Capitolo
Tre
Giocattoli e
Ossessioni
Il
fratello non sarebbe rientrato per
consolarlo: Lazard era cinico e diretto quando Deimos era assurdo e
contorto. Aveva
detto di disprezzarlo ed era uscito disgustato; non avrebbe messo di
nuovo
piede in quella stanza per rimangiarsi le proprie parole ed abbracciare
il
consanguineo ferito. Era un atteggiamento troppo irragionevole, per
lui.
Ogni
tanto, Deimos pensava che la mente
del fratello fosse una strada costituita da un unico binario: era
semplice
capire dove si sarebbe diretto con le parole e le azioni. Se ragionava
sulla
propria, invece, la associava ad un gomitolo ingarbugliato: impossibile
trovare
un inizio e una fine coerenti.
Sospirò,
rialzandosi dal tappeto.
Avrebbe
fatto una passeggiata fino allo
Stige. Forse avrebbe anche trovato qualcuno disposto ad abbracciarlo.
Il
vento notturno si insinuò con
facilità nei bottoni aperti della camicia, senza
l’ostacolo del mantello:
Deimos aveva lasciato quel pezzo di antiquariato sul tappeto. Non ne
aveva
bisogno per proteggersi dagli agenti atmosferici. La brezza gelida
quasi si
rammaricò nel sentire la pelle che, anziché
rabbrividire sotto i suoi soffi
artici, si riscaldava per contrastare la bassa temperatura di quella
serata
autunnale.
Deimos
raddrizzò le spalle, lasciando
al vento perlomeno la soddisfazione di scompigliargli i capelli. Suo
padre
Lucifero aveva insegnato a lui e a Lazard come controllare la propria
temperatura corporea per contrastare gli elementi fin da quando erano
bambini.
Non ricordava di essersi ammalato nemmeno una volta, dal giorno in cui
era
nato. Ed era estremamente fiero di quel suo primato: i malanni umani
erano
nauseabondi, con il loro corollario di catarro e muco, mentre i morbi
demoniaci
erano spietati, ed il più delle volte fatali.
Fu
una lunga camminata: lo Stige
segnava il confine estremo del regno demoniaco, un ramo di acqua
torbida che
divideva Infera dall’impero delle Cattedrali.
Si
fermò sulla sponda limacciosa, le
punte dei piedi che sfioravano le creste melmose del fiume. Stese il
collo al
massimo delle sue possibilità: oltre la desertica Terra di
Nessuno, nell’abbraccio
protettivo delle aspre catene montuose, sorgeva la punta della torre
più alta
della Cattedrale di Elohim.
Il
marmo nero con cui era stata
edificata era distinguibile nella notte solo per i riflessi argentati
che la
luna riversava sulle guglie e sui contrafforti: alcune mura impallidite
dalle
stelle emergevano dalle ombre, apparentemente sospese nel nulla.
Deimos
seguì per qualche passo il corso
del fiume, senza staccare gli occhi dalla Cattedrale. Tra le sue mura
abitavano
gli Esorcisti più capaci, ed era stata costruita in quel
punto, esattamente al
di fuori della Terra di Nessuno, per garantire la sicurezza alle
Abbazie e alle
Cattedrali minori. Illusi: i demoni non prendevano mai due volte la
stessa
strada, per recarsi nel mondo degli uomini. Tuttavia, la Cattedrale di
Elohim
incuteva un certo timore in alcuni ranghi della società
diabolica: gli
Esorcisti che vi albergavano erano gli unici che i demoni
riconoscessero come
degni avversari, ed avevano stretti contatti con tutte le Abbazie e le
Cattedrali esistenti. Se un diavolo o un angelo avesse attaccato gli
esseri
umani, nel giro di un giorno sarebbe apparso un Esorcista di Elohim.
Deimos
si gettò a sedere, naufragando
con lo sguardo verso il cielo: anche Lastar figurava tra quei
combattenti così
spaventosi.
Un
crepitio di sterpaglie poco distante
risvegliò la sua attenzione: si alzò in piedi
ruotando su se stesso e si
diresse verso la fonte del rumore.
Un
gruppo di demoni si stava
avvicinando, confabulando di piani e strategie.
Deimos
espresse la sua sorpresa con un
saltello: era uscito in cerca di compagnia, ma non avrebbe mai
immaginato di imbattersi
in Astaroth e nei suoi quattro assistenti. Era quasi impossibile
incontrare il
Duca del Terrore al di fuori della sua mansione a causa della sua
proverbiale
accidia.
Astaroth
non trovò particolarmente
insolita la presenza di Deimos: il figlio minore di Lucifero rimbalzava
da una
parte all’altra di Infera come una trottola impazzita, ed era
praticamente
impossibile non trovarselo in mezzo ai piedi nelle circostante
più strane.
«Duca»
Deimos si esibì nella sua
versione rivisitata dell’inchino cerimoniale.
«Principe»
il tono di Astaroth rimase
impeccabilmente aristocratico, così come la sua riverenza.
«Nemmeno
voi riuscite a riposare?»
Un
sopracciglio perfettamente curato si
inalberò con fare sospettoso: non riusciva a capire se la
domanda del Principe
fosse una battuta di pessimo gusto sul suo vizio di passare giornate
intere
sdraiato sul triclinio oppure no. Il sopracciglio si
riabbassò, spianando la
fronte lattea. Sarebbe stato improduttivo adirarsi con quel ragazzino:
era
talmente irrazionale che avrebbe preso la sua rabbia come un incentivo
per
continuare ad infastidirlo.
«Avevo
cose migliori a cui dedicarmi»
rispose pigramente.
«Con
tutti e quattro i vostri
assistenti?»
Il
quartetto si agitò alle spalle di
Astaroth: due di loro saltarono sulle spalle dei compagni, e da
lì si sporsero
per complottare qualcosa nelle orecchie degli altri. Bizzarro come il
demone
dell’accidia e della vanità avesse scelto un
gruppo così vivace per affiancarlo.
«Sì,
ho bisogno di loro» confermò il
Duca.
Deimos
si acquattò a terra, vicino alle
gambe del nobile, e puntò un braccio nella stessa direzione
seguita dagli occhi
truccati del diavolo.
«Mirate
alla Cattedrale?» gorgheggiò,
rialzandosi con una capriola.
