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Autore: Daicchan    22/01/2013    2 recensioni
Scritta per il contest "Amori non ricambiati" e non ancora valutata...
Protagonista ne è Severus Piton, nei tormentati mesi che seguono la morte di Silente, e che precedono la sua fine per mano di Voldemort, durante la battaglia di Hogwarts.
Un incontro. Un paio di labbra.
Ciò che porterà Severus ad un'analisi della propria vita e coscienza, prima della fine.
" Allora, quali dei due conosceva? "
" Prego? "
Lei si portò la sigaretta alle labbra. " Per quale Potter sta piangendo? Lui o lei? " domandò, seria. " Io punto sulla ragazza. "
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La ragazza con le sue labbra

 

La prima volta che la vide, fu quando entrò in uno squallido bordello, accompagnato da altri tre Mangiamorte.

Era una di quelle tanto ricorrenti missioni di Imperio su politici influenti.

Lei se ne stava seduta lì, esile e rossa su uno sgabello, con addosso poco più del necessario. Fumava una sigaretta babbana, incurante, mentre dalla stanza alle sue spalle veniva trascinato fuori l’ennesimo torbido e patetico ministro, frignante tra le braccia di due dei Mangiamorte; aveva ancora i pantaloni abbassati, quel maiale.

Al loro primo incontro, comunque, gli occhi di Severus Piton non videro una donna.

Videro una puttana.

Una puttana che lo osservava, provocatoria, mentre il fumo della sigaretta le usciva dalle labbra schiuse.

<< Io l’ho già vista. >> disse << E’ quello dei giornali, no? >>

Severus non rispose che dopo qualche istante: << Non so di che parla. >>

<< Andiamo, ho visto la sua foto sulla Gazzetta. Lei è Severus Piton, quello che ha ucciso Silente. >>

<< La Gazzetta, dice? >> replicò lui, aspro. << Allora l’alfabetizzazione è giunta anche in luoghi simili. Vi avevo sottovalutato. >>

Persino quella lurida sottoclasse del genere umano poteva rivolgergli occhiate di disgusto, adesso.

Che facessero pure, non era il loro disprezzo che temeva.

L’unica approvazione che avesse mai desiderato era quelle di due persone, ed erano morte entrambe.

<< Non è carino quel che dice, preside Piton. >> disse lei, suadente, divertita. << Soprattutto perché vi ho procurato l’ennesimo burattino da manovrare. >>

Severus la guardò giocherellare con la sigaretta.

Aveva qualcosa di particolare.

<< Adam. >> chiamò, tenendola sott’occhio e facendo un cenno con la testa al Mangiamorte alle sue spalle. L’uomo s’infilò una mano in tasca, ne estrasse qualcosa e glielo lanciò.

Lei afferrò a volo il sacchetto, tintinnante per i Galeoni al suo interno.

<< Ora può andare. >> disse Severus, duro, distogliendo con disprezzo lo sguardo.

Ma lei non si mosse dallo sgabello.

Se ne stava lì, mollemente seduta, a fumare.

<< Non ho frequentato Hogwarts, ovviamente. >> iniziò, a un tratto << Ma so che Albus Silente era un brav’uomo. >>

Severus rimase in silenzio.

Nella sua mente sfrecciò il ricordo di quella notte, di quel letale lampo verde emanato dalla sua bacchetta, e il corpo di Silente che cadeva, lasciandogli per sempre impressa l’immagine dei suoi occhi celesti, spenti dalle gelide mani della morte.

Si passò una mano sugli occhi.

La puttana aspirò una boccata di fumo.

Espirò.

<< Silente non era un brav’uomo. >> disse Severus.

“Era il migliore.”

<< Era un folle babbanofilo, un vecchio strampalato fuori di testa che si opponeva al mio signore. Non c’è uomo che avrei ucciso con più soddisfazione. >>

<< Mmm… >> lei lo osservò per qualche istante, pensosa.

Gambe incrociate, gomito poggiato sulla coscia chiara, mento sorretto dalla mano, si sporse verso di lui.

Aveva gli occhi blu.

Blu, e serissimi.

<< Credevo mentisse meglio, signor Piton. >>

Severus rimase in silenzio, preso alla sprovvista.

Un’ondata di gelo lo pervase, con il timore.

Doveva ucciderla?

Nessuno avrebbe mosso un dito, nel caso se la fosse presa con una puttanella da quattro soldi.

Ma lei lo aveva guardato, così seria, e qualcosa si era mosso dentro di lui.

Cos’era che nel viso di quella donna lo turbava così tanto?

<< Qualche problema? >> fece uno dei Mangiamorte – Merlino, non ne ricordava nemmeno il nome -, avvicinandosi.

Entrambi rimasero ancora qualche istante in silenzio, a guardarsi.

Poi, lei rovesciò il capo all’indietro, ridendo.

Severus rimase serio. L’altro Mangiamorte sembrò agitarsi.

<< Che c’è di tanto divertente? >> sbottò, indispettito.

Lei scosse il capo, sorridendo. La sigaretta fra le dita.

<< Niente, niente. Muovetevi a portarlo fuori di qui, prima che ci vedano. >> disse, accennando al ministro mezzo nudo.

<< Fate come dice lei. >> aggiunse Severus, rivolgendosi al compagno << Non voglio problemi. E sbrighiamoci, questo posto mi da la nausea. >>

La puttana sorrise.

Mentre si allontanavano, lungo quel corridoio di fumo, alcool e ansimi provenienti dalle camere che vi si affacciavano, Severus sentiva ancora il suo sguardo sulle spalle.

 

 

***

 

Nel suo ufficio di preside, Severus sedeva sulla poltrona, fissando un punto indistinto davanti a sé.

Se ne infischiava della sontuosa libreria che abbracciava le pareti della stanza, dei rilievi in oro ed ottone.

Il vuoto era di gran lunga uno spettacolo più gradito e confortante in cui perdersi.

Perché tutto, tutto in quella sala gli ricordava lui.

Lui, e la sua colpa.

Rifuggiva quel luogo, e allo stesso tempo lo bramava con tutto sé stesso, visceralmente.

Era la punizione più adatta e dolorosa che potesse infliggersi. La più meritata.

Così, anche se era ancora presto per l’aprirsi dell’anno scolastico, lui se ne stava lì, a trascorrere le sue giornate libere in quell’ufficio.

Rimaneva tra quelle mura a ricordare il suo terribile atto.

Faceva tutto parte di un piano, un piano atroce, e lui non era che una pedina.

Gliel’aveva chiesto Silente, di ucciderlo, l’aveva fatto per un buon fine.

Ma questo non riusciva ad alleviare il suo rimorso, o il suo dolore. Affatto.

Per mano sua, era morto Silente.

Per colpa sua, era morta Lily.

Si portò, per l’ennesima volta, il calice alle labbra.

Il vino gli bruciò la gola.

 

 

***

 

 

 

<< Ha esplicitamente chiesto di riferire a te. >>

<< Lo so. Me l’hanno detto. >>

Camminando per le grigie strade di Londra, in mezzo ai Babbani, a Severus tornava in mente la propria infanzia.

Gli abiti, le discussioni sullo sport, l’economia.

I negozi, i bar, le loro vetrine.

