si arrendesse, o di incontrare qualcuno che lo
facesse desistere, ma alla fine si risolse a fare qualcosa. Fulminea, si girò,
facendo scattare nel contempo la sicura dell’arma, ma come guardò alle proprie
spalle restò basita nel rendersi conto che non vi era nessuno.
Tutto era solo oscurità e silenzio.
Non volle crederci, per quanto ciò la fece
sentire sollevata: possibile che i suoi sensi l’avessero tradita?
Eppure era così sicura di aver sentito
qualcosa.
Il sollievo derivato dal passato pericolo fu
come un tappo che, nel momento in cui fece per riprendere la sua strada, saltò
troppo tardi, impedendole di rispondere efficacemente alla minaccia che si
trovò davanti appena cercò di tornare sui propri passi e che le arrivò ditta
addosso.
Per poco il cuore non le scoppiò per la paura,
vedendo comparire da un istante all’altro quel volto quasi inumano proprio
davanti agli occhi, e prima di rendersene conto era già stata buttata a terra;
fece per alzarsi, ma quell’uomo, se di uomo si poteva parlare, in un istante le
fu sopra, bloccandole braccia e gambe; i suoi lineamenti mettevano terrore, aveva
la pelle pallida e raggrinzita come quella di un morto, occhi rossi di sangue e
zanne che spuntavano dalle labbra.
Con la forza della disperazione, e mentre
cercava di gridare aiuto con tutta la voce che aveva, riuscì a liberare la mano
che impugnava ancora il taser, sparando gli elettrodi
estensibili dritti in mezzo al torace dell’aggressore; quello gemette, avvertendo
forse un qualche dolore, ma non si mosse, né diede segno di sentire in qualche
modo la scossa elettrica che avrebbe dovuto paralizzarlo.
Senza alcun problema afferrò gli elettrodi, se
li strappò e li scagliò via assieme al taser di
Ashley, che rimasta senza difese non poté far altro che osservare, impietrita
dal terrore, quell’essere mostruoso spalancare la bocca come se avesse voluto
morderla.
Chiuse gli occhi, terrorizzata a tal punto da
non riuscire più neanche a gridare, ma d’improvviso, mentre aspettava di venire
azzannata, avvertì due tremendi botti in successione, che non faticò a
riconoscere come degli spari.
Passò un istante, e la stretta esercitata sui
suoi polsi si allentò di colpo, dandole la forza di risollevare le palpebre.
Il mostro, o quello che era, era immobile
sopra di lei, la bocca orribilmente aperta, gli occhi girati all’indietro, e il
volto completamente inondato di sangue; sopra l’orecchio sinistro, due fori,
quasi sovrapposti tanto erano vicini, come se chi aveva sparato avesse cercato
di infilare i due proiettili uno dietro l’altro fin quasi a riuscirci.
Contrariamente a quanto accadeva con gli
esseri umani, l’assalitore parve venire irrigidito immediatamente dal rigor mortis, e subito dopo, sotto gli occhi increduli di Ashley,
il suo corpo divenne cenere, disperdendosi nel vento, e lasciando dietro di sé solo
i vestiti vecchi e stracciati.
«Non lo sai che le donne non vanno toccate?»
disse una voce gentile e, alle orecchie di Ashley, stranamente famigliare.
Dopo qualche attimo, dal buio del muro esterno
di un edificio emerse un giovane uomo dai tratti vagamente europei, e di un’età
approssimativa di venti o ventitre anni al massimo; i capelli, di un biondo
dorato, erano lunghi e lisci, e il volto, ben delineato e dominato da un’espressione
vigorosa ma pregiata, era ingentilito da due grandi e scintillanti occhi
azzurri.
Vestiva in modo semplice ma elegante, con
calzoni scuri, maglietta leggera rosso bordeaux e una giacca bluette, e in mano
teneva un grosso fucile militare con mirino laser la cui canna fumava ancora
dopo i due colpi sparati in successione.
«Non è un po’ tardi per girare ancora da
queste parti, signorina?»
«Professor Eisen.» disse Ashley riconoscendo il
giovane supplente di tedesco arrivato da poco alla scuola.
Tutte le ragazze o quasi sapevano chi fosse, e
anche Ashley, per quanto fosse poco interessata a questo genere di cose, fin
dal primo momento non era riuscita a restare indenne al suo indubbio fascino.
Il professore si avvicinò, e sorridendo le
porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Lei arrossì, imbarazzata da quel gesto
così semplice e da quel sorriso così sincero, quindi timidamente accettò l’aiuto,
rimettendosi in piedi malgrado tremasse ancora di paura.
