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Autore: HamletRedDiablo    26/01/2013    2 recensioni
Un mondo dove gli esseri umani vivono arroccati nelle Cattedrali, sotto la protezione degli Esorcisti e la minaccia congiunta di angeli e demoni. Un legame che non sarebbe mai dovuto nascere, tra due uomini che non si sarebbero mai dovuti amare.
Dal primo capitolo:
Un essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse quel pensiero facendo scivolare le dita sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo accelerato. Era sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita, fossero stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
[...]
«Deimos, tu mi ami, non è così?»
(Storia MOMENTANEAMENTE INTERROTTA, in fase di REVISIONE. Mi scuso per il disagio, l'Esorcista e il demone torneranno quanto prima su questi schermi)
Genere: Erotico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Tre

Giocattoli e Ossessioni

 

Il fratello non sarebbe rientrato per consolarlo: Lazard era cinico e diretto quando Deimos era assurdo e contorto. Aveva detto di disprezzarlo ed era uscito disgustato; non avrebbe messo di nuovo piede in quella stanza per rimangiarsi le proprie parole ed abbracciare il consanguineo ferito. Era un atteggiamento troppo irragionevole, per lui.

Ogni tanto, Deimos pensava che la mente del fratello fosse una strada costituita da un unico binario: era semplice capire dove si sarebbe diretto con le parole e le azioni. Se ragionava sulla propria, invece, la associava ad un gomitolo ingarbugliato: impossibile trovare un inizio e una fine coerenti.

Sospirò, rialzandosi dal tappeto.

Avrebbe fatto una passeggiata fino allo Stige. Forse avrebbe anche trovato qualcuno disposto ad abbracciarlo.

Il vento notturno si insinuò con facilità nei bottoni aperti della camicia, senza l’ostacolo del mantello: Deimos aveva lasciato quel pezzo di antiquariato sul tappeto. Non ne aveva bisogno per proteggersi dagli agenti atmosferici. La brezza gelida quasi si rammaricò nel sentire la pelle che, anziché rabbrividire sotto i suoi soffi artici, si riscaldava per contrastare la bassa temperatura di quella serata autunnale.

Deimos raddrizzò le spalle, lasciando al vento perlomeno la soddisfazione di scompigliargli i capelli. Suo padre Lucifero aveva insegnato a lui e a Lazard come controllare la propria temperatura corporea per contrastare gli elementi fin da quando erano bambini. Non ricordava di essersi ammalato nemmeno una volta, dal giorno in cui era nato. Ed era estremamente fiero di quel suo primato: i malanni umani erano nauseabondi, con il loro corollario di catarro e muco, mentre i morbi demoniaci erano spietati, ed il più delle volte fatali.

Fu una lunga camminata: lo Stige segnava il confine estremo del regno demoniaco, un ramo di acqua torbida che divideva Infera dall’impero delle Cattedrali.

Si fermò sulla sponda limacciosa, le punte dei piedi che sfioravano le creste melmose del fiume. Stese il collo al massimo delle sue possibilità: oltre la desertica Terra di Nessuno, nell’abbraccio protettivo delle aspre catene montuose, sorgeva la punta della torre più alta della Cattedrale di Elohim.

Il marmo nero con cui era stata edificata era distinguibile nella notte solo per i riflessi argentati che la luna riversava sulle guglie e sui contrafforti: alcune mura impallidite dalle stelle emergevano dalle ombre, apparentemente sospese nel nulla.

Deimos seguì per qualche passo il corso del fiume, senza staccare gli occhi dalla Cattedrale. Tra le sue mura abitavano gli Esorcisti più capaci, ed era stata costruita in quel punto, esattamente al di fuori della Terra di Nessuno, per garantire la sicurezza alle Abbazie e alle Cattedrali minori. Illusi: i demoni non prendevano mai due volte la stessa strada, per recarsi nel mondo degli uomini. Tuttavia, la Cattedrale di Elohim incuteva un certo timore in alcuni ranghi della società diabolica: gli Esorcisti che vi albergavano erano gli unici che i demoni riconoscessero come degni avversari, ed avevano stretti contatti con tutte le Abbazie e le Cattedrali esistenti. Se un diavolo o un angelo avesse attaccato gli esseri umani, nel giro di un giorno sarebbe apparso un Esorcista di Elohim.

Deimos si gettò a sedere, naufragando con lo sguardo verso il cielo: anche Lastar figurava tra quei combattenti così spaventosi.

Un crepitio di sterpaglie poco distante risvegliò la sua attenzione: si alzò in piedi ruotando su se stesso e si diresse verso la fonte del rumore.

Un gruppo di demoni si stava avvicinando, confabulando di piani e strategie.

Deimos espresse la sua sorpresa con un saltello: era uscito in cerca di compagnia, ma non avrebbe mai immaginato di imbattersi in Astaroth e nei suoi quattro assistenti. Era quasi impossibile incontrare il Duca del Terrore al di fuori della sua mansione a causa della sua proverbiale accidia.

Astaroth non trovò particolarmente insolita la presenza di Deimos: il figlio minore di Lucifero rimbalzava da una parte all’altra di Infera come una trottola impazzita, ed era praticamente impossibile non trovarselo in mezzo ai piedi nelle circostante più strane.

«Duca» Deimos si esibì nella sua versione rivisitata dell’inchino cerimoniale.

«Principe» il tono di Astaroth rimase impeccabilmente aristocratico, così come la sua riverenza.

«Nemmeno voi riuscite a riposare?»

Un sopracciglio perfettamente curato si inalberò con fare sospettoso: non riusciva a capire se la domanda del Principe fosse una battuta di pessimo gusto sul suo vizio di passare giornate intere sdraiato sul triclinio oppure no. Il sopracciglio si riabbassò, spianando la fronte lattea. Sarebbe stato improduttivo adirarsi con quel ragazzino: era talmente irrazionale che avrebbe preso la sua rabbia come un incentivo per continuare ad infastidirlo.

«Avevo cose migliori a cui dedicarmi» rispose pigramente.

«Con tutti e quattro i vostri assistenti?»