La birra di cui si rimpinzava suo padre era ancora in voga.

Un’auto sfrecciò particolarmente vicino al marciapiede su cui camminavano, e l’acqua piovuta da poco sull’asfalto schizzò verso di loro.

Lestrange balzò all’indietro, disgustato.

<< Questi Babbani. >> sibilò, mentre il viso gli si deformava in una smorfia di disprezzo. << Sono dei selvaggi. Mi fanno schifo. >>

<< Già… >> replicò Severus, sovrappensiero. Si guardò attorno.

Si trovavano in una zona della città piuttosto squallida, vicino al fiume, dove un tempo sorgevano le fabbriche e le dimore dei più umili operai. Guardandosi attorno, nell’osservare il cielo grigio e le nuvole incombenti, gonfie di pioggia, era quasi possibile rivedere lo squallore di un tempo, il fumo degli scarichi di fabbrica impregnare l’aria e le mura degli edifici.

Ma era soltanto il maltempo, nulla più.

<< Siamo arrivati. >>

Severus si guardò attorno. << Non c’è nulla, qui. >>

Lestrange alzò le spalle.

<< Ha detto di imboccare la Rodington, da solo. Si sarebbe fatta vedere lei. >> fece una pausa << Ovviamente, il “solo” è riferito a te. >>

<< Ovviamente. >> rispose lui, tetro.

S’infilò in quella stretta stradina, di malavoglia.

Ma non poteva fare altrimenti.

Dopo solo qualche metro, storse il naso.

C’era puzza di fumo, pesce, immondizia e qualcos’altro.

Che si aspettava, d’altronde? La zona non era di certo una delle più ricche. Si vedeva chiaramente che quello era il luogo in cui si radunavano i più poveri.

Onesti lavoratori, che non avevano fatto nulla di male e che si spaccavano schiena ed ossa per trascinarsi avanti.

Gente innocente, ma che non era mai stata accettata, cui la vita aveva riservato solo sfortuna e dispiaceri.

Un po’ come lui.

Ricordò che, in gioventù, era per questo motivo che si era arruolato tra le file di Lord Voldemort.

In virtù del proprio senso di rivalsa, per cambiare le cose. Per fargliela vedere, a coloro che l’avevano sempre deriso, e conquistarsi anche lui un posto nel mondo.

Ora, invece, lottava per difendere quelle stesse persone che, normalmente, l’avrebbero disprezzato ed odiato comunque.

Combatteva per quel mondo, per i Grifondoro che lo disdegnavano e per i Babbani selvaggi che gli schizzavano addosso l’acqua delle pozzanghere.

<< Ehilà, professore. >>

Severus si fermò. Eccola lì.

Poggiata con noncurante mollezza al muro della stradina. I capelli color del rame sciolti sulle spalle, addosso un lungo cappotto grigio.

La sigaretta tra le dita.

Severus la guardò, aspro.

<< Perché ha chiesto proprio di me? >>

Lei sorrise. Si scostò dal muro.

<< Beviamo qualcosa, le va? >>

 

 

 

 

 

 

<< Sappiamo alcune cose di lei, signorina. Che è nata e vissuta in Irlanda, sebbene i suoi genitori vengano dalla Russia. >> Severus passò all’altro foglio che teneva in mano << Maghi entrambi. Senza un soldo. Lavora da qualche anno come prostituta in vari locali, perlopiù babbani. Altro? >>

Lei sembrava divertita.

<< Non ho frequentato Hogwarts e leggo la Gazzetta. Ma questo lo sapeva già, no? >>

<< Sì... >> rispose lui, serio. << Ma quello che non conosciamo è la sua identità, signorina. Solo una miriade di nomi falsi. >>

<< Ma al Grande Capo non importa il mio nome, giusto? >> fece lei, ironica. << Solo le informazioni che posso fornire. E sono tante. >>

Severus le rivolse uno sguardo colmo di sospetto. << Personalmente, non la trovo una fonte molto attendibile. Lei non è nessuno. >>

<< Nessuno, dice? >> mormorò lei, mentre uno strano velo calava sul suo sguardo.

Rimase in silenzio, ma prima che Severus potesse chiedersi il motivo di tale malinconia, lei rise.

<< Oh, non sia così ingenuo, prof. >> disse poi, abbassando la voce. << Senza mutande, con un po’ di alcool e le domande giuste, le persone parlano più di quanto farebbero in qualsiasi altra situazione. >>

Era poco convinto, Severus. Non se ne intendeva, ma quali informazioni utili poteva rivelare un uomo intento a scopare con una puttana?

Lei sembrò notare il suo fare sospettoso. Sorrise.

<< E sono anche una brava ladra, signor Piton. I miei clienti preferiscono rilassarsi appena usciti dall’ufficio, per non destare sospetti in famiglia. Il pretesto del capo che ti trattiene a lavoro, cose così. Non hanno il tempo di lasciare le loro preziosissime borse da qualche parte, e frugare nelle borse è la mia specialità. >>

Così dicendo, si sporse verso la propria, di borsa, e ne estrasse un piccolo gruppetto di fogli, lasciandolo ricadere sul tavolo.

<< Voilà. Le copie di alcune pagine del diario di una persona dei piani alti. >> esclamò, con sorpresa di Severus. << In cui si lagna per essere stata trattenuta ad una “riunione segreta” al Ministero. >>

Severus prese in mano i fogli, incuriosito. Iniziò a leggere, ad alta voce.

<< “Essere così importanti è una tale seccatura, a volte. Oggi è stato indetto un consiglio straordinario, con l’intimazione di non dire nulla a nessuno. Una riunione ufficiosa. E dire che avevo intenzione di passare il pomeriggio sul divano…” >> saltò qualche riga << “Hanno tutti paura. Ci credo! Tu Sai Chi è sempre più potente, fa sempre più paura. Che me ne frega di Potter? Non voglio morire per proteggere un moccioso che nemmeno conosco.

Alcuni diranno che sono le parole di una persona codarda. No, esprimo solo l’opinione della massa. Fanno tutti i coraggiosi, i leali sostenitori della buona causa. Ma sperano solo che tutto questo finisca, non importa come. Non lo dicono in giro, ma sarebbero disposti a veder morire tutti i Nati Babbani affinché questo inferno abbia fine. Non possiamo permetterci di perdere il sostegno della popolazione, già spaventata di suo. Siamo giunti ad una conclusione: se la situazione peggiorerà, daremo il via alla caccia. Un bel mandato di cattura per Potter e i suoi alleati…” >>

Sollevò lo sguardo, Severus.

Lei stava sfilando dallo scatolo un’altra sigaretta.

<< Sono le parole di un Ministro? >>

<< A-ah. >> assentì lei, accendendosi la sigaretta. << Fotocopiate dal suo diario. >>

<< Fotoco… cosa? >>

La ragazza rise: << Non se ne intende proprio di Babbani, vero, preside? Le basti sapere che sono autentiche. >>

Severus non rispose.

Di babbani se ne intendeva, ma diciamo che suo padre non era mai stato un uomo… d’ufficio.

Più da pub notturno, in effetti.

<< Allora…? >>

Severus la guardò.

Aveva già usato le proprie abilità di Legilimens per sondare le sue intenzioni, e non sembrava mentire.

