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Autore: Filakes    02/02/2013    0 recensioni
Nilde ha diciotto anni, nata nel regno di Oberon.
Quando undici anni prima il suo regno perse una guerra, Nilde fu catturata dai soldati nemici e trasportata lontano dalla sua famiglia.
Vive tra stenti ed ingiustizie in un luogo sperduto al nord, lavorando con altri ragazzi come schiavi, privati di ogni diritto.
C'è una cosa, però, che l'aiuta a sopravvivere, a non impazzire: il ricordo di una storia che le raccontava la madre: la storia della città di Utopia, città priva di ingiustizie, progredita, governata saggiamente, che fu trovata da due esploratori, ma una volta tornati ad Oberon, non furono più capaci di ritrovarla.
Utopia è l'unica salvezza per Nilde e per il regno di Oberon.
Ma esisterà davvero?
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III:
“Occhi di giaccio”

  William mi guarda confuso, come a chiedermi cosa mi aspettavo, era una cosa ovvia. Scuoto la testa e cerco di mangiare ma non ho più fame, è la prima volta che mi succede. Sospiro e mi obbligo a finire a grandi cucchiaiate la poltiglia grigiastra, devo mangiare se voglio sopravvivere. Bevo tutta l’acqua in pochi sorsi, poi, quando vedo che i soldati si allontanano dalla mensa per scortare il nuovo generale, faccio scivolare il pane dentro la manica. Amanda mi fulmina con lo sguardo.
-         Sei forse impazzita? Cosa fai se ti controllano?
Bisbiglia in fretta, gli altri mi fissano.
-         Devo portare qualcosa ad Annabeth, i soldati la lasceranno morire, lo sapete anche voi.
I loro sguardi si posano sulla manica e Kate sospira.
-         Lo so, ma evita di farti ammazzare per un pezzo di pane.
In quel momento suona la sirena che segnala la fine del pranzo. Ci ordiniamo in file ordinate e ci avviciniamo alla porta. Ogni gruppo deve andare nuovamente nella sua postazione, lavoreremo ancora fino a tarda sera. Amanda e William vanno nel reparto vicino al nostro, devono testare quello che noi costruiamo. Kevin, invece, si occupa del trasporto delle merci da un reparto all’altro. Io e Kate torniamo sul montacarichi, che scricchiola in maniera inquietante. Uno di questi giorni, forse, ci moriremo dentro se non lo sistemano e so che non lo faranno. Kate continua a fissare la manica dove ho messo il pane e le lancio un’occhiataccia. Lei si scusa con un cenno del capo e guarda davanti a sé, il volto è teso, pallido.
  La giornata di lavoro passa velocemente, non ci sono più incidenti e la stanza grigia è silenziosa, persino i rumori delle macchine sembrano attutiti. La porta si apre e Kevin ci porta altro materiale da assemblare, non possiamo parlare, né guardarci, ma sento che è teso, probabilmente anche lui mi fissa la manica dove ho nascosto il pane. Picchietto un dito sul tavolo e lui capisce, si sposta e porta il materiale anche agli altri, poi ritira quello pronto. Riprendo a lavorare spedita, non ho voglia che qualche soldato sospetti alcunché.
Alcuni passi si avvicinano alla porta dietro di me, che si spalanca di nuovo.
-         Qui invece assembliamo i prodotti. Molti dei ragazzi che lavorano qui hanno molti anni di esperienza. Vede come lavorano spediti?
La voce del caporeparto è fintamente allegra, forse persino un po’ tesa. Non mi serve altro per capire con chi sta parlando.
-         Vedo.
La voce del nuovo generale è giovane e fredda, pericolosa. Un brivido mi sale per la schiena e non riesco a nasconderlo. Sento il suo sguardo su di me, le mani cominciano a tremarmi. Con pochi passi raggiunge la mia postazione, tengo gli occhi bassi e continuo a lavorare. Afferra un filo elettrico ricoperto di gomma rosa, lo rigira tra le dita, lo esamina con attenzione. Dalle mani tremanti mi scivola un piccolo auricolare, sento il cuore fermarsi mentre atterra con un piccolo tonfo sul piano di lavoro bianco. Il generale si ferma e appoggia il filo con una calma esasperante per prendere il piccolo oggetto che mi è caduto, aspetto a testa bassa una scossa da un momento all’altro, forse ci rimarrei secca, ma non succede nulla. Tutti nella stanza sono impietriti e fissano me e il generale, saltando con lo sguardo da me a lui. Con due dita fredde e affusolate mi afferra il mento, il cuore comincia a battere all’impazzata, ho paura, paura per davvero. Con una leggera pressione mi spinge a guardarlo in volto.
