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Autore: shebelievesinLarry    25/01/2013    3 recensioni
[Larry]
Harry Styles è costretto a trasferirsi con sua madre a Doncaster. Lì deve iniziare il secondo anno di università, ma non vuole: i cambiamenti lo intimoriscono, anzi, lo terrorizzano. Capiterà nella classe di Niall, ragazzo espansivo e divertente, di Liam, ragazzo intelligente e simpatico, e di Louis, nipote della segretaria della scuola, che però è diverso dagli altri, in molti sensi, soprattutto in un senso in particolare.
Dal testo:
Louis si asciugò delicatamente le mani affusolate con un fazzoletto, poi me ne porse una, che io prontamente strinsi. Era fredda, probabilmente perché se l’era sciacquata con l’acqua ghiacciata.
«Piacere, Louis» disse, puntando i suoi occhi azzurri nei miei, quasi prepotentemente.
“Lo so”, volevo rispondergli, ma mi morsi il labbro inferiore per evitare di dire sciocchezze.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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~mio angolino~
Ehilà, people! Eccomi qui con il secondo capitolo – assurdamente lungo come al solito – di We’ll walk this road together. Il titolo l’ho preso dalla celebre e stupenda canzone “I’m not afraid” di Eminem, giusto per specificare. Se non l’avete già sentita, che aspettate? Correte su Youtube!
Ad ogni modo, anche in questo capitolo succede poco, anche se quel poco che succede merita molta attenzione. Mi dispiace farvi penare così tanto per avere qualcosa di più consistente, ma sono logorroica e mi piace dilungarmi. Ma soprattutto non voglio che tutto avvenga troppo frettolosamente. Si sa, la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, quindi me la prendo con calma.
Spero comunque che il capitolo vi piaccia e che recensiate, perché, come già specificato la scorsa volta, ci sto mettendo tutta me stessa per scrivere questa storia complicata e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Più recensite, più mi spronate a scrivere, sappiatelo. Ma state tranquilli, non vi punto mica una pistola in fronte. ahahah ♥
Questo capitolo lo dedico a Giulia, che con le sue parole è sempre in grado di rendermi felice, e anche perché mi supporta e sopporta sempre. Much love. ♥
Vi lascio alla lettura. Alla prossima!

 

 

II CAPITOLO

 

 

Harry

 

 