Era una brutta faccenda. Ora, anche il Ministero era pronto a voltare le spalle ad Harry Potter.

Voldemort ne sarebbe stato più che lieto.

La Gran Bretagna gli stava letteralmente cadendo ai piedi, e sciocchi erano tutti quei politici che credevano si sarebbe accontentato.

Pensavano che bastasse schierarsi contro Potter per tenerlo a bada?

Illusi.

Voldemort non si sarebbe fermato finché tutto non sarebbe finito nelle sue avide mani, e il controllo del Ministero sarebbe stato uno dei gioielli più preziosi del suo bottino di guerra.

<< Non è ancora convinto? >>

<< Non so… >> fece Severus << Quale uomo terrebbe mai un diario segreto? >>

Lei sorrise, maliziosa. << E chi ha mai parlato di un uomo, professore? >>

<< … Mm. >>

<< Posso farle una domanda? >> gli chiese, ad un tratto. << Come mai odia i Babbani? >>

Severus sollevò lo sguardo in sua direzione.

Si soffermò sulla sigaretta delicatamente incastrata tra le sue labbra.

“Credevo mentisse meglio, signor Piton.”

<< Non mi sento in dovere di risponderle, signorina. >> replicò, duro. << Piuttosto, perché ha chiesto proprio di me? >>

La sigaretta si scostò dalle sue labbra, che si piegarono in quel suo ghigno provocatorio e malizioso.

<< Perché lei mi interessa, Piton. Fa’ tanto il duro, ma l’ho guardata bene, l’altra sera, l’ho ascoltata. Non è il tipo di uomo che si diverte a uccidere altra gente, e in particolare, che non si diverte a uccidere Albus Silente. E allora che ci fa con quei tipi? >>

Severus la guardò, aspro.

Doveva rimanere calmo, nonostante si sentisse così… nudo, indifeso.

Ma non sarebbe stata una puttana qualunque a metterlo in difficoltà.

<< Sono uno dei più fedeli servitori del Signore Oscuro. >> sibilò, duro.

<< Questo non lo metto in dubbio. >> commentò lei, divertita. Sembrava trarre enorme godimento da quella situazione per lui così problematica. << Solo che non mi sembra il classico Mangiamorte. >>

<< Forse perché non lo sono. >> replicò Severus, secco, dall’altra parte del tavolo.

Lei si chinò verso di lui: << E’ per questo che mi interessa, no? >> e rise, riappoggiandosi allo schienale della sedia.

Severus storse il naso, indispettito.

<< Neanche lei sembra la solita… spia, se mi permette. >>

Lei fece spallucce: << Rubo e scopo dall’età di dodici anni. C’è spia migliore di me? >>

<< Sa cosa intendo. >>

<< No, signor Piton, non lo so. >> replicò lei, improvvisamente dura. << Sono Purosangue, in cerca di soldi, e disprezzo tutti questi babbani che uccidono per nulla, fanno i moralisti quando non gli basta niente per scatenare una guerra, e anzi di starsene sul tappeto della cucina a giocare coi figli, tradiscono le mogli con la sottoscritta. >> si portò la sigaretta alle labbra << Piuttosto, sia lei a farsi un esame di coscienza. >>

 

 

 

Coscienza.

Mentre dal suo ufficio vedeva cadere la neve, Severus si domandava se mai ne avesse avuta una.

Aveva insultato e tradito la donna che amava senza alcun riguardo, aveva acconsentito ad usarne il figlio a mo’ di bestia da macello, ed aveva ucciso l’uomo che più ammirava, il suo mentore.

Erano brutti pensieri, quelli.

E subito dopo averli concepiti, preferiva cacciarli in un angolino della sua mente.

Non doveva permettere che quei sentimentalismi minassero la sua concentrazione, o che mettessero a repentaglio la missione di cui si era assunto la responsabilità.

Silente aveva lasciato tutto nelle sue mani.

Così, preferiva osservare la neve, mentre nello stesso edificio in cui si trovava lui, la cara Hogwarts, fanatici pericolosi si divertivano a torturare gli studenti.

Nemmeno quella era una bella cosa a cui pensare, molto meglio la neve.

Gli era sempre piaciuto, l’inverno.

Perché? Perché Lily la amava, quella stagione. L’amava proprio per la neve, e vedere Lily così felice gli aveva sempre riempito il cuore di gioia.

Chiuse gli occhi.

La rivide col cappellino di lana bianca in testa, il collo avvolto nella sciarpa Grifondoro.

Vide le sue labbra, così delicate, morbide, piegarsi in un sorriso, un sorriso tutto per lui.

E, inspiegabilmente, gli tornò in mente il viso della puttana che aveva incontrato quell’estate.

Aprì gli occhi, sconvolto.

Perché?

Non provava alcun sentimento per quella donna, ne era sicuro. E allora, perché?

Turbato, prese il mantello e se lo gettò sulle spalle.

Aveva bisogno d’aria.

 

 

 

Da quando con aria intendeva Godric’s Hollow?

Non lo sapeva.

Eppure, si trovava lì, seduto ai piedi della statua della sua Lily, a guardare la casa in cui era morta.

In cui l’aveva lasciata morire.

Un tempo, aveva incolpato James Potter.

Possibile che lui, tanto bravo, in gamba, non fosse stato abbastanza uomo da difendere sua moglie?

Ma, in effetti, James Potter un uomo non c’era mai stato.

Solo un patetico bimbetto viziato, un maiale che si divertiva ad umiliare la gente e che viveva nell’illusione di essere il migliore di tutti.

Soltanto dopo qualche tempo, però, Severus aveva capito che la colpa era sua.

Aveva tradito la sua Lily.

Lily…

Le lacrime iniziarono a solcargli il viso.

Ecco che accadeva di nuovo.

“Inevitabile.” pensò Severus, non preoccupandosi di asciugarsene neanche una. “Patetico”

Era così triste, quando pensava a Lily.

Quando pensava a cosa aveva perduto, a ciò che si era lasciato fuggire.

Fu in quel momento che arrivò lei.

Nello stesso cappotto nero, con gli stessi occhi blu, la stessa sigaretta.

<< Preside. Quanto tempo. >>

Stava piangendo. Severus stava piangendo e lei era lì, a fissarlo in tutta la sua ridicola fragilità.

<< Che ci fa qui? >> domandò, aspro. << Fa freddo. E lei non sembra avere soldi neanche per comprarsi un cappotto diverso da quello usato a Settembre. >>

Non voleva essere premuroso, o apparire preoccupato, con quelle parole.

Voleva ferirla, umiliarla, così come era stato denigrato lui.

Così come veniva denigrato adesso, colto a piangere davanti ai ricordi di una vita passata.

Lei, invece, apparve divertita.

<< Si ricorda anche quel che indossavo? >> fece, sedendosi accanto a lui. << Impressionante. Devo sentirmi lusingata? >>

Severus sbuffò, anche se ne uscì fuori un grugnito, più che altro.

<< Si senta come diamine vuole. >> rispose, secco.

Sperava se ne andasse.

Non era proprio il momento, quello.

Lei si accese la sigaretta. L’odore del fumo gli pizzicò le narici, ma la lasciò fare.