Il quartetto si agitò alle spalle di Astaroth: due di loro saltarono sulle spalle dei compagni, e da lì si sporsero per complottare qualcosa nelle orecchie degli altri. Bizzarro come il demone dell’accidia e della vanità avesse scelto un gruppo così vivace per affiancarlo.

«Sì, ho bisogno di loro» confermò il Duca.

Deimos si acquattò a terra, vicino alle gambe del nobile, e puntò un braccio nella stessa direzione seguita dagli occhi truccati del diavolo.

«Mirate alla Cattedrale?» gorgheggiò, rialzandosi con una capriola.

Astaroth sfiorò con le unghie laccate il pesante bracciale d’oro a forma di serpente che si avviticchiava lungo tutto il suo avambraccio.

«Devono restituirmi ciò che mi hanno rubato» sentenziò, sillabando le parole con noia.

Deimos annuì emettendo una serie di versi a bocca chiusa, poi si grattò la testa in una manifestazione plateale di perplessità e indagò:

«Ma avete stretto un patto con il Messo Infernale di Elohim.»

«E con ciò?» sibilò Astaroth.

«Non è un pochino contro le regole attaccare la Cattedrale che lui difende?» Deimos si accovacciò a terra per l’ennesima volta, e prese a dondolarsi sui talloni.

La lingua del Duca saettò sulle labbra perlacee: per un attimo, il labbro inferiore acquistò un colorito roseo, che perse l’istante successivo, coperto da un argento bagnato. Deimos non si spaventò per quel fenomeno. La linfa vitale che scorreva nelle vene degli umani era rossa, quella dei demoni era viola e quella degli angeli era argentea; le labbra del Duca del Terrore erano sempre coperte di sangue angelico fresco.

«Il Messo Infernale è preparato a questa evenienza» sentenziò grave Astaroth.

Il Principe si strinse nelle spalle, accordando la sua benedizione a quella missione.

Riusciva a procacciarsi la sua dose di complicazioni giornaliere da solo: non aveva bisogno di invischiarsi in quelle altrui. Suo padre aveva stilato un rigido codice di comportamento per le gerarchie infernali, ed il caposaldo di quel regolamento era l’onore: un demone non avrebbe mai dovuto macchiare il suo nome e quello della sua stirpe rinnegando la parola data o comportandosi in maniera disdicevole. Ovviamente, Deimos era l’eccezione non scritta di quel corollario.

Non capiva cosa avesse in mente Astaroth; aveva stretto un patto con il Messo Infernale di Elohim svariati anni prima, ed ora si apprestava ad attaccare la Cattedrale. Lucifero non avrebbe gradito quell’iniziativa.

Si stropicciò un occhio, combattuto.

Lastar avrebbe avuto un bel daffare per contrastare il Duca del Terrore e i suoi assistenti.

 

***

 

Il visetto tondeggiante era il calco di quello dei putti negli affreschi delle scuole per la prima infanzia, e gli occhi grandi ricordavano quelli di un gattino spaventato. La costituzione esile come il cristallo accentuava l’aria di fragilità del ragazzo, il morbido castano dorato dei capelli e la tinta verde slavata delle iridi ammorbidivano ulteriormente il suo aspetto tenue; la pelle diafana lo faceva assomigliare ad una fanciulla sul punto di svenire.

Quell’illusione di innocenza crollava non appena il giovane apriva bocca.

«Che ti venga un accidente, Lastar! Potresti fare la revisione prima che la ruggine ti mangi le pistole, sai?»

La prima volta, la discrepanza abissale tra l’aspetto e l’atteggiamento dello Scienziato Capo gli aveva quasi causato una sincope. Dietro la facciata di zucchero e miele, si nascondeva una sorgente inesauribile di fiele e acido. La cosa più spaventosa era che Cy riusciva a pronunciare i peggiori improperi con il più innocente dei sorrisi spianato sul volto.

«Mi sono scordato di portarle prima» minimizzò Lastar.

«Un altro paio di giorni e avresti dovuto combattere i demoni in mutande. La prossima volta, appiccicati un promemoria alla fronte con lo sputo» lo criticò serafico Cy, poggiando le armi di Lastar sul bancone da lavoro.

L’Esorcista si mise in attesa all’altro capo della tavola, inquieto. Non gli piacevano i laboratori: troppo bianchi, disinfettati e privi di vita. L’unica cosa che li differenziava dagli obitori erano gli eserciti di strumenti tecnici dall’aria complessa e sofisticata.

Cy trafficò per qualche istante con le sue armi, poi decise di aver bisogno di un attrezzo sullo scaffale più lontano.

«Te lo prendo io» si offrì Lastar.

«Assolutamente no» lo freddò lo Scienziato Capo, candido. «Potresti sfasciarlo, con la tua grazia da viverna.»

L’Esorcista rimase così in attesa che il giovane raccogliesse le sue stampelle, le fissasse poco sopra il gomito e zoppicasse fino al ripiano desiderato. Le dita tamburellarono sull’avambraccio, impazienti, mentre lo Scienziato Capo metteva lo strumento nella borsa a tracolla con la massima cura e faceva ritorno al bancone.

Cy era nato con una malformazione alle gambe, per cui non poteva muovere un singolo passo senza le sue stampelle. Sua sorella, la strega Drew, diceva sempre che il fratello aveva il corpo di vetro e lo spirito di acciaio: a dispetto delle membra gracili, infatti, il cervello di Cy era la più spaventosa fucina di invenzioni di tutti i tempi, dotato di intelletto tagliente e caparbietà indistruttibile.

«Le mie povere creature» lo Scienziato Capo salì su uno sgabello per appoggiare le stampelle al tavolo ed avere così entrambe le mani libere. «Non ti sanguina il cuore, a vederle ridotte in questo stato?»

«Temo che le pistole non suscitino il mio istinto paterno» troncò Lastar.

«Ti ricordo che devi la tua vita a queste perfezioni di scienza» lo rimbeccò docilmente Cy, usando l’attrezzo preso poco prima per saldare alcuni punti.