Non riuscivo a smettere di chiedermi come avessi fatto a non accorgermi di avere un ragazzo su una sedia a rotelle in classe. Quelle non erano di certo cose che passavano inosservate. Forse era colpa del fatto che lì mi sentivo in soggezione, sotto lo sguardo curioso e insistente di tutti quei ragazzi e di tutte quelle ragazze, il che mi aveva portato a stare quasi sempre con lo sguardo rivolto verso il basso, senza potermi permettere il lusso di osservarmi in giro.
Le prime tre ore passarono lentamente. Niall accanto a me interloquiva a gesti con un ragazzo dai capelli marrone chiaro che mi pareva di aver capito che si chiamasse Liam, il quale era seduto vicino a Louis, dall’altra parte della classe. Non sapevo cosa si stessero dicendo, ma neanche mi interessava. Volevo solo stare per conto mio, magari a casa. Chiedevo tanto?
Quando suonò l’intervallo, Niall mi disse di aspettarlo un attimo e andò da Louis e Liam, per dir loro qualcosa. Dopodiché tornò da me, sorridendo, mentre gli altri due uscivano, chiacchierando allegri. Louis, prima di uscire, mi guardò per un secondo, poi si spinse fuori.
«Vieni con me», mi riscosse dai miei pensieri Niall «ti faccio vedere un po’ la scuola.»
Annuii e mi alzai; uscimmo dalla classe in silenzio, mentre intorno a noi regnavano il brusio e la confusione, tipici di tutti gli istituti scolastici durante le ricreazioni.
Prima mi portò in una grande sala.
«Questa» disse, indicando il luogo «è la mensa. Non so se ne sei già a conoscenza, ma due volte la settimana mangeremo qui. Oppure puoi scegliere di andare a casa per mangiare. Ovviamente poi devi tornare a scuola.»
Si mise a ridere, e notai che aveva la risata facile.
Sorrisi.
«Tu mangerai in mensa oppure a casa?» mi chiese.
«Penso che mangerò in mensa.»
«Ottimo, pure io e i miei amici stiamo qua. In ogni caso puoi sempre cambiare idea e andare a casa per mangiare, ma devi avvertire in segreteria.»
Mi chiesi se per “i miei amici” intendesse solo Louis e Liam o anche qualcun altro.
«Alla fine il cibo non è male» aggiunse. «Ah, la pausa pranzo dura un’ora. Dall’una alle due.»
«È tantissimo» commentai, tanto per fargli capire che lo stavo ascoltando e che non stava parlando solo per dar aria alla bocca.
«Lo so, infatti non ci lamentiamo» rise di nuovo. «L’intervallo mattutino, invece, dura un quarto d’ora. Appunto per questo ci dobbiamo sbrigare, se voglio farti vedere qualcosa.»
Senza che potessi dire nulla, mi trascinò davanti a una porta di legno, che si trovava al piano superiore rispetto a dove ci trovavamo prima.
«Qua dentro c’è il laboratorio di scienze. Dove una volta ho fatto scoppiare un mio progetto.»
E giù a ridere ancora. La sua risata cristallina e potente mi piaceva e lui era simpatico, uno di quei classici ragazzi estroversi che però ti fanno sentire a tuo agio. L’importante era che non mi facesse domande personali, a cui mi seccavo rispondere, per il resto mi stava bene la sua compagnia.
Mi mostrò le due palestre della scuola, poi la campanella trillò annunciando la fine dell’intervallo. Era passato in fretta, tutto sommato.
«Nei prossimi giorni ti farò vedere tutti gli altri laboratori» mi avvisò, mentre tornavamo in classe. «Qua organizzano anche molte attività extrascolastiche. Io seguo il corso di chitarra. Tu sei interessato a qualcosa in particolare?»
Mi piaceva molto cantare, ma non volevo dirglielo. Magari mi avrebbe preso per una femminuccia, o qualcosa del genere.
«Non so... ci penserò.»
«All’ingresso ci sono dei dépliant che descrivono tutti i corsi organizzati. Poi è ovvio che non devi per forza seguirne uno. Puoi anche non fare nulla, non è un reato.»
Entrammo nell’aula e aspettammo l’arrivo del professore che avrebbe tenuto le prossime due ore. Arrivò poco dopo, facendo cessare le chiacchiere dei miei nuovi compagni.