<< Allora, quali dei due conosceva? >>

<< Prego? >>

Lei si portò la sigaretta alle labbra. << Per quale Potter sta piangendo? Lui o lei? >> domandò, seria. << Io punto sulla ragazza. >>

Fu troppo.

Severus scattò, afferrandola con rabbia per il braccio.

<< Senti tu, piccola… >>

Si bloccò.

Lei non sembrava spaventata.

I suoi occhi erano fermi.

Il suo corpo non tremava, era fermo.

E ferme erano… le sue… labbra.

Labbra morbide.

Labbra delicate.

Le labbra di Lily.

 

 

La Puttana aveva le sue labbra.

No, no, ora non era più la puttana.

Era la Ragazza con le labbra di Lily.

 

 

Se la portò a letto, quella notte.

Fu facile.

A lei, lui interessava, no?

La sua pelle non aveva un qualche profumo particolare, ma era liscia, bianca e morbida, e le sue mani vi scorrevano sopra con estrema naturalezza, mentre la teneva per i fianchi.

Ma ciò che preferiva erano i baci.

Baci dolci, intensi, baci di una che ci sapeva fare.

Baci che Severus dava e riceveva tenendo gli occhi ben aperti, in modo che quando lei si ritraeva, potesse vederne le labbra, sempre e comunque.

La Ragazza con le labbra di Lily non aveva un nome.

Glielo chiese, Severus, mentre facevano sesso.

Lei sorrise, tra un ansimo e l’altro.

<< Non importa, prof. >> disse << Posso essere chiunque tu voglia. >>

E allora sarebbe stata la sua Lily.

 

 

Da allora, dopo ogni notte trascorsa assieme ed ogni risveglio, cercava in lei tutto ciò che gli ricordasse Lily Evans.

I suoi capelli non erano rossi, ma quasi.

Le mani erano piccole e delicate, come le sue.

E, ovviamente, c’erano le labbra.

Erano maledettamente identiche.

Rosate, morbide, piene.

La Ragazza con le labbra di Lily s’interessava a lui, della sua storia.

E lui, debole dinanzi alle sue carezze e ai suoi baci, le raccontava della sua vita.

Dell’infanzia difficile, degli anni ad Hogwarts.

Di Lily.

<< Come ha fatto a sposare quel coglione di Potter? >> domandò lei un giorno, indignata, fumandosi la solita sigaretta. Avevano appena finito di fare sesso, ed erano nudi, entrambi.

<< Non lo so. >> rispose lui, intento a fissare le sue labbra esalare il fumo della sigaretta. << Lo amava, credo. >>

<< Era una stupida. Si vede che i suoi genitori erano Babbani. >>

<< Non dire così. >> fece lui, accarezzandole un fianco. Non gli piaceva che si comportasse così. Lily era sempre stata dolce, e tollerante.

<< Ma ho ragione, prof. >> disse lei, scocciata. << Tu saresti stato mille volte meglio. >>

 

 

La Ragazza con le labbra di Lily pensava che fosse migliore di James Potter.

Erano parole uscite dalla sua stessa bocca.

Dalla bocca di Lily.

E ora, Severus viveva di lei.

Non era sano, se ne rendeva conto.

In lei, cercava soltanto un rimpiazzo, il sostituto di un fantasma.

Ma non poteva farne a meno: come una droga, la totalità del suo corpo e del suo spirito la bramava continuamente.

Allora, da qualche tempo aveva cercato trovare tutto ciò che la rendeva diversa da Lily, e a concentrarsi su queste molteplici differenze.

La Ragazza con le labbra di Lily era più bassa, e con gli occhi blu.

Lily aveva sempre avuto problemi a guardarlo dritto in faccia.

Lei, invece, no.

Lei aveva questo modo particolare di guardare negli occhi. Non era né timida né sexy, era perfetta.

Lily era riservata, ma anche allegra, testarda, pura.

La Ragazza con le sue labbra era sporca fino al midollo.

Era provocante, sicura di sé.

Fondamentalmente triste, come lui.

<< Raccontami di te. >> le disse, un giorno.

<< Non c’è molto da sapere. >> rispose lei, sdraiata al suo fianco. << Sono solo una ragazza povera con un brutto passato alle spalle. >>

Severus poggiò con delicatezza un dito sulle sue labbra.

Come una morbida e fondamentale carezza.

<< Dove sono i tuoi genitori? >> chiese.

<< Morti. >> fece lei, guardando il soffitto. << 1987. IRA. >>

Severus rimase in silenzio. Non s’interessava molto alle problematiche politiche dei babbani, ma alcune cose era impossibile non saperle.

Guardò la ragazza.

Un “mi dispiace” sarebbe stato superfluo.

<< E’ per questo che odi i babbani? >>

<< … Anche. >>

<< Eppure, vivi in mezzo a loro. >> disse Severus, perplesso.

La Ragazza con le labbra di Lily era un mistero, per lui.

Un mistero che non riusciva a capire, ma che desiderava svelare, poco alla volta.

Lei sospirò.

<< Lo faccio da sempre. Per me, sarebbe un problema inserirmi nel mondo magico. >>

Severus la guardò: << Per la tua… professione? >>

<< Pure, ma soprattutto per il mio vero nome. Se lo scoprissero, in pochi mi tratterebbero con rispetto. >>

<< Perché? >> chiese Severus, in un sussurro, chinandosi sulle sue labbra. << Cos’ha di così oscuro il tuo nome? >>

Lei si aggrappò al suo collo, sollevandosi fino ad incontrare la sua bocca con la propria.

Si baciarono.

<< Questo te lo racconterò un’altra volta, professore. >>

 

***

 

<< Non riescono a catturare Potter, Severus. >>

<< …No? >>

<< No. Il Signore Oscuro è furioso, credo che chiederà presto il nostro intervento. >>

Severus, seduto dietro la sua scrivania di preside, guardava con celato fastidio le due figure davanti a sé.

Non gli erano mai piaciuti, i Carrow.

Erano dei pazzi e dei fanatici, e prima sparivano dalla sua vista, meglio era.

<< Non ce ne sarà bisogno. >> disse, annoiato. << Probabilmente, sarà lui a venire qui. Ad Hogwarts. >>

<< Come fai a dirlo con certezza, Severus? >> domandò Alecto, ironica. << Oh, certo. Tu li conoscevi bene, i Potter. >>

<< Non essere sciocca. Potter è stato mio alunno per cinque anni, ed è un Grifondoro. >> rivolse loro uno sguardo d’intesa. << Non brilla per acume, ed è propenso a tutto ciò che sia eroico e stupido. >>

La donna non seppe come ribattere, mentre suo fratello sorrideva, sorrideva di un ghigno malvagio.

<< Bene. In foto non sembra uno particolarmente robusto. >> disse, sghignazzante. << Non vedo l’ora di strappargli quelle braccina ossute e torturalo a dovere, quel mocciosetto arrogante. >>

Alecto sorrise a sua volta.

Severus riservò ad entrambi un’occhiata annoiata.

Per quanto tempo avrebbe dovuto sorbirseli, ancora?