Astaroth
sfiorò con le unghie laccate
il pesante bracciale d’oro a forma di serpente che si
avviticchiava lungo tutto
il suo avambraccio.
«Devono
restituirmi ciò che mi hanno
rubato» sentenziò, sillabando le parole con noia.
Deimos
annuì emettendo una serie di
versi a bocca chiusa, poi si grattò la testa in una
manifestazione plateale di
perplessità e indagò:
«Ma
avete stretto un patto con il Messo
Infernale di Elohim.»
«E
con ciò?» sibilò Astaroth.
«Non
è un pochino contro le regole
attaccare la Cattedrale che lui difende?» Deimos si
accovacciò a terra per
l’ennesima volta, e prese a dondolarsi sui talloni.
La
lingua del Duca saettò sulle labbra
perlacee: per un attimo, il labbro inferiore acquistò un
colorito roseo, che
perse l’istante successivo, coperto da un argento bagnato.
Deimos non si
spaventò per quel fenomeno. La linfa vitale che scorreva
nelle vene degli umani
era rossa, quella dei demoni era viola e quella degli angeli era
argentea; le
labbra del Duca del Terrore erano sempre coperte di sangue angelico fresco.
«Il
Messo Infernale è preparato a
questa evenienza» sentenziò grave Astaroth.
Il
Principe si strinse nelle spalle,
accordando la sua benedizione a quella missione.
Riusciva
a procacciarsi la sua dose di complicazioni
giornaliere da solo: non aveva bisogno di invischiarsi in quelle
altrui. Suo
padre aveva stilato un rigido codice di comportamento per le gerarchie
infernali, ed il caposaldo di quel regolamento era l’onore:
un demone non
avrebbe mai dovuto macchiare il suo nome e quello della sua stirpe
rinnegando
la parola data o comportandosi in maniera disdicevole. Ovviamente,
Deimos era
l’eccezione non scritta di quel corollario.
Non
capiva cosa avesse in mente
Astaroth; aveva stretto un patto con il Messo Infernale di Elohim
svariati anni
prima, ed ora si apprestava ad attaccare la Cattedrale. Lucifero non
avrebbe gradito
quell’iniziativa.
Si
stropicciò un occhio, combattuto.
Lastar
avrebbe avuto un bel daffare per
contrastare il Duca del Terrore e i suoi assistenti.
***
Il
visetto tondeggiante era il calco di
quello dei putti negli affreschi delle scuole per la prima infanzia, e
gli
occhi grandi ricordavano quelli di un gattino spaventato. La
costituzione esile
come il cristallo accentuava l’aria di fragilità
del ragazzo, il morbido
castano dorato dei capelli e la tinta verde slavata delle iridi
ammorbidivano
ulteriormente il suo aspetto tenue; la pelle diafana lo faceva
assomigliare ad
una fanciulla sul punto di svenire.
Quell’illusione
di innocenza crollava
non appena il giovane apriva bocca.
«Che
ti venga un accidente, Lastar!
Potresti fare la revisione prima che la ruggine ti mangi le pistole,
sai?»
La
prima volta, la discrepanza abissale
tra l’aspetto e l’atteggiamento dello Scienziato
Capo gli aveva quasi causato
una sincope. Dietro la facciata di zucchero e miele, si nascondeva una
sorgente
inesauribile di fiele e acido. La cosa più spaventosa era
che Cy riusciva a
pronunciare i peggiori improperi con il più innocente dei
sorrisi spianato sul
volto.
«Mi
sono scordato di portarle prima»
minimizzò Lastar.
«Un
altro paio di giorni e avresti
dovuto combattere i demoni in mutande. La prossima volta, appiccicati
un
promemoria alla fronte con lo sputo» lo criticò
serafico Cy, poggiando le armi
di Lastar sul bancone da lavoro.
L’Esorcista
si mise in attesa all’altro
capo della tavola, inquieto. Non gli piacevano i laboratori: troppo
bianchi,
disinfettati e privi di vita. L’unica cosa che li
differenziava dagli obitori
erano gli eserciti di strumenti tecnici dall’aria complessa e
sofisticata.
Cy
trafficò per qualche istante con le
sue armi, poi decise di aver bisogno di un attrezzo sullo scaffale
più lontano.
«Te
lo prendo io» si offrì Lastar.
«Assolutamente
no» lo freddò lo
Scienziato Capo, candido. «Potresti sfasciarlo, con la tua
grazia da viverna.»
L’Esorcista
rimase così in attesa che
il giovane raccogliesse le sue stampelle, le fissasse poco sopra il
gomito e
zoppicasse fino al ripiano desiderato. Le dita tamburellarono
sull’avambraccio,
impazienti, mentre lo Scienziato Capo metteva lo strumento nella borsa
a
tracolla con la massima cura e faceva ritorno al bancone.
Cy
era nato con una malformazione alle
gambe, per cui non poteva muovere un singolo passo senza le sue
stampelle. Sua
sorella, la strega Drew, diceva sempre che il fratello aveva il corpo
di vetro
e lo spirito di acciaio: a dispetto delle membra gracili, infatti, il
cervello
di Cy era la più spaventosa fucina di invenzioni di tutti i
tempi, dotato di
intelletto tagliente e caparbietà indistruttibile.
«Le
mie povere creature» lo Scienziato
Capo salì su uno sgabello per appoggiare le stampelle al
tavolo ed avere così
entrambe le mani libere. «Non ti sanguina il cuore, a vederle
ridotte in questo
stato?»
«Temo
che le pistole non suscitino il
mio istinto paterno» troncò Lastar.
«Ti
ricordo che devi la tua vita a
queste perfezioni di scienza» lo rimbeccò
docilmente Cy, usando l’attrezzo
preso poco prima per saldare alcuni punti.
«Devo
la vita alla mia mira. Le pistole
sono inutili, se non colpiscono il bersaglio» si difese
brusco Lastar.
Da
quando l’immagine di panna di quel
ragazzino aveva smesso di intenerirlo, l’Esorcista aveva
cessato di riservargli
troppi riguardi nel comunicare i propri pensieri. Il cuore di Cy era
ruvido
come la corteccia degli alberi, e altrettanto insensibile: non sarebbe
stato
ferito da un commento sgarbato.
Lo
Scienziato Capo, infatti, si
compiacque dalla sagacia con cui l’altro si era difeso
anziché offendersi.