Nessuno di loro mi attirava, nessuno di loro mi sembrava così simpatico come i miei amici di Holmes Chapel. Ma c’era qualcosa in quel Louis che lo rendeva diverso da tutti gli altri. Non solo il fatto che fosse destinato a stare forse per tutta la vita – non potevo saperlo – su una sedia a rotelle, ma aveva un qualcosa che... mi ispirava, in un certo senso.
Il professore, il signor Anderson, fece come di routine l’appello e, accorgendosi della mia presenza, mi chiese da dove venissi e dove ero arrivato col programma nell’altra scuola. Risposi cercando di non apparire nervoso e infastidito, come in realtà ero.
Poi cominciò la lezione, partendo con la correzione dei compiti delle vacanze. Io seguii con Niall, che stava condividendo i suoi compiti con me.
«All’uscita aspetti un po’ fuori con me? Così ti presento Liam e Louis» mi sussurrò. «Anche se è strano presentarteli, dato che siete in classe insieme.»
Come al solito rise, però stavolta cercò di contenersi un po’ per non farsi sentire dall’Anderson.
Dentro di me ero diviso in due parti: una parte che desiderava conoscere Louis, perché mi incuriosiva, e l’altra parte che invece non voleva, perché mi intimoriva. E Liam... in tutta sincerità, il suo naso a patata e quell’espressione bonaria che aveva costantemente sul viso mi suscitavano tenerezza.
Ma non volevo legarmi a nessuno. Non volevo affezionarmi a nessuno. Non mi serviva nessuno. Mi bastava Niall che mi faceva perlustrare l’edificio scolastico e che di tanto in tanto mi teneva compagnia, anche durante le lezioni, giusto per non farmi annoiare troppo. Per il resto volevo essere autonomo e libero da ogni legame affettivo. E non mi importava se mi avessero preso per un asociale.
«Per la verità non lo so, mia mamma mi aveva detto che subito dopo scuola dovevo correre a casa» mi inventai la prima balla che mi venne in mente, restando sul vago.
No, non ero ancora pronto per... per cosa? Solo per farmi presentare Louis, il ragazzo sulla sedia a rotelle dagli occhi azzurri e bellissimi? Ero davvero sceso così in basso? Mi stavo davvero rendendo così ridicolo? Eravamo addirittura nella stessa classe.
«Oh...» fece Niall, forse un po’ deluso. «Ok, dai, non importa.»
Mi sorrise e mi sentii un po’ in colpa. In fondo lui mi stava soltanto aiutando ad integrarmi in quel nuovo ambiente, e io lo stavo respingendo come un totale idiota.
Apprezzavo i suoi tentativi, ma non avevo veramente bisogno di nessuno. Potevo benissimo cavarmela da solo. Ero grande e vaccinato e perfettamente lucido riguardo le scelte che facevo.
«Sei davvero sicuro di non poterti fermare? Neanche due minuti?» ritentò.
Gli interessava così tanto la mia presenza? Gli interessava così tanto farmi conoscere i suoi amici? Perché?
Mi stavo facendo troppe domande e in più mi stava venendo un gran mal di testa.
«Sì, sono sicuro. Mi dispiace.»
Lui annuì semplicemente, questa volta arrendendosi.
Appena il suono della campanella proruppe prepotentemente, con velocità misi le mie cose dentro lo zaino e mi precipitai fuori.
«Ciao Harry! A domani!» sentii Niall urlarmi dietro, e io mi voltai per fargli un veloce cenno col capo, scappando verso casa, ovviamente non prima di aver preso uno di quei dépliant di cui mi aveva parlato durante l’intervallo.
Forse ero stato maleducato a non averlo salutato come si meritava, ma non volevo correre il rischio di dover dare ulteriori spiegazioni riguardo alla mia “fuga”.
Arrivai a casa con un leggero fiatone; il perché avevo corso non lo sapevo neanche io.
Mia madre non era ancora in casa, poiché sarebbe stata al lavoro fino alle cinque del pomeriggio. Per questo motivo non trovai il pranzo pronto e dovetti arrangiarmi da solo. Ma non mi dispiaceva poi così tanto, perché cucinare era sempre stata una delle mie più grandi passioni. Me la cavavo piuttosto bene, modestia a parte. Spesso ero io che cucinavo, anche a Natale, Capodanno, Pasqua e feste di questo tipo. Avevo imparato da mia mamma, che a sua volta aveva imparato da sua mamma.
Quel giorno però non avevo molta voglia di mettermi ai fornelli, così mi preparai un po’ di semplice pasta in bianco e mi sedetti a tavola.