<< Dubito che il Signore Oscuro ti permetterebbe di trattarlo come uno studente qualunque. >> fece una pausa. << In effetti, trovo i vostri metodi piuttosto inadeguati. >>

<< Da quando tieni così tanto a questa feccia? >>

<< Molti sono Purosangue. >>

<< Purosangue che scelgono la parte sbagliata. >> sbottò Amycus, con disprezzo.

Severus li guardò, in silenzio.

Non poteva ribellarsi.

La sua copertura doveva rimanere salda, immacolata da qualsiasi sospetto.

<< Fate come ritenete opportuno, allora. >> disse, infine. << Andate. >>

Non appena i Carrow lasciarono la stanza, Severus sospirò.

Chiuse gli occhi.

 

 

<< Il ragazzo deve morire, Severus. >>

 

Sollevò le palpebre.

Aveva bisogno di bere.

Si avviò a passi pesanti verso una piccola dispensa all’angolo della stanza.

Sebbene il pavimento non fosse ricoperto da alcuna moquette, i suoi piedi non producevano alcun rumore, nel camminarvi sopra.

Nessun suono, semplicemente un passo dopo l’altro.

Chissà perché Silente l’aveva predisposto così. Chissà se anche i suoi passi erano stati muti come lo erano i suoi ora.

Severus si chinò sul piccolo mobile, aprì l’anta di vetro, laddove aveva preso l’abitudine di nascondere alcool in bottiglie e fiale da pozioni.

Ne prese una a caso.

Vuota.

Provò con quella dal collo stretto, vuota. L’ampolla allungata, vuota.

Aveva finito tutto.

Non c’era niente che potesse alleviare le sue angosce.

 

<< Il ragazzo deve morire, Severus. >>

 

Niente, a parte lei.

 

 

 

***

 

 

Non sapendo bene dove trovarla, decise di andarla a cercare dove si erano incontrati la prima volta.

Nel bordello dei ministri maiali.

Si smaterializzò nel bel mezzo del corridoio, incurante.

Lo assalì subito l’odore di fumo e sesso.

In quel fetore, avrebbe voluto riconoscere il suo profumo. Ma non ricordava quale fosse, né se ne avesse uno che la contraddistinguesse.

Attraversò il corridoio a falcate, fino alla sua porta.

Era aperta, e non appena lo vide, lei gli corse incontro, nella sua sottoveste di pizzo blu.

<< Non puoi stare qui. >> gli disse, prendendolo per un braccio. << Vattene. C’è altra gente, prima di te. >>

<< Mandali a fanculo, quei porci. >> sbottò lui << Ho bisogno di te. Ti voglio. >>

La Ragazza con le labbra di Lily lo guardò, dura: << No. Sto lavorando. >>

Furioso, Severus si liberò dalla sua presa.

Violento, arrabbiato. Si cacciò una mano in tasca, ed uscì un pugno di galeoni d’argento.

Il proficuo guadagno di un Mangiamorte.

La afferrò per il polso, mettendoglieli in mano con forza.

<< Tieni. >> ringhiò, fissandola negli occhi. << E’ molto più di quanto qualunque di questi maiali sia disposto a darti. >>

Lei rimase a guardarlo, in silenzio.

<< Invece, tu per me daresti questo e altro. >> disse, seria.

<< Sì. >> replicò lui, duro. << Sì. >> ripeté poi, con voce più amareggiata.

Lei non disse nulla. Poi, le sue labbra, le labbra di Lily, s’incrinarono nel solito sorriso malizioso.

<< Vieni con me, professore. >>

 

 

 

Era stato bello.

Era stato consolatorio.

Sdraiato su quello scomodo letto, Severus poteva finalmente dire di sentirsi bene.

Come ogni volta che stava assieme a lei.

<< Sai, io tifavo per Grindewald. >> disse la ragazza, ad un tratto. << Era un tipo con le palle, non come voi inglesi. >>

Severus fu lievemente turbato dalle sue parole, ma fece finta di nulla.

Lei sembrò pensarci un po’ su.

<< E’ un peccato che Silente l’abbia sconfitto. Meglio se ci finiva lui, in catene. >>

Severus la guardò, perplesso: << Eppure, mi dicesti che Silente era un brav’uomo. >>

<< Certo che lo era. >> rispose lei, con ovvietà. << Non ha fatto male a nessuno. Combatteva per le sue idee, anche se erano delle idee del cazzo, lasciami passare il termine. >>

<< Combatteva per le sue idee, dici? >>

Lei annuì con convinzione: << Ovvio. Tutti dovrebbero farlo. Tutte le brave persone, almeno. >>

<< Le brave persone… >> fece lui, pensieroso. << Tu Sai Chi uccide per le sue idee. Anche lui è una brava persona, per te? >>

Lei ci pensò un attimo. << Questo devo ancora deciderlo. I suoi metodi sono un po’ troppo drastici, eppure condivido le sue idee. >> si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi. << Da cosa si giudica un uomo? Dalle idee o dalle azioni? >>

<< Da entrambe, credo. >> rispose Severus. << O da nessuna delle due. >>

<< Però le azioni derivano dalle idee. >>

<< Non sempre. Spesso manca il coraggio di comportarsi rispettando i propri ideali. >> rispose lui.

<< Mmm… >> la ragazza non sembrava del tutto convinta. Si mise a sedere, come se quella posizione la aiutasse a ragionare.

<< Forse, allora, è impossibile stabilire se una persona è cattiva o buona. >>

Severus le toccò la schiena liscia, seguendo col dito la sua colonna vertebrale.

<< Dici? >> chiese frattanto, distratto dalla visione del suo corpo niveo, nudo, sottile.

<< Sì. >> continuò lei, guardando dritto davanti a sé. << Prendi Harry Potter, per esempio. Per alcuni è buono, per altri no. Lo stesso vale per Tu Sai Chi. E’ cattivo per Potter, e Potter è cattivo per lui. Non sono niente, ma almeno non sono nessuno. >>

Severus aggrottò le sopracciglia, sollevando lo sguardo verso di lei: << Come può una persona essere niente ma allo stesso tempo qualcuno? >>

Lei abbassò gli occhi blu in sua direzione.

<< Harry Potter è Harry Potter, Tu Sai Chi è Tu Sai Chi. Poi, ad ognuno sta ritenerli buoni o cattivi. Ma sono qualcuno. Cambieranno la storia, i loro nomi rimarranno in eterno. Tutti gli altri, invece, non sono nessuno. >> abbassò il capo, improvvisamente cupa. << Io non mi sento nessuno, a volte. >>

<< Ma sei una persona. >>

<< Una persona destinata a morire. Morirò, e di me non rimarrà nulla, non sarò nessuno. Perché non lascerò niente, in questo mondo, né un parente né un amico. >>

<< Ci sono io. >> replicò Severus, accarezzandole la schiena.

Lei lo guardò, con un sorriso triste. << Ma anche tu morirai, professore, e io non sarò nessuno. E allora, tanto vale non essere nessuno fin da adesso. Si evitano un sacco di scocciature, sai? >>

<< Perché le persone, quelli che sono qualcuno, combattono. >>

Quella di Severus non era una domanda, ma una constatazione.

La Ragazze con le labbra di Lily fece un sorriso triste.

<< Sì. >> rispose << Le persone combattono per ciò in cui credono. >>

Severus si mise a sedere, affondando il viso nell’incavo del suo collo.