«Non
posso darti torto» concesse
gentilmente, prima di tornare al suo lavoro.
Lastar
si schiacciò gli occhiali sul
naso, quando la sua mente accostò il bipolarismo di Cy
all’inafferrabilità di Deimos.
Era inutile provare a classificare il demone: poteva essere
estremamente dolce
ed incredibilmente irritante, così come il suo aspetto
poteva toccare le punte
del terrore o gli apici della bellezza.
«Ti
sei zittito» Cy usò uno strano
monocolo cilindrico, terminante in una lente enorme e panciuta, per
analizzare
le pistole con maggiore minuzia. «Stai facendo pensieri
sconci?»
«No»
Lastar negò con troppa energia,
secondo lo Scienziato Capo, che insistette, angelico:
«Su
chi li stai facendo? Qualcuno della
Cattedrale?»
«Non
stavo pensando a niente» vociò
l’Esorcista. Alexander, Deimos, Cy: perché era
circondato solo da persone
irritanti?
«Di
solito non è il “niente” a zittire
le persone» sancì lo scienziato, finendo di
rimontare le armi.
«A
che punto sono le pistole?» recise
Lastar.
Cy
rimosse la buffa lente ed esaminò
un’ultima volta le sue creazioni sotto le luci artificiali
del laboratorio.
«In
perfetto stato. Ora»
rimarcò lo Scienziato. «Cerca di
essere più puntuale per la prossima revisione.»
L’Esorcista
annuì rapido, e tentò di
ricomporre le pistole nella loro solita forma a croce. Le sue dita si
erano
appena mosse quando l’allarme mugghiò tra le
pareti del laboratorio.
La
testa di Lastar e quella di Cy
scattarono all’unisono verso la mappa della Cattedrale che
copriva il muro ad
est: un piccolo cerchio rosso aveva cominciato a pulsare al primo
piano,
esattamente a tre corridoi di distanza dalla loro posizione.
«Hai
l’occasione giusta per usare le
tue fantastiche pistole appena sistemate» si
congratulò Cy. «Fossi in te,
sfrutterei quest’opportunità.»
«E,
se io fossi in te, prenderei le
stampelle. Non ti lascio qui con un attacco in corso»
ordinò Lastar. «Alexander
mi staccherebbe la testa, se ti lasciassi indifeso.»
«E
poi ci sputerebbe dentro» rinsaldò
Cy, scendendo dallo sgabello e assicurandosi le stampelle alle braccia.
L’Esorcista attese che il giovane terminasse la preparazione
e si avviasse
claudicante dietro di lui.
Un
drappo di silenzio calò sulla
Cattedrale quando la sirena di allarme si spense. Nessun clangore di
armi,
nessun segno visibile di lotta.
«È
un’infiltrazione» bisbigliò Lastar.
«I demoni non sono venuti per cacciare.»
«Come
fai ad esserne convinto?»
investigò Cy dietro di lui.
«Non
si addentrano mai all’interno
delle Cattedrali per nutrirsi. Aspettano che qualche umano esca dalle
mura,
oppure lo attirano fuori. E lo fanno di nascosto.»
«Quelli
di ieri si sono diretti contro
le nostre mura.»
«Erano
demoni inferiori. Non hanno le
capacità necessarie per sorpassare le nostre barriere
difensive.»
«Quindi
stiamo parlando di un demone
superiore?»
«Di
un demone evoluto, perlomeno. In
cerca di qualcosa di specifico.»
Le
mani di Cy si agitarono sulla presa
delle stampelle: i palmi stavano cominciando a sudare.
«Ma,
se la memoria non mi inganna, non
è mai successo prima d’ora che un demone
oltrepassasse i nostri cancelli.»
Le
labbra e le sopracciglia di Lastar
si contrassero, corrucciandogli il volto.
«Non
ad Elohim, forse. Ma è già
avvenuto in passato» notificò
l’Esorcista.
Cy
aprì la bocca per aggiungere
qualcosa, ma le sue labbra quasi si spaccarono in un urlo: un paio di
occhi
magenta comparve dal nulla e lo fissò da una prospettiva
rovesciata. Lo
Scienziato Capo rischiò di perdere l’equilibrio
per lo spavento, e fu costretto
ad uno strano gioco di stampelle per reggersi in piedi.
«Trovato!»
chiocciò la vocina annessa a
quei bulbi inquietanti.
Lo
scenario di Cy divenne
improvvisamente nero quando Lastar si parò davanti a lui.
L’Esorcista aveva
riconosciuto istantaneamente la treccia di capelli color prugna, gli
occhi
sgranati e la vistosa cucitura che tagliava a metà il collo
snello della
creatura: era Pruslas l’Assassina, la seconda assistente di
Astaroth.
«Il
nostro Messo Infernale ha stretto
un patto con il tuo signore» l’ammonì
lui, puntando una pistola alla sua testa.
«Astaroth ha giurato di non attaccare mai, per nessun motivo,
la Cattedrale.»
«Infatti
il nostro signore non è qui»
trillò la creatura, appesa al soffitto tramite una corda
agganciata alla
cintura. Slacciò il moschettone e rimbalzò a
terra come se fosse stata senza
peso, ergendosi poi nella sua misera altezza: arrivava a malapena a
sfiorare il
bacino di Lastar.
«Ma
ti ha inviata lui» contrattaccò Cy.
«Si
tratta di un’iniziativa personale»
la piccoletta lanciò la treccia oltre le spalle ossute, e
rise: «Il mio signore
è tanto triste perché gli è stato
sottratto qualcosa che gli è molto caro. E
noi abbiamo deciso di fare qualcosa per rasserenarlo.»
«Noi?»
la riprese Lastar. Non riuscì a
cogliere l’espressione di Pruslas: una delle stampelle dello
Scienziato lo
colpì al fianco, sbilanciandolo di lato. Stava per imprecare
coloritamente
contro Cy, quando si accorse che il giovane lo aveva appena salvato:
esattamente nel punto in cui si trovava fino a qualche secondo prima,
si apriva
ora una pozza frastagliata e sfrigolante.
«Quell’acido
ti avrebbe sciolto la
testa» si rammaricò una voce artificiale
dall’alto.
Cy
e Lastar non faticarono a ricondurre
l’essere metallico calamitato al soffitto ad un nome: Aamon
l’Alchimista, il
primo assistente di Astaroth.