Mentre mangiavo, mi ricordai del volantino che avevo preso a scuola, lo afferrai e lo lessi ad alta voce.
«La scuola offre per gli allievi che la frequentano dei corsi extrascolastici. La scelta è vasta: pallavolo, karate, calcio, chitarra, pianoforte, teatro, canto... canto!» urlai trionfante.
Forse avrei potuto farlo. Sapevo non aver una brutta voce. Anzi ero piuttosto intonato. Avrei potuto sfruttare questa mia qualità per fare qualcosa di diverso ma che mi interessava.
Nella mia vecchia scuola non si organizzavano cose del genere, a parte pallavolo e calcio. Io facevo parte della squadra scolastica di calcio, e mi piaceva, ma ciò che più amavo fare era cantare. Cantavo principalmente sotto la doccia e quando ero a casa da solo, oppure ai karaoke con i miei amici, ma non avevo mai seguito nessuna lezione con un insegnante qualificato. I miei genitori non potevano permetterselo. Non avevamo mai nuotato nell’oro; eravamo una famiglia normale, non povera ma neanche benestante.
Lessi i dettagli riguardo al corso di canto, che si sarebbe tenuto ogni mercoledì per due ore, a partire da fine settembre. Avevo tutto il tempo necessario per decidere se iscrivermi o no. Anche se io la mia decisione l’avevo già presa; dovevo solo chiedere a mia madre, ma non mi avrebbe detto di no, o almeno lo speravo. Lei mi aveva sempre appoggiato in tutto e più volte mi aveva detto di apprezzare la mia voce quando cantavo.
Assorto in questi pensieri, non mi accorsi che il telefono di casa stava squillando e mi precipitai subito a rispondere.
«Pronto?»
«Harry! Meno male che sei a casa, avevo paura che fossi ancora a scuola.»
«Papà?» domandai incredulo.
Non mi aspettavo quella sua chiamata. Era da tanto che non lo sentivo, ma mi faceva sempre piacere. Era pur sempre mio padre, anche se stava facendo soffrire la mamma, e di conseguenza anche me.
«Sono proprio io, giovanotto! Come stai?»
«Bene, tu?»
«Me la cavo. Come va lì a Doncaster? E la scuola?»
«Tutto normale. Lì da te?»
«Idem. E... la mamma?»
Aveva toccato un tasto dolente e non capivo proprio con quale coraggio potesse chiedermi notizie della mamma, dopo tutte le litigate e dopo aver fatto intendere che di lei non le importava più nulla, o quasi.
«Sì, ehm, sta bene.»
La conversazione durò per altri due minuti, in cui parlammo di tutt’altro argomento – poiché parlare della mamma era strano e completamente fuori luogo –, poi fu costretto a riagganciare perché doveva tornare a lavorare.
Finii di mangiare la pasta sovrappensiero, come ero sempre ultimamente. Pensai alla breve telefonata con mio padre, al corso di canto a cui mi sarei iscritto, alla delusione che sicuramente avevo dato a Niall... e mi chiesi che idea si fosse fatto di me. Mi conosceva da un giorno a malapena e già mi trattava come un vecchio amico. Era simpatico, ok, ma forse un po’ troppo... invadente? Che ne sapeva lui di com’ero? Che ne sapeva lui di quello che volevo?
E irrimediabilmente i miei pensieri caddero su Louis. Così misterioso e bello. Perché, sì, era oggettivamente molto bello, bisognava ammetterlo.
E la mia curiosità prese il sopravvento: perché era sulla sedia a rotelle? Cosa gli era successo? Era nato così?
Continuavo a farmi queste domande, e nel frattempo lavai i piatti. Poi mi sdraiai sul divano con la tv accesa. Circa alle cinque e un quarto tornò mia mamma; io stavo ancora guardando la televisione.
«Ciao tesoro» mi salutò, chinandosi per darmi un bacio sulla fronte.
«Ciao mamma. Com’è andata oggi?» le chiesi, mettendomi seduto.
Lei appese la borsa all’attaccapanni e poi si sedette accanto a me, spalmandosi sul divano, stremata.
«Tutto bene. È un po’ faticoso, visto che è un ristorante rinomato e ci sono sempre un sacco di clienti. C’è molto lavoro da fare.»
«Immagino.»
«Invece a scuola com’è andata?» si informò interessata, con un sorrisetto stampato in faccia.
Feci spallucce.
«Bene. È un buon istituto.»
«Hai già fatto amicizia con qualcuno?»
«Più o meno. Con il mio compagno di banco.»
«E com’è?»