Inspirò, cercando di cogliere il profumo di lei.

Ma sentiva solo lo stesso odore che lo aveva accolto in corridoio, e che impregnava le pareti della stanza.

<< E tu in cosa credi? >> domandò, baciandole il collo.

Lei sospirò, inarcando il capo all’indietro.

<< Nella sopravvivenza. >> rispose, la voce plasmata dal piacere. << Se anche fossi una persona, non ne sarei di certo una buona. >>

<< Be’, mi accontenterò. Dopotutto, non sono tante le brave persone. >>

<< E tu, Severus? >> domandò lei, incalzante. << Tu sei una persona buona o cattiva? >>

<< Non saprei. >> rispose lui, continuando a baciarla. << Devo ancora deciderlo. Lily era una brava persona, per esempio. >>

<< Davvero? Avrei voluto conoscerla. >>

<< Ti somigliava, un po’. >> rispose lui. << Hai le sue labbra. >>

La sentì irrigidirsi, solo per un attimo.

Poi, tutto tornò come sempre.

<< Ti piacciono? >>

<< Sono la parte che preferisco. >> rispose lui. << La prima che ho notato davvero. >> e fece per baciarla, ma lei gli poggiò delicatamente le mani sul petto, tenendolo lontano.

<< E’ meglio che tu vada, professore. >> disse, con uno strano sorriso.

Severus la guardò.

<< Ho bisogno di te. >>

La Ragazza con le labbra di Lily gli rivolse uno sguardo insolitamente dolce: << E io ci sarò, professore. >>

 

 

E invece, lei non ci fu per settimane.

Era scomparsa di nuovo.

La vita di Severus trascorse prima spenta, vuota, nell’obbligo di assistere alle torture dei suoi studenti e alla rovina del suo paese.

Poi, l’apatia si trasformò in dolore.

Un dolore atroce, una sofferenza dilaniante, causata da lei.

Dalla sua assenza.

Quando andava a letto, la notte, ricordava il suo corpo, le sue labbra, e doveva affondare il viso nel cuscino, per non urlare.

Era arrabbiato, la odiava.

Ma Merlino, se la voleva.

Ne aveva un dannato bisogno.

L’amava.

In una di quelle notti, si alzò, si precipitò verso la scrivania.

Accese la lampada, dell’olio cadde sulla superficie del tavolo.

Aprì il cassetto, in fretta e furia.

Prese una piuma ed una pergamena.

Eccolo lì, di fronte ad un foglio bianco. L’inchiostro vi gocciolò dalla punta della piuma, come indelebili lacrime nere.

Ora che era lì, si sentiva vuoto, la rabbia lo aveva abbandonato, lasciandogli solo uno strano senso di inadeguatezza.

E, poi, di pace.

Iniziò a scrivere.

 

***

 

 

Amava la Ragazza con le Labbra di Lily.

Gli sembrava strana, l’idea di amare qualcuno che non fosse Lily Evans.

Ma quella sensazione, per quanto la sentisse torbida ed inappropriata, gli piaceva.

Se amava qualcuno, poteva sperare in un futuro.

E allora, non aveva più tanta voglia di lasciarsi morire per la causa di Silente.

Avrebbe completato la sua missione, questo era ovvio.

Non si sarebbe mai tirato indietro.

Eppure, in lui nasceva una piccola e luminosa speranza, e la voglia di sopravvivere.

Sarebbe vissuto, e lei sarebbe stata sua.

 

 

 

***

 

 

 

 

<< Combatti, codardo, combatti! >>

 

 

Mentre fuggiva, Severus sì, si sentiva un codardo.

Aveva paura.

Ufficialmente era un Mangiamorte, ma in realtà combatteva per sconfiggere Voldemort.

Era dalla parte dei “buoni”, ma nessuno di loro lo sapeva, nessuno avrebbe cercato di proteggerlo, nemmeno quando Voldemort avrebbe cercato di ucciderlo.

Era solo.

Era solo, e sarebbe morto.

Ma lui voleva vivere.

Voleva vivere, e stare con lei.

Il suo cuore voleva vederla. La mente gli disse dove trovarla.

Godric’s Hallow era cupa e silenziosa come sempre.

Severus si diresse verso la statua dei Potter, riprese la sua forma umana.

Lei non c’era.

Superò la casa dei Potter, di fretta.

La trovò di fronte alla sua lapide.

Severus rallentò il passo.

Lei non fumava nemmeno.

<< Ehi… >> fece, avvicinandosi lentamente.

La Ragazza con le labbra di Lily si voltò verso di lui, abbozzò un sorriso mesto.

<< Buonasera, professore. >>

<< Che ci fai qui? >>

<< Scambio due chiacchiere con lei. >> rispose, indicando la lapide con un cenno del capo. << Cerco di capire come tu possa amarla così disperatamente. >>

Severus la guardò, come ferito: << Io amo te. >> disse.

Lei rise. Rise, e scosse il capo.

<< Non dica stupidaggini. Io non sono affatto una da amare. >>

<< Eppure, io ti amo. >> replicò Severus, serio.

Lei rise di nuovo, più piano questa volta.

<< Ricordi la nostra discussione sulle persone, sull’essere qualcuno o nessuno? >> chiese.

Lui fece un cenno d’assenso; ricordava tutto di lei.

<< Ti dissi di non essere nessuno, ma anche che se fossi un qualcuno, non sarei una brava persona. >> disse, e lui annuì di nuovo.

<< Lo ricordo. >>

<< Ecco, non solo non ne sarei una brava. >> continuò lei, con un sorriso triste. << Ma sarei proprio una cattiva, cattiva persona. >>

Severus la guardò negli occhi: << Lo sono anch’io. >>

<< No, professore. >> rispose lei, abbozzando un sorriso mesto. << Ti conosco. Sei migliore di quanto credi. >>

Lui rimase in silenzio.

La Ragazza con le labbra di Lily sospirò.

<< Io, invece, sono cattiva. Cattiva davvero. Sai perché ero qui, la seconda volta che ci siamo visti? >> domandò, con quell’espressione cupamente divertita.

Lui scosse il capo.

No, non lo sapeva.

<< Perché mio padre li amava, i babbani. E amava le brave persone. >> abbassò lo sguardo verso la lapide. << Amava la gente come i Potter. Nelle sue parole, si vedeva che voleva che diventassi come loro. E poi è morto. Allora, sono venuta qui. >> fece una pausa. << A vedere Lily e James Potter. E ho provato odio. Odio per i babbani che hanno ucciso mamma e papà, odio per questi stupidi che li difendono comunque. Perché dovrei venerare chi muore per sostenere l’uguaglianza con questi animali? Perché dovrei essere come loro? >>

Severus rimase in silenzio, a guardarla.

Il vento soffiava, il mondo taceva.

E lui con esso.

<< Sono piena di odio, Severus. Odio i babbani, odio l’Irlanda, la Gran Bretagna, odio mio padre, forse odio anche me e te. >>

Severus la guardò, senza dire nulla.

I suoi occhi blu sembravano umidi.

Ma le labbra di Lily erano ferme.

<< Io… ti amo… comunque… >>

Lei volse il suo sguardo su di lui.