«Devo la vita alla mia mira. Le pistole sono inutili, se non colpiscono il bersaglio» si difese brusco Lastar.

Da quando l’immagine di panna di quel ragazzino aveva smesso di intenerirlo, l’Esorcista aveva cessato di riservargli troppi riguardi nel comunicare i propri pensieri. Il cuore di Cy era ruvido come la corteccia degli alberi, e altrettanto insensibile: non sarebbe stato ferito da un commento sgarbato.

Lo Scienziato Capo, infatti, si compiacque dalla sagacia con cui l’altro si era difeso anziché offendersi.

«Non posso darti torto» concesse gentilmente, prima di tornare al suo lavoro.

Lastar si schiacciò gli occhiali sul naso, quando la sua mente accostò il bipolarismo di Cy all’inafferrabilità di Deimos. Era inutile provare a classificare il demone: poteva essere estremamente dolce ed incredibilmente irritante, così come il suo aspetto poteva toccare le punte del terrore o gli apici della bellezza.

«Ti sei zittito» Cy usò uno strano monocolo cilindrico, terminante in una lente enorme e panciuta, per analizzare le pistole con maggiore minuzia. «Stai facendo pensieri sconci?»

«No» Lastar negò con troppa energia, secondo lo Scienziato Capo, che insistette, angelico:

«Su chi li stai facendo? Qualcuno della Cattedrale?»

«Non stavo pensando a niente» vociò l’Esorcista. Alexander, Deimos, Cy: perché era circondato solo da persone irritanti?

«Di solito non è il “niente” a zittire le persone» sancì lo scienziato, finendo di rimontare le armi.

«A che punto sono le pistole?» recise Lastar.

Cy rimosse la buffa lente ed esaminò un’ultima volta le sue creazioni sotto le luci artificiali del laboratorio.

«In perfetto stato. Ora» rimarcò lo Scienziato. «Cerca di essere più puntuale per la prossima revisione.»

L’Esorcista annuì rapido, e tentò di ricomporre le pistole nella loro solita forma a croce. Le sue dita si erano appena mosse quando l’allarme mugghiò tra le pareti del laboratorio.

La testa di Lastar e quella di Cy scattarono all’unisono verso la mappa della Cattedrale che copriva il muro ad est: un piccolo cerchio rosso aveva cominciato a pulsare al primo piano, esattamente a tre corridoi di distanza dalla loro posizione.

«Hai l’occasione giusta per usare le tue fantastiche pistole appena sistemate» si congratulò Cy. «Fossi in te, sfrutterei quest’opportunità.»

«E, se io fossi in te, prenderei le stampelle. Non ti lascio qui con un attacco in corso» ordinò Lastar. «Alexander mi staccherebbe la testa, se ti lasciassi indifeso.»

«E poi ci sputerebbe dentro» rinsaldò Cy, scendendo dallo sgabello e assicurandosi le stampelle alle braccia. L’Esorcista attese che il giovane terminasse la preparazione e si avviasse claudicante dietro di lui.

Un drappo di silenzio calò sulla Cattedrale quando la sirena di allarme si spense. Nessun clangore di armi, nessun segno visibile di lotta.

«È un’infiltrazione» bisbigliò Lastar. «I demoni non sono venuti per cacciare.»

«Come fai ad esserne convinto?» investigò Cy dietro di lui.

«Non si addentrano mai all’interno delle Cattedrali per nutrirsi. Aspettano che qualche umano esca dalle mura, oppure lo attirano fuori. E lo fanno di nascosto.»

«Quelli di ieri si sono diretti contro le nostre mura.»

«Erano demoni inferiori. Non hanno le capacità necessarie per sorpassare le nostre barriere difensive.»

«Quindi stiamo parlando di un demone superiore?»

«Di un demone evoluto, perlomeno. In cerca di qualcosa di specifico.»

Le mani di Cy si agitarono sulla presa delle stampelle: i palmi stavano cominciando a sudare.

«Ma, se la memoria non mi inganna, non è mai successo prima d’ora che un demone oltrepassasse i nostri cancelli.»

Le labbra e le sopracciglia di Lastar si contrassero, corrucciandogli il volto.

«Non ad Elohim, forse. Ma è già avvenuto in passato» notificò l’Esorcista.

Cy aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma le sue labbra quasi si spaccarono in un urlo: un paio di occhi magenta comparve dal nulla e lo fissò da una prospettiva rovesciata. Lo Scienziato Capo rischiò di perdere l’equilibrio per lo spavento, e fu costretto ad uno strano gioco di stampelle per reggersi in piedi.

«Trovato!» chiocciò la vocina annessa a quei bulbi inquietanti.

Lo scenario di Cy divenne improvvisamente nero quando Lastar si parò davanti a lui. L’Esorcista aveva riconosciuto istantaneamente la treccia di capelli color prugna, gli occhi sgranati e la vistosa cucitura che tagliava a metà il collo snello della creatura: era Pruslas l’Assassina, la seconda assistente di Astaroth.

«Il nostro Messo Infernale ha stretto un patto con il tuo signore» l’ammonì lui, puntando una pistola alla sua testa. «Astaroth ha giurato di non attaccare mai, per nessun motivo, la Cattedrale.»

«Infatti il nostro signore non è qui» trillò la creatura, appesa al soffitto tramite una corda agganciata alla cintura. Slacciò il moschettone e rimbalzò a terra come se fosse stata senza peso, ergendosi poi nella sua misera altezza: arrivava a malapena a sfiorare il bacino di Lastar.

«Ma ti ha inviata lui» contrattaccò Cy.

«Si tratta di un’iniziativa personale» la piccoletta lanciò la treccia oltre le spalle ossute, e rise: «Il mio signore è tanto triste perché gli è stato sottratto qualcosa che gli è molto caro. E noi abbiamo deciso di fare qualcosa per rasserenarlo.»

«Noi?» la riprese Lastar. Non riuscì a cogliere l’espressione di Pruslas: una delle stampelle dello Scienziato lo colpì al fianco, sbilanciandolo di lato. Stava per imprecare coloritamente contro Cy, quando si accorse che il giovane lo aveva appena salvato: esattamente nel punto in cui si trovava fino a qualche secondo prima, si apriva ora una pozza frastagliata e sfrigolante.

