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Autore: Papillon_    22/01/2013    6 recensioni
Strawberry, dopo la battaglia con profondo Blu e una perdita devastante, ha deciso di lasciare il Giappone. Sta via per cinque lunghi anni, ma nel profondo del suo cuore sa che, alla fine, dovrà tornare. Perchè ha un nuovo piccolo, dolce motivo per farlo. E forse, anche se lei non lo vuole ammettere, perchè non ha dimenticato quel bellissimo biondino dagli occhi color dell'oceano.
Ma il tempo è un nemico temibile e cambia ogni cosa. E questo Ryan e Straw lo sanno.
Questa è una storia d'amore, di coraggio; una storia di scelte che possono cambiare la vita e il mondo.
Fin dove siamo disposti a spingerci per salvare la persona che amiamo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29

Facile come respirare

 

Io sono perfetto, perfetto, per te.

Per te sarebbe facile come respirare, con me.

Jacob Black, << Eclipse >>

 

Strawberry
 
Chi aveva detto che l'amore era la cosa più complicata del mondo? Probabilmente io, anche se non me lo ricordo.
Eppure, era stato tutto così semplice. Facile come respirare.
Mi chiedevo come avessi potuto anche solo pensare di poterla dimenticare, una persona come lui. Lui era perfetto.
Ed era mio, solo mio, finalmente.
Quella mattina, il sole scaldava meno del solito. Si era indebolito a causa della pioggia, il poverino. Ma mi andava bene così.
Il mio cuore era già abbastanza caldo di suo, già abbastanza perfetto.
E ora basta perché rischio di ripetermi e non voglio. Voglio solo amare, vivere, continuare a essere me stessa. Fino ad ora non l'ho mai fatto.
La tua vita vera inizia oggi, Strawberry. Solo ora puoi davvero respirare.
 
Aprii gli occhi per ritrovarmi a fissare la finestra della camera da letto di Ryan. Da questa entrava una luce leggera, permettendomi di vedere quel poco che bastava, senza disturbare i miei occhi ancora mezzi addormentati.
I respiri di Ryan mi accompagnavano su e giù. Ero appoggiata al suo petto caldo, che mi cullava dalla notte precedente.
Era stato tutto perfetto. Avevo sentito diverse opinioni su come poteva essere la benedetta prima volta di una persona. Ed io mi ritenevo abbastanza fortunata.
Avevo davvero sentito pochissimo dolore. Un dolore fantastico, avrei potuto definirlo.
Non gli avevo mai chiesto di fermarsi. Aveva fatto tutto da solo, mi aveva...rispettata fino in fondo. Un modo tremendamente bello di farmi sapere che mi amava.
Cosa avrei potuto desiderare, ancora? Io davvero, non lo sapevo. Il mio cuore aveva rischiato di esplodere, quando eravamo venuti insieme, quando praticamente e a tutti gli effetti, eravamo diventati l'uno parte dell'altra.
E non c'è motivo di avere vergogna, o di sentirsi inutili: l'amore queste cose non le sa e non le conosce. Le cancella, e ti fa vivere.
Dio, avevo cominciato a piangere. Tipico di me.
-Angelo...
La sua voce roca mi fece tornare alla mente ogni cosa della sera prima, e un po' arrossii.
Alzai lo sguardo e lo trovai lì, intento a fissarmi, e decisi di baciarlo. Il nostro primo bacio del buongiorno.
Mi avvolse ancora di più e per un attimo, desiderai riaverlo mio di nuovo. Ancora...
-Amore mio, stai piangendo.
-Dev'essere...
Mi asciugò le lacrime con il dorso delle mani.
-Ti ho fatto male? Strawberry, se ho fatto qualcosa che non andava...
-Ryan, ti prego, smettila. Stanotte...stanotte, è stata perfetta. Perfetta, Ryan.
Mi guardò come se mi volesse scrutare l'animo. Il mio viso tra le sue mani, il mio corpo sopra il suo. Dio, Ryan...
-Ti amo, angelo.
Immersi nuovamente il mio viso nel suo petto, piangendo di gioia come una bambina.
-Shhhh, piccola, shhhh. Sei ti faccio piangere così tanto devo farmi qualche domanda...
-Ryan, tu sei perfetto, perfetto, capito? E io...ti vorrei...
Mi baciò con una passione che non pensavo avesse, cambiando posizione e mettendosi sopra di me. Con un dito mi sfiorò le labbra, delicatamente, senza smettere di fissarle.
-Mi vuoi ancora, angelo? Io sì. Io ti voglio ancora.
E, di nuovo, mi lasciai trasportare da lui in un mondo dove non mi sentivo più me stessa, ma nel quale mi sembrava di essere più viva.
 