«Lui
non sa che siamo qui» ridacchiò
Pruslas. «Per cui, il patto non è stato
trasgredito ed è ancora valido.»
«Temo
che dovremo discutere con il
vostro padrone a riguardo» si risentì Cy.
«Dovrebbe fare più attenzione alle
“iniziative personali” deleterie per la Cattedrale,
se ha intenzione di
mantenere l’accordo.»
«E
voi non dovreste rubare le sue cose»
inveì improvvisamente Pruslas, mandando lampi dagli occhi
magenta. «Ladri!»
«Diteci
cosa abbiamo rubato e ve lo
restituiremo» contrattò duro Lastar, la pistola
ancora in assetto di guerra.
Qualche
scheggia di pavimento sibilò
nell’aria quando l’Alchimista si lasciò
cadere a terra: i suoi piedi di metallo
creparono le mattonelle di marmo nero, ma la creatura non parve
avvertire
dolore.
«Me»
dichiarò, atono.
Cy
e Lastar si scambiarono un’occhiata
smarrita.
«Sei
sicuro che il tuo costruttore ti
abbia oliato per bene i meccanismi?»
s’inviperì lo Scienziato.
«Il
vero me» inquadrò Aamon.
«E
dove si troverebbe, questo “vero te”?»
la sua pazienza stava per tracimare, e Lastar parlò a denti
digrignati.
Pruslas
puntò le sue manine verso Cy.
«Chiedilo
a lui. Lui è uno dei ladri.»
«Torna
dal tuo signore, e digli di
parlare direttamente con me, se ritiene che io gli abbia rubato
qualcosa» una
stampella roteò nell’aria in direzione della
nanerottola, a sottolineare
l’irritazione dello Scienziato.
«Non
può. L’altro ladro gli impedirebbe
di parlarne con te» negò Pruslas.
«L’ha
sempre fatto» avvalorò Aamon.
Lastar
tirò il cane della pistola,
riscuotendo l’attenzione dei due esseri.
«Sparite.
Abbiamo tollerato la vostra
presenza anche troppo a lungo» li avvertì.
Gli
occhi di Pruslas si assottigliarono
improvvisamente, riducendosi a due strette fessure di
crudeltà.
«Non
possiamo tornare a mani vuote…»
Gli
eventi precipitarono con una
rapidità impressionante: Pruslas allungò una mano
per afferrare il pugnale, e
Lastar la prevenne di un secondo scarso, sparandole. La creatura
lanciò uno
strepitio acutissimo, fissando sconvolta il buco sanguinante sul suo
palmo, e
continuò a schiamazzare quando un secondo proiettile le
perforò lo sterno.
Lo
Scienziato vide Aamon frugare nel
suo tascapane, e lo imitò prontamente: le boccette di Cy e
dell’Alchimista si
incontrarono a metà strada in un’esplosione di
vetri, annullando reciprocamente
le proprietà dei liquidi contenuti all’interno.
«Grazie
Cy» telegrafò Lastar,
rinfoderando le pistole per estrarre la Lama Vampira: non si illudeva
di aver sconfitto
l’Assassina con due soli proiettili.
La
nanerottola batté i pugni nella
pozza del suo sangue nero, la rabbia che le distorceva i lineamenti e
le
scopriva le zanne. L’Esorcista portò la spada tra
di loro: la linfa vitale così
scura era propria solo dei Costrutti, le creazioni innaturali degli
Stregoni. Sarebbe
stato complesso uccidere chi non era propriamente vivo.
La
Lama compì un arco verso il basso,
parando a stento i pugnali di Pruslas. La piccoletta si
lanciò contro il suo
nemico ad armi sguainate, e non si fece intimidire dalla differenza di
stazza o
dalla spada notevolmente più affilata dei suoi stiletti.
Rapida come una
vipera, scartò di lato e conficcò un pugnale poco
sopra il ginocchio del suo
avversario. Con sua somma disapprovazione, la lama non
riuscì a perforare la
stoffa dei pantaloni, che si piegò sotto di essa per poi
stendersi di nuovo,
intonsa.
«Non
siamo così sprovveduti» asserì
Lastar, costringendola ad indietreggiare con un movimento di spada.
Cy
aveva abbandonato una delle sue
stampelle per avere libero accesso alla propria tracolla: Aamon
sembrava
intenzionato a duellare con lui, e ogni Scienziato sapeva quanto fosse
impegnativa una competizione di formule chimiche. Doveva riconoscere la
pozione
dell’avversario dal colore e dalla presunta consistenza,
dopodiché scegliere e
lanciare la mistura che ne avrebbe annullato ogni effetto malefico:
entrambi i
processi si svolgevano in pochi secondi, per cui il cervello non poteva
permettersi la minima distrazione. Una goccia di sudore
rotolò sulla sua
tempia: non era facile mantenere la concentrazione, con un Esorcista e
l’Assassina che guerreggiavano a pochi metri di distanza.
Aamon, al contrario,
non sembrava minimamente turbato: gli ingranaggi nel suo cranio non
erano stati
studiati per farsi sviare da cose futili.
L’Assassina
mise all’opera l’agilità
che l’aveva resa tanto temuta, nonostante la sua scarsa
altezza. Con un balzo
si aggrappò al braccio dell’Esorcista e, prima che
quest’ultimo avesse tempo di
scrollarsela di dosso, saltò sulla sua spalla e gli
trapassò una guancia con il
pugnale. Quel punto non era protetto dalle stoffe modificate in
laboratorio, e
Pruslas esultò di viva gioia nel sentire la carne lacerarsi
e il sangue rosso sommergerle
le mani e il corpetto. Atterrò sul pavimento deliziata, e
prese a lappare con
gusto il liquido salato che le rivestiva le dita.
Il
mondo di Lastar venne avvolto dalla
nebbia e la testa da una nuvola di elettricità, prima che il
suo ferreo
autocontrollo stabilizzasse i nervi sconvolti dalla ferita. La
Cattedrale tornò
ad essere nitida, così come l’Assassina che
correva verso di lui.
Lastar
si fletté sulle ginocchia ed
impugnò con maggiore forza la spada: non avrebbe avuto
più di un battito di
ciglia per colpire quella creatura sfuggevole.
