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Autore: AlexEinfall    28/01/2013    2 recensioni
Era uno scambio equo, in fondo. Aveva bisogno della sua fragilità per ritrovare la propria forza, di annegare le sue debolezze in quel corpo sempre ricettivo, che accoglieva e inglobava tutto senza masticare, che era sempre lì a farsi strappare urla e gemiti, che era sempre capace di sopravvivere.
Siamo nel 2014 e la fine è ora. Non c'è speranza o fede, ma solo spazio per trovare un nuovo modo di sopravvivere, tra rimorsi, rimpianti e parole non dette. Finché dura.
[Destiel-2014!verse]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Note: I'm back. Questa one-shot è nata per caso. In realtà non credevo di scrivere qualcosa sul 2014, ma riguardando l'episodio ho trovato spunti che non avevo considerato (bhe, più che altro emozioni/sensazioni). Questo è solo un brano introspettivo, ma credo che ne scriverò altri in questo contesto.
Il focus è sulla relazione tra Dean e Castiel quando ormai è la fine, di ogni cosa, ma è una fine lenta e lascia spazio a qualche ultima considerazione, rimorso, tentativo di sopravvivenza.
Spero di rendere ciò che vedo.
N° parole: 1689
Attenzione: Riferimenti a luci rosse e poca allegria nell'aria.
Declaimer:  I personaggi non mi appartengono, questa è un'opera di fantasia non a scopo di lucro.
La canzone nel titolo e all'inizio della storia è "Passive Agressive" dei Placebo (di nuovo loro? eh sì).
Enjoy.


Passive Agressive


"It's in your reach
Concentrate
If you deny this
Then it's your fault
That God's in Crisis
He's over
Every time I rise I see you falling
Can you find me space inside your bleeding heart?"