«Simpatico. Un tipo a posto.»
«Me lo farai conoscere, vero?»
«Mamma!» la rimproverai, però sorridendo. «Non lo conosco quasi per nulla. E fidati che tra pochi giorni si scorderà di me.»
«Non credo proprio. È difficile dimenticarsi di occhi come i tuoi.»
«Che c’entrano i miei occhi?»
«Era per dire! Lo sai quanto mi piacciono. Anzi, piacciono a tutti.»
Si alzò facendo leva sul mio ginocchio, senza che potessi replicare nulla.
«È ora del tè! Ne vuoi un po’?»
«Come fai a bere il tè con questo caldo?»
«Questione di abitudine. Siamo o non siamo degli inglesi doc? Tutti bevono il tè a quest’ora. E poi, non fa per niente caldo, anzi io sto congelando. Va beh, allora, lo vuoi?»
«No, grazie, per oggi passo.»
Lei annuì, per poi sparire in cucina.
Improvvisamente mi ricordai del corso di canto e la raggiunsi per parlargliene.
«Senti, mamma...»
«Dimmi, tesoro» fece lei, aprendo il fuoco per far scaldare il pentolino pieno d’acqua.
«A scuola organizzano dei corsi da frequentare dopo scuola e ce n’è anche uno di canto... posso iscrivermi?»
Si girò verso di me entusiasta.
«È un’idea fantastica! Quanto costa?»
«Un anno costa circa cento sterline. È troppo?»
«No, per niente. È una cifra modica.»
«Quindi è un sì?» le chiesi speranzoso.
«Certo!»
La abbracciai, felice della notizia. Finalmente non avrei cantato solo nella mia stupida camera o sotto la doccia, ma avrei migliorato le mie doti canore insieme a un insegnante che mi avrebbe seguito passo dopo passo e che mi avrebbe dato consigli utili per perfezionarmi.
«Grazie mille!»
«Però non è meglio fare anche uno sport? Per mantenerti sano e in forma.»
«Se vuoi posso fare anche calcio, come ho sempre fatto. Ma poi non ti viene a costare troppo?»
«Non preoccuparti dei soldi, troveremo una soluzione. Hai bisogno di muoverti, quindi non si discute. O fai calcio o palestra o qualcos’altro. D’accordo?»
Lo diceva per il mio bene, lo sapevo, ma avevo paura che tutto questo le sarebbe costato troppo e non potevamo permettercelo.
Sì, mio padre ci aiutava un po’ economicamente, lei aveva un’occupazione, ma non bastava.
«Va bene, ma a una condizione» asserii serio.
«Quale?» domandò curiosa.
«Comincio a lavorare pure io.»
Era una decisione che avevo preso al momento, ma in realtà ci stavo riflettendo da un po’ di tempo a questa parte. Ormai ero adulto e non potevo dipendere da mia mamma. Era anche ora che mi prendessi delle responsabilità.
«E quando studi? Tra un po’ cominceranno gli esami e le verifiche, e sarà dura. Anche gli esami di ammissione a questo college sono stati difficili. E già farai calcio e canto, se lavorerai pure...»
«Troverò il tempo» la interruppi.
Nel frattempo il tè era pronto e ci eravamo seduti a tavola uno di fronte all’altra; lei con la tazza tra le mani e io che giocherellavo col mio cellulare, un blackberry ormai abbastanza rovinato, ma che ancora funzionava bene. O quasi.
«Non lo so, Harry, non ne sono del tutto convinta. Ho paura che tu non riesca a studiare e... sai che voglio il meglio per te.»
«Sì, lo so, appunto per questo è meglio se trovo un lavoro. Mi accontenterei anche del lavoro più stupido e banale al mondo, ma voglio aiutarti con le spese, non stare con le mani in mano. Anzi, sono stato uno stupido a non averci pensato prima. D’altronde la casa, le bollette, il cibo e il resto non si pagano da soli, giusto? Avrò tutto il tempo per studiare, per giocare a calcio, per seguire le lezioni di canto e per lavorare. Saprò organizzarmi. Sono un adulto, ormai.»
Lei restò ad ascoltarmi con attenzione, sorseggiando di tanto in tanto il suo tè. Quando finii il mio breve discorso, mi prese una mano e me la strinse.
«Sono così fiera di te» mormorò commossa.
«Anche io sono fiero di te, mamma.»
Aveva gli occhi lucidi, e sperai che non cominciasse a piangere, perché se no avrei cominciato anche io.
Fortunatamente non lo fece. Finì silenziosamente il tè e posò la tazza nel lavandino. Poi mi guardò.
«Ti va di preparare le lasagne insieme?»
Come potevo dirle di no?