«Ti ha fatto del male?» domandò Peter «Sei
stata morsa?»
«Ecco… no…» balbettò Ashley faticando a recuperare la sua abituale
logica
«Io ti conosco. Primo anno terza classe, vero?
Aspetta… Harlow, giusto?»
«Sì, giusto.»
«A conti fatti, ci è voluto meno del previsto.
Pensavo che, sapendomi sulle sue tracce, sarebbe stato più prudente.» e si
appoggiò il fucile sulla spalla «Peccato. Mi stavo abituando a fare il
professore».
Ad Ashley poi cadde l’occhio su quella cosa, o
meglio su quello che restava di lei.
«Ma quello…»
balbettò «Quello…»
«Che cos’era?» la anticipò lui «Che tu ci
creda o no, era un vampiro.»
«Un vampiro!?»
«L’astinenza prolungata da emoglobina può
giocare brutti scherzi, soprattutto se prima eri un essere umano. E quando uno
di questi vampiri infrange le regole o diventa pericoloso, noi spediamo quel succhiasangue dritto all’inferno.»
«Noi!?»
«Credi che sia da solo? Siamo un’Associazione.
Ci chiamano Associazione Hunter. Un nome fico, non trovi? Anche se io preferirei
qualcosa di più epico, tipo Guardiani dell’Uomo, o Fratelli Assassini, o giù di
lì».
Peter aveva tutto l’appeal ed il fascino di un
attore, e infatti anche Ashley non riuscì a non arrossire incrociando quei suoi
occhi così gentili e rassicuranti.
Peccato che, al di sotto di quella scorza
esteriore, avesse più di qualche difetto, soprattutto per quanto riguardava la
sua di dipendenza.
Si avvicinò ad Ashley, occhi fissi nei suoi, e
sorriso ammaliante che mandò a mille il cuore della ragazza.
«E ora, visto che ti ho salvato, che ne dici
di una piccola ricompensa?»
«Ri… ricompensa?»
disse lei confusa «Ma io… non ho niente con me…»
«Io non parlavo di denaro».
Già il solo fatto che Peter stesse piegando le
labbra fu sufficiente, passato l’attimo
di smarrimento, per far scattare Ashley sull’attenti, ma quella specie di
allarme interiore che aveva dentro si mise a suonare a tutto spiano nel momento
in cui avvertì uno strano, e decisamente insopportabile, strusciare di mano nella
parte bassa della schiena.
Cacciato un urlo, menò un ceffone da
antologia, che si abbatté senza pietà sulla guancia del giovane professore
maniaco scagliandolo via come una foglia secca. Del resto, Peter aveva imparato
tante volte a proprie spese che, se sottoposte a certi stress, le donne erano
capaci di centuplicare la propria forza distruttiva.
«Razza di pervertito! Maniaco!» sbraitò Ashley
per poi correre via, rossa di rabbia e di imbarazzo.
Peter dal canto suo restò tramortito per
qualche secondo prima di riprendere conoscenza.
«Ma… ma perché và
sempre a finire così?» balbettò contando i denti che quel manrovescio da WWE
gli aveva lasciato.
Fu riportato alla realtà, e alla serietà,
dallo squillare del suo telefono; si alzò, si diede una sistemata, si accomodò
su una vicina panchina, quindi rispose.
«Sono io … Tutto sistemato … Sì, posso
confermare. Mi sono appena liberato … Ci sarò anch’io … D’accordo … Ok … Và
bene, prendo il primo aereo per Londra».
Nota
dell’Autore
Eccomi
qua!^_^
Ce ne ho
messo di tempo, vero?
Il fatto è
che ho avuto un piccolo problema al pc, che sono
riuscito a risolvere solo stamattina, e così per tutto questo tempo non sono
riuscito a scrivere, anche se in realtà il capitolo era ormai quasi finito
quando sono iniziati i problemi.
Comunque,
che ve ne pare? Piaciuto come primo capitolo?
Come si è
intuito, questa breve fiction (che, lo ribadisco, non andrà oltre i 10-11
capitoli) costituisce un prequel generale della storia di Eric Flyer, raccontando
molti aspetti della sua vita e del suo primo periodo come Hunter (ad esempio,
come e perché abbia sviluppato il suo potere di rallentare il tempo, o perché sia
passato da un revolver ai machete con cui appare in Eric Flyer Chronicles), ma anche esplorando un po’ più
approfonditamente il personaggio di Nagisa, lasciata finora piuttosto in ombra.
Adesso
aggiornerò a breve EFT (che ho già tutto in testa, basta scrivere) poi tornerò
qui con il prossimo capitolo (horror e splatter a volontà)
A
presto!^_^