Un braccio si abbattè mollemente sulla sua fronte e, nel tempo che gli ci volle per restituirlo al leggittimo proprietario, uno spesso strato di sudore aveva già fuso le loro pelli. Così quando si separarono ci fu uno schiocco unticcio e nauseante, che lo spinse a voltarsi su un fianco bofonchiando parole che la bocca impastata dal sonno non riusciva a scandire.
Sentì la depressione del materasso sporco quando il corpo nudo al suo fianco si mosse, in cerca delle sue spalle, ancora nel pieno rilassamento del sonno.
Cercò di spostarsi verso il bordo del letto, ma ormai era all'estremo confine con il vuoto.
"Diamine, Cass" imprecò risistemando le gambe sotto il lenzuolo, evitando accuratamente di intrecciarvisi. Non sarebbe stato comodo se fosse dovuto fuggire.
Da qualunque cosa.
Cercò invano il sonno, ma ogni volta che chiudeva gli occhi per più di una frazione di secondo, pallini incandescenti sembravano roteargli nelle orbite e la pressione sulle palpebre diventava sempre più insopportabile. I muscoli fremevano e dolevano come quando si resta troppo tempo immobili e il sangue comincia a scorrere torbido.
Si alzò troppo in fretta e una vertigine fulminea gli annebbiò per un attimo i sensi. Afferrò il materasso e si voltò un attimo a controllare l'angelo caduto nel suo letto: i capelli arruffati e incollati alla fronte, gli arti distesi ad occupare più spazio possibile e le palpebre chiuse e tese da movimenti circolari delle orbite. Fugaci espressioni gli volavano sul volto come ombre di aquile funeste.
Stava sognando, dedusse il ragazzo.
Vorresti essere ovunque si stia rifugiando.
Lui era molto tempo che non sognava qualcosa di piacevole, forse da quando l'angelo aveva perso la sua Grazia, quella che gli permetteva di intrufolarsi nei suoi sogni e renderli reali.
Dean si voltò e allungò una mano sotto il materasso, estraendo un insieme di fogli di varie lunghezze tenuti assieme da un po' di filo e una provvisoria copertina di pelle. Recuperò anche una penna e aprì la prima pagina libera. Non ne aveva raccolte molte, in fondo era meglio dover aggiungere pagine che lasciarne troppe vuote. A chi sarebbe andato quel suo diario non lo sapeva. Non avrebbe mai pensato di tenerne uno suo, odiava dover fare il sunto della sua giornata, ma aveva preso quell'abitudine all'inizio dell'anno, esattamente quando si era reso conto che il futuro più lontano che potesse immaginare era il prossimo tramonto di ogni alba.
La punta della penna rimase immobile sul foglio, spargendo una profonda macchia d'inchiostro. Rimase a guardarla, non riuscendo a scrivere nulla. Nella sua mente troppi pensieri scalfivano il vuoto alla ricerca di attenzione e per quanto cercasse di sopprimerli, non riusciva a farli tacere. Quella notte c'era troppo buio, troppo silenzio e troppa umanità nella stanza.
Ricordi com'era avere un cuore?
Gettò via il diario e la penna. Non aveva più alcun senso continuare a fingere che lui fosse ancora un cacciatore.
Sei solo un bastardo vendicatore senza anima. Sei peggio di tuo padre.
Premette i palmi sul viso per soffocare un pianto che non voleva far vincere. Non poteva permetterselo, perché se avesse abbassato la guardia anche solo un attimo il mondo sarebbe collassato e non ci sarebbe stato più nessun Dean.
"Dean" biascicò Castiel alle sue spalle, stropicciandosi gli occhi cerchiati di nero.
Il ragazzo si sforzò a malapena di ricomporsi, ma non si voltò a guardarlo, nemmeno quando due dita gli sfiorarono la spalla. Si divincolò, alzandosi a raccogliere il diario per risistemarlo al suo posto. Solo l'angelo glielo aveva visto nascondere, ma il più delle volte era troppo strafatto o delirante per darci peso.
"Fa come vuoi" si arrese Castiel, facendo spallucce e stirandosi i muscoli. "Credo che tu possa fare uno sforzo per non disturbare il sonno altrui. Sai, non ho più la Grazia ma il mio riposo viene turbato dall'agitazione di-"
"Cass, vuoi tacere?" sbottò Dean, frugando nella sacca alla ricerca di una pistola. Quando l'ebbe trovata controllò il caricatore per essere certo che vi fossero proiettili sufficienti.
"Come vuoi, capo" fece l'altro mimando un saluto militare.
Dean avrebbe voluto voltarsi, puntargli la pistola al cuore e sparare, disintegrarlo per sempre. Avrebbe poi voluto puntarsi l'arma fumante alla testa e premere l'ultimo grilletto della sua vita, evitando così quei pochi istanti di vita del cervello che avrebbero potuto devastargli l'anima. Voleva invece che Castiel potesse rendersi conto di quello che gli aveva fatto, voleva che in quell'istante lo odiasse.
Non puoi fare nulla di tutto ciò. Castiel vivrà e tu vivrai. Vivrete entrambi abbastanza da diventare morti, se non lo siete già. Ma prima hai una missione, perché lo sai: tu stai torturando il mondo, a causa delle tue non-scelte. E non scapperai così facilmente. In realtà non sei mai uscito dall'Inferno.
Non fece nulla di tutto ciò. Prese l'arma e degli strofinacci e si sedette ai piedi del letto per pulirla in vista dell'alba. Gesti meccanici, gli stessi da anni, così rassicuranti nella loro ripetività. Alle sue spalle sentì un flacone stappato e il rumore irritante di piccole palline che battevano contro i denti, nella folle corsa per entrare nella bocca dell'angelo caduto. Sapeva che di lì a poco avrebbe ricominciato a blaterare.
Una risata secca e trascinata grattò l'aria stantia. "Vuoi sapere cos'ho sognato?" cantilenò Castiel.
"No, per niente."
"Ho sognato un mondo perfetto" continuò ignorandolo. "C'era tante cose belle. Le persone soffrivano, ma erano persone. I mostri uccidevano, ma erano mostri. E i cacciatori cacciavano, ma erano cacciatori. Tutto aveva un suo posto. C'erano anche gli angeli, ma quelli erano solo stronzi."
Dean riuscì per un attimo a sorridere scuotendo la testa, mentre lisciava la canna della pistola.
Castiel si schiarì la voce e si avvicinò gattonando al suo orecchio.
"In quel mondo io ero felice, perché ero un angelo ed ero utile. Ma ero anche un umano e avevo fiducia nei miei amici. Era il duemilanove e io ero uno stupido bastardo convinto che due ragazzi, un vecchio ubriacone e un angelo caduto potessero salvare il mondo."
La risata gli morì in gola e le mani del cacciatore si fermaromo stringendo la pistola come se fosse il collo di una bestia.
Le labbra di Castiel gli sfiorarono un lobo e la sua voce gli tremò fin nel petto. "Onestamente, quel sogno faceva schifo."
"Castiel" ringhiò Dean, fissando il vuoto davanti a lui con gli occhi in fiamme. "Taci o giuro che ti strappo la faccia con le mie mani."
Ebbe in risposta solo una risata, che sembrava provenire da una gola riarsa, che aveva ingoiato un uomo piccolo, ferito, in lacrime.