«Quell’acido ti avrebbe sciolto la testa» si rammaricò una voce artificiale dall’alto.

Cy e Lastar non faticarono a ricondurre l’essere metallico calamitato al soffitto ad un nome: Aamon l’Alchimista, il primo assistente di Astaroth.

«Lui non sa che siamo qui» ridacchiò Pruslas. «Per cui, il patto non è stato trasgredito ed è ancora valido.»

«Temo che dovremo discutere con il vostro padrone a riguardo» si risentì Cy. «Dovrebbe fare più attenzione alle “iniziative personali” deleterie per la Cattedrale, se ha intenzione di mantenere l’accordo.»

«E voi non dovreste rubare le sue cose» inveì improvvisamente Pruslas, mandando lampi dagli occhi magenta. «Ladri!»

«Diteci cosa abbiamo rubato e ve lo restituiremo» contrattò duro Lastar, la pistola ancora in assetto di guerra.

Qualche scheggia di pavimento sibilò nell’aria quando l’Alchimista si lasciò cadere a terra: i suoi piedi di metallo creparono le mattonelle di marmo nero, ma la creatura non parve avvertire dolore.

«Me» dichiarò, atono.

Cy e Lastar si scambiarono un’occhiata smarrita.

«Sei sicuro che il tuo costruttore ti abbia oliato per bene i meccanismi?» s’inviperì lo Scienziato.

«Il vero me» inquadrò Aamon.

«E dove si troverebbe, questo “vero te”?» la sua pazienza stava per tracimare, e Lastar parlò a denti digrignati.

Pruslas puntò le sue manine verso Cy.

«Chiedilo a lui. Lui è uno dei ladri.»

«Torna dal tuo signore, e digli di parlare direttamente con me, se ritiene che io gli abbia rubato qualcosa» una stampella roteò nell’aria in direzione della nanerottola, a sottolineare l’irritazione dello Scienziato.

«Non può. L’altro ladro gli impedirebbe di parlarne con te» negò Pruslas.

«L’ha sempre fatto» avvalorò Aamon.

Lastar tirò il cane della pistola, riscuotendo l’attenzione dei due esseri.

«Sparite. Abbiamo tollerato la vostra presenza anche troppo a lungo» li avvertì.

Gli occhi di Pruslas si assottigliarono improvvisamente, riducendosi a due strette fessure di crudeltà.

«Non possiamo tornare a mani vuote…»

Gli eventi precipitarono con una rapidità impressionante: Pruslas allungò una mano per afferrare il pugnale, e Lastar la prevenne di un secondo scarso, sparandole. La creatura lanciò uno strepitio acutissimo, fissando sconvolta il buco sanguinante sul suo palmo, e continuò a schiamazzare quando un secondo proiettile le perforò lo sterno.

Lo Scienziato vide Aamon frugare nel suo tascapane, e lo imitò prontamente: le boccette di Cy e dell’Alchimista si incontrarono a metà strada in un’esplosione di vetri, annullando reciprocamente le proprietà dei liquidi contenuti all’interno.

«Grazie Cy» telegrafò Lastar, rinfoderando le pistole per estrarre la Lama Vampira: non si illudeva di aver sconfitto l’Assassina con due soli proiettili.

La nanerottola batté i pugni nella pozza del suo sangue nero, la rabbia che le distorceva i lineamenti e le scopriva le zanne. L’Esorcista portò la spada tra di loro: la linfa vitale così scura era propria solo dei Costrutti, le creazioni innaturali degli Stregoni. Sarebbe stato complesso uccidere chi non era propriamente vivo.

La Lama compì un arco verso il basso, parando a stento i pugnali di Pruslas. La piccoletta si lanciò contro il suo nemico ad armi sguainate, e non si fece intimidire dalla differenza di stazza o dalla spada notevolmente più affilata dei suoi stiletti. Rapida come una vipera, scartò di lato e conficcò un pugnale poco sopra il ginocchio del suo avversario. Con sua somma disapprovazione, la lama non riuscì a perforare la stoffa dei pantaloni, che si piegò sotto di essa per poi stendersi di nuovo, intonsa.

«Non siamo così sprovveduti» asserì Lastar, costringendola ad indietreggiare con un movimento di spada.

Cy aveva abbandonato una delle sue stampelle per avere libero accesso alla propria tracolla: Aamon sembrava intenzionato a duellare con lui, e ogni Scienziato sapeva quanto fosse impegnativa una competizione di formule chimiche. Doveva riconoscere la pozione dell’avversario dal colore e dalla presunta consistenza, dopodiché scegliere e lanciare la mistura che ne avrebbe annullato ogni effetto malefico: entrambi i processi si svolgevano in pochi secondi, per cui il cervello non poteva permettersi la minima distrazione. Una goccia di sudore rotolò sulla sua tempia: non era facile mantenere la concentrazione, con un Esorcista e l’Assassina che guerreggiavano a pochi metri di distanza. Aamon, al contrario, non sembrava minimamente turbato: gli ingranaggi nel suo cranio non erano stati studiati per farsi sviare da cose futili.

L’Assassina mise all’opera l’agilità che l’aveva resa tanto temuta, nonostante la sua scarsa altezza. Con un balzo si aggrappò al braccio dell’Esorcista e, prima che quest’ultimo avesse tempo di scrollarsela di dosso, saltò sulla sua spalla e gli trapassò una guancia con il pugnale. Quel punto non era protetto dalle stoffe modificate in laboratorio, e Pruslas esultò di viva gioia nel sentire la carne lacerarsi e il sangue rosso sommergerle le mani e il corpetto. Atterrò sul pavimento deliziata, e prese a lappare con gusto il liquido salato che le rivestiva le dita.

Il mondo di Lastar venne avvolto dalla nebbia e la testa da una nuvola di elettricità, prima che il suo ferreo autocontrollo stabilizzasse i nervi sconvolti dalla ferita. La Cattedrale tornò ad essere nitida, così come l’Assassina che correva verso di lui.