La
corsa di Pruslas si sbriciolò contro
la Lama Vampira: il freddo acciaio la tranciò a
metà, e al suolo ricaddero un
paio di gambe ancora in movimento e un busto dall’espressione
spiritata.
Lastar
si premette una mano sul viso,
per contenere il torrente di sangue che gli stava inzuppando il
colletto e il
pettorale della tunica; le braccia dell’Assassina si
agitarono nell’aria,
infuriate, prima di abbattersi al suolo e trascinare faticosamente il
busto
troncato verso le gambe ora immobili.
«Aamon!»
rumoreggiò. «Aamon!»
Il
Costrutto di metallo si voltò solo
alla seconda invocazione, e registrò senza emozioni le
condizioni miserevoli
della sua compagna.
«Andiamocene!»
starnazzò lei,
afferrando con una mano la propria caviglia, che scalciò
debolmente sentendosi
prigioniera.
Aamon
abbandonò la battaglia con lo
Scienziato, e si chinò a raccogliere le membra scomposte
dell’Assassina. Non
batté le palpebre di bronzo nemmeno quando la Lama Vampira
si appoggiò al suo
volto di metallo.
«Ci
dovete ancora delle spiegazioni» li
minacciò Cy, sopperendo
all’impossibilità di Lastar di parlare.
Aamon
non proferì parola, mentre
Pruslas fissò con odio l’Esorcista, che aveva
abbandonato la guancia per
reggere la spada con entrambe le mani.
«Ti
restituirò il favore, ibrido» e
sputò su quella stessa lama che l’aveva tagliata a
metà.
Una
vetrata della Cattedrale esplose,
mettendo fine ad ogni possibile discussione: una freccia, circondata da
un’aura
fiammeggiante, fendette l’aria e si conficcò nella
spalla dell’Esorcista. La
Lama Vampira cadde a terra, e Lastar si chinò immediatamente
a raccoglierla,
nonostante il dardo infisso a pochi centimetri dalla clavicola.
Aamon
non inferì sull’Esorcista: si
voltò e si gettò oltre la finestra frantumata. Un
tonfo altisonante annunciò il
suo atterraggio, e una serie di rumori sordi accompagnò la
sua fuga dalla
Cattedrale.
«Lastar…»
si preoccupò Cy, ma
l’Esorcista sbottò, le parole aggrovigliate nel
sangue che gli riempiva la
bocca:
«Troviamo
Alexander.»
«Ma
sei ferito» protestò lo Scienziato.
«Appunto.
Mi serve un medico» Lastar
quasi si strozzò per quell’ultima frase, ed una
grossa bolla vermiglia gli
macchiò le labbra.
«Lo
chiamo io. Tu resta fermo» comandò
lo Scienziato. L’Esorcista tentò di rialzarsi, ma
Cy lo rimise seduto
premendogli la stampella sullo stomaco. «Resta fermo,
ho detto.»
Dal
camice dello Scienziato venne
estratta una collana terminante in una pietra ovale e piatta, che il
giovane
poggiò a terra: il minerale si illuminò ad
intermittenza un paio di volte, poi
una sottile striscia di luce si srotolò sul pavimento,
perdendosi nei corridoi
della Cattedrale.
«Lo
raggiungerà, così potrà arrivare
fino a noi seguendo il bagliore» chiarì lo
Scienziato, portandosi con fatica
vicino all’Esorcista accasciato. «Hai sconfitto
l’Assassina. Sii orgoglioso di
te stesso.»
Lastar
gli scoccò un’occhiata incendiaria,
e Cy ammise, pizzicandosi il mento:
«Forse
avrai tempo per sentirti fiero
dopo che ti avranno ricucito la guancia e tolto quella freccia dalla
spalla.»
L’Esorcista
annuì, seccato.
Sperava
che Alexander arrivasse presto.
Quelle ferite sembravano bruciargli più di qualunque altra
lesione avesse mai
riportato in battaglia. Ed essendo state inferte
dall’Assassina, era certo che
non significasse nulla di buono.
***
L’intervento
del Messo Celeste aveva
mitigato i suoi patimenti, ma non li aveva annullati.
I
punti sulla sua guancia tiravano e
bruciavano, e non erano riusciti a fermare l’emorragia: la
benda applicata
sulla gota era di nuovo fradicia, e si sarebbe dovuto alzare per
cambiarla.
Nemmeno la freccia era stata rimossa con troppo successo: aveva morso
con tutte
le sue forze un fazzoletto mentre spezzavano la punta e strappavano
l’asticella
dalla sua carne viva, e aveva quasi perso i sensi mentre cauterizzavano
la
ferita con il ferro rovente. Nemmeno quelle misure erano riuscite a
risolvere
il problema: il bendaggio che gli circondava la spalla era di nuovo
inspiegabilmente chiazzato di sangue.
Poggiò
un palmo sulla fronte, sentendo
la testa girare: la pressione si stava abbassando troppo a causa della
continua
perdita di fluidi vitali. Cercò di rialzarsi sul letto per
cambiare le
fasciature, ma la stanza prese a vorticare intorno a lui,
immobilizzandolo sul
materasso.
Si
sentì quasi sollevato quando avvertì
un peso poggiarsi sul suo letto.
«Ti
sei ricordato di avere un paziente
sanguinante, Alexander?» lo rimproverò secco
Lastar. Sapeva che il Messo
Celeste era molto impegnato: doveva spiegare l’accaduto ai
suoi superiori e al
popolo, nonché organizzare una riunione il giorno successivo
per decidere le
contromisure da adottare, e supervisionare i lavori di ricostruzione
assieme a
Cy. Ma non aveva apprezzato il modo in cui era stato abbandonato sul
suo letto,
con la promessa volatile di una visita durante la notte.
«Ho
saputo del tuo infortunio, mio adorato.»
Il
conforto iniziale evaporò
completamente.
«Deimos,
oggi non ho proprio voglia di
sopportare le tue assurdità» lo
avvertì, velenoso.
Le
coperte si mossero assieme al
diavolo, che scivolò più vicino
all’Esorcista sdraiato.
«Volevo
vedere le tue ferite» un indice
saltellò dal polso alla spalla del malato, a ritmo con la
cantilena del
diavolo.
«Sono
già stato curato» comunicò
Lastar.
«E
ti hanno curato male» disapprovò
Deimos. L’unghia nera picchiettò senza
pietà la benda sulla guancia e quella
sulla spalla, facendo sobbalzare l’Esorcista sul letto.