-Oddio, non è possibile. E adesso che faccio?
Ero in bagno, e avevo un piccolo grande problema. I vestiti del pomeriggio prima non si erano ancora asciugati e io rimanevo, fino a prova contraria, nell'enorme maglia di Ryan che mi faceva da vestito. Di sicuro non mi sarei più presentata davanti a lui così, no.
-Angelo, che c'è?
Sembrava quasi preoccupato, il mio uomo. Mi aspettava fuori dal bagno appoggiato alla porta impaziente.
-I vestiti, Ryan. Sono ancora bagnati.
Nessuna risposta.
-Angelo...vieni fuori sì o no? Dai, una soluzione la troviamo.
E così uscii con quella bellissima tovaglia addosso.
-Tu lo fai apposta perché vuoi vedermi conciata così.
Mi baciò velocemente.
-Ammetto che vederti così non mi dispiace...- mormorò con voce roca e sensuale, accarezzandomi le braccia. Sbarrai gli occhi e lui si mise a ridere.
-Dai, piccola. Vieni con me, voglio farti vedere una cosa.
Mi prese per mano e cominciò a dirigermi in una parte della casa che non avevo mai notato. Mi stava trascinando lungo un corridoio dall'aspetto sinistro (che si trovava a poca distanza della camera nella quale avevamo dormito) nella quale, alla fine, si trovava una lunga rampa di scale a chiocciola. Mi sembrava di essere in una di quelle case piene di angoli oscuri, che nessuno riesce mai a raggiungere perché segreti.
Una volta arrivati su, davanti a noi si presentò un'anticamera piccolina, che ospitava praticamente solo che vecchi scatoloni. Ma, dietro a tutto questo, c'era una porta.
-Ryan...dove siamo?
-E'...un posto un po' speciale. Non... ci ho mai portato nessuno. - disse stringendomi un pochino di più la mano.
Poi, piano piano, aprì la porta. E io fui accecata, oltre che dalla luce del giorno, da un mondo che pensavo non esistesse.
Eravamo in una piccola stanza con le pareti color pesca e una finestra enorme sul lato destro, che faceva filtrare la luce di quel giorno di metà Luglio all'interno e che rendeva tutto ancora più bello. Esattamente di fronte a noi, si ergeva un armadio enorme perfettamente in tinta con le pareti.
Quella cosa era talmente grande da spaventarmi. In casa mia non avevo mai avuto niente del genere, infatti, avevo aperto la bocca in segno di stupore e sicuramente per questo, Ryan stava già sorridendo in silenzio.
-E' una camera molto speciale...- disse piano. Io mi girai su me stessa più volte, per cercare di capire se davvero non stavo sognando o se Ryan mi stava davvero mostrando un posto così bello.
-Ryan...è bellissima. Ma perché non la usate più? Guarda quanta polvere!
Mi tirò leggermente a sé e mi baciò la fronte in modo delicato, quasi avesse paura di farmi male. Notai che aveva chiuso gli occhi.
-Questa stanza la usava mia madre, angelo. Qui aveva tutti i suoi vestiti, le sue scarpe...una specie di guardaroba tutto suo. Un piccolo mondo privato.
Gli occhi cominciarono già a diventarmi lucidi. Maledizione a me e all'emotività.
Sentii che invece lui cominciava a ridere.
-Ryan?
-Rido, angelo, perché mi ricordo che venivo spesso a trovarla mentre si cambiava. E Dio, sembrava una principessa, davvero.
Portai una mano ai suoi capelli e li strinsi forte. Una carezza, un sussurro, ovviamente non avrebbero potuto cambiare nulla. Ryan aveva perso i genitori, una perdita che per me era inimmaginabile. Come...come diamine mi dovevo comportare? Cosa dovevo dirgli? Con quelle cose non ero brava per niente, e lui penso lo sapesse.
-Ryan...ti mancano, vero?