-         Stai più attenta.
Le parole sono controllate, ma vi traspare un velo di minaccia. Sento il sangue congelarsi. I suoi occhi azzurro ghiaccio mi scrutano con attenzione, minacciosi. Poi appoggia il piccolo auricolare con inaspettata delicatezza sul tavolo.
-         Non si è rotto. Sei fortunata.
Ho gli occhi spalancati dal terrore, non mi importa nemmeno che lo veda. Mi lascia andare il viso e prosegue la sua visita.
Sento le lacrime pungermi gli occhi, sento lo sguardo degli altri su di me. Trattengo il groppo in gola e ricomincio a lavorare e così fanno gli altri. Ma so perfettamente che mi terrà d’occhio d’ora in poi. Sento il pezzo di pane premermi contro la pelle dentro la manica e rabbrividisco. Sono fregata.
  La sirena suona la fine del turno serale e ci dividiamo per raggiungere le camerate. Usciti dalla fabbrica, alcuni vengono fermati per essere perquisiti. Do un’occhiata in giro, ma non vedo il nuovo generale. Proseguo a passi misurati, ma una guardia mi chiama, mi volto lentamente. Mi fa cenno di avvicinarmi, ma proprio in quel momento escono Amanda e Kevin, mi guardano terrorizzati. Poi accade tutto in fretta. Amanda spinge Kevin a terra e lo copre di insulti, il ragazzo all’inizio rimane scioccato, poi capisce, si alza e la spintona. Il soldato che mi ha fermato, mi fa segno di andare e accorre dai due che stanno bloccando tutti. Le loro urla risuonano in tutto il cortiletto. William esce in quel momento e li osserva sconcertato. Io mi volto, incrocio lo sguardo di Amanda e sillabo con le labbra un “grazie”, lei fa un lieve cenno con la testa e continua la sua sceneggiata. Sento il soldato urlare, li divide.
-         Voi due farete il turno di notte, niente cibo per due giorni. Tornate dentro!
Sbraita e intravedo i due rientrare. Non è una delle punizioni peggiori, ma per il lavoro che fanno hanno bisogno del cibo. Stringo i denti e so che gli sono debitrice.
  Raggiungo la mia camerata e quando entro Annabeth è stesa a letto, pallida. Mi avvicino a lei, le accarezzo la fronte sudata. Apre piano gli occhi, le tremano le labbra.
-         Nilde?
La sua voce è esitante e fragile.
-         Sì, sono io.
Le sorrido dolcemente.
-         Ti ho portato una cosa.
Tiro fuori il pane dalla manica e lei lo guarda stupita. Sta per parlare, ma io la fermo subito.
-         Niente domande, mangia e basta, prima che ci scoprano.
Lei annuisce e afferra il pane con le mani che tremano visibilmente. Lo porta alla bocca e lo sbocconcella piano.
Le prendo una ciotola sbeccata e la riempio con l’acqua che scende dal rubinetto del bagno, gliela porgo e lei la beve tutta in un attimo. Tossisce ma non sputa più sangue. Raccolgo le briciole dalle sue lenzuola e le getto nello scarico del gabinetto, meglio non lasciare tracce.
-         Come ti senti?
Le chiedo rimboccandole le lenzuola.
-         Meglio.
Il sorriso di Annabeth è sincero, mi sento più tranquilla.
-         Ho sentito che c’è un nuovo generale.
Commenta stanca, richiudendo gli occhi.
-         Già.
Dico solo, alzandomi, mentre le altre entrano nella camerata.
-         Com’è?
Vorrei rispondere che è come gli altri, anzi, forse è peggio. Che potrebbe ucciderti con uno sguardo, che probabilmente renderà questo posto peggio di quel che è, che mi ha presa di mira.
-         Giovane. Avrà pochi anni più di me.
Dico soltanto, mentre mi infilo il pigiama bucherellato.
-         Meglio, forse sarà più aperto.
Poi si addormenta. La osservo alcuni istanti e so che dovrò fare molto di più se voglio aiutarla, ma il nuovo generale non vedrà l’ora di prendermi in fallo. Sospiro esausta e allontano ogni pensiero, non è il caso di fare brutti incubi.

   
 
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