«Non
miglioreranno se continui a
stuzzicarle» si arrabbiò Lastar, cercando di
strisciare fuori dalla portata
dell’invasore.
«Allora
permettimi di fare qualcosa per
te» s’impuntò Deimos.
L’Esorcista
era rimasto a occhi chiusi
tutto il tempo, sperando che, se non gli avesse prestato attenzione, il
diavolo
sarebbe sparito come un brutto sogno al mattino. Aprì le
palpebre solo in quel
momento e, per un attimo, pensò che l’ombra della
stanza stesse creando degli
improbabili effetti di luce sul volto del demone, facendolo apparire
serio. La
sorpresa aumentò quando si rese conto che
l’espressione grave del diavolo non
era una conseguenza della rifrazione: Deimos era mortalmente
preoccupato per
lui.
Gli
occhi rossi scintillavano a
malapena nell’oscurità, stretti come per
trattenere le lacrime, e le labbra
erano quasi sparite per l’ansia. Una mano era stretta a pugno
sulle coperte e
l’altra sollevata verso il suo viso, bloccata a
metà dell’azione, in attesa del
permesso per procedere. Quell’ultimo dettaglio
lasciò Lastar trasecolato:
Deimos gli era sempre saltato addosso, lo aveva abbracciato e baciato
anche
quando lui gli aveva detto chiaramente di non volerlo intorno.
Quell’esitazione
lo colpì più a fondo delle iridi offuscate e
della bocca sorprendentemente
muta.
«Cosa
vuoi fare?» domandò, cercando con
una mano gli occhiali sul comodino. Il palmo del demone si
poggiò sul suo
polso, bloccandolo.
«Fammi
dare un’occhiata alle tue
ferite» patteggiò Deimos, insolitamente composto.
Le
dita del Principe mostrarono una
premura non confacente al suo atteggiamento pazzoide mentre rimuovevano
la
benda dalla sua guancia. Le ciglia arcuate si incontrarono qualche
volta,
mostrando riprovazione per la cucitura sul volto
dell’Esorcista.
Lastar
irrigidì la mascella quando i
polpastrelli vellutati del demone lambirono i punti scuri, saggiando la
ferita
ancora sanguinante.
«Brucia»
si sfogò a bassa voce.
«Lo
so. Conosco questa lesione. E non è
stata medicata a dovere» l’Esorcista
sentì le ultime parole carezzargli la
guancia, poco prima che le labbra del demone si poggiassero sulla
cucitura. Una
litania soffocata scivolò all’interno della
ferita, e, quando il diavolo rialzò
il volto, il sangue aveva cessato di scorrere. Deimos si mise a
cavalcioni su
di lui, strappandogli un gemito quando il ginocchio andò a
sfregare contro il
livido sul suo fianco, dovuto alla stampella di Cy; da quella
posizione, il
diavolo poté tenerlo fermo a sufficienza per tagliare i
punti con le unghie
affilate e rimuoverli dalla ferita già cicatrizzata.
Lastar
passò una mano sul viso, e il
tatto gli restituì una sensazione di integrità.
«Magia»
asserì, inchiodando con lo
sguardo il demone posizionato sulle sue anche.
«Che
altro, mio caro?» gorgogliò
Deimos. Si passò un dito sulle labbra sporche di sangue con
lascivia: voleva
vedere quella graziosa ruga che si formava sulla fronte del guerriero
quando
tentava di sedurlo.
«Immagino
di doverti dei ringraziamenti»
patteggiò veloce Lastar, ma Deimos scosse il capo in cenno
di diniego.
«Non
ringraziarmi adesso. Devo ancora
curare la tua spalla.»
Il
diavolo si prese tutto il tempo
necessario per squadrare l’addome dell’Esorcista,
prima di arrivare alla
ferita. Alexander non lo aveva rivestito completamente, dopo averlo
visitato: il
taglio ancora sanguinante avrebbe sporcato gli abiti, per cui gli aveva
appoggiato sulle spalle solo una vestaglia da ospedale, poi era
scappato,
rincorso dai propri impegni. Deimos si godette ogni centimetro di pelle
esposta, felice di poter vedere la muscolatura del guerriero senza
l’intralcio
della sua divisa.
«Credevo
che dovessi curarmi la spalla»
lo riprese Lastar.
«Non
essere così frettoloso. Ti
perderai molti piaceri della vita» lo zittì
Deimos, senza distogliere lo
sguardo dai suoi addominali.
«La
ferita è più in alto» lo riscosse
di nuovo il paziente.
«Oh,
hai ragione» gli occhi del demone
salirono per appuntarsi sui suoi pettorali, parzialmente nascosti dal
bendaggio.
«Deimos.»
«Quanto
sei borioso» sbuffò il
Principe, portando finalmente la sua attenzione nel posto giusto.
Scostò la
fasciatura per controllare i danni, e non gradì lo
spettacolo che gli si aprì
dinanzi: quei barbari avevano cauterizzato l’escoriazione, e
ora la spalla del
suo adorato sarebbe stata per sempre sciupata da quella cicatrice
irregolare.
Oltre che dannoso, quel processo era stato anche infruttuoso: la
lesione si era
aperta di nuovo, stillando pigramente gocce di sangue.
«Non
muoverti» lo ammonì Deimos. Sistemò
le ciocche più lunghe dei capelli ondulati dietro le
orecchie, e si chinò per
adagiare le labbra sul buco aperto dalla freccia. Di nuovo, alcune
parole dal
sapore antico e proibito piovvero dentro lo squarcio nella sua carne
che,
obbedendo ad un ordine ancestrale, cominciò a rimarginarsi.
Lastar
strinse i denti mentre i muscoli
si collegavano di nuovo tra di loro e la pelle si ricomponeva,
chiudendo la
fenditura nel suo corpo. Le sue membra brulicarono di una strana
vivacità
elettrica durante quel processo di cicatrizzazione accelerata, e la
sensazione
coprì tutte le gradazioni del fastidio e del dolore.
Quella
volta, però, il respiro del
demone non si allontanò quando la ferita ebbe terminato di
rimarginarsi:
continuò a scivolare sulla sua pelle, caldo e sensuale come
la bocca da cui
fuoriusciva.
«Grazie,
Deimos» tentò l’Esorcista, per
far allontanare il diavolo da sé.