Strinse la mia mano alla sua, poi la portò alla bocca e la baciò. Teneva ancora gli occhi chiusi.
-Da morire, angelo...da morire. Non passa giorno in cui non succeda qualcosa che vorrei raccontare loro.
Ti trema la voce e vederti così mi distrugge. Adesso mi sento come una madre con i suoi cuccioli, percepisco il bisogno dentro di me di stringerti e di proteggerti perché no, nessuno ti deve fare del male. Perché ti amo, e anche se è monotono ripetertelo sono qui, ora.
E ti amo.
Ora sei il mio bocciolo. Ti avvolgo come posso perché sei più grande e più alto di me, ma ci provo in ogni caso. Vorrei...vorrei essere di più, vorrei poterti sovrastare per farti sentire a casa proprio come tu, tra le tue braccia, fai sentire a casa me.
E ti amo.
-Amore mio... - sussurrò.
Adesso mi stringe a sua volta, il mio uomo: e io vorrei che questo non finisse mai. Davvero, mai.
-Ryan...ora ci sono io. E ci sarò sempre, te lo giuro. Non avrai motivo di sentirti solo, perché avrai me. E anche se non sono niente, niente...
-Angelo, smettila di dire che non sei niente. Tu sei tutto, sei tutto.
Mi culla un altro po', mi fa sentire a casa e al sicuro. E io mi riprendo da quello che doveva essere un gran bel discorso per me, per noi. Dio, quando mi ritrovo a parlare con lui le parole non hanno più senso e non riesco più a fare frasi lineari.
Mi rendo conto che il mio amore per lui è talmente grande che le parole, in confronto, sono inutili bazzecole.
-Comunque, ti avevo portata qui per i vestiti, angelo.
-Mmmh?
-Vuoi continuare ad andare in giro con la mia t-shirt? Non che mi dia fastidio... - sorrise malizioso, e io lo guardai male. -Perché non usi uno dei vestiti che trovi qui?
Ok, ora ne ero certa. Quell'uomo era completamente fuso.
-Ryan, tu scherzi.
-Certo che no, angelo mio. Guarda.
Aprì un'anta dell'armadio per farmi vedere un'infinità di vestiti al suo interno. Ce n'erano di semplici, di eleganti, di colorati: ogni donna avrebbe trovato sicuramente quello che faceva per lei, in quell'angolo di paradiso.
-Ryan...io non posso. Erano i vestiti di tua madre e...
-Sono convinto che se fosse qui sarebbe più che felice a farteli usare. Per cui per favore, amore mio, non farmi insistere.
Mi avvicinai a lui e cominciai a osservare ogni tessuto, ogni drappeggio, per poter capire meglio quale abito scegliere. Alcuni erano per stare in casa, altri troppo eleganti o troppo, ecco, succinti. Immaginai la mamma di Ryan come una bella donna.
-Puoi scegliere quello che vuoi, Strawberry.
Afferrai con la manina un vestito color pesca, un arancio chiaro che stava proprio bene con la mia pelle. Lo spiegai davanti a me e vidi che era lungo quanto bastava, e sì, la taglia doveva più o meno coincidere con la mia.
-Questo va bene -mi limitai a dire. -Ora mi cambio.
Ryan era rimasto a fissarmi.
-Non cercare di fare il furbo! Lasciami sola mentre mi...spoglio.
Mi avvolse il viso tra le mani e mi baciò di nuovo. Quasi il vestito non mi scivolò al suo contatto, ma ormai avrei dovuto abituarmi. Ryan era lì, ed era veramente mio. Mio e basta.
-Non metterci troppo, angelo.
In un primo momento, quando mi lasciò andare, sentii quasi freddo. Mentre mi toglievo la sua enorme maglia e rimanevo solo in biancheria intima, mi osservai allo specchio. Mi resi conto che quella donna, sì, quella ragazza che stavo osservando era davvero la persona più fortunata del mondo.
Mi chiedo se mai lui potrà stancarsi di me, se mai davvero mi amerà come in questo momento lo sto amando io.
 