<< No, Severus. Tu ami Lily. >> disse, col suo sorriso triste. Non erano maliziose, un tempo, quelle labbra? << La ami adesso, e la amerai sempre. >>

Severus le rivolse un’occhiata dura.

Si sentiva arrabbiato.

Perché diceva quelle cose? Perché dubitava? Perché doveva rovinare ogni cosa?

<< Non è vero. Sono venuto qui per fuggire con te. Anche io provo odio, odio questo mondo. Mi importa solo di te. >> fece una pausa. << Io amo te, nessun’altra. >>

Lei lo guardò intensamente.

<< E allora, Severus… >> iniziò, seria. << Chiamami. Di’ il mio nome, e supplicami di venire con te. Di’ il mio nome, e dimmi che mi ami. >>

Qualcosa vacillò, in Severus.

Una crepa in un muro di false certezze vanificò la sicurezza che lo aveva condotto fin lì.

Spazzò via ogni ricordo delle notti passate assieme, delle proprie mani sulla sua pelle, tutte sensazioni e memorie che l’avevano guidato verso di lei, riccacciandole in un angolo della sua mente.

E c’era spazio solo per le sue labbra.

<< Non posso. >> rispose lui, chinando il capo. << Non so il tuo nome. >>

Lei gli rivolse un’occhiata significativa: << Perché non l’hai chiesto. >>

<< L’ho fatto, invece. >>

<< Solo una volta, Severus. >> rispose lei, sorridendo tristemente. << Solo una. >>

<< Perché hai detto che non importava. >> sbottò lui, aspro.

<< Era la verità. >> fu la sua risposta. << A me non importava che tu lo sapessi, e a te non importava saperlo. E sai perché non t’importava? >>

Severus rimase in silenzio.

Lei sospirò, ridendo: << Perché ti rendeva più felice, Severus. Senza nome, io potevo essere chiunque. Potevo essere Lily, la tua Lily. Non quella di James Potter, quella che non ti ha mai amato. La tua. >>

Severus la guardò.

Guardò il suo viso pallido e ovale, i grandi occhi blu, la figura minuta.

Tutto ciò che la rendeva diversa da Lily Evans.

Ma c’erano le sue labbra.

Ricordava i suoi baci sulla sua pelle, sulla sua bocca.

Eppure, la Ragazza con le labbra di Lily non aveva alcun odore.

Non per lui, almeno.

Questo contava?

Non lo sapeva.

Tuttavia, era convinto di amarla.

<< Forse eri così convinto dei tuoi sentimenti che sei arrivato ad amarmi, in un certo senso. Ma, in ogni caso, Severus, io non ti amo. >> gli posò una mano sulla guancia, sorridendo con dolcezza. << Non potrei mai amare nessuno, Severus. C’è troppo odio, in me. Hai detto che ho le labbra di Lily, ma è l’unica cosa che ci accomuna, credimi. Sono… sporca, marcia. >> fece un’espressione di mesto divertimento. << D’altronde, non sono che una puttana, giusto? >>

Severus non rispose.

I suoi occhi blu lo fissavano.

Quell’aria maliziosa, da divertita seduttrice, non c’era più.

In quel blu, vi era lo sconforto e la tristezza di una vita passata che Severus, ormai lo aveva capito, non avrebbe mai conosciuto.

Lei non si sarebbe seduta al suo fianco, a raccontarle di sé, né avrebbe più ascoltato le sue confidenze.

Non avrebbero più fatto l’amore.

Non avrebbe più goduto del tenero contatto con le labbra di Lily.

<< Io… ti ho scritto una lettera. >> disse poi, frugandosi tra le tasche. Ne estrasse una pergamena arrotolata. << Ti prego, leggila. >>

Lei non la prese che dopo qualche istante.

Se la infilò nella borsetta, poi gli sorrise con malinconia.

Tese la mano verso di lui.

<< Questo è un addio, professore. >> disse.

Lui gli strinse la mano.

<< Lo so. >>

Infranta. Ecco come si era ridotta la sua speranza. In brandelli, resti di uno stimolo che, per un po’, avevano accesso in lui il desiderio di ricominciare a vivere.

Vivere una nuova esistenza.

Ma era stata tutta un’illusione.

Non aveva mai voluto iniziare daccapo, bensì aggrapparsi allo spettro di ciò che era stato il suo passato.

Era questo il suo destino.

Vivere nel passato, non andare avanti. E allora, non aveva senso sopravvivere a tutto quello.

Come la Ragazza con le labbra di Lily, nemmeno lui era nessuno.

Solo una pedina di un piano più ampio, un guscio vuoto che da più di dieci anni si trascinava nelle peripezie di quel mondo ingiusto.

Non sarebbe stato nessuno. Ma si sarebbe beccato tutte le scocciature, perché era giusto.

Perché gli toccava, e lo voleva, in un certo senso.

Lei si stava già allontanando.

Gli dava le spalle, e stava scomparendo dalla sua vista.

<< Se non mi amavi… >> le gridò, incuriosito. << Perché sei stata con me tutto questo tempo? >>

Lei si voltò nella sua direzione.

E, sebbene fossero troppo lontani perché lo potesse vedere con esattezza, a Severus parve di cogliere il solito sorriso malizioso, sul suo volto.

<< Perché mi interessavi, professore. >>

E ricominciò a camminare.

Severus guardò la Ragazza con le labbra di Lily allontanarsi e sparire dalla sua vita, lasciando il lui solo il ricordo della puttana che aveva amato.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Febbraio 1999

 

Seduta in attesa, in quel corridoio bianco, aspettava.

Le valige, ai suoi piedi, erano relativamente poche. Non aveva mai posseduto molto.

Aspettava il suo turno, paziente. Non aveva fretta.

Il giovane dietro il banco le fece cenno di avvicinarsi.

Era un ragazzo pallido, coi capelli corti, biondi, e due piccoli occhi celesti.

<< Buongiorno. >> la salutò, non senza uno sguardo di apprezzamento. << Desidera? >>

<< Buongiorno. >> fece lei << Sono qui per iscrivermi alla Comunità dei Cittadini Maghi di Russia. >>

Il giovanotto annuì. Doveva avere all’incirca venticinque anni.

Con un cenno della mano, chiamò un altro ragazzo dietro di lui.

Questi aprì un cassetto della scrivania di fronte cui sedeva, ne estrasse un modulo bianco e lo portò al biondo dagli occhi piccoli.

Lui intinse la piuma nell’inchiostro.

<< Le sue generalità, prego. >>

Lei gli disse il giorno della fredda notte di Novembre in cui sua madre l’aveva messa al mondo.

Disse quanto era alta.

Diploma: nessuno.

Infine, gli diede il suo nome, firmò, prese la valigia.

Salutò, e si avviò verso l’uscita.

Eppure, sentiva bene i mormorii dei due impiegati.

<< Questo… non è il cognome del tipo che ha sposato il Sicario? >>

<< Chi, quella della strage? >>

<< Sì, sì, lei. Si dice che sulla sua famiglia incomba da secoli una maledizione, di odio e sangue. In effetti, ne ha fatti fuori parecchi da entrambe le parti. >>

<< Non erano stati esiliati? >>

<< Ricercati in nove paesi d’Europa. >>

<< Dovremmo informare qualcuno, dici? >>

<< Na’. D’altronde, la madre è morta. >> fece il biondo dagli occhi piccoli << Non ci avrebbe mai dato il suo nome, se avesse avuto qualcosa da nascondere. >>

 

 

 

La neve cadeva.