Come
ogni volta, il Principe non diede
peso alle sue parole: il bacino del demone si schiacciò
contro il suo, le
braccia si allungarono per circondargli le spalle, e
l’Esorcista si trovò a
respirare il profumo inebriante della chioma scomposta del diavolo.
Non
era la prima volta che Deimos lo
abbracciava, ma non lo aveva mai fatto in silenzio: la sua bocca era
alimentata
da una miscela infinita di sciocchezze, che sgorgavano senza lasciar
spazio a
discorsi logici.
Le
mani dell’Esorcista si poggiarono
sulla schiena del demone, e lì sostarono per qualche
istante, preda
dell’indecisione, prima di scivolare sui suoi fianchi per
stringerlo a sé.
Quello
era uno dei preziosi momenti in
cui Deimos non recitava, non indossava maschere, non esagerava. E di
fronte
alla vera essenza del demone, Lastar non riusciva ad essere scorbutico.
Deimos
trovò il modo di recuperare la sua
farsa e distruggere quel momento in una sola frase:
«Mi
stai abbracciando e sono sul tuo
letto. Nella mia fantasia, la scena era un po’ meno
deprimente e un po’ più
movimentata, sai?»
Il
Principe fece per alzarsi, ma una
presa salda lo serrò contro il petto bendato
dell’Esorcista. Deimos batté le
palpebre, confuso, la testa adagiata sulla spalla appena sanata e il
corpo bloccato
contro quello del compagno.
«Non
mi spingi via, oggi?» cigolò, disorientato.
«Mi
hai aiutato di nuovo» constatò
Lastar, senza allentare la presa. «Questo ti
creerà dei problemi, vero?»
Il
demone alzò le spalle, per quanto lo
stretto abbraccio gli permettesse.
«Non
troppi. Non troppo gravi» mugugnò.
Il
viso dell’Esorcista si sollevò dalla
sua chioma indomabile per fissarlo in volto. Il Principe non si
preoccupò di trattenere
la sua soddisfazione: adorava gli occhi di Lastar, e detestava quelle
brutte
lenti che sciupavano la loro bellezza.
«Non
dovresti farlo. E non dovresti
nemmeno intrufolarti nella Cattedrale» lo sgridò
sottovoce l’altro.
Deimos
si stiracchiò su di lui con un
gatto, arrivando quasi ad incollare le sue labbra a quelle
dell’Esorcista. Si
fermò poco prima, e lo morse sul mento con una risata.
«Non
farò né l’uno nell’altro, mio
adorato, finché tu sarai in difficoltà»
gorgheggiò, rotolando fuori dal letto
con una ruota.
L’Esorcista
non gli permise di sparire
a suo piacere come la volta precedente: lo afferrò per un
braccio e lo
strattonò su di sé. Il diavolo si
rovesciò sulle sue gambe di schiena,
inchiodato in quella posizione scomoda dalla forza delle iridi
scarlatte.
«Con
tutto il dovuto rispetto, i tuoi
familiari non sono le persone più accomodanti di questo
mondo» obiettò Lastar,
stringendo le dita sul polso fine del demone. «E non credo
che le loro
punizioni siano leggere.»
Il
turbamento intorbidò le iridi del diavolo,
spingendole a deviare verso un angolo indefinito della stanza, poi sul
soffitto
e sulla finestra prima di appuntarsi di nuovo sull’Esorcista.
La mano del Principe
salì a sfiorare i lineamenti forti del compagno, e la sua
voce fluttuò
incantatrice a stregare il suo udito.
«Se
sei così preoccupato, perché non
diventi il mio amante ufficiale?»
La
proposta di Deimos fu come un
tizzone infuocato: Lastar si ritrasse bruscamente, e le dita del demone
si
ritrovarono ad accarezzare l’aria.
«Non
dovresti scherzare su queste cose»
esacerbò l’Esorcista, lasciando andare il suo
polso.
«Non
sto scherzando» Deimos non si
mosse da quella posizione, reclinato sulle cosce del compagno, i
capelli sparsi
in onde scure sul lenzuolo. «Potrei curarti senza troppi
problemi: ogni demone
vuole che il suo amante sia in perfetta forma.»
«Assolutamente
no!»
Si
pentì amaramente dell’eccessiva
fermezza del suo tono: l’ombra della delusione
rivestì il demone, che si rialzò
repentinamente dalle sue gambe. Forse si era innamorato di Lastar e di
Lazard
perché, in fondo, si somigliavano: entrambi bollavano come
disgustosa la sua
promiscuità, e storcevano il naso di fronte alle sue
offerte. Evidentemente, il
suo amore era indissolubilmente legato allo spregio altrui.
Di
nuovo, l’Esorcista lo fermò
afferrandogli il braccio. Deimos stava per scrollarsi di dosso quella
mano con
la stessa insensibilità con cui aveva ripulito il sangue dei
demoni inferiori
dai suoi artigli, ma Lastar pronunciò l’unica
frase in grado di placarlo:
«Non
voglio diventare il tuo amante
solo per essere curato.»
Il
Principe rimase così immobile da
sembrare pietrificato; non si udiva nemmeno il suo respiro. Poi,
altrettanto
improvvisamente, il demone compì un balzo che lo
portò ad atterrare sullo
stomaco dell’Esorcista.
Tutto
il fiato che Lastar aveva in
corpo detonò nella sua bocca, spalancandogli le labbra in
uno sbuffo convulso.
Il demone gli afferrò le guance in preda ad
un’irrefrenabile euforia ed
esclamò:
«Quindi
le cose cambierebbero se te lo
chiedessi perché sono innamorato di te!»
«Deimos,
non…»
«Sono
felice!» esultò, lanciandogli le
braccia al collo.
Le
mani dell’Esorcista ricaddero sul
lenzuolo, senza più forza di ribellione: era notte
inoltrata, era ferito e
stanco, e non aveva più voglia di discutere con Deimos.
Un
sorriso demoniaco si stampò sulla
sua gola, vicino alla giugulare.
«Sono
davvero felice…» il mormorio ebbe
termine sulla bocca dell’Esorcista.
Il
Principe lo aveva baciato in
svariate occasioni, ma erano stati sfioramenti occasionali a fior di
labbra.