Lastar si fletté sulle ginocchia ed impugnò con maggiore forza la spada: non avrebbe avuto più di un battito di ciglia per colpire quella creatura sfuggevole.

La corsa di Pruslas si sbriciolò contro la Lama Vampira: il freddo acciaio la tranciò a metà, e al suolo ricaddero un paio di gambe ancora in movimento e un busto dall’espressione spiritata.

Lastar si premette una mano sul viso, per contenere il torrente di sangue che gli stava inzuppando il colletto e il pettorale della tunica; le braccia dell’Assassina si agitarono nell’aria, infuriate, prima di abbattersi al suolo e trascinare faticosamente il busto troncato verso le gambe ora immobili.

«Aamon!» rumoreggiò. «Aamon

Il Costrutto di metallo si voltò solo alla seconda invocazione, e registrò senza emozioni le condizioni miserevoli della sua compagna.

«Andiamocene!» starnazzò lei, afferrando con una mano la propria caviglia, che scalciò debolmente sentendosi prigioniera.

Aamon abbandonò la battaglia con lo Scienziato, e si chinò a raccogliere le membra scomposte dell’Assassina. Non batté le palpebre di bronzo nemmeno quando la Lama Vampira si appoggiò al suo volto di metallo.

«Ci dovete ancora delle spiegazioni» li minacciò Cy, sopperendo all’impossibilità di Lastar di parlare.

Aamon non proferì parola, mentre Pruslas fissò con odio l’Esorcista, che aveva abbandonato la guancia per reggere la spada con entrambe le mani.

«Ti restituirò il favore, ibrido» e sputò su quella stessa lama che l’aveva tagliata a metà.

Una vetrata della Cattedrale esplose, mettendo fine ad ogni possibile discussione: una freccia, circondata da un’aura fiammeggiante, fendette l’aria e si conficcò nella spalla dell’Esorcista. La Lama Vampira cadde a terra, e Lastar si chinò immediatamente a raccoglierla, nonostante il dardo infisso a pochi centimetri dalla clavicola.

Aamon non inferì sull’Esorcista: si voltò e si gettò oltre la finestra frantumata. Un tonfo altisonante annunciò il suo atterraggio, e una serie di rumori sordi accompagnò la sua fuga dalla Cattedrale.

«Lastar…» si preoccupò Cy, ma l’Esorcista sbottò, le parole aggrovigliate nel sangue che gli riempiva la bocca:

«Troviamo Alexander.»

«Ma sei ferito» protestò lo Scienziato.

«Appunto. Mi serve un medico» Lastar quasi si strozzò per quell’ultima frase, ed una grossa bolla vermiglia gli macchiò le labbra.

«Lo chiamo io. Tu resta fermo» comandò lo Scienziato. L’Esorcista tentò di rialzarsi, ma Cy lo rimise seduto premendogli la stampella sullo stomaco. «Resta fermo, ho detto.»

Dal camice dello Scienziato venne estratta una collana terminante in una pietra ovale e piatta, che il giovane poggiò a terra: il minerale si illuminò ad intermittenza un paio di volte, poi una sottile striscia di luce si srotolò sul pavimento, perdendosi nei corridoi della Cattedrale.

«Lo raggiungerà, così potrà arrivare fino a noi seguendo il bagliore» chiarì lo Scienziato, portandosi con fatica vicino all’Esorcista accasciato. «Hai sconfitto l’Assassina. Sii orgoglioso di te stesso.»

Lastar gli scoccò un’occhiata incendiaria, e Cy ammise, pizzicandosi il mento:

«Forse avrai tempo per sentirti fiero dopo che ti avranno ricucito la guancia e tolto quella freccia dalla spalla.»

L’Esorcista annuì, seccato.

Sperava che Alexander arrivasse presto. Quelle ferite sembravano bruciargli più di qualunque altra lesione avesse mai riportato in battaglia. Ed essendo state inferte dall’Assassina, era certo che non significasse nulla di buono.

 

***

 

L’intervento del Messo Celeste aveva mitigato i suoi patimenti, ma non li aveva annullati.

I punti sulla sua guancia tiravano e bruciavano, e non erano riusciti a fermare l’emorragia: la benda applicata sulla gota era di nuovo fradicia, e si sarebbe dovuto alzare per cambiarla. Nemmeno la freccia era stata rimossa con troppo successo: aveva morso con tutte le sue forze un fazzoletto mentre spezzavano la punta e strappavano l’asticella dalla sua carne viva, e aveva quasi perso i sensi mentre cauterizzavano la ferita con il ferro rovente. Nemmeno quelle misure erano riuscite a risolvere il problema: il bendaggio che gli circondava la spalla era di nuovo inspiegabilmente chiazzato di sangue.

Poggiò un palmo sulla fronte, sentendo la testa girare: la pressione si stava abbassando troppo a causa della continua perdita di fluidi vitali. Cercò di rialzarsi sul letto per cambiare le fasciature, ma la stanza prese a vorticare intorno a lui, immobilizzandolo sul materasso.

Si sentì quasi sollevato quando avvertì un peso poggiarsi sul suo letto.

«Ti sei ricordato di avere un paziente sanguinante, Alexander?» lo rimproverò secco Lastar. Sapeva che il Messo Celeste era molto impegnato: doveva spiegare l’accaduto ai suoi superiori e al popolo, nonché organizzare una riunione il giorno successivo per decidere le contromisure da adottare, e supervisionare i lavori di ricostruzione assieme a Cy. Ma non aveva apprezzato il modo in cui era stato abbandonato sul suo letto, con la promessa volatile di una visita durante la notte.

«Ho saputo del tuo infortunio, mio adorato.»

Il conforto iniziale evaporò completamente.

«Deimos, oggi non ho proprio voglia di sopportare le tue assurdità» lo avvertì, velenoso.

Le coperte si mossero assieme al diavolo, che scivolò più vicino all’Esorcista sdraiato.