Mi misi il vestito e mi guardai, di nuovo. Stavo bene, nonostante le aspettative.
La taglia della mamma di Ryan coincideva perfettamente con la mia. Il vestito aveva delle spalline semplici e fini; sotto il seno si stringeva con un nastro di seta di un'arancione più intenso che, al centro, si attorcigliava per diventare un piccolo fiocco. Da qui partivano gentili drappeggi che, con mio grande stupore, rendevano il mio corpo più slanciato.
Riaprii le ante per vedere se per caso ci fosse stato un copri spalla da qualche parte, e per fortuna – santa mamma di Ryan, avevi proprio tutto! - ne trovai uno a maniche corte, con dei bottoncini arancioni. Curiosando in giro, ormai divertendomi come una matta, scelsi per me un paio di ballerine che si abbinavano perfettamente al resto dell'abbigliamento.
A opera completa mi riguardai allo specchio. Non sapevo perché, ma quel giorno vedevo tutto in modo diverso. Diverso, addirittura, da come mi sembrava di aver osservato la realtà il giorno dopo della dichiarazione di Mark, cinque anni prima.
Mark era un pensiero che non mi aveva ancora sfiorato, ma sapevo, in cuor mio, che prima o poi avrei dovuto imbattermi in quel macigno. Non mi sentivo in colpa, o forse era passato troppo poco tempo da quella notte per cominciare a sentirne.
In realtà avevo già da tempo fatto pace con i miei sentimenti contrastanti. Avevo voluto bene a Mark, e avevo avuto la sfortuna di credere che questo sentimento fosse qualcosa di più grande. Avevo creduto di amarlo, di poterlo rendere felice. Ma lui aveva capito tutto molto prima che ci arrivassi io, e in questo era stato bravo. Aveva capito che non mi ero innamorata di lui, aveva capito che ero solo innamorata dell'idea di amarlo. E a pensarci, cinque anni dopo, quando comunque le cose le capivo e non potevo più nasconderle, mi sentii male per lui, per quel ragazzo dolce e sensibile che mi aveva dato un pezzo di sé stesso.
La verità e che non potrò mai ringraziarti abbastanza, Mark. Mi hai salvata una volta, mi hai salvata di nuovo, e mi hai lasciata andare. E se vivo ora...vivo grazie a te. E tu lo sai.
Con i capelli ondulati che accompagnavano ogni piccolo gesto, raggiunsi Ryan in cucina, che si stava cimentando nella preparazione del caffè. Quando si voltò con una tazza del liquido bollente in mano, dovetti nascondere la testa con le mani, per non scoppiargli a ridere in faccia.
-Oh, mio Dio – cominciai. -Sei davvero carino con quel grembiule rosso, davvero.
Mi sorrise e mi fece l'occhiolino, mentre, complice, faceva un giro su stesso per farmi vedere come stava. E anche con un grembiulino, i jeans scuri e una t-shirt, mi sembrava l'uomo più bello del mondo.
-Avevo voglia di caffè. Ne vuoi un po'?
Annuii, sporgendo le braccia per accogliere una mega tazza di caffè italiano. Ne avevo proprio voglia.
-E' buono, e non l'avrei mai detto.
-Hai ragione, di solito per me lo fa Gerard. Dovresti sentire il suo, è molto meglio della roba che stai bevendo ora.
-Gne, gne, gne. Se lo fai tu è il più buono del mondo.
Mi mise un dito sulle labbra e me le accarezzò. Fu un gesto talmente improvviso e intimo che mi sentii scoppiare il cuore.
-Ti amo, angelo. E sei mia. Te lo ripeterei ogni momento.
 