 

 

**

 

 

«Com’era Holmes Chapel?» mi chiese Niall.
Mi stava trasportando da un laboratorio all’altro, durante l’intervallo mattutino, come aveva fatto il giorno prima.
Quella mattina arrivai giusto al suono della prima campanella, così riuscii ad evitare di aspettare l’inizio delle lezioni fuori da scuola con lui, che ovviamente era sempre con Liam e Louis.
Sapevo però che non potevo nascondermi per tutta la vita da questi ultimi due. Prima o poi li avrei conosciuti, per forza, anche perché eravamo nella stessa classe ed erano amici del biondo. Era inevitabile.
«Mah, era normale... molto tranquilla, sostanzialmente.»
Lui annuì, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans.
«Ti manca?»
«Sì, devo ammetterlo.»
«Anche a me manca la mia città natale.»
Lo guardai confuso, non capendo a cosa si riferisse. «Non sei nato qui?»
«No, no. Sono irlandese.»
Ecco perché mi ricordava vagamente un elfo, nel senso buono del termine. In effetti mi sembrava un po’ strano che fosse nato in Inghilterra, dato che non aveva i tipici lineamenti inglesi.
«Ah, non lo sapevo. Di dove?»
«Mullingar, nella parte centrale dell’Irlanda. Hai presente?»
«Sì, abbastanza. Era bella?»
«Bellissima. Mi piaceva molto. Quando ho saputo che ci saremmo trasferiti ho fatto una tragedia.»
Rise, probabilmente perdendosi tra i ricordi.
Non mi piaceva la piega che stava prendendo quel discorso: stava diventando troppo personale, per i miei gusti.
«Quindi ti capisco. Cioè, capisco come ci si sente a trasferirsi. Per me fu un duro colpo» aggiunse.
Notando che non dicevo nulla e notando anche il mio disagio, parlò di nuovo:«Ok, ora ti faccio vedere dove sono i bagni e poi abbiamo finito il giro turistico. E tra poco dobbiamo tornare in classe. Impara bene la strada, mi raccomando.»
Lo ringraziai mentalmente per aver cambiato discorso. Il fatto che avesse capito il mio stato d’animo nel parlare di quell’argomento mi rese quasi felice.
Mi portò al primo piano e andammo in bagno.
Quando entrai mi sarei aspettato di tutto, tranne che di vedere Louis che si lavava le mani e Liam che gli parlava, probabilmente per tenergli compagnia.
Il panico si impossessò di me. Il destino mi aveva colto impreparato.
«Oh, ciao ragazzi!» esclamò raggiante Niall. «So che siamo in classe insieme e bla bla bla, ma ci tenevo a presentarvi Harry e ne approfitto ora. Voglio che lo trattiate bene.»
Louis si asciugò delicatamente le mani affusolate con un fazzoletto, poi me ne porse una, che io prontamente strinsi. Era fredda, probabilmente perché se l’era sciacquata con l’acqua ghiacciata. Dei brividi mi percorsero la spina dorsale.
«Piacere, Louis» disse, puntando i suoi occhi azzurri nei miei, quasi prepotentemente.
“Lo so”, volevo rispondergli, ma mi morsi il labbro inferiore per evitare di dire sciocchezze.
Il suo sguardo penetrante mi aveva offuscato la mente e non riuscivo più a ragionare con lucidità e razionalità. Mi sentivo come se, sotto le sue iridi, fossi completamente spogliato della mia maschera di neutralità e indifferenza che cercavo di portare per non lasciar trasparire nulla di me e della mia personalità.
Era come se si stesse intrufolando in me, nel mio essere e nella mia anima solo guardandomi.
Com’era possibile?
«E io sono Liam» disse l’altro, e io distolsi lo sguardo da Louis e gli lasciai la mano quasi riluttante, per poterla stringere al ragazzo con una strana voglia sul collo, che non si poteva non notare, talmente era evidente.