Tuo padre voleva la vostra distruzione, Castiel. Ti ha chiesto di tirare fuori Dean dall'Inferno, e tu lo hai fatto. Sapeva già che quel ragazzo non si sarebbe mai piegato a Michele? Ti ha riportato in vita ogni volta, mentre tu ti ribellavi sempre più alla sua volontà. Sapeva già che avresti appoggiato Dean nella sua risolutezza a non piegarsi al destino?
"Sono confuso" mormorò l'angelo, portandosi le mani ai capelli intrisi di terra del giorno prima. Alzò gli occhi al cielo e la bocca si storse in un sorriso acidolo, mostrando i denti piatti.
Dean si svegliò di colpo, fendendo l'aria con il pugnale. Poi lo guardò starsene seduto sul letto con le spalle chine poggiate al muro e un'espressione tesa sul volto, in contrasto lampante con le labbra tirate nel sorriso più innaturale che potessero esprimere.
"Cazzo, Cass."
Castiel gli arpionò la nuca e lo tirò a sé. "Facciamo sesso, per favore?"
La richiesta suonò quasi come un ordine, ma in fondo lo era. Gli veniva da dentro, un bisogno profondo di compensazione. Non sentiva più nulla a riempirgli il petto, se non il cuore che batteva fastidioso. Nessun Dio, nessuna Radio Paradiso, nessun legame cosmico di natura angelica. Era solo un uomo, fatto di carne, ossa e sangue, ancora alla ricerca di quella che tutti chiamano anima.
A volte pensava di non averla, forse non era progettata per lui, forse quella di Jimmy ormai era distrutta, forse...

Non sapeva come gestire una cosa simile, ogni volta. Castiel perdeva il senno così spesso che ormai Dean non riusciva più a chiedersi quando fosse in sé e quando no, e forse non lo era da così tanto tempo che la stessa domanda era priva di fondamento. Forse il mix di droghe con cui faceva colazione, pranzo e cena avevano ormai distrutto i neuroni impazziti di quel corpo troppo umano o forse insieme alla Grazia anche qualche rotella era scivolata via da quell'essere innaturale.
Forse ha solo bisogno di sentirsi pieno.
E Dean lo riempiva spesso, dell'unica cosa che riusciva ancora a dare: il suo seme. Lo riempiva fino allo sfinimento, fino a far male, finché ne aveva. Si svuotava fino a non avere più in testa null'altro che il rombare del proprio sangue. Era uno scambio equo, in fondo. Aveva bisogno della sua fragilità per ritrovare la propria forza, di annegare le sue debolezze in quel corpo sempre ricettivo, che accoglieva e inglobava tutto senza masticare, che era sempre lì a farsi strappare urla e gemiti, che era sempre capace di sopravvivere. Il vero motivo per cui Dean continuava ad offrirgli il suo letto era questo: per quando potesse graffiarlo, offenderlo, torturarlo sottilmente, Castiel restava sempre e tornava, intatto e pronto a ricominciare. Dean lo aveva deluso, distrutto, tormentato, fino a renderlo uno straccio di angelo che fu. Malgrado ciò, Castiel sopravviveva al suo uso smoderato, sproporzionato ed egoista.
Il mondo no.
E quando finivano e crollavano esausti, entrambi avevano una sola sensazione: va tutto bene, sono intero, forse sono anche vivo. Non importava se durava poco, se sprofondava subito nell'abisso dentato delle loro coscienze. Era pur sempre qualcosa.
"Dean."
"Cosa?"
"Una volta mi amavi?" la voce uscì secca e senza emozioni, stanca come se si stesse trascinando attraverso le lenzuola appiccicose.
Il ragazzo si voltò rivolgendogli le spalle. Non poteva affrontare il suo sguardo e vedervi cosa gli aveva fatto. Cosa aveva fatto all'umanità.
Sentendo quegli occhi instancabili addosso, ricacciò in gola tutte le parole che avrebbe voluto un tempo aver detto.
"Parli troppo, Cass" ringhiò, stringendo le lenzuola tra i pugni stanchi.
Oh mio Dio.


Alex's space: Se state leggendo questa parte, avete fiinito di leggere la mia one-shot. Spero vi sia piaciuta e spero di ricevere qualche commento (buono, cattivo etc etc), per sapere dove sbaglio, dove riesco e dove c'è ancora da lavorare. Grazie dell'attenzione.
:>


  
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