A ora di pranzo decidemmo di uscire, tanto per mangiare un panino per strada e rimanere a contatto con il mondo. Anche se c'era più fresco dei giorni prima, si stava bene lo stesso, e poi non avevo il coraggio di lamentarmi. Il sole ce l'avevo dentro.
Andammo in macchina, perché con me non portavo i guantini porta fortuna di Ryan; cosa che secondo lui ci avrebbe portato le più grandi e inimmaginabili catastrofi.
Stavamo mangiando un gelato, quando passammo davanti a una gioielleria che a Tokio era la migliore. Mia madre, una volta, mi aveva mormorato che era lì che mio padre le aveva preso l'anello di fidanzamento.
Mi affacciai alla finestra e cominciai ad ammirare gli anelli. Non che ne volessi uno, non che volessi far vedere a Ryan chissà che cosa. Volevo solo sentirmi libera e osservata. Dal mio uomo.
-Sei felice? - mormorò lui, stringendo la mano che era ancora intrecciata alla sua.
-No. Felice è troppo poco, credimi. - gli dissi tornando a guardarlo. -Se avessi saputo che era così semplice...
Lo baciai, ma fu un bacio leggero, fugace, timido. Lui mi guardò torvo, come se non capisse un passaggio fondamentale.
-Temo di non crederci, angelo. Ti prego, no, no. Mi stai dicendo che...
-Ti amo da quando quel giorno al ballo mi hai chiesto di starti più vicina, credo. O forse anche da prima, non lo so, il mio cuore è troppo confuso per capirlo. Sono stata una stupida, perché fino all'ultimo ho cercato di negare quello che provavo. Sviavo discorsi, arrossivo tra le mani. Ma la verità è che ti amo da sempre. Almeno in questo sono stata brava...
Mi mise un dito sulle labbra.
-Varrebbe di più se mi dicessi che mi ami da quel giorno in cui ti ho stretta a me, sull'albero, e ti ho salvata.
-Te lo ricordi?
-Beh, per me è cominciato tutto da lì. Io ti amo da quel giorno, angelo.
Mi strinse ancora di più tra le braccia e chiuse gli occhi. -Baciami. - ordinò.
Il suo ordine fu inutile, perché ormai, durante la confessione, le mie labbra erano praticamente sulle sue. Quel bacio fu carico di passione, di quelli che dai e che vuoi continuare a ricevere, di quelli che ti rimangono dentro e che non vuoi più perdere.
Perché è così, vero? Ora e adesso, in questo momento, io, te, e un delizioso gelato alla fragola che ci fa compagnia, che si scioglie piano piano, perché lo sai, in confronto ai tuoi occhi lui, il povero gelato, non è nulla.
 