Fuori dalla finestra, ammirava le vaste pianure, ricoperti dal candore dalle ultime nevicate.

Era quella, dunque, la terra dei suoi avi.

Il Paese da cui discendeva, a cui apparteneva.

La casa era piccola, ma accogliente.

Nel vano principale, un tavolino, una poltrona rossa rattoppata, un camino.

Prese la legna, la buttò nel camino, ed accese il fuoco.

Non aveva mai vissuto in Russia, ma era come se vi avesse passato la sua intera esistenza.

Aprì il baule più piccolo, ne uscì il povero contenuto: una foto incorniciata, qualche pacco di sigarette, un ritaglio di giornale, una pergamena, un vaso.

Posò il vaso e la foto sulla mensola sopra il camino, poi si lasciò cadere sulla poltrona, stanca.

La sua attenzione ricadde sul ritaglio della Gazzetta.

In inglese, il titolo dell’articolo diceva: “Tutta la verità su Severus Piton: eroe o criminale?”

Il pezzo era uscito qualche anno prima, con annesse numerose dichiarazioni di Harry Potter e compari.

Quando aveva saputo della sua morte, aveva provato tristezza.

Quando, insieme alla Gran Bretagna, aveva scoperto chi Severus Piton fosse realmente, ne era rimasta piacevolmente incuriosita.

L’aveva divertita, la cosa.

Ma tu guarda il professore, aveva pensato.

Aveva conservato l’articolo.

Ed aveva deciso di lasciare tutto, andare nella terra in cui era nati e vissuti i suoi, e ricominciare daccapo.

Non sapeva bene perché la morte prima, e il rivelato eroismo dopo, di Severus Piton l’avessero ispirata a tal punto.

Lui aveva combattuto.

Allora lei sarebbe rinata.

L’occhio le cadde sulla pergamena sul tavolo.

Eccola, la lettera che anni prima le aveva consegnato Severus.

Non l’aveva mai letta, ma nemmeno buttata.

Aveva deciso di attendere il momento giusto, e quella era di certo la situazione più idonea.

Se lo sentiva.

Prese la pergamena, la srotolò.

Carta vecchia sfrigolante nelle sue mani.

Iniziò a leggere.

 

 

 

 

 

Questa non è una lettera d’amore.

Tengo a dirtelo, prima di iniziare.

Scusa per le macchie d’inchiostro, ma non riesco a tenere la mano ferma.

Trema, a dire il vero.

Troppi eventi stanno sconvolgendo quella cosa che ho ancora la pretesa di chiamare “la mia vita”, eventi che sapevo sarebbero accaduti, ma che non riesco ad affrontare col sangue freddo necessario.

Mi ero illuso di poter rimanere calmo dinnanzi a questi terribili ma attesi avvenimenti.

Quindi, reputo che non ti sia difficile immaginare quale importante, irreparabile turbamento tu abbia lasciato nella mia anima.

Non avrei mai creduto di incontrare una persona come te.

Una persona a cui avrei raccontato tutto, svelando me stesso, il mio passato, i miei fantasmi.

Ho riflettuto su quello che mi hai detto. Su quello che ci siamo chiesti.

Da cosa si giudica un uomo?

Dalle azioni o dalle idee?

Un po’ come scegliere tra mani e cervello. E allora, io scelgo il cuore.

Un uomo, una volta, mi disse che l’Amore è la forza più potente che possa esistere. Solo dopo anni mi rendo conto di quanto sia vero, e di quanto io sia stato stupido a sottovalutare tali parole.

E così molti altri, come me.

Non importa per quali idee combattiamo.

Ma le persone per cui lo facciamo.

Coloro che amiamo, ecco.

E’ ciò che facciamo per loro che ci rende ciò che siamo.

E forse non sono nessuno, perché le scelte che ho fatto mi hanno portato ad essere circondato da odio, nient’altro che odio.

Ma combatterò comunque, in onore di coloro che ho amato e di chi questi amarono a loro volta.

E’ per questo motivo che, per quanto sciocco ed infantile possa sembrare, non voglio andarmene senza amore.

Ci sono talmente tante cose che non ti ho detto…

Spero che qualcuno sappia del mio segreto, del perché ho fatto ciò che ho fatto.

Affinché il mio ricordo non sia accompagnato solo da odio.

Dio, non posso credere di essere io a scrivere queste parole, o che sia la mia mente a pensarle.

Ma ora, verso la fine, non posso che aprire la mia anima.

A me, e a te.

Anche ora che non ci sei, che non riesco a contattarti, voglio ringraziarti.

Siamo tutti persone, tutti “qualcuno”, anche tu. Non metterlo in dubbio, mai, perché sei riuscita a darmi sollievo in questi ultimi mesi, quando nessuno sarebbe stato in grado.

Non parlo solo del sesso, ma dei tuoi sguardi, dei tuoi silenzi, delle sigarette che ti ho visto accendere, mentre ascoltavi ciò che avevo da dirti.

Ho sofferto per amore, lo sai. E talvolta lo maledico con tutto me stesso, perché mi ha reso irrimediabilmente infelice. “Perché devo provare tanto dolore?” Mi sono chiesto. Perché deve essere così difficile?

Eppure, l’amore mi ha reso ciò che sono.

Forse non è un risultato di cui essere fieri, ma è stato fondamentale.

E’ ciò che ci rende uomini. Ciò che ci rende persone.

Per questo, credo che ognuno di noi possa definirsi qualcuno.

Perché tutti, prima o poi, diamo o riceviamo amore.

Ed è la cosa più importante.

 

 

 

Per sempre tuo, Severus.

 

 

 

Una lacrima le scivolò sulla guancia.

Non piangeva da tanto, tanto tempo.

Con un dito, sfiorò una delle lacrime che iniziava a rigarle il volto.

Era strana.

Era umida.

Era sua.

Era una persona, e piangeva.

Era una persona, e voleva vivere.

Non voleva più essere piena di odio. Voleva vivere e ridere e cambiare, voleva ricordarsi di come l’avevano amata i suoi genitori, di come forse l’aveva amata Severus Piton, e restituire a sua volta questo amore immeritato, al mondo, in modo che ci fossero più persone.

Guardò la lettera.

Severus Piton le raccomandava di vivere e amare: gettò la pergamena nel camino; non ne aveva più bisogno.

Non l servivano le sue parole di incoraggiamento, perché adesso sapeva quanto preziosa era la vita e quanto preziosa era lei, a modo suo, e perché quelle frasi e lettere d’inchiostro le sarebbero per sempre rimaste impresse nel cuore.

Il pacco di sigarette stava sul tavolo.

Non ne prese, e si riavvicinò alla finestra.

La neve continuava a cadere, e lei a piangere.

Tuttavia, sorrise.

Sorrise con le labbra della figlia di Babbani Lily Evans.

“Sì, professore” pensò fra sé e sé, “eri davvero un tipo interessante.”

  
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