«Volevo vedere le tue ferite» un indice saltellò dal polso alla spalla del malato, a ritmo con la cantilena del diavolo.

«Sono già stato curato» comunicò Lastar.

«E ti hanno curato male» disapprovò Deimos. L’unghia nera picchiettò senza pietà la benda sulla guancia e quella sulla spalla, facendo sobbalzare l’Esorcista sul letto.

«Non miglioreranno se continui a stuzzicarle» si arrabbiò Lastar, cercando di strisciare fuori dalla portata dell’invasore.

«Allora permettimi di fare qualcosa per te» s’impuntò Deimos.

L’Esorcista era rimasto a occhi chiusi tutto il tempo, sperando che, se non gli avesse prestato attenzione, il diavolo sarebbe sparito come un brutto sogno al mattino. Aprì le palpebre solo in quel momento e, per un attimo, pensò che l’ombra della stanza stesse creando degli improbabili effetti di luce sul volto del demone, facendolo apparire serio. La sorpresa aumentò quando si rese conto che l’espressione grave del diavolo non era una conseguenza della rifrazione: Deimos era mortalmente preoccupato per lui.

Gli occhi rossi scintillavano a malapena nell’oscurità, stretti come per trattenere le lacrime, e le labbra erano quasi sparite per l’ansia. Una mano era stretta a pugno sulle coperte e l’altra sollevata verso il suo viso, bloccata a metà dell’azione, in attesa del permesso per procedere. Quell’ultimo dettaglio lasciò Lastar trasecolato: Deimos gli era sempre saltato addosso, lo aveva abbracciato e baciato anche quando lui gli aveva detto chiaramente di non volerlo intorno. Quell’esitazione lo colpì più a fondo delle iridi offuscate e della bocca sorprendentemente muta.

«Cosa vuoi fare?» domandò, cercando con una mano gli occhiali sul comodino. Il palmo del demone si poggiò sul suo polso, bloccandolo.

«Fammi dare un’occhiata alle tue ferite» patteggiò Deimos, insolitamente composto.

Le dita del Principe mostrarono una premura non confacente al suo atteggiamento pazzoide mentre rimuovevano la benda dalla sua guancia. Le ciglia arcuate si incontrarono qualche volta, mostrando riprovazione per la cucitura sul volto dell’Esorcista.

Lastar irrigidì la mascella quando i polpastrelli vellutati del demone lambirono i punti scuri, saggiando la ferita ancora sanguinante.

«Brucia» si sfogò a bassa voce.

«Lo so. Conosco questa lesione. E non è stata medicata a dovere» l’Esorcista sentì le ultime parole carezzargli la guancia, poco prima che le labbra del demone si poggiassero sulla cucitura. Una litania soffocata scivolò all’interno della ferita, e, quando il diavolo rialzò il volto, il sangue aveva cessato di scorrere. Deimos si mise a cavalcioni su di lui, strappandogli un gemito quando il ginocchio andò a sfregare contro il livido sul suo fianco, dovuto alla stampella di Cy; da quella posizione, il diavolo poté tenerlo fermo a sufficienza per tagliare i punti con le unghie affilate e rimuoverli dalla ferita già cicatrizzata.

Lastar passò una mano sul viso, e il tatto gli restituì una sensazione di integrità.

«Magia» asserì, inchiodando con lo sguardo il demone posizionato sulle sue anche.

«Che altro, mio caro?» gorgogliò Deimos. Si passò un dito sulle labbra sporche di sangue con lascivia: voleva vedere quella graziosa ruga che si formava sulla fronte del guerriero quando tentava di sedurlo.

«Immagino di doverti dei ringraziamenti» patteggiò veloce Lastar, ma Deimos scosse il capo in cenno di diniego.

«Non ringraziarmi adesso. Devo ancora curare la tua spalla.»

Il diavolo si prese tutto il tempo necessario per squadrare l’addome dell’Esorcista, prima di arrivare alla ferita. Alexander non lo aveva rivestito completamente, dopo averlo visitato: il taglio ancora sanguinante avrebbe sporcato gli abiti, per cui gli aveva appoggiato sulle spalle solo una vestaglia da ospedale, poi era scappato, rincorso dai propri impegni. Deimos si godette ogni centimetro di pelle esposta, felice di poter vedere la muscolatura del guerriero senza l’intralcio della sua divisa.

«Credevo che dovessi curarmi la spalla» lo riprese Lastar.

«Non essere così frettoloso. Ti perderai molti piaceri della vita» lo zittì Deimos, senza distogliere lo sguardo dai suoi addominali.

«La ferita è più in alto» lo riscosse di nuovo il paziente.

«Oh, hai ragione» gli occhi del demone salirono per appuntarsi sui suoi pettorali, parzialmente nascosti dal bendaggio.

«Deimos.»

«Quanto sei borioso» sbuffò il Principe, portando finalmente la sua attenzione nel posto giusto. Scostò la fasciatura per controllare i danni, e non gradì lo spettacolo che gli si aprì dinanzi: quei barbari avevano cauterizzato l’escoriazione, e ora la spalla del suo adorato sarebbe stata per sempre sciupata da quella cicatrice irregolare. Oltre che dannoso, quel processo era stato anche infruttuoso: la lesione si era aperta di nuovo, stillando pigramente gocce di sangue.

«Non muoverti» lo ammonì Deimos. Sistemò le ciocche più lunghe dei capelli ondulati dietro le orecchie, e si chinò per adagiare le labbra sul buco aperto dalla freccia. Di nuovo, alcune parole dal sapore antico e proibito piovvero dentro lo squarcio nella sua carne che, obbedendo ad un ordine ancestrale, cominciò a rimarginarsi.

Lastar strinse i denti mentre i muscoli si collegavano di nuovo tra di loro e la pelle si ricomponeva, chiudendo la fenditura nel suo corpo. Le sue membra brulicarono di una strana vivacità elettrica durante quel processo di cicatrizzazione accelerata, e la sensazione coprì tutte le gradazioni del fastidio e del dolore.

Quella volta, però, il respiro del demone non si allontanò quando la ferita ebbe terminato di rimarginarsi: continuò a scivolare sulla sua pelle, caldo e sensuale come la bocca da cui fuoriusciva.