«Che bello, finalmente vi siete conosciuti!» Niall batté le mani estasiato, proprio come un bambino. Sentivo lo sguardo indagatore di Louis ancora addosso e cercai di non incrociarlo, per non rimanere ipnotizzato come prima.
«A proposito! Harry oggi mangia a tavola con noi, vero, Harry?» aggiunse l’irlandese.
Mi stavo quasi dimenticando che quel giorno non sarei uscito all’una, ma sarei dovuto rimanere lì anche il pomeriggio.
Feci un cenno positivo col capo.
Proprio in quel momento la campanella, la mia salvatrice, suonò e ritornammo in classe. Louis ed io stemmo in silenzio, mentre gli altri due scherzavano tranquillamente.
Non riuscii nemmeno a seguire la lezione, poiché non la smettevo di pensare a Louis e al nostro primo incontro: non me lo sarei immaginato così, soprattutto non in uno squallido bagno.
Ma finalmente avevo sentito la sua voce – in classe non lo avevo mai sentito parlare, o forse non ci avevo fatto caso –, nonostante mi avesse detto soltanto due misere parole. Era così dolce e delicata, così come i suoi tratti del volto. Poi ripensai alle sue labbra sottili, ai suoi piccoli denti bianchi, ma specialmente ai suoi occhi azzurri, vispi, ipnotizzatori, curiosi, inquisitori.
Avevo paura dell’effetto che stava avendo su di me. Lo “conoscevo” da soli due giorni, di lui sapevo solo il nome e che sua zia lavorava in questa scuola come impiegata, gli avevo parlato solo per pochi secondi – anzi, aveva parlato lui, perché io non avevo fiatato –, eppure i miei pensieri erano sempre e costantemente rivolti a lui.
E in più, ogni volta che mi lanciava anche solo un’occhiata, mi dava la sensazione che mi stesse esaminando, perforandomi l’anima.
Non mi piaceva quella situazione, per niente.
Provai a concentrarmi sulla lezione, con scarsi risultati. Anche se avrei dovuto, poiché di lì a poco sarebbero cominciati gli esami, i test, i vari compiti scritti. Mi dovevo impegnare molto; lo dovevo non solo a me stesso, ma anche a mia madre, che si stava dando così tanto da fare per me e per il mio benessere. In qualche modo dovevo pur ripagarla.
Quando arrivò la pausa pranzo, mi diressi con Niall verso la mensa, dove già ci aspettavano Louis e Liam, seduti a un tavolo vicino alla finestra. Dato che dovetti accompagnare il biondo in bagno, loro avevano fatto più in fretta.
«Non prendete da mangiare?» chiese Niall, avvicinandosi a loro. Io cercai di starmene un po’ in disparte.
Mi sembrava che, con la mia presenza, sconvolgessi i loro equilibri. Mi sentivo di troppo. Il quarto incomodo.
«Vi stavamo aspettando» rispose Liam alzandosi. «Lou, vuoi che ti prenda io il cibo?»
Lou. Mi piaceva come soprannome, era dolce e gli si addiceva. Forse, quando e se avessimo preso più confidenza, lo avrei chiamato anche io così.
«Sì, grazie. Io vi aspetto qua.»
Ci mettemmo in fila, con dei vassoi in mano; Liam ne aveva due.
«Allora, Harry» l’irlandese si rivolse a me con quel suo accento bizzarro «hai già deciso che corsi fare?»
«Calcio» dissi, non nominando il corso di canto.
Come già detto, avevo paura che mi prendessero per una donnicciola. In fondo non li conoscevo, non sapevo come si sarebbero comportati né quali reazioni avrebbero avuto, qualsiasi cosa avessi detto.
«Ah, bene!» s’intromise Liam. «Ci sono anche io a fare calcio.»
Mi fece un sorriso e io ne sforzai uno, per non risultare maleducato.