Quella volta, la bocca del demone sostò sulla sua molto
più a lungo, abbastanza
da avere il tempo di muoversi leziosamente sulla compagna. Il diavolo
accentuò
la licenziosa invasione delle labbra del compagno, sollecitato dalle
mani
dell’Esorcista: i palmi si posarono sulla curva delicata
della sua schiena, le
dita si aprirono a ventaglio per coprire quanto più spazio
possibile,
avvicinando il Principe al petto scoperto del mezzo demone.
Deimos
si staccò prima di approfondire
ulteriormente il bacio, e saltò dal materasso al pavimento
con uno svolazzo.
«La
prossima volta tornerò con una
proposta migliore» proclamò, vittorioso, per poi
battere le mani e svanire in
uno sbuffo di fumo.
La
camera parve vuota e senza vita, una
volta che lo scoppiettante diavolo si fu dissolto. Lastar permise alla
sua
schiena di cedere, e ricadde pesantemente sul cuscino.
Era
stata una giornata lunghissima e
faticosa, ed era tempo di riposare.
Il
calore del demone aleggiò sulle sue
labbra finché il sonno non lo rapì.
***
Astaroth
non gradiva le visite, nemmeno
se provenivano dalla famiglia reale, per cui non si sforzò
di alzarsi dal suo
triclinio quando Deimos irruppe nel suo salotto.
«Cosa
vi conduce qui, Principe?»
domandò annoiato, portando la lunga pipa dorata alla bocca.
Deimos
volteggiò fino al bracciolo del
divanetto, su cui prese posto con spavalderia.
«La
vostra Assassina, oggi, ha ferito
un Esorcista» miagolò il più giovane.
«L’incanto che avete posto sulla lama del
suo pugnale impediva alle ferite di rimarginarsi. Ha rischiato di
morire
dissanguato.»
«Stava
attaccando la Cattedrale. È
normale che abbia aggredito un Esorcista» una serie di cerchi
concentrici
riempì il vuoto tra la prima e la seconda affermazione del
Duca. «Quasi
scontato.»
Le
labbra di Deimos si stesero in tutta
la loro lunghezza, ma non brillò dolcezza su quel sorriso:
era gelido e
tagliente come un gladio di ghiaccio.
«Non
voglio che venga colpito
l’Esorcista mezzo demone. Lui è mio»
chiarì, senza smettere il ghigno
intimidatorio.
La
minaccia insita nelle sue parole non
colpì troppo a fondo Astaroth: chiuse di nuovo le labbra
argentate sulla pipa,
con la lentezza che era propria del suo ruolo, inspirò senza
fretta e schiuse
la bocca nella misura sufficiente a far uscire un filo di fumo
striminzito.
Aspettò che tutto il vapore fosse uscito da
quell’infinitesimale pertugio, poi
snocciolò, pigro:
«Non
ho visto il vostro marchio su di
lui.»
«Non
lo porta ancora.»
Il
Duca ruotò il collo verso il figlio
di Lucifero, flemmatico, e lo fissò con gli occhi vacui.
«Vostro
fratello approva che difendiate
un ibrido che non è legato a voi dal sigillo?»
«Mio
fratello ne è a conoscenza.»
«Ma
questa non è una risposta alla mia
domanda» un'altra lenta boccata, ed una seconda lunghissima
esalazione di fumo.
«Quindi intuisco che il Principe Razionale non
acconsenta.»
«Concentratevi
sulla mia richiesta, per
favore» s’inasprì Deimos. Tra tutti i
demoni, Astaroth era quello che più di
tutti riusciva ad innervosirlo: era talmente indolente e vanesio da non
avvertire il richiamo della carne, per cui le forme seducenti del
Principe
erano inutili al fine di accaparrarsi la sua attenzione o il suo favore.
«Non
devo toccare il vostro favorito?
Come preferite» acconsentì svogliato.
Deimos
scivolò ai piedi del triclinio e
fece per uscire, quando Astaroth appurò:
«Spero
che non vi unirete con
quell’ibrido.»
Il
Principe rispose con tutta la
scortesia e l’esasperazione possibili:
«Perché
sarebbe indegno per la casa
reale?»
Il
Duca reclinò il capo, ed i lunghi
capelli acquamarina scivolarono sul bracciolo del triclinio.
«No.
Perché, se volete proteggerlo
quando ancora non è marchiato, evidentemente è
importante per voi. E sarebbe un
vero peccato se vi vedesse come tutti quelli che vi hanno fatto
compagnia
durante la notte.»
Intercorse
un'altra fiacca boccata di
fumo prima che Astaroth completasse:
«Come
un giocattolo. Splendido,
ammaliante… ma pur sempre un giocattolo. O
un’ossessione» arrotolò una ciocca
di capelli attorno al dito affusolato, meditabondo. «Una
persona che per voi è
sopra tutti gli altri comincia a vedervi come
tutti gli altri… Deve essere una sensazione
orribile.»
«Non
sono un giocattolo» ringhiò
Deimos.
«Ovviamente
no. Vi auguro una piacevole
nottata, Principe» lo congedò il Duca, sigillando
le labbra sull’imboccatura
della pipa.
Deimos
uscì nella notte, bollente di
rabbia.
Lastar
non ere come gli altri. Per lui
non sarebbe mai stato un giocattolo o un’ossessione. Per lui
era…
Il
Principe si bloccò di colpo,
paralizzato.
Cosa
era lui, per Lastar?
Una
vecchia conoscenza? Un fastidio
continuo?
Si
afferrò i capelli con le mani e li
agitò con furia, prima di riprendere a correre.
Non
avrebbe lasciato che le parole di
un demone mezzo addormentato macchiassero il suo rapporto con Lastar.
Ma,
mentre cercava di convincersene, sentì il serpente del
dubbio scivolare nel suo
esofago e arrotolarsi sul suo stomaco.
Aspettava
solo il momento giusto per
morderlo al cuore.
Terzo
capitolo.
Devo
ammettere che non avevo previsto l’irruzione di tanti nuovi
personaggi xD Ma è
stato molto divertente descriverli<3 Astaroth, poi, si
è preso da solo il
suo spazio… doveva comparire solo molto più
avanti. Non è indolente come
sembra, quel demone XD
Anyway,
fine dello sclero a caso dovuto al pomeriggio di studio di
trattativa
commerciale *brividi*
Al
prossimo capitolo<3
Red
P.S.
Per i dati tecnici, consultate il Commentario.