«Grazie, Deimos» tentò l’Esorcista, per far allontanare il diavolo da sé.

Come ogni volta, il Principe non diede peso alle sue parole: il bacino del demone si schiacciò contro il suo, le braccia si allungarono per circondargli le spalle, e l’Esorcista si trovò a respirare il profumo inebriante della chioma scomposta del diavolo.

Non era la prima volta che Deimos lo abbracciava, ma non lo aveva mai fatto in silenzio: la sua bocca era alimentata da una miscela infinita di sciocchezze, che sgorgavano senza lasciar spazio a discorsi logici.

Le mani dell’Esorcista si poggiarono sulla schiena del demone, e lì sostarono per qualche istante, preda dell’indecisione, prima di scivolare sui suoi fianchi per stringerlo a sé.

Quello era uno dei preziosi momenti in cui Deimos non recitava, non indossava maschere, non esagerava. E di fronte alla vera essenza del demone, Lastar non riusciva ad essere scorbutico.

Deimos trovò il modo di recuperare la sua farsa e distruggere quel momento in una sola frase:

«Mi stai abbracciando e sono sul tuo letto. Nella mia fantasia, la scena era un po’ meno deprimente e un po’ più movimentata, sai?»

Il Principe fece per alzarsi, ma una presa salda lo serrò contro il petto bendato dell’Esorcista. Deimos batté le palpebre, confuso, la testa adagiata sulla spalla appena sanata e il corpo bloccato contro quello del compagno.

«Non mi spingi via, oggi?» cigolò, disorientato.

«Mi hai aiutato di nuovo» constatò Lastar, senza allentare la presa. «Questo ti creerà dei problemi, vero?»

Il demone alzò le spalle, per quanto lo stretto abbraccio gli permettesse.

«Non troppi. Non troppo gravi» mugugnò.

Il viso dell’Esorcista si sollevò dalla sua chioma indomabile per fissarlo in volto. Il Principe non si preoccupò di trattenere la sua soddisfazione: adorava gli occhi di Lastar, e detestava quelle brutte lenti che sciupavano la loro bellezza.

«Non dovresti farlo. E non dovresti nemmeno intrufolarti nella Cattedrale» lo sgridò sottovoce l’altro.

Deimos si stiracchiò su di lui con un gatto, arrivando quasi ad incollare le sue labbra a quelle dell’Esorcista. Si fermò poco prima, e lo morse sul mento con una risata.

«Non farò né l’uno nell’altro, mio adorato, finché tu sarai in difficoltà» gorgheggiò, rotolando fuori dal letto con una ruota.

L’Esorcista non gli permise di sparire a suo piacere come la volta precedente: lo afferrò per un braccio e lo strattonò su di sé. Il diavolo si rovesciò sulle sue gambe di schiena, inchiodato in quella posizione scomoda dalla forza delle iridi scarlatte.

«Con tutto il dovuto rispetto, i tuoi familiari non sono le persone più accomodanti di questo mondo» obiettò Lastar, stringendo le dita sul polso fine del demone. «E non credo che le loro punizioni siano leggere.»

Il turbamento intorbidò le iridi del diavolo, spingendole a deviare verso un angolo indefinito della stanza, poi sul soffitto e sulla finestra prima di appuntarsi di nuovo sull’Esorcista. La mano del Principe salì a sfiorare i lineamenti forti del compagno, e la sua voce fluttuò incantatrice a stregare il suo udito.

«Se sei così preoccupato, perché non diventi il mio amante ufficiale?»

La proposta di Deimos fu come un tizzone infuocato: Lastar si ritrasse bruscamente, e le dita del demone si ritrovarono ad accarezzare l’aria.

«Non dovresti scherzare su queste cose» esacerbò l’Esorcista, lasciando andare il suo polso.

«Non sto scherzando» Deimos non si mosse da quella posizione, reclinato sulle cosce del compagno, i capelli sparsi in onde scure sul lenzuolo. «Potrei curarti senza troppi problemi: ogni demone vuole che il suo amante sia in perfetta forma.»

«Assolutamente no!»

Si pentì amaramente dell’eccessiva fermezza del suo tono: l’ombra della delusione rivestì il demone, che si rialzò repentinamente dalle sue gambe. Forse si era innamorato di Lastar e di Lazard perché, in fondo, si somigliavano: entrambi bollavano come disgustosa la sua promiscuità, e storcevano il naso di fronte alle sue offerte. Evidentemente, il suo amore era indissolubilmente legato allo spregio altrui.

Di nuovo, l’Esorcista lo fermò afferrandogli il braccio. Deimos stava per scrollarsi di dosso quella mano con la stessa insensibilità con cui aveva ripulito il sangue dei demoni inferiori dai suoi artigli, ma Lastar pronunciò l’unica frase in grado di placarlo:

«Non voglio diventare il tuo amante solo per essere curato.»

Il Principe rimase così immobile da sembrare pietrificato; non si udiva nemmeno il suo respiro. Poi, altrettanto improvvisamente, il demone compì un balzo che lo portò ad atterrare sullo stomaco dell’Esorcista.

Tutto il fiato che Lastar aveva in corpo detonò nella sua bocca, spalancandogli le labbra in uno sbuffo convulso. Il demone gli afferrò le guance in preda ad un’irrefrenabile euforia ed esclamò:

«Quindi le cose cambierebbero se te lo chiedessi perché sono innamorato di te!»

«Deimos, non…»

«Sono felice!» esultò, lanciandogli le braccia al collo.

Le mani dell’Esorcista ricaddero sul lenzuolo, senza più forza di ribellione: era notte inoltrata, era ferito e stanco, e non aveva più voglia di discutere con Deimos.

Un sorriso demoniaco si stampò sulla sua gola, vicino alla giugulare.

«Sono davvero felice…» il mormorio ebbe termine sulla bocca dell’Esorcista.