«Sei bravo?» mi domandò poi.
Feci spallucce, non sapendo bene cosa rispondere, e increspai le labbra.
Ero bravo? A Holmes Chapel ero il capitano della squadra scolastica, ciò voleva dire che un minimo di bravura la possedevo.
Ma non volevo dirlo, se no avrebbero pensato che fossi vanitoso ed egocentrico, cosa che non ero. Non amavo stare al centro dell’attenzione, preferivo rimanere sulle mie. Non per questo amavo la solitudine; mi faceva piacere quando gli altri si prendevano cura di me o si interessavano a me, ma non lo richiedevo mai esplicitamente.
«Beh, comunque lo vedremo quando cominceremo a giocare. Il capitano della squadra era... ehm, è... Josh Devine, di terza F» disse Liam, e mi chiesi perché si fosse corretto sul tempo verbale e perché sembrasse teso dopo quell’errore.
«Già si sa chi è il capitano?» domandai, facendo finta di non aver notato nulla.
In realtà avevo capito che c’era qualcosa che non andava; chissà cosa.
«Abbiamo fatto i casting poco prima di cominciare la scuola, non lo sapevi?»
Scossi la testa. Tanto non mi importava di essere il capitano, mi bastava giocare.
«Sarà per il prossimo anno» mi consolò.
Arrivò il nostro turno e, dopo che avevamo preso il cibo, aiutai Liam a portare il vassoio per Louis, che ci ringraziò.
Mi faceva quasi tenerezza seduto su quella sedia; ogni sua cellula del corpo sembrava gridare libertà.
Provai ad immedesimarmi in lui, chiedendomi come si dovesse sentire a non potersi muovere più di tanto e ad essere sempre oggetto degli sguardi altrui che, impiccioni, si domandavano cosa gli fosse capitato – come del resto stavo facendo anche io.
«Da dove hai detto che vieni, che non mi ricordo?»
Lui, il centro dei miei pensieri in quel momento, mi pose quella domanda, cogliendomi impreparato.
Se fino a quel momento ero riuscito ad estraniarmi dai loro discorsi, tenendo sempre lo sguardo verso il piatto e mangiando silenziosamente, ora che mi avevano interpellato e coinvolto non potevo far altro che guardare colui che mi aveva parlato.
Pessima scelta.
Appena i suoi occhi si fissarono nei miei, dentro di me si scatenò una tempesta di emozioni. Come diavolo faceva a ridurmi in quello stato, ogni fottuta volta?
«Ehm... Holmes Chapel» mi schiarii la voce roca prima di far uscire quelle tre parole dalla mia bocca.
«Non ci sono mai stato, ma mi piacerebbe» commentò sorridendomi e mi sentii morire.
Ok, dovevo mantenere la calma. Sembravo una dodicenne in preda ai suoi ormoni impazziti.
Però perché continuava a sostenere quel contatto visivo con me? Tutto ciò mi mandava in tilt.
«Oh, sì, piacerebbe anche a me» disse Niall. «Una volta potremmo andarci insieme! Una bella gita tra amici!»
Già mi consideravano uno di loro?
«Che ne dici, Harry?» mi chiese Louis.
Il mio nome detto da lui era probabilmente la cosa più dolce che avessi mai sentito. Sembrava più un “Harreh” ed era adorabile. Tutto di lui mi portava a pensare che fosse la persona più adorabile sulla faccia della Terra.
«Io... come volete» risposi, facendo spallucce.
Appunto che dovevo assolutamente segnarmi il prima possibile da qualche parte, anche sulla mano, se fosse stato necessario: stare alla larga da Louis, perché poteva causare dipendenza e mandava in palla il mio cervello, ma, soprattutto, il mio cuore.
E lo faceva senza che io me lo aspettassi.

  
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