Al ritorno Ryan ed io guidammo insieme. Nel senso che mi teneva la mano, quando inseriva le marce, e così sì, nella mia ampia fantasia, voleva dire che guidavamo insieme. Fu divertente, perché io sbagliavo sempre qualcosa, così ogni sacrosanta volta scoppiavamo a ridere. Quando facevo giusto, invece, le alzava dal cambio e baciava la mia, con intensità.
-Vuoi andare a casa? - mi disse imboccando una via che era proprio a metà strada tra casa sua e la mia. Se andava a destra c'era l'una, se andava a sinistra l'altra.
Al pensiero di separarmi da lui mi si strinse lo stomaco.
-Voglio stare con te.
-Angelo, hai bisogno di cambiarti, di stare con i tuoi. Domani staremo insieme.
-Domani c'è il lavoro.
Alla parola “lavoro”, scattò per entrambi un campanello d'allarme. Come lo avremmo detto agli altri?
Come se ci fossimo letti nel pensiero, il nostro discorso cambiò immediatamente e sentii la sua mano irrigidirsi.
-Non possiamo dirlo a Lory, è troppo presto.
Respirai a fondo, cercando di mantenere la calma. Era solo Lory. Era solo una sua ex, cavolo.
-Lo so. Ma non potremo rimanere nell'ombra per sempre.
-Angelo, io non voglio rimanere nell'ombra. Andrei in giro per il mondo a urlare che sei la mia donna e che aspettavo questo momento da Dio solo sa quanto, ma non qui, non dove c'è Lory.
-Ci tieni ancora così tanto, a lei? - mi ritrovai a dire in tono sprezzante. Poi Ryan inchiodò, e notai che mi aveva portata a casa. Non volevo lasciarlo, non volevo uscire da quella macchina. Volevo stare con lui ancora, baciarlo ancora, amarlo, magari, ancora. Ma non col pensiero “Lory”, che mi assillava. Non ne sarei stata in grado, perché la sua ombra mi avrebbe uccisa.
Con due occhi che emanavano fuoco, Ryan mi osservò e io mi sentii letteralmente nuda, scoperta, davanti a lui. Mi aveva smascherata, e io ero stata brava a farmi scoprire. Davanti a lui ero letteralmente un libro aperto.
-Amore mio, non è né di me, né di lei, che sto parlando. Io non voglio rovinare quello che c'è tra voi. Io non posso, rovinare quello che c'è tra voi. Io davanti a lei sono un uomo senza dignità, un fottutissimo bastardo, ma davvero, può pensare quello che vuole. Quello che sto cercando di salvare dalla sua ira sei tu, angelo.
-Cercherà di separarci?
-Non penso ne sia capace, in fondo è sempre lei, è sempre Lory. Ma nessuno ti porterà via da me, mai. Hai capito, angelo? Mai.
Mi sporsi per baciarlo, perché in fondo ero fatta così, come una pentola di fagioli: borbotta, borbotta, borbotta...ma in fondo non è cattiva. Ma proprio quando credevo di essermi fusa in lui, e di non poter più tornare indietro, qualcuno bussò al finestrino.
-Katherine!
Aprii in modo quasi spasmodico lo sportello, accorgendomi che stava piangendo. Sentii Ryan che faceva il giro per raggiungermi, ma non ero completamente sicura. Avevo occhi solo per la piccola.
-Kat, amore, dimmi cosa c'è. Guardami, Kat!
La mia piccola non la smetteva di piangere, e io stavo cadendo nel baratro insieme a lei. Avrei dovuto dimostrarle forza, coraggio, ma non ero in grado, io...
Due braccia forti ci avvolsero.
-Shhh, piccolina, shhh. Raccontaci cosa c'è. Ci siamo noi, qui con te, ora. Ci siamo noi. - disse Ryan in un tono che ebbe il potere di calmarmi.
-La...mamma...e il...papà...
La sua voce era scossa da violenti singhiozzi, che non le permettevano di parlare. Ma si era già spiegata fin troppo bene. Le finestre del piano di sopra di casa mia erano tutte spalancate. Sulla porta principale spiccavano graffi profondi.
Lasciai Katherine e mi precipitai in casa. C'erano disordine e caos ovunque, e quasi stentai a crederci, che quella era casa mia. Aprii tutte le porte e cercai in tutte le stanze, ma di mamma e papà non c'era l'ombra.
Li chiamai. E li chiamai ancora, di nuovo, finché non mi rimaneva più fiato in gola. E poi entrai in camera mia, e lo vidi. Un demone, troppo vicino, troppo pericoloso.
-Avete tre giorni di tempo per prepararvi alla battaglia. I tuoi genitori rimangono con me, come ricordino, diciamo. Così saprai che non potrai tirarti indietro. - mi urlò in testa il vampiro. La forza con la quale era penetrato nella mia testa era stata in grado di piegarmi in ginocchio.
-No! No ti prego, prendi me! Lascia loro...ti prego...
-Non sprecare fiato, umana. Conservalo per la guerra, ne avrai bisogno.
-Io ti
Il demone mi afferrò per la gola e mi scagliò contro il muro. Per un attimo non vidi più niente, c'era solo buio. Poi di nuovo la sua voce...
-No, non hai capito. Tre giorni, e porremo fine a tutto questo. E se non vi presentate alla croce nera, io ti giuro che i tuoi genitori non li vedi più.
Gemetti, perché la sua voce stava diventando insopportabile.
-Giura, umana.
-Lo...giuro.
-Lo vedi? Sei una brava bambina, in fondo.
Non so esattamente cosa accadde dopo. Ricordo che vidi una luce, una luce bellissima e profonda, provenire dalla porta d'entrata. Il demone scappò dalla finestra, disturbato da quella luce accecante.
Giuro su me stessa che lo sentii mormorare: -Ancora, ma non è possibile!
La luce era calda, dava sollievo. Lo ricordo ancora oggi.
E poi sentii il mio nome, molte e molte volte. Cercai di aggrapparmi a quella voce, che mi chiedeva di restare con lei, che mi chiedeva di lottare. Mi diceva che ero forte, quella voce.
Io gli credetti e mi lasciai salvare da quello spiraglio di vita, lontana dal male e dal dolore.
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**
Ok, so di essere in ritardo e vi chiedo scusa, è solo che ieri non ho fatto proprio in tempo a venire a pubblicare perché ho studiato tutto il giorno...so che mi capite!
Allora...sono successe un sacco di cose e sono talmente rimbambita che come al solito me ne dimenticherò qualcuna.
Prima di tutto il titolo “Facile come respirare” è preso da una citazione di Jacob Black, il mio personaggio preferito in Twilight, quando dice alla donna che ama che stare con lui sarebbe appunto “Facile come respirare”. Volevo che si intuisse che finalmente, dopo tanto tanto tempo, gli ostacoli tra Ryan e Straw stanno via via sbiadendo e lasciando il posto a una storia d'amore semplice e senza pretese. Una fase che tutti noi stavamo aspettando col cuore in gola insomma, perché di litigi non se ne poteva più ;)
La parte della stanza dei vestiti è stata bellissima da scrivere (mi sono emozionata davvero tanto) e spero che arrivi almeno un quarto di quello che ho provato io. Davvero. Poi (finalmente) i due hanno parlato di Lory che per fortuna non rappresenta più una minaccia e alla fine è arrivata Kat con questa notizia sconvolgente. Cosa succederà adesso che Straw e Kat sono rimaste senza genitori? A chi si affideranno?
Ok, come al solito mi sono dilungata anche troppo. Ringrazio tutte quelle che mi seguono, che preferiscono e in modo particolare a chi mi lascia sempre un pensiero ** Siete speciali <3
Vostra,
Je <3
   
 
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