Il Principe lo aveva baciato in svariate occasioni, ma erano stati sfioramenti occasionali a fior di labbra. Quella volta, la bocca del demone sostò sulla sua molto più a lungo, abbastanza da avere il tempo di muoversi leziosamente sulla compagna. Il diavolo accentuò la licenziosa invasione delle labbra del compagno, sollecitato dalle mani dell’Esorcista: i palmi si posarono sulla curva delicata della sua schiena, le dita si aprirono a ventaglio per coprire quanto più spazio possibile, avvicinando il Principe al petto scoperto del mezzo demone.

Deimos si staccò prima di approfondire ulteriormente il bacio, e saltò dal materasso al pavimento con uno svolazzo.

«La prossima volta tornerò con una proposta migliore» proclamò, vittorioso, per poi battere le mani e svanire in uno sbuffo di fumo.

La camera parve vuota e senza vita, una volta che lo scoppiettante diavolo si fu dissolto. Lastar permise alla sua schiena di cedere, e ricadde pesantemente sul cuscino.

Era stata una giornata lunghissima e faticosa, ed era tempo di riposare.

Il calore del demone aleggiò sulle sue labbra finché il sonno non lo rapì.

 

***

 

Astaroth non gradiva le visite, nemmeno se provenivano dalla famiglia reale, per cui non si sforzò di alzarsi dal suo triclinio quando Deimos irruppe nel suo salotto.

«Cosa vi conduce qui, Principe?» domandò annoiato, portando la lunga pipa dorata alla bocca.

Deimos volteggiò fino al bracciolo del divanetto, su cui prese posto con spavalderia.

«La vostra Assassina, oggi, ha ferito un Esorcista» miagolò il più giovane. «L’incanto che avete posto sulla lama del suo pugnale impediva alle ferite di rimarginarsi. Ha rischiato di morire dissanguato.»

«Stava attaccando la Cattedrale. È normale che abbia aggredito un Esorcista» una serie di cerchi concentrici riempì il vuoto tra la prima e la seconda affermazione del Duca. «Quasi scontato.»

Le labbra di Deimos si stesero in tutta la loro lunghezza, ma non brillò dolcezza su quel sorriso: era gelido e tagliente come un gladio di ghiaccio.

«Non voglio che venga colpito l’Esorcista mezzo demone. Lui è mio» chiarì, senza smettere il ghigno intimidatorio.

La minaccia insita nelle sue parole non colpì troppo a fondo Astaroth: chiuse di nuovo le labbra argentate sulla pipa, con la lentezza che era propria del suo ruolo, inspirò senza fretta e schiuse la bocca nella misura sufficiente a far uscire un filo di fumo striminzito. Aspettò che tutto il vapore fosse uscito da quell’infinitesimale pertugio, poi snocciolò, pigro:

«Non ho visto il vostro marchio su di lui.»

«Non lo porta ancora.»

Il Duca ruotò il collo verso il figlio di Lucifero, flemmatico, e lo fissò con gli occhi vacui.

«Vostro fratello approva che difendiate un ibrido che non è legato a voi dal sigillo?»

«Mio fratello ne è a conoscenza.»

«Ma questa non è una risposta alla mia domanda» un'altra lenta boccata, ed una seconda lunghissima esalazione di fumo. «Quindi intuisco che il Principe Razionale non acconsenta.»

«Concentratevi sulla mia richiesta, per favore» s’inasprì Deimos. Tra tutti i demoni, Astaroth era quello che più di tutti riusciva ad innervosirlo: era talmente indolente e vanesio da non avvertire il richiamo della carne, per cui le forme seducenti del Principe erano inutili al fine di accaparrarsi la sua attenzione o il suo favore.

«Non devo toccare il vostro favorito? Come preferite» acconsentì svogliato.

Deimos scivolò ai piedi del triclinio e fece per uscire, quando Astaroth appurò:

«Spero che non vi unirete con quell’ibrido.»

Il Principe rispose con tutta la scortesia e l’esasperazione possibili:

«Perché sarebbe indegno per la casa reale?»

Il Duca reclinò il capo, ed i lunghi capelli acquamarina scivolarono sul bracciolo del triclinio.

«No. Perché, se volete proteggerlo quando ancora non è marchiato, evidentemente è importante per voi. E sarebbe un vero peccato se vi vedesse come tutti quelli che vi hanno fatto compagnia durante la notte.»

Intercorse un'altra fiacca boccata di fumo prima che Astaroth completasse:

«Come un giocattolo. Splendido, ammaliante… ma pur sempre un giocattolo. O un’ossessione» arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito affusolato, meditabondo. «Una persona che per voi è sopra tutti gli altri comincia a vedervi come tutti gli altri… Deve essere una sensazione orribile.»

«Non sono un giocattolo» ringhiò Deimos.

«Ovviamente no. Vi auguro una piacevole nottata, Principe» lo congedò il Duca, sigillando le labbra sull’imboccatura della pipa.

Deimos uscì nella notte, bollente di rabbia.

Lastar non ere come gli altri. Per lui non sarebbe mai stato un giocattolo o un’ossessione. Per lui era…

Il Principe si bloccò di colpo, paralizzato.

Cosa era lui, per Lastar?

Una vecchia conoscenza? Un fastidio continuo?

Si afferrò i capelli con le mani e li agitò con furia, prima di riprendere a correre.

Non avrebbe lasciato che le parole di un demone mezzo addormentato macchiassero il suo rapporto con Lastar. Ma, mentre cercava di convincersene, sentì il serpente del dubbio scivolare nel suo esofago e arrotolarsi sul suo stomaco.

Aspettava solo il momento giusto per morderlo al cuore.

 

 

 

 

 

Terzo capitolo.

Devo ammettere che non avevo previsto l’irruzione di tanti nuovi personaggi xD Ma è stato molto divertente descriverli<3 Astaroth, poi, si è preso da solo il suo spazio… doveva comparire solo molto più avanti. Non è indolente come sembra, quel demone XD

Anyway, fine dello sclero a caso dovuto al pomeriggio di studio di trattativa commerciale *brividi*

Al prossimo capitolo<3

Red

P.S. Per i dati tecnici, consultate il